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Autore: MadogV    15/05/2016    3 recensioni
Riley ha un incidente e qualcosa non va nella sala controllo, che faranno l'emozioni? Come affronteranno il problema?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Emozioni su emozioni'
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 Nuova fanfiction, che spezzi in due perché è bella lunga. Per quanto riguarda Arendelle e Il re leone, i lavori sono in corso. Per leggere questa fanfiction, conviene aver letto la precedente: l’emozione di un’emozione.

Ringrazio Padme83 per avermi ispirato.

 

Il suo nome era Riley e all'età di 34 anni, a seguito di un bruttissimo fallo, aveva subito la rottura del crociato destro, chiudendo così la sua quindicennale carriera nell'hockey professionistico.

Gli avevano detto che era troppo vecchia per continuare a giocare e le avevano consiglio il ritiro, offrendole anche un ruolo importante nella gestione della società, ma testarda, come era, aveva continuato, concludendo così la sua carriera in barella. (Per la cronaca, quella partita fu poi persa dalla sua squadra per un sudden death)

Essendo stata però una delle migliori giocatrici della sua squadra, con un palmares da record, la presero, prima come preparatrice atletica e poi come allenatrice.

Anche come allenatrice riuscì a farsi valere, portando la sua squadra a vincere per ben sei volte il campionato e tre la coppa nazionale.

Si era nel frattempo sposata con il compagno di una vita, un avvocato dell’upper east side, e aveva avuto tre figli.

Ma questa non è la sua storia, è la storia delle sue emozioni, che nel momento più difficile di Riley, affrontarono una terribile minaccia.

Tutto incominciò una mattina di un autunno piuttosto rigido, all'epoca in cui Riley aveva 37 anni e la vecchia ferita faceva ancora troppo male.

Come ogni mattina, appoggiata alla sua stampella, si dirigeva nel vecchio centro sportivo per preparare le nuove giocatrici e selezionare quali suggerire per il passaggio in prima squadra, di cui, due anni dopo, sarebbe diventata l'allenatrice.

 Quella mattina, per uno strano scherzo del destino, la strada, che normalmente percorreva, era chiusa per lavori di manutenzione e fu quindi costretta a deviare per un'altra via.

Camminando per quella via alternativa, fini per passare di fronte alla vetrina di un negozio, che esponeva in saldo una sensuale camicia da notte in pizzo e seta.

Subito Eros, che ormai si era integrata con le altre emozioni, si avvicinò alla consolle per inviare il messaggio di acquistare il prodotto.

 Ma la consolle non rispose ai suoi comandi, rimase inerte ed Eros vide Riley passare indifferente davanti alla vetrina.

 Eros sapeva bene che Riley era un maschiaccio, ma non per questo si era fatta mancare, nel tempo, alcuni acquisti osé; ora era diverso, qualcosa era cambiato.

A quel punto Eros si ritirò sconfortata nel suo angolo, cercando consolazione fra le braccia del suo compagno.

 "Che c'è, giuggiola?" Chiese lui, baciandola delicatamente sulla fronte.

 "Niente." Rispose lei: “Va tutto bene, mattoncino mio"

Aveva detto così a Rabbia, più per convincere sé stessa della cosa, che non il compagno.

 Intervenne a quel punto Gioia, che si era accorta di come l'atmosfera si era fatta pesante, dicendo:" Forza ragazzi, animo! Lo so che da quando Riley ha avuto l'incidente il nostro lavoro è calato..." "Tragicamente." Intervenne Tristezza, che se ne stava appollaiata su di una poltrona della sala controllo, come un uccello del malaugurio; salvo poi piombare in cupo silenzio.

Gioia ignorò la lamentazione e continuò: “Notevolmente, ma il nostro compito è essere qui per Riley e garantirle un set completo di emozioni. Forza ragazzi."

Poi si ritirò nel suo angolo in cerca di Disgusto, che, fra le emozioni, era quella che più soffriva per quell'inedia.

Gioia si avvicinò e le fece il solletico, ma Disgusto si scostò sgarbata, borbottando:" Gioia, smettila. Non mi fa voglia."

