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Autore: Erchomai    12/05/2016    3 recensioni
Stony. | Ambientata dopo ‟Captain America: Civil War”.
Dal testo:
« Nonostante il nome Stark fosse stato da sempre sinonimo di ricchezza, esisteva un lusso che Tony non si era mai potuto permettere: il silenzio. Ci era voluta la rottura dei Vendicatori e la distruzione di mezzo mondo per permettersi di sprofondare nell’abisso. Prima di allora non avrebbe mai creduto che la quiete potesse rivelarsi così spaventosa. Un enorme macigno invisibile gravava sulle sue spalle, tanto da impedirgli di muoversi più di qualche metro. Sei mesi prima Iron man possedeva il mondo, ma in quel periodo persino la stanza da letto sembrava troppo grande. »
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Wanda Maximoff/Scarlet Witch
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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New York, ore 4:30 AM.

Hello, anybody out there? ‘Cause I don't hear a sound. Alone.
I don't really know where the world is but I miss it now.

I'm out on the edge and I'm screaming my name like a fool at the top of my lungs.
Sometimes when I close my eyes I pretend I'm alright, but it's never enough.

'Cause my echo is the only voice coming back.
Shadow is the only friend that I have.

[…]

I just wanna feel alive and get to see your face again.

• Echo, Jason Walker •

 

Nonostante il nome Stark fosse stato da sempre sinonimo di ricchezza, esisteva un lusso che Tony non si era mai potuto permettere: il silenzio. Ci era voluta la rottura dei Vendicatori e la distruzione di mezzo mondo per permettersi di sprofondare nell’abisso. Prima di allora non avrebbe mai creduto che la quiete potesse rivelarsi così spaventosa. Un enorme macigno invisibile gravava sulle sue spalle, tanto da impedirgli di muoversi più di qualche metro. Sei mesi prima Iron man possedeva il mondo, ma in quel periodo persino la stanza da letto sembrava troppo grande. Il suo amico più fidato si era rivelato il rum; ogni giorno sul pavimento apparivano nuovi frammenti di vetro di bottiglie vuote gettate con furia incontrollata contro il muro. Nel momento in cui Tony Stark perdeva i sensi, impregnato dell’odore dell’alcol, con la barba incolta e i capelli simili ad un groviglio di cavi elettrici, Visione attraversava il muro che li teneva divisi durante tutto il giorno, ripuliva la stanza dalla sporcizia, e sistemava Tony sul letto. C’era il 90% di possibilità che l’uomo non si fosse mai accorto di questa abitudine del suo unico inquilino. Proprio come non era al corrente che ogni notte contattava Natasha Romanoff per riferirle le condizioni del compagno.
Tony Stark aveva già affrontato periodi bui, ma mai la sua mente si era spenta in quel modo. C’erano sempre state voci, tormenti, paure che prendevano forma e vita nei sogni; facevano male, certo, ma almeno gli ricordavano di essere vivo. Gli facevano ricordare di essere Iron man. Complice l’alcol e la (quasi) perenne incoscienza, Tony non sognava,  o meglio, non ricordava i sogni che faceva, non ragionava. Aveva persino smesso di chiamare Pepper nelle ore più improbabili del giorno; la donna comunque non aveva mai risposto. Restava solo un debole filo conduttore tra l’uomo che era stato e quello in cui si era trasformato negli ultimi mesi, l’unico pensiero limpido, lucido, chiaro e fastidiosamente persistente: Steve non c’era, Steve Rogers aveva scelto di andarsene. 


« Ma non voglio vederti andare via. Abbiamo bisogno di te, Capitano. »1

 

Il risveglio solitamente era dovuto all’irritante luce del giorno. Una luce che gli feriva gli occhi, ma il corpo di Tony era sempre così stanco che non cercava neanche di proteggersi. Quella volta, però, quando aprì gli occhi, c’era ancora buio pesto. 
« 
Tony? »
L’uomo sobbalzò. Saltò in piedi, in posizione di difesa; non si muoveva così velocemente dall’ultimo allenamento in palestra. Il suo respiro era pesante, i muscoli tesi, come se stesse per scontrarsi con un oscuro nemico, come una volta. Forse fu proprio in quel momento che si accorse che gli mancava sentire  l’adrenalina in corpo.
La voce tornò: « Uoh, Stark, come siamo nervosi. Ti dai una calmata o ci penso io? »
Saltò giù dal letto e atterrò in piedi, girò su se stesso a gambe piegate e braccia alte. Non osò proferire parola.
« 
Stark, maledizione. »
Lo sconosciuto sospirò e fece qualche passo finché non si sentì il click dell’interruttore della luce. Si era accesa la lampada del comodino e l’estraneo si rivelò. Due metri di pura perfezione fisica; lineamenti del viso duri, decisi, al momento tesi; capelli ordinatissimi, lisci e pettinati; occhi azzurri, impazienti di incontrare quelli di Tony.
« 
Stark… Tony. Sono io. »

