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Autore: tikei_chan    10/04/2009    4 recensioni
Appesa alla parete di fronte a loro, un’immagine gli ferì la vista.
Ino non si accorse della reazione di Gaara, gli dava le spalle.
"Guarda questo. Sembra così reale".
Troppo reale
Fu un istante.
Un solo attimo, e tutto era già chiaro nella mente del rosso.
[Terza classificata al contest "Dal pennello alla tastiera" di hotaru ]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ino Yamanaka, Sabaku no Gaara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa fiction si ispira al quadro “Ofelia” di John Everett Millais  

 

Blame: neverending flame


Sedette pesantemente sulla sabbia umida, per ammirare la propria opera.

Era bellissimo.

Lo faceva sentire libero.

Lo faceva sentire folle.

La danza delle alte fiamme incontrollate gli provocò ripetute ondate di riso isterico.

Rise tanto, così convulsamente da rovesciare dalla bottiglia quel poco alcool che vi era rimasto.

I pezzi rotti di una bellissima cornice dorata erano la base di quel falò improvvisato; posti come pilastri di una gabbia, costringevano in piedi la tela arrotolata che stava loro in mezzo.

Gaara non riusciva a distogliere gli occhi dalle lingue ardenti, sul viso un ghigno appagato.

L'adrenalina non accennava a scemare, istigata dai pensieri euforici del rosso a corrergli nel sangue.

Si sentiva furbo, geniale, eroico, nel ripercorrere le proprie azioni.



-Vieni, ti voglio far vedere i quadri che ci sono arrivati oggi, quelli per la mostra

sugli Interpreti dell'acqua.-

La biondina, l’unica fra i suoi colleghi che fosse almeno sopportabile, lo raggiunse a passo affrettato.

Con una mano stringeva una cartelletta al petto, con l’altra gli stava indicando entusiasta un corridoio del museo.

Il rosso la seguì, senza provare vero interesse per quello che Ino aveva da mostrargli.

-Sono bellissimi, ce ne sono alcuni che mi piacciono da impazzire!-

Noncurante dell’indifferenza di Gaara - ormai vi era abituata -, la ragazza continuò a sorridere e ad elogiare i dipinti che il Museo di Tokyo si apprestava ad ospitare.

-Ecco, per di qua. Siamo quasi arrivati.-

Salirono le scale fino al terzo piano che per l’occasione era ingombro di

polistirolo blu striato di pittura bianca, ad evocare alte onde schiumose.

Ma Gaara non andò più in là del pianerottolo.

Rimase pietrificato sulla soglia della prima stanza.

Appesa alla parete di fronte a loro, un’immagine gli ferì la vista.

Nel petto avvertì un vuoto doloroso, gli occhi improvvisamente assetati di lacrime

rimasero fastidiosamente asciutti.

Ino non si accorse di nulla. L’aveva superato, andando vicino al dipinto per osservarlo meglio.

- Guarda questo. Sembra così reale.- disse in un sussurro, gli occhi adoranti calamitati dalla tela.

Troppo reale.




Lui era piccolo, ancora innocente. Non poteva comprendere.

Perché in fondo era un pomeriggio normalissimo.

Come al solito era in casa da solo con la mamma, gli altri fuori per i propri impegni.

Aveva appena finito di fare il bagnetto, e avvoltolo in un accappatoio, lei l'aveva delicatamente appoggiato su uno sgabello.

Poi aveva girato quest'ultimo, in direzione della porta.

Gli aveva dato in mano il pupazzo che preferiva, quello che gli faceva compagnia quando lei era troppo stanca e i fratelli avevano da studiare.

Aveva mormorato “Fai il bravo”, sorridendo, baciandolo in fronte.

Non sembrava un addio.

Poi si era allontanata, immergendosi nella vasca ancora piena di bolle e giocattoli di plastica.

Il bambino le dava le spalle, come voluto da lei.

Giocava con l'orso di pezza fingendo che sapesse muoversi e parlare, ma questo sfuggì dalle sue mani troppo piccole, rotolando oltre le gambe metalliche dello sgabello.

Lo raccolse, i suoi piedi nudi lambiti dall'acqua fredda.

Ne scorrevano sottili rivoli lucenti dal bordo della vasca, che alimentavano così la pozza insaponata.

Gaara si avvicinò all'orlo di ceramica.

Si sporse verso la vasca, stringendo la mano libera a quel bordo alto per un bambino di cinque anni, ma non abbastanza da impedirgli di vedere.

Non riuscì a sollevare lo sguardo.

Passarono dei minuti interi. Infine distolse gli occhi - tanto asciutti da bruciare -, incrociando quelli plastificati dell'orsacchiotto.

Allora ricordò che doveva occuparsi di lui; non poteva lasciarlo in quelle condizioni, completamente fradicio.

Stringendo a sé l'amico, tornò a sedersi sullo sgabello. Lo strofinò sui propri pantaloni, per poi infagottarlo nella maglia quando fu poco più che umido.

Lì lo trovarono suo padre e i suoi fratelli quando rientrarono a casa. Poi trovarono lei.