Gioia smise di farle il solletico, ma cominciò a riempirle di piccoli baci il collo, al punto che Disgusto si arrese.

 "Hai vinto. Hai vinto." Disse l'emozione verde, per poi afferrare Gioia e baciarla con trasporto.

Erano bei momenti quelli, in cui le due emozioni trovavano, nella loro passione, una via di fuga dall'inedia.

Anche Tristezza era peggiorata, interveniva sempre più di rado o si chiudeva in un tetro silenzio, che solo Paura riusciva a rompere.

E così fece anche quel giorno.

"Che c'è?" Chiese Paura alla sua dolce metà: “Hai qualche problema?”

"Nessuno." Rispose con un mugugno Tristezza.

 "Sicuro?" Chiese Paura, che conosceva le emozioni della sua emozione.

 "Ho paura" Rispose, con una lacrima che, furtiva, scivolava lungo il viso:" Ho paura, perché non so che cosa ne sarà di noi."

 Paura la attirò a sé, la bacio e le asciugò le lacrime dicendo:" Stai aspettando un treno, un treno che ti porterà lontano. Sai dove speri questo treno ti porti, ma non puoi averne la certezza. Però non ha importanza, perché?"

 Tristezza sorrise e rispose: “Perché staremo insieme."

 Era così sempre, dall'incidente l'emozioni passavano i momenti morti consolandosi a vicenda ed ora che i tempi morti aumentavano, diventava sempre più difficile.

 Solo due anni dopo, quando Riley divenne allenatrice, le cose migliorarono, ma non per tutti.

 Come si era detto, in quel mattino del trentasettesimo anno di vita di Riley, le emozioni subirono una svolta che cambiò un po' tutto.

 Infatti, mentre l'emozioni si stavano coccolando a vicenda, cercando di passare quel momento di magra, la consolle avvertì che l'indomani sarebbero arrivati gli operatori della mente.

 Cosa poteva dire quell'avviso, perché solo in momenti di profondo cambiamento, era ammessa agli operatori della mente di entrare nella consolle.

 Una nuova emozione era da escludere, ormai Riley era troppo vecchia, ma allora cos'era?

 Forse era il cambio di consolle, in fondo ce ne erano state altre prima e ce ne sarebbero state altre in futuro. Ma non era quello, era qualcosa che avrebbe portato un forte cambiamento.

 Intanto, anche quella giornata stava volgendo al termine e Riley, dopo una lunga faticosa giornata dietro a delle ragazzine, era tornata a casa stanca, dove non c’era nessuno ad attenderla, anche i figli sarebbero venuti un anno dopo con l’adozione.

Suo marito arrivò due ore dopo di lei e, nonostante fosse anche lui stanco per le lunghe ore in tribunale, si avvicinò a Riley, che dormiva sul divano, e le dette un bacio.

Nonostante i morbidi ricci avessero ceduto il passo a una incipiente stempiatura, l’avvocato rimaneva lo stesso ragazzino dal carattere schietto e gioviale, di cui Riley si era innamorata e questo Eros lo sapeva.

L’emozione fu felice quando vide la scena della coppietta che si scambiava le coccole e decise, mentre le altre dormivano, di fare un ultimo tentativo: si avvicinò alla consolle e prese a premere dei tasti per alzare il livello della passione.

Fatica sprecata, premi e ripremi, ma niente, la consolle non aveva alcuna intenzione di funzionare, ma poi accadde, si, per la gioia di Eros, la consolle rispose ai suoi comandi.

Fu un attimo, però, perché improvvisamente la consolle iniziò a scintillare, per poi spegnersi definitivamente: che cosa era successo?

Era successo che nell’alzarsi dal divano, Riley aveva appoggiato la gamba destra e il dolore si era esteso fino ad arrivare al cervello, mandando in corto la consolle e riportando Riley alla sua realtà, ovvero alla realtà che la sua depressione aveva costruito.

Riley l’inutile, la testarda Riley, Riley la storpia, quella che fa solo pena, che la si tiene in squadra solo perché fa pietà, che la si ama perché è una povera disperata.

Cosi Riley, chiusa in sé stessa, allontanò il marito e si avviò in cucina a prendere degli antidolorifici.