« Tony? »

Steve Rogers si avvicinò a Tony, che si era immobilizzato. Il capitano appoggiò la propria mano sulla spalla dell’altro, come se volesse rassicurarlo di essere davvero lui. Tony non avrebbe mai confuso il tocco di Steve con quello di nessun altro.
« 
Ehi, sono qua. Sono tornato. Ciao. »

« Stark. Muovi il culo. Stark! »

« Steve… Capitano. »

« COSA? Stark, diamine. Stark? »

Steve Rogers cominciò a svanire. La sua figura si sbiadì e si dissolse gradualmente, come un riflesso nell’acqua. 
« No. NO. Steve. Resta qua. Steve. Non di nuovo. »

Ecco la luce del giorno, il dolore agli occhi, la vista offuscata. Tutto come al solito, tranne che per un dettaglio: non era solo. Un sospiro esasperato precedette una voce femminile.
« Tu sei un fottutissimo idiota. »
E Natasha Romanoff lo colpì in pieno viso. Era sveglio. 

 

New York, ore 8:00 AM.

Oh, you can't hear me cry, see my dreams all die from where you're standing on your own.
It's so quiet here and I feel so cold.

This house no longer feels like home.

• So Cold, Ben Cocks •
 

« Hai intenzione di parlarmi? »
« Mi hai tirato un pugno in faccia. »
« Te lo meritavi. »
« Che cazzata. »

Natasha aveva portato Tony in soggiorno quasi di peso, ma almeno quella testa calda non aveva opposto resistenza. Gli mise tra le mani una tazza, colma di caffè, e prese posto di fronte a lui. Lo guardava come potrebbe fare solo un poliziotto che ha appena catturato un noto e pericoloso criminale.

« Chiamavi Steve nel sonno. »

Questa volta l’uomo rispose con un grugnito scocciato e pur di interrompere la scomoda conversazione cominciò sorprendentemente a mangiucchiare i biscotti nel sacchetto che Visione aveva preparato. Natasha non si lamentò, ma non poteva permettere che quella situazione continuasse ad esistere per un minuto di più. Stark, a volte, sembrava un ragazzino in piena crisi adolescenziale.

« Dovresti chiamarlo. »
« No. »
« Perché no? Ti ha lasciato quel telefono proprio per questo. Per chiamarlo quando hai bisogno di lui, no?»
« Io non ho bisogno di lui. »
« Tony, - L’occhiataccia era così penetrante che Tony poteva sentirne il peso - lo chiamavi nel sonno. »
« Questo l’hai già detto. Sei ripetitiva, Romanoff. »
« Chiamalo. »
« NO. » Sbatté un pugno sul ripiano di marmo della cucina, facendo saltare la tazza, ma senza rovesciarla. 

Seguirono diversi minuti di silenzio. Tony continuò a mangiare, si era scordato quanto fosse buono il sapore dei biscotti al cioccolato; si appuntò mentalmente di non commettere lo stesso errore. Mentalmente? Stark si sentiva come un vecchio computer in avviamento.

« Tony, ha lasciato il cellulare a te. Non a me. »
« E allora? »
« E allora se vuole essere contattato, vuole che sia tu a farlo. »
« Perché invece di rompere le scatole a me non chiami il tuo amico Robin Hood, eroe degli indifesi? Dovrebbe essere con Capitan Stelle e Striscie, no? »
« L’ho già fatto. Ci teniamo in contatto. Vado spesso dalla sua famiglia. »
« Patetica, - Alzò gli occhi al cielo e si prese la testa tra le mani - tutto risolto tra voi due?Perché non porti la vostra storiella ad un regista? Potrebbero farci una dolce commedia  sulla vera amicizia con tanto di colonna sonora di Taylor Swift. »
« Siamo amici. »
« Mister Denti Perfetti era mio amico e non ha funzionato così. »
« Amico… » Natasha sospirò per quella che doveva essere la quinta volta in un minuto. Non pensava che ‟amicizia” fosse la definizione adatta per il tumultuoso rapporto tra i due, ma Stark l’aveva già irritata parecchio, non aveva voglia di ulteriori litigi.
« Scusa? »
« Niente. Probabilmente avete solo questioni più profonde da chiarire. »

Tony mangiava con un’esasperante lentezza, tanto che la Vedova Nera cominciò a picchiettare ritmicamente a terra il suo tacco a spillo. Quasi come fosse un segnale in battaglia, l’uomo rallentò ancora di più la sua colazione, giusto per testare la pazienza della rossa. Ecco un’altra cosa che si era scordato: irritare gli altri lo divertiva parecchio; secondo appunto mentale. Bingo, la donna fu la prima a perdere la pazienza e tirò via bruscamente dalla portata di Tony cibo e bevande. Quanto era bello vincere. 

« Forza, Stark, devi darmi una mano. »
« Ah, adesso è così che si dice? »
Natasha pareva sinceramente confusa, il che era un fatto raro. « Cosa? »
« Se vuoi portarmi in un angolo buio e spogliarmi basta dirlo senza eufemismi. »
« Oh, Stark, non potrei mai approfittare di un cuore spezzato troppo orgoglioso per chiamare la causa dei suoi dolori anche quando sarebbe la cosa più giusta da fare. »

Tony strinse i pugni e borbottò qualche insulto. Terzo appunto mentale: odiava perdere, soprattutto con una donna. 

New York, ore 11:00 AM.

I thought I saw the devil this morning, looking in the mirror, drop of rum on my tongue with the warning to help me see myself clearer.

I never meant to start a fire.
I never meant to make you bleed.
I'll be a better man today.

I'll be good, I'll be good and I'll love the world like I should.
I'll be good, I'll be good for all of the times that I never could.

[…] 

I’ve been cold, I've been merciless, but the blood on my hands scares me to death.
Maybe I'm waking up today.

• I’ll Be Good, Jaymes Young •
 

La Vedova Nera non aveva affatto bisogno di aiuto; in effetti, non aveva mai chiesto un aiuto sincero, senza doppi fini, a nessuno, ma Tony era troppo stanco per rifletterci sopra ed anticipare la mossa della compagna. Si ritrovarono in armeria, la più tecnologica ed avanzata dello stato probabilmente, e la donna scannerizzava codici su codici con un sistema di catalogazione installato sui cellulari di tutti i Vendicatori, brevettato da niente poco di meno che Tony Stark. Per un momento si chiese se Natasha non volesse semplicemente ricordargli quello che aveva fatto di buono. 

« Resterò qui stanotte. »
« Ah! Ora capisco, vuoi venire direttamente nel mio letto. Bei gusti, Romanoff. »
« Nah, Stark. Non sono il tuo tipo. Tu vai in fissa per il pacchetto altezza, capelli biondi e occhi azzurri. »
« MA CHE DIAMINE DI PROBLEMA HAI? » Forse aveva urlato un po’ troppo. In ogni caso era troppo tardi per ritrattare.
Natasha fece uno di quei sorrisi che esprimono la più totale soddisfazione. Piegò la testa leggermente di lato e finse stupore: « Oh. Pepper non aveva queste qualità oppure la mia memoria gioca brutti scherzi? »
Tony passò dalla confusione alla volontà di prendersi a calci da solo; maledetta assenza di autocontrollo. « Pepper? »
« Pepper. »
« Sì. Certo. »

Natasha appoggiò l’indice su un piccolo schermo per farsi leggere l’impronta digitale e una voce metallica interruppe il silenzio imbarazzante: « Rivelare la propria identità, prego. »
« Natasha Romanoff. » Parte della parete metallica scivolò automaticamente di lato, rivelando un deposito di armi da fuoco. Recuperò cinque, o forse sei, pistole e le agganciò subito alla cintura o nascose all’interno del giubbotto di pelle.
« Però è curioso, non trovi, Tony? »
« Cosa? »
« Che a quella descrizione tu abbia associato immediatamente Steve. »
« Non è curioso, è patetico. »
« Ah! - Per un attimo Natasha sembrava una bambina spensierata che aveva appena vinto un premio al luna park - Lo sapevo. »
« Fottiti. »