Da quel giorno niente fu come prima.

Nessuno gli spiegò quello che era successo, ma crebbe e capì senza che gli fosse detto, che lui era il colpevole.

Lo odiavano, era considerato da tutti un mostro e un assassino.

Nessun membro della famiglia lo trattò meglio di uno sconosciuto qualsiasi, molesto e indesiderato, e per contro, l'unica persona di cui lui desiderasse la compagnia era sua madre.

A volte gli capitava che lei tornasse a trovarlo quando dormiva, nell'unico modo in cui la ricordava; sdraiata nella vasca traboccante d’acqua, con la bella pelle liscia diventata

fredda e bluastra



Fu questione di un attimo.

Un solo istante, e tutto era già chiaro nella sua mente, lucida dopo l'annebbiamento del primo impatto.

Sapeva esattamente cosa doveva fare.

Ciò che successe in seguito, fu solo la messa in atto di un piano già stabilito in ogni punto.

Le scuse che inventò per rimanere oltre l’orario di chiusura, l’appostamento nella stanzetta sempre trascurata dal custode negligente. Tutto funzionò come avrebbe dovuto.

Tornato nella stanza di Ofelia, la freddezza mantenuta fino a quel momento lo abbandonò.

Semplicemente prelevò il quadro, staccandolo dalla parete.

Inutile dire che l'allarme antifurto del museo cominciò subito a riecheggiare nelle tante stanze del palazzo.

Lui era scappato.

E fino a quel momento era riuscito a fuggire più in fretta di chi gli stava alle calcagna.




Le sirene della polizia aumentarono di intensità. Ormai erano vicini, presto sarebbero stati lì.

Negli occhi stanchi di Gaara si rifletteva la fiamma morente del falò.

Le sue labbra, tese sui denti scintillanti, si richiusero lentamente.

Avvertiva un caldo ustionante, ma la sua pelle era ricoperta da un velo di sudore gelido.

Aveva guardato immobile quel corpo scurirsi e arrotolarsi pezzo a pezzo per poi cadere in cenere; ora rimanevano solo gli occhi chiusi e i bellissimi lunghi capelli fluttuanti.

Un lacrima, fredda a contatto con la pelle accaldata, scese lungo la guancia pallida.

Difficile dire se fosse sincera, oppure causata dal fumo accecante che impregnava l'aria.

Quando anche gli occhi della donna vennero inghiottiti dalle fiamme, si alzò.

Risalì la spiaggia, verso le luci rosse e blu che lo cercavano sul lungomare.




























Qua riporto il giudizio che la (bravissima ^^)giudice hotaru ha dato a questa storia.
3° CLASSIFICATA

Blame: neverending flame” di tikei_chan
Grammatica e lessico: 9.5
Stile: 8.5
Originalità: 9
Trattazione del quadro: 9.5
Opinione personale del giudice: 4.5
TOTALE: 41

Bella. Inquietante, per certi versi sconvolgente, ma terribilmente verosimile. Innanzitutto devo farti i complimenti per la scelta dei personaggi: Gaara è semplicemente perfetto, sia da bambino che da adulto, e quel particolare della lacrima… mi ha sconvolto.
La grammatica è quasi perfetta, ma ho avuto l’impressione che in un punto forse mancasse una parola: nella frase “la freddezza mantenuta a quel momento lo abbandonò” volevi mettere anche la parola “fino”? Magari è stata una svista, ho comunque voluto segnalartela.
Lo stile è semplice, cadenzato, risulta tagliente come un rasoio nella parte del flashback: il contrasto tra i particolari dell’infanzia quali il bagno, l’accappatoio infilatogli dalla madre, l’orsacchiotto, e quello che invece accade è terribile.
La tua storia è fatta di contrasti: il principale è, secondo me, quello acqua/fuoco. Da una parte la mostra “Interpreti dell’acqua”, con il quadro e poi la scena del bagno; dall’altra il fuoco che apre e chiude la narrazione.
Il modo in cui hai trattato il quadro è brillante: l’hai reso “vivo”, nel senso più vero e terribile del termine.
L’azione di Gaara ha un senso di “risarcimento” finale, qualcosa di “dovuto” che stava aspettando da quando aveva cinque anni: “ucciderla” di nuovo, fare qualcosa quando invece quella volta era stato del tutto impotente, dare fuoco in un certo senso a tutti i propri ricordi, al senso di colpa, è di una forza psicologica inimmaginabile.
L’unico consiglio che posso darti (prendilo com’è, non offenderti) è: scrivi, scrivi, scrivi. Ho come l’impressione che il tuo sia uno stile che sta maturando, in certi punti è ancora acerbo, ma le idee e la capacità evocativa ci sono, letteralmente straripanti. I miei complimenti per questa sconvolgente storia.



Faccio i complimenti alle altre partecipanti e alle 2 podiste DarkRose e ShiIta. é stato un onore gareggiare con voi!
Ringrazio chi ha letto e chi recensirà questa storia. =D
   
 
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