Nella testa del marito, Eros stava bestemmiando.” Ma che c…o fanno di là.” “Quanto vorrei entrare in quella testaccia e dare una bella lezione a quegli incompetenti.” Fece eco Rabbia.

A quel punto, però, intervenne Paura:” Temo che non sia un problema di emozioni.”

“E cosa allora?” Gridò Ansia:” Cosa?”

“Calmati. Dobbiamo ponderare. Dobbiamo comprendere la cagione di questo malessere.” Intervenne Eloquenza:” Si deve attentamente valutare ogni possibilità, ogni possibile variazione per giungere, infine, ad un giudizio completo. Si deve…”

Ma non finì di parlare che Rabbia gli era saltato contro per malmenarlo.

“BASTA.” Urlò allora Paura:” ORDINE. ORDINE. TUTTI AI LORO POSTI.”

Tutte l’emozioni si mossero come un sol uomo e si prepararono a studiare la prossima mossa per riconquistare uno spazio di vita con Riley; ma ciò che videro li fece arrendere: Riley stava seduta, giocherellando con la sua stampella, con lo sguardo spento e fisso nel vuoto.

“Buonanotte.” Disse allora il marito, ritirandosi sconfortato a dormire.

“Notte.” Rispose Riley in maniera automatica, per ritornare sul divano, non aveva voluto il saliscendi, né che la camera da letto fosse spostata al piano di sotto: era inutile rendersi ancora più ingombrante, di quanto non si sentisse già.

Dormì male, come sempre, un sonno pesante e senza sogni, un sonno per nulla ristoratore e quando si sveglio, si calò altre due pasticche di antidolorifici: stava diventando una dipendenza.

Intanto, nella sua testa, si stava consumando la tragedia: gli operatori erano arrivati e ed erano venuti per portarsi via Eros.

“In base alla direttiva 9-0-4, sezione 15, paragrafo…” Disse il primo, quello basso con gli occhiali.

“6” Continuò il secondo, quello alto e magro.

“Si,6.” Riprese il corto:” L’emozione che non sia più necessaria deve essere riportata nel Subconscio e di lì, sradicata”

“Cosa?” Gridarono in coro le altre emozioni.

“Aiutami. Rabbia, aiutami.” Gridò in lacrime Eros, mentre la portavano via.

Pronto e fiammante, Rabbia si scagliò contro i due operatori, ma il più alto dei due estrasse un bastone stordente e lo folgorò, stramazzandolo al suolo.

“Stia fermo lì.” Disse quello più corto:” Che è meglio!”

Quando si riprese, Eros non c’era più e lui si ritirò in un angolo, ma prima disse:” Me l’hanno portata via. E voi, voi non avete fatto niente.”

“Ha ragione.” Disse Disgusto:” Gioia, perché hai permesso che la portassero via.”

Gioia non sapeva che rispondere e se ne uscì con una risposta completamente sbagliata:” Bisogna rispettare le regole”, ma sembra più un borbottio sommesso.

“Le regole.” Sbottò Disgusto:” Mi fai schifo, schifo. Non dovevamo pensare a Riley, al suo benessere. E guarda ora: ci ritroviamo una depressa farmaco-dipendente e su Rabbia, ci possiamo metterci una pietra sopra.”

Poi fece il gesto di mollarle uno schiaffo, ma invece se ne andò, in lacrime, nel suo angolo.

“Che amarezza.” Disse Tristezza

Intanto, nel mondo esterno, anche Riley e suo marito stavano litigando per via della dipendenza di Riley dagli antidolorifici.

“Perché me li hai buttati?” Stava gridando:” Ho bisogno di quei farmaci.”

“No, non ne hai bisogno, Riley.” Rispose suo marito:” Smettila. Lo so che fa male, ma sono tre anni che ti imbottisci di antidolorifici e, non mentirmi che lo so, sono due mesi che non fai più fisioterapia riabilitativa.”

“Questo che c’entra.” Reclamò imbronciata Riley:” Non mi serve, mi servono i miei farmaci.”

“E a me, serve la mia Riley.” Controbatté:” Dov’è andata?”      

“Su un campo da hockey, tre anni fa.” Mugugnò Riley.