Tony voleva sembrare molto più arrabbiato di quanto non lo fosse veramente, è sempre stato piuttosto teatrale. Si alzò non troppo velocemente, dato che l’effetto della sbornia non era nemmeno del tutto passato, ed uscì dall’armeria. Probabilmente Visione stava per dirgli qualcosa, ma lo sguardo di Stark era categorico: non gli andava di perdersi in chiacchiere inutili. Per tornare nella propria stanza, fu obbligato a passare accanto alla riserva degli alcolici. Fermò la sua corsa impazzita proprio a quel punto. Era parecchio allettante l’idea di lasciarsi alle spalle quella mattinata di assurde confessioni e stupide conversazioni sui sentimenti, eppure non lo era abbastanza, forse per la prima volta in sei mesi. Riprese a camminare e si precipitò in doccia senza pensarci due volte. Due flaconi di shampoo specifici per capelli chiari e lisci affiancavano il suo. Non era una novità, erano lì da mesi, ma questa volta ebbe il coraggio di prenderli e sistemarli nel mobiletto. Gli ci volle un po’ di tempo per trovare spazzola, rasoio e schiuma da barba. Piano piano, al grande specchio si stava delineando una figura famigliare: l’uomo che aveva rischiato di distruggere il mondo, ma che era anche riuscito a salvarlo. Il genio, miliardario, playboy e filantropo. Si vestì di tutto punto; non aveva un appuntamento galante in programma, ma qualcosa di altrettanto importante. Il trucco fu mettersi fretta, anche se non ce n’era il bisogno; se Tony si fosse fermato anche solo un paio di secondi a pensare, avrebbe cambiato idea. Uscì dalla stanza con la stessa velocità con cui era entrato, senza badare a Visione, che lo fissava sbalordito, e a Natasha, che stava intrattenendo una conversazione al cellulare, probabilmente con la moglie di Clint o i suoi figli. Era irritante quel tono da tata tutta dolce e miele che assumeva quando parlava con quei mocciosi; così com’era inquietante che la spietata Vedova Nera e la materna zia Nat albergassero nello stesso corpo.
« Tony? Tony, ma dove- ?»
I tentativi dei compagni di capire le intenzioni di Tony Stark furono vani. L’uomo era deciso a raggiungere l’immenso laboratorio che una volta condivideva con Bruce Banner. Lo scenario perfetto per ciò che stava per fare doveva essere il luogo in cui Tony poteva sentirsi completamente se stesso.

New York, ore 10:00 PM.

Call me a safe bet, I'm betting I'm not. I'm glad that you can forgive, only hoping as time goes, you can forget.

If it makes you less sad, I'll move out of this state.
You can keep to yourself, I'll keep out of your way.
And if it makes you less sad, I'll take your pictures all down.
Every picture you paint, I will paint myself out.

• The Boy Who Blocked His Own Shot, Brand New •

 

Tony Stark cedette alla continua richiesta del suo cervello di essere interpellato e si fermò a riflettere. Si rese conto perché per tutta la sua vita era stato un uomo istintivo: era fastidioso ammettere che una propria idea poteva non essere geniale. Tony Stark era geniale, perciò anche le sue idee dovevano esserlo. Camminò in lungo e in largo nel laboratorio, torturando la propria barba, i capelli, il colletto della camicia e pure una povera chiave inglese innocente. 
Ogni volta che riusciva a prendere in mano quel maledetto cellulare e selezionare l’unico numero salvato nella rubrica, qualcosa lo bloccava, qualcosa come un ricordo, un pensiero negativo, la rabbia, la consapevolezza. Steve Rogers aveva confessato a Tony che la nuova sede dei Vendicatori fosse il luogo in cui si era a sentito più a suo agio dopo il suo ritorno dai ghiacci, eppure se n’era andato. Gli aveva mentito? Spesso i due si erano ritrovati da soli lì e quel punto non credeva più che fosse stato casuale. Stava di fatto che in quei momenti Steve gli sembrava sereno, rilassato. Avevano bevuto insieme, avevano parlato, Tony gli aveva mostrato il laboratorio e gli aveva persino insegnato qualche trucchetto. Interruppe subito quella rivisitazione del passato nel momento in cui si stava dirigendo verso fatti troppo personali, troppo dolorosi per il momento. Tony Stark si comportava sempre come se avesse un pubblico di fronte a sé. Non apriva il cuore nemmeno a se stesso. Steve era un’eccezione, o meglio, Steve era stato un’eccezione.
Per pura curiosità, decise di controllare l’orario; erano passate undici ore. Incredibile come il laboratorio avesse una dimensione temporale tutta sua. Tony si chiese che ore fossero in qualsiasi luogo si trovasse Steve al momento.
« Maledizione. - Digrignò tra i denti, seccato persino da se stesso - Da quando cazzo sono diventato sentimentale?! Cazzo. » 
Ripeté l’imprecazione un altro paio di volte prima che prendesse tra le mani per l’ennesima volta il cellulare. Era un modello vecchissimo, ma non ci si poteva certo aspettare che Steve recuperasse uno smartphone di ultima generazione. 
« Cazzo. » Forse imprecare serviva a Tony per auto convincersi di non aver intrapreso la strada della dolcezza come la piccola zia Nat. 
« Cazzo. »

