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Autore: Dea Elisa    14/05/2016    3 recensioni
«Ditemi come mi avete convinta.»
«Credo che vostro fratello ci abbia spintonati al centro della sala.»
«Allora ricordavo bene.»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ditemi come mi avete convinta.»

«Credo che vostro fratello ci abbia spintonati al centro della sala.»

«Allora ricordavo bene.»

Una festa di fidanzamento, ben lontana dalla sontuosità di quel lontano ballo che tutti ricordano con sentimenti contrastanti, li vedeva partecipi di un impacciato tentativo di convivenza temporanea su un minuetto il cui ritmo avevano perduto dopo pochi passi. L’armonico scivolamento degli archetti suoi violini e la metallica cadenza del clavicembalo erano stati relegati a elementi di contorno, in quel cercarsi e fingersi distaccati, in quell’idea di danza che stavano improvvisando, mantenendo un’ossessionata costanza nel non sfiorarsi troppo.

Ringraziando Fabrizio che l’evento fosse stato studiato per pochi intimi, era tuttavia impossibile non sentirsi fuori posto in mezzo a quella gente, benché amici di famiglia e parenti. O forse era proprio perché non erano perfetti sconosciuti, che il disagio non scemava, conoscendo questi le loro storie e i loro peccati.

«Se state per dire che ci stanno guardando tutti, non sprecate fiato» lo avvertì, traendo subito dopo un respiro, per recuperare il suo, di fiato, corto, non di certo conseguenza dell’andatura del ballo, bensì del cuore accelerato da quelle che non poteva permettersi di chiamare emozioni.

«Siete così attenta a ciò che accade intorno a voi, che non vi siete accorta che la melodia è variata» le fece notare accennando un sorriso.

Anna avvampò, bloccando l’ondeggiare monotono del suo corpo per acuire più sensi possibili e recuperare in extremis le coordinate di un nuovo ritmo e la disposizione degli invitati entro la sala. Niente di tutto ciò era necessario. Antonio, la mano destra solidamente poggiata sul suo fianco, e la sinistra stretta a quella di lei, assecondò per quell’istante l’incertezza della donna, ma la condusse subito dopo a riprendere la coordinazione di movimenti con le altre coppie che, al contrario di ogni timore, non avevano lontanamente fatto caso a loro. Il vestito rosa chiaro venato di stoffa dorata ricominciò a frusciare attorno alle gambe di Antonio, e Anna si sentì già più sicura di dare meno nell’occhio, protetta dalla capacità del suo compagno di danze di portarla nonostante fossero passati anni dall’ultima volta che aveva avuto l’occasione di esercitare l’arte della danza.

La vivacità della musica fece dimenticare ad entrambi le parole: si rifugiarono l’uno negli occhi dell’altra, rapiti Anna dalla pacatezza e dalla sicurezza che quelli di lui le mostravano, e Antonio dall’irrequietezza di quelli di lei, conseguenza di una voglia contrastante di lasciare immediatamente la sala e di continuare senza dovere mai smettere. In tal caso come tornare al bordo della pista figurando come una coppia soddisfatta dei giri di ballo? Anna avrebbe voluto svincolandosi dai luoghi comuni del prendersi per mano, o sorridersi, o inchinarsi e poi ognuno per la propria strada. La musica terminò, alcune coppie si dissolsero e anche Anna si mostrò interessata a sospendere la farsa, se non fosse stato per Antonio, che l’accompagnò ai limiti della sala a braccetto, con l’ufficialità di un rito tale da inorgoglirla e al contempo spaventarla.

Distanziatisi dal vociare allegro degli ospiti attorno ai visi distesi e sorridenti di Elisa e Fabrizio, la contessa Ristori attese in silenzio che Antonio riprendesse la conversazione, cercando una distrazione nello studio della stoffa della sua gonna, che sfregò come a stirare una piega.

«Spero non ne siate pentita.»

«Si aggiungerebbe solo al lungo elenco.»

«Immagino chi possa occupare il primo posto.»

Anna alzò il capo, intristita da quella risposta, o forse arrabbiata, consapevole del fatto che in cima alla lista dovrebbe ora esserci lei, col proprio tempismo a rovinare anche ciò che oggettivamente fosse bello.

«Che ne sapete» ma non c’era la forza di ribattere, come il coraggio di mantenere un contatto visivo con lui. Tornò a stropicciarsi la gonna, nervosa e col cuore palpitante nel petto. «Non mi avete costretto voi, ma mio fratello.»

Inutile risalire a chi appartenesse la colpa, eppure ogni volta ne sentiamo il bisogno, per accertarci che i nostri gesti sbagliati siano da imputare ad una ragione che trascenda da noi.

«Se non avessi accettato l’invito, voi non avreste dovuto sottoporvi a questa tortura.»

«Invece per voi non è stato un grosso sacrificio.»

Antonio sbatté le palpebre e tenne chiusi gli occhi un attimo di più, nella convinzione che la conversazione potesse non degenerare. Non doveva succedere. Socchiuse le labbra per parlare, ma non accadde davvero niente, come agognato da entrambi.

Anna indietreggiò di un passo, per l’ennesima volta odiandosi, e per una volta ancora domandandosi cosa li obbligasse a far perdurare quella guerra, che giorno dopo giorno sfiancava i suoi combattenti, rendendoli sempre meno proni a reagire. Sarebbero capitolati nel tentativo di sfiorarsi per farsi male, tuttavia senza mai conseguire questo obiettivo. Chi era la vittima, in quel gioco delle parti, chi si immolava per il bene o per il godimento dell’altro?