Ma suo marito non si lasciò scoraggiare e la abbraccio, riempendole il collo di baci.

“Ti amo, giuggiola.”

“Anche io.” Rispose lei, rispondendo ai baci.

Le emozioni, tranne Rabbia e Disgusto, guardavano la coppia ricomporsi di nuovo, ma anche questa volta la cosa durò poco, perché di nuovo Riley si staccò, prese la stampella e disse al marito:” Esco, ho voglia di riflettere e stare un po' da sola.”

“Promettimi che tornerai a fare fisioterapia.” Le disse il marito, ma non ricevette risposta.

“Se solo ci fosse stata Eros.” Mormorò Gioia.

E come sempre fu Tristezza che ebbe la soluzione al problema e si avvicinò quindi a Gioia.

“Sai, a volte, rompere le regole non è sbagliato.” Disse:” Purché ci sia una giusta causa e in questo caso…”

“Che vuoi dire?” Chiese Gioia fra il sorpreso e il curioso.

“Semplicemente che tu, dico tu, potresti andare a fare pace con Disgusto e io trasgredisco le regole.” Rispose, con un sorriso complice:” D’altronde tu sei una brava e ligia emozione, quindi…può accadere che, mentre tu ti distragga, altre emozioni rompano le “regole”

Gioia capì al volo e si diresse nell’angolo suo e di Disgusto, per cercare di parlare con la sua amata emozione.

“Che fai?” Chiese con tono allegrò.

“Me ne torno al mio angolo.” Rispose Disgusto:” E non pensare di fermarmi.” E, detto ciò, afferrò le sue cose e le mise in un borsone.

“Io.” Disse Gioia:” Non so che dire.”

“Strano.” Rispose sarcastica Disgusto:” Eppure, non sei tu quella che ha sempre la risposta pronta.”

Gioia:” Non c’è motivo di ragionare allora. Vattene.” Rispose:” E VATTENE, veloce.”

Disgusto le lanciò uno sguardo in tralice e poi rispose:” Ho sbagliato a fidarmi di te, ti credo migliore.”

“Cosa volevi.” Gridò Gioia, concludendo:” Non poteva funzionare.”

“Che scusa di merda.” Disse Disgusto, infilando le ultime cose e avviandosi, poi, verso l’ingresso.

Gioia non sapeva più che cosa dire, ma poi lasciò perdere la ragione e fece parlare il cuore:” È vero, non poteva funzionare, ma ci abbiamo provato, almeno.”

“Non è servito a molto.” Disse a mezza bocca Disgusto:” Comunque è finita, no?”

Poi ci fu un silenzio imbarazzante in cui le due emozioni si guardarono di nuovo negli occhi.

“Fai qualcosa, ti prego trattienimi. Non mandarmi via, non voglio.” Pensava Disgusto, trattenendo a stento le lacrime.

“Fai qualcosa, ti prego trattieniti. Non andare via, non voglio.” Pensava Gioia, trattenendo a stento le lacrime.

Ma nessuna delle due, sembra voler fare niente, era l’altra che aveva torto e che quindi dove darsi una mossa.

Fu Gioia, che ingoiando l’orgoglio, gridò:” LASCIA ANDARE QUEL BORSONE” Poi l’attirò a sé e la baciò.

Ma Disgusto si staccò e le dette uno schiaffo:” Ti odio, ti odio. Come fai a farti amare”

Gioia capì quello che l’emozione voleva dire e disse:” Cosa posso fare per farmi perdonare?”

“Indovina?” Disse lei, spingendo Gioia su letto, che sorrise: aveva fatto pace con la sua Disgusto e aveva guadagnato tempo per il piano di Tristezza.

“Non litighiamo più:” Disse Disgusto.

Gioia rispose fra un bacio e l’altro: “Perché no? È così divertente poi fare pace.”

“Purché non sia una cosa seria.” Concluse Disgusto.

Nel frattempo Tristezza aveva raggiunto Paura.

“Nervetto, caro.” Disse, dandogli un bacio

“Ho paura che ci sia una richiesta:” Mormorò Paura.

"Stai aspettando un treno, un treno che ti porterà lontano. Sