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Autore: Crazy_YDA    13/05/2016    4 recensioni
Non sapevo realmente perché quel giorno decisi, repentinamente, di sedermi accanto a lui, lui che avevo evitato fino a quel giorno come fosse peste, rintanato taciturno nel suo angolo. Eppure nei suoi movimenti precisi, nei suoi sguardi gelidi, nei suoi consueti silenzi, vi era qualcosa ad attrarmi come una calamita, qualcosa a farmi credere che lui potesse comprendermi anche senza pronunciare parola. Qualcosa di dannatamente inspiegabile che lo rendeva unico tra tanti, forse come quell'accogliente tana che trovi durante il tuo lungo e stancante viaggio e nel quale vorresti nasconderti. Ecco, il mio solo desiderio era di nascondermi in lui. Per sempre.
Genere: Comico, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Francesca, Leon, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avanzai a gran falcate diretta all'ultimo banco della prima fila, avvertendo lo sguardo dei miei compagni perforarmi violentemente come pallottole. Nette, crudeli, indirizzate a ferite da poco aperte. Mi sentii un animale da circo, con la sola differenza di ricevere sguardi dannatamente pietosi e non di stupore.
Non so realmente per quale motivo il giorno del mio rientro in quella sudicia aula decisi di accostarmi a quella figura ambigua, alla quale io, e ogni studente, eravamo abituati a tenerci a distanza, quasi come fosse peste. Come se una forza invisibile mi avesse spinto verso quello sconosciuto posto. Allora tentai di autoconvincermi che lì nessun essere umano si sarebbe azzardato a sfiorarmi e a sussurarmi false parole rasseneranti, con la sola conseguenza di accentuare il mio lacerante dolore. 
Mi voltai verso l'indietro con il busto per appoggiare la cartella allo schienale, scontrando il mio gomito involontariamente contro il braccio di Jorge, ricordai il suo nome. Trattenni il fiato quando i miei occhi si fusero con i suoi. Verdi, ma non semplicemente verdi, bensì un verde mixato ad altri colori e sensazioni celate dietro una falsa apparenza. Ed intensi, eccessivamente intensi, da non poter distogliere lo sguardo, come un uragano che ti afferra nel suo vortice e non puoi più sfuggire. 
«Buenos días chicos» Affermò la professoressa di spagnolo, destandomi dalla mia situazione imbarazzante di trance. Il corpo magro e longilineo dell'Alonso -sogno proibito dell'intero sesso maschile- era fasciato da bianchi ed aderenti pantaloni che risaltavano il suo invidiabile fondoschiena, e da una maglietta nera con una leggera scollatura, trasparente sulle maniche che si allargavano man mano al raggiungere i polsi. Ai piedi calzava delle zeppe bianche che si richiudevano sul davanti con un nodo. 
Si sedette elegantemente sulla sedia, quasi come una regina con il suo trono, poggiando la sua borsa a quadri nera e bianca sulla cattedra, poi frugandoci fino a cacciare la sua consueta penna giallo canarino. Stupidamente mi chiesi se avesse un inchiostro interminabile. 
Quando cominciò a fare l'appello afferrai il mio materiale scolastico, sorprendomi nel notare che il mio misterioso compagno di banco stesse scrivendo... Una canzone. Tentai di sbirciare incuriosita, ma la sua smodata reazione mi bloccò intimorendomi.
«Fatti i cazzi tuoi se mi vuoi stare vicino» Ringhiò. Gli rivolsi un'occhiata truce, sussurrando uno «Stronzo del cazzo», che le sue orecchie captarono, testimonianza indiscutibile il suo sguardo omicida nei miei confronti. 
Il «Presente» o «Assente» di voci stridule o sottili invase quel torturante silenzio creatosi precedentemente, alternato a soffusi mormorii. Scrollai le spalle, domandandomi come le persone di primo mattino potessero possedere tale energia, quando al contrario il mio tasso di acidità accresceva eccessivamente. 
«Blanco» Pronunciò la professoressa, ma dal fondo dell'aula alcun suono arrivò e nessuno degli studenti si preoccupò di intervenire. Guardai alternatamente il messicano dagli occhi verdi e l'Alonso, rendendomi conto per la prima volta dell'assenza non fisica di quel ragazzo. Come avevo potuto fino ad allora non accorgermi neanche dei suoi silenzi al suo richiamo? Tornai indietro con la mente, rammentadomi chiusa a rimuginare sul mio dolore o a chiacchierare animatamente con delle compagne.
L'appello proseguì, così come quell'estenuante giornata.

Sospirai, accostandomi al banco in posizione eretta ed aspettando che la stanza si svuotasse di studenti frementi di ritornare alle loro abitazioni. Involontariamente la mia attenzione si posò nuovamente su di lui, una potente calamita. Mi attraeva e non solo fisicamente -anche perché non avevo avuto l'occassione di esaminarlo-. Vi era qualcosa in lui, qualcosa di speciale ed inspiegabile a costringermi ad impicciarmi della sua misteriosa vita.
«Cosa cazzo vuoi nana? Ritornate a casa, il papino ti aspetta» Sputò amaro, ponendosi di fronte alla mia esile figura. Se mi avesse stretto fra quelle muscolose braccia sarei scomparsa per quanto era alto. Mi accorsi, poi, che le sue dita erano logorate, come quelle di un musicista. Ed il suo corpo magro e muscoloso, come asseriva la sua maglietta bianca. Mi stupii del suo comportamento disumano, ben sapendo che la notizia del mio lutto era certamente arrivata anche alle sue orecchie. Allo stesso tempo, però, le sue parole furono più taglienti di qualsiasi sguardo odioso e compassionevole.
«Almeno io il papino che mi aspetta ce l'ho» Ribattei, rammentando qualche storia che gironzolava nei corridoi sul suo conto. Lo vidi stringere le mani in due pugni e successivamente sorridermi divertito, avanzando verso di me. Allungò una mano, carezzandomi lentamente la guancia con la punta dell'indice e portandomi a sospirare dal piacere.
«Stoessel, so più cose io di te di quanto ne sappia l'intera classe» Sussurrò con voce roca, mozzandomi il fiato. Avvicinai i denti al labbro inferiore.
«Per esempio, adesso stai per rovinarti quelle invitanti labbra, mangiucchiando la pelle» Rimasi interdetta e a bocca aperta alla sua premonitrice affermazione, mentre lo seguii con lo sguardo sorpassare l'uscita, trascinandosi incosciamente dietro di sé una parte della mia sgangherata anima. Cacciai un sospiro, rendendomi conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento e impulsivamente iniziai a correre per raggiungerlo. Ansimavo, scontrandomi con svariati studenti e cercandolo con lo sguardo ed il cuore a mille. Avvistai quell'indistinguibile felpa blu notte, con cucite in bianco le sue iniziali sulla parte posteriore. Aumentai la velocità del mio passo, maledicendomi per aver sempre evitato di praticare sport durante le ore di educazione fisica.
«JORGE!» Lo richiamai, uscendo affannata da quell'antica struttura. Si voltò di scatto: i pugni chiusi, gli occhi gelidi, di ghiaccio indistruttibile che ti sormonta come un iceberg e le guance bianche cadaveriche.
«Cazzo vuoi? Devo tornare a casa» Sbottò, incrociando le braccia al petto con fare di attesa. Mi morsi la lingua prima di parlare, come per avvertirmi a far attenzione alle mie parole.
«Puoi per caso prestarmi dieci centesimi per la macchinetta?» Sorrisi imbarazzata e al contempo sentendomi una perfetta idiota per avergli domandato qualcosa di così stupido solo per attaccare discorso. Scosse il capo e le sue mani si aprirono, gli occhi luccicarono e sulle guance si formarono delle deliziose fossette, a causa di un sorriso che dipinse le sue labbra. Mi si avvicinò sensuale, ridacchiando raucamente.
«È l'unica scusa che ti è venuta in mente per parlarmi? Bella immaginazione, eh» Sghignazzò accanto al mio orecchio, mozzandomi il respiro e poi retrocendo lentamente.