«Scusate.»

Non ebbe il tempo di chiederle a cosa fossero dovute quelle scuse, se all’improvviso congedo o alle parole pungenti, di quel momento o di altri in passato.

 

Finì per seguirla lungo il corridoio appena fuori dal salone, senza fretta e angoscia di perderla, perché oltre alla voglia di ferirsi si era persa anche l’ambizione alla fuga.

«Come riuscite ad essere sempre così accondiscendente» chiese o piuttosto constatò Anna, nella penombra delle candele appese alla parete.

«Non mi è così difficile. Se non sbaglio l’avete notato anche voi pocanzi.» Antonio le fu vicino, e per questo osservò turbamento negli occhi della donna che agitati sviavano dallo sguardo di lui.

Le loro voci risuonavano nella nudità dell’ambiente, e solo in sottofondo potevano essere percepite le note di un altro minuetto, in tempo utile perché nessuno dei due potesse concentrarsi sui respiri dell’altro, più irrequieti e irregolari, ora che entrambi avevano percezione dell’intimità in cui si trovavano.

«Se volete tornare alla festa è vostro diritto» definì Anna, perdendo la voce impostata. «Io sono stanca e preferirei ritirarmi nelle mie stanze» dichiarò come un disco rotto di ogni nobildonna che o si sia realmente annoiata nella conversazione mondana a cui prendeva parte, o desiderava soltanto che la reazione nell’altro sesso fosse di impazienza nel vederla ancora successivamente.

Ma Antonio non disse niente, perché sorrise, e accennò ad annuire, senza mostrare ragione di essere deluso o dispiaciuto. Solo la conosceva, e aveva preventivato che potesse o dovesse finire così.

«Non dite niente?»

«È casa vostra» affermò, lapalissiano. Percepì una nota di stizza nell’espressione della nobildonna, quasi si aspettasse una reazione più aggressiva, famelica di nuove parole, di altri discorsi.

Ma anche Anna lo conosceva troppo bene, e sapeva di non avere scampo alla fermezza della sua voce e alla compostezza delle sue risposte.

Che si stessero illudendo entrambi di trovarsi di fronte persone cambiate?

E se invece volessero davanti a loro proprio le stesse persone di sempre, e stessero facendo qualunque cosa pur di non dimostrarlo?

«Buonanotte, Anna» riprese lui, quasi sfidandola. Ognuno al suo posto, ognuno uguale a se stesso, ognuno teso come sempre nella speranza che l’altro compiesse un gesto perché tutto potesse finalmente precipitare.

Anna sorrise, poi strinse le labbra, poi si morse l’interno di una guancia, poi si schiarì la voce, guardò a terra il buio pavimento, infine risalì lo sguardo sull’intera figura di lui, che non si era spostato minimamente, anzi, sembrava divertito.

E a lei faceva innervosire.

La faceva impazzire, così, nel suo silenzio, nella sua impassibilità.

«Volete che vi accompagni?» Risolse infine, notando il disorientamento della donna. Paradossale, quando poco prima si era scomodato nel puntualizzare a chi appartenesse la tenuta e chi fosse l’ospite.

«Non credo sia-» Una porta sbatté poco lontano da loro, e Anna sobbalzò, sospirando subito dopo, resasi conto dell’esagerazione nella sua reazione. E si disse sciocca, per l’acuirsi dei sui sensi come se quella situazione fosse illecita e segreta. «Non credo sia necessario» concluse e si voltò, il cuore ancora a battere forte.

Antonio l’osservò allontanarsi nell’oscurità, la gonna frusciando sul pavimento.

Appoggiò la schiena alla parete e chiuse gli occhi, per non cadere nella tentazione di continuare a fissarla finché la sua figura non fosse del tutto scomparsa. Lasciò trascorrere minuti, perché solo così l’avrebbe immaginata già distesa e in procinto di addormentarsi, e solo così avrebbe potuto rassegnarsi all’idea che stessero camminando in due direzioni diverse lungo lo stesso corridoio, come sempre avevano fatto negli ultimi tredici anni. Il freddo della parete e della serata stava ormai permeando dalle pesanti stoffe dell’abito, e constatò fosse il momento di condursi lentamente verso casa, per non rischiare di incorrere in qualche servitore che stupito si sarebbe domandato per quale motivo il medico del borgo frequentasse in solitaria i corridoi del palazzo.

All’improvviso sentì una stretta senza forza attorno al suo avambraccio. Spalancò gli occhi per catturare quanta più luce possibile, ma gli sarebbe bastata anche quella di un unico cerino a metri di distanza per riconoscere i lineamenti del suo volto.

«Anna» sussurrò dando atto di averla riconosciuta, come vi fosse un premio in palio, ma era lei il suo premio, e allora avrebbe ripetuto quel nome anche una seconda e una terza volta, per il sollievo che non fosse nessun altro se non lei, per la sorpresa di rivederla dopo quei tanti buonanotte, per la sola ragione di pronunciarlo, quel nome. «Anna» ripeté, la stessa voce, il tono diverso, un sorriso e un sospiro.

«Ho dimenticato lo scialle» spiegò, l’abito ancora perfetto come se non si fosse nemmeno seduta.

«Non avevate lo scialle» osservò lui, senza che nessuno si chiedesse perché a distanza di un quarto d’ora fossero entrambi ancora allo stesso punto di partenza.

«Lo so.»

   
 
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