Era fatta. La chiamata era stata inoltrata e un’interminabile serie di ‟tuu-tuu” copriva il respiro evidentemente agitato di Tony. Uno, due, cinque, nove squilli. Decise che avrebbe rinunciato al quindicesimo. Undici.
« Sei un fottuto stronzo, Rogers. »
Dodici.
« Perché mi fai questo? »
Quattordici.
« Stronzo. Idiota. Bugiardo. »
Quindici.
« TI O- »

« Pronto? » Steve Rorgers aveva risposto e Tony non fu capace di dire niente. « Pronto? Chi è? »
In che assurdo mondo Tony Stark non sapeva controllarsi? In quale remota dimensione il battito del suo cuore aumentava al suono della voce di qualcun altro?
Sotto la voce del Capitano si sentiva il rumore del vento, urli indistinti, ma non sembrava una situazione di allerta. Che la squadra di fuggiaschi si stesse allenando? La teoria di Stark venne confermata quando l’inconfondibile voce di Wanda Maximoff ruppe il silenzio: « Capitano, va tutto bene? »
Ovviamente il suo baby-sitter, la brutta copia di Robin Hood, era al suo fianco. « Capitano, c’è qualche problema? »
Probabilmente Steve aveva assunto un’espressione strana in viso perché Wanda urlò con una voce più acuta del solito, quella di una teenager in piena fase ormonale: « Ha chiamato?! E’ lui? Ha chiamato? Ahh! »
« Tappati la bocca. » Il Capitano era irritato.
« Odio perdere le scommesse, ma quel che è giusto è giusto! Ecco a te un bigliettone, Streghetta. » Questo era Clint. Clint e la sua insopportabile voce da so-tutto-io.
« BASTA. » Tuonò Steve e si allontanò dal gruppo. Tony non sentiva altro che il respiro dell’altro; era affannato. Poteva immaginarlo rannicchiato in un angolo, con il petto scolpito che si alzava e abbassava ad un ritmo accelerato. Nessuno dei due disse una parola per un tempo indefinito. Secondo la parte razionale di Tony, potevano essere passati circa otto minuti. Forse era stata una pessima idea.
« Tony, ehi.. » Il suo tono di voce era dolce. Troppo delicato e attento. Adesso stava pensando a non ferirlo? Pessimo tempismo, troppo tardi. Non rispose nemmeno quella volta. E se gli fosse uscita una voce rotta o vagamente agitata? Non poteva permettere di offrire così tanto potere a Steve Rogers, ne aveva già troppo. Altri sette minuti di silenzio. 

Il Capitano prese di nuovo la parola e pronunciò una frase così semplice e al contempo così forte, che a Tony sembrò di rivivere quell’esplosione che gli perforò il petto con schegge letali: « Mi manchi, Stark. »
« Mi manchi, Capitano. » Il tempo di un ultimo sospiro e la chiamata terminò.

Era troppo presto per elaborare cosa fosse accaduto, ma la voce di Steve Rogers riuscì a causare il primo sorriso di Tony Stark degli ultimi sei mesi. 

 

• • •

 

 

Citazione di Tony Stark in ‟Captain America: Civil War”.

  
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