«Lo so che non mi ascolterai, -sei la persona più testarda di questo mondo- ma faresti meglio a starmi lontana, nana» Mi avvisò con uno sguardo stranamente protettivo e congedandosi. Lasciandomi lì come un pesce lesso. E con l'amaro in bocca.

«Sono tornata» Affermai con voce flebile, varcando la soglia di quella casa degli orrori, dei miei incubi, dei miei sogni svaniti. Qualsiasi suppellettile dell'alloggio sembrava essere legato a un suo ricordo che mi lacerava, generando vuoti incolmabili. Forse ero masochista?
«Amore, sei tornata!» Esclamò mia zia Florencia, sbucando dall'entrata della cucina, e raggiungendomi con le braccia distese ai lati e un caloroso sorriso capace di riscaldarmi l'anima. Mi strinse in un saldo abbraccio, tale da oltrepassare per un istante, in quella stancante corsa, il dolore che tenace perdurava al primo posto.
«Com'è andata a scuola?» Domandò premurosa, mentre ci dirigemmo verso il comodo divano rivestito di un tessuto di cotone con svariate fantasie, che scegliemmo io e la mamma anni fa. Rammentai, che non appena lo notammo in un negozio di oggetti usati, esclamammo all'unisono 'Quello!'. Un altro pugno allo stomaco. La zia mi mirò, leggendo nel mio sguardo il mio interminabile tormento. Mi accarezzò una gote, una volta sedute, sorridendomi dolcemente. Sapevo che non avrebbe sbagliato quando avrebbe aperto bocca.
«Che ne dici di preparare una torta assieme?» Suggerì con tono eccentrico. Risi, agitando una mano.
«No, grazie zia, ora salgo su» Con un repentino slancio strinsi le mie braccia al suo collo, affondando il volto nell'incavo ed inspirando il suo profumo di estratti di perla.
«Ti voglio bene» Le sussurrai grata, per poi scappare frettolosamente in camera. 
Abbandonai la mia cartella in un angolo remoto della stanza e mi diressi nella mansarda. Nonostante i suoi ricordi fossero pungenti come aghi, necessitavo in qualche modo di sentirla ancora accanto a me. Di sentirla ancora sussurrarmi quanto mi amasse mentre mi accarezzava i capelli, di sentirla ancora ricordarmi di lavarmi i denti, di sentirla ancora confessare con un ampio sorriso la sua storia d'amore con papà. 
Accostai alle mie narici la sua maglietta in seta bianca e a maniche corte, con del pizzo ricamato sulla lieve scollatura. Il suo odore inconfondibile mi assalì, provocando la rinascita di vecchi momenti. Per un dannato istante credetti che tutto quello fosse un incubo, che mia madre fosse ancora qui con me, al mio fianco, ma il trillo del mio cellulare mi destò dal mio sogno ad occhi aperti, ricapultandomi in quella spregevole realtà. Sollevai il fianco sinistro, consentendomi di cacciare il cellulare dalla tasca dei jeans. Era un messaggio da parte di Lodovica.
"Ehi, ciao Tini. Non sono qui per cercare di confortarti, perché è la peggior cosa che si possa fare. Lo so, ti capisco perfettamente. Volevo soltanto invitarti alla serata di stasera al pub 'Funny&Jokes'. E so anche che adesso al leggere questo già hai deciso di non venire, ma ti prego, pensaci. Il tempo è poco, ma sappi che è per il tuo bene, hai bisogno di svagarti e con chi se non con la tua Lodo? Appena prendi una decisione messaggiami. Ti voglio bene,x
P.S.C'è anche Damien' 
Sospirai, appoggiando il capo alla parete. Una parte di me rifiutò insistentemente quella proposta, ma l'altra era eccitata all'idea di divertirsi e contemplare il ragazzo che mi affascinava da anni.
A quale avrei dovuto dare ascolto?

~Angolo autrice~
Ehi bella genteee, sono ritornata con questa nuova storia. Premetto che l'altra è solo in sospeso per assenza d'ispirazione, ma non la eliminerò, tranquilli. 
Questa storia è del tutto diversa, ho voluto creare dei Jortini molto differenti e niente, spero vi piaccia, fatemelo sapere con una recensione. Un bacio💕
-Crazy_YDA
  
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