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Autore: artemideluce    12/05/2016    2 recensioni
Posai i miei occhi per l'ultima volta su quel quadro che mi ritraeva, così altera e regale in quella veste dorata, come una dea dell'Olimpo scesa a esibire ai mortali la propria bellezza e magnificenza. Quel quadro che lui aveva dipinto per me, che proseguiva sempre dopo aver fatto l'amore con me, seduto su uno sgabello traballante in quello studio buio e polveroso che era il nostro covo. Tutto di quel quadro mi ricordava i momenti di estasi trascorsi con lui, il mio Gustav, il mio Gustav Klimt.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Novecento/Dittature
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Tredici Maggio 1937

Si diceva che il mese di maggio era il mese migliore per sposarsi: la primavera faceva sbocciare i fiori, il sole scaldava i cuori e infondeva una strana aura di gioia per le strade di Vienna. Maria si sposò con un giovane cantante lirico, un certo Frizz, bello, alto, moro e con due incantevoli occhi azzurri. Era figlio di un noto imprenditore, ma amava la musica classica ed era un celebre cantante d'opera, agognato da molte signore dell'alta borghesia austriaca che lo miravano e rimiravano dai loro posti in galleria, accanto ai mariti conciati in frac. Si sposarono nella loro casa, c'era spazio per il centinaio di amici e parenti invitati alla cerimonia, tutti erano felici e cantavano e danzavano e applaudivano i novelli sposi. Lei era bella come sempre, in un abito bianco di pizzo che le risaltava la silhouette, i tacchi che era solita portare e una fine tiara intrecciata tra i capelli la rendevano lucente più che mai. Si vedeva da come si guardavano che si amavano, si amavano alla follia. In uno dei pochi momenti in cui la novella signora Frizz non era al centro delle danze lo Zio Ferdinand la rubò all'attenzione della felice e confusionaria folla degli invitati.

"Tua zia Adele sarebbe stata molto felice nel vederti così innamorata di quell'uomo. Era così fiera di te, ti amava come una madre." Negli anni successivi alla morte della moglie lo zio si era lasciato andare ai piaceri della tavola, acquistando qualche taglia in più, tanto che il vecchio frac che indossava sembrava gemere sotto la tensione di un corpo non più della sua misura. Non aveva neanche più acquistato quadri, ne tanto meno ne aveva commissionati. Era una passione che lo accomunava alla moglie, mecenati di artisti classici quanto di innovativi, come i dipinti del loro amico Klimt, che ancora si stagliavano imponenti sulla parete della sala da thè. "Questo è il mio, il nostro dono per te, mia cara nipote. Lei amava così tanto la sua collana, almeno quanto amava te, mia dolce Maria. Sul punto di morte mi disse che avrei dovuto donarla a te, così avresti potuto sfoggiarla nella tua giovinezza." Fece un lungo sospiro, un colpo di tosse, e alzò lo sguardo verso il ritratto della moglie. Non era cambiata per nulla in tutti questi anni. "Mi diede anche questo taccuino, da darti quando sarebbe stato il momento opportuno. Ora, mia amata nipote,sai quale dramma sta incombendo sul nostro paese. Il partito nazista vuole dominare su tutto e tutti, e noi qui non siamo i benvenuti. Faranno di tutto per derubarci dei nostri averi e per imprigionarci. Tieni - prese una mano alla sposa, che teneva la testa abbassata per coprire gli occhi gonfi di lacrime, pronti ad esplodere - sono per te. Leggi le sue memorie anche per me." Si alzò in piedi e presa in mano la collana, con uno sguardo triste e rassegnato diede un bacio al rubino incastonato al centro, e diede un ultimo fugace sguardo alla sua Adele, la mise al collo di Maria. Appoggiò le grassocce e pesanti mani sulle sue spalle e diede un ruvido bacio sulla guancia della nipote. Si alzò e tornò di fronte alla ragazza che fino ad allora aveva tenuto la testa bassa a guardare il suo nuovo anello e a trattenere le lacrime. Lei si alzò, cercando di evitare gli occhi dello zio, intrecciò il suo braccio con quello che zio Ferdinand le stava porgendo ed entrambi si avviarono di nuovo verso il salone rimbombante di voci e musica.

Qualche mese dopo la Gestapo fece irruzione nel palazzo di famiglia. Lo zio Ferdinand se n'era andato a Colonia subito dopo la festa, o forse già durante. Aveva lasciato la dirigenza delle aziende di famiglia al fratello Gustav, padre di Maria. Questi comprò due biglietti per Colonia per la figlia e il cognato, facendosi aiutare da un contadino che gli doveva un favore per portarli di nascosto all'aeroporto. Loro restarono lì, nella loro lussuosa dimora al centro di Vienna, mentre la polizia sequestrava dipinti e argenteria, compreso il collier di diamanti che Maria non aveva potuto portare con se verso la sua nuova vita in America. Furono entrambi internati in campi di concentramento, e se ne persero le tracce, così come delle loro fabbriche e dei loro averi.

Molti anni dopo Maria, nella solitudine apparsa nella sua casa dopo la morte del marito, sistemando la soffitta ritrovò il taccuino della zia. Era impolverato e le pagine ingiallite stavano per staccarsi. Ma la rilegatura in pelle era ancora in ottimo stato, merito della eccellente fattura di chissà quale artigiano austriaco. Si mise a sfogliarlo, non senza un certo timore nel rievocare quel periodo così buio per la sua famiglia.

Primo maggio 1882

Era uno splendido giorno di primavera quando visitando il Kunsthistorisches Museum quando vedemmo per la prima volta il giovane Gustav all'opera nel dipingere il cortile del Belvedere. Era in cima alla sua scala, con la tipica casacca blu da pittore, tutta macchiata dei colori della sua tavolozza. Stava lassù da molte ore, poiché lo vedemmo anche dopo aver visitato il muso. Mio marito si soffermò a chiacchierare con un collega finanziere, mentre io mi avvicinai a lui, per osservare il suo lavoro all'opera. Le chiacchiere degli uomini borghesi si dilungavano, mentre io ero rapita dalle sue veloci pennellate, dai suoi vortici, dal modo di disegnare e delle sue pause. Notai che si soffermava con il pennello in mano a osservare il punto vuoto che doveva riempire, disegnando degli arabeschi in aria prima di far baciare le setole con la calce del muro. Ero stregata dai suoi movimenti, mentre lui non si era nemmeno accorto della mia curiosa presenza. Mi aveva trasportata in un universo fatto di colori e movimenti, isolata dal mondo reale che mi circondava. Non mi accorsi che Ferdinand mi raggiunse se non quando mi posò la mano su un fianco, e sobbalzai dalla sorpresa, strappata dai miei sogni e dalle mie fantasticherie.

"Tesoro, era il direttore della banca di Vienna, ci invita a cena domani, ci saranno anche gli altri membri della commissione del tesoro" mi disse, nel suo solito tono placido e tranquillo.

"Oh, certo, Ferdinand. Perdonami se mi sono allontanata, ma ero incuriosita da questo giovane artista e dal suo lavoro" Risposi, incapace di staccare gli occhi dalle mani sporche e dal pennello di quel ragazzo.

"Di sicuro con tutta quella vernice verrà un capolavoro. Complimenti signor...." Si bloccò, stupendosi del fatto di non conoscere l'artista che affrescava le pareti del museo, il museo dal suo amico, quello che frequentavamo la domenica e che ospitava le serate di gala per l'alta borghesia viennese. "Sono Gustav." Il giovane si tolse il berretto e lo strinse addosso alla sua blusa da pittore, cercando di ripulirsi le mani per porgerle a Ferdinand. "Sono Gustav Klimt, signore." Mio marito fece un passo indietro e accavallò le mani dietro alla sua schiena, anche se per la sua stazza non riusciva a toccarsele. Io mi feci avanti, non so per quale strana attrazione magnetica e gli porsi la mano.

"Noi siamo i Bloch-Bauer, signor Klimt. Verremo di sicuro a vedere l'opera finta all'inaugurazione del cortile.." Ferdinand mi prese per un gomito e mi tirò indietro, non prima però che le nostre dita si sfiorassero e una scossa elettrica partisse da quel tocco fino a percorrere ogni centimetro del mio corpo, facendomi venire la pelle d'oca.

"Certo che verremo, mia cara. Ora però andiamo, lasciamo lavorare l'artista, non disturbiamolo con le nostre ignoranze da borghesi. Signore, con permesso". Mi mise il braccio sotto il suo, come era usanza della nobiltà e della borghesia e mi strattonò per partire nella camminata fino all'automobile. Io tenni lo sguardo basso per un lungo tratto, chiedendomi per quale incantesimo non riuscissi a togliermi dalla mente quel ragazzo dai capelli di fuoco, così arruffato e goffo, ma così ammaliante nel compiere le sue pennellate. Arrivati all'automobile il nostro chaffeur era lì ad attenderci con la porta spalancata. Misi un piede sull'alzata e in quel momento girai lo sguardo verso la direzione che avevamo appena lasciato e vidi lui ancora nella sua posizione di rispetto che guardava verso di me. Un secondo prima di girare lo sguardo vidi sul suo volto dipingersi un sorriso superbo, in grado di scogliere il cuore delle più altere delle dee e delle più dure pietre; alzò la mano con il berretto e fece un piccolo segno di inchino, che io ricambiai con un sorriso appena accennato. Chissà se da lontano vide la mia risposta, chissà se lo aspettava, chissà cosa avrà pensato di me. Ciò che era accaduto mi riempì il cuore di una calda gioia, quella che non provavo da anni.

Quello fu il nostro primo fugace, prorompente, inaspettato incontro.

   
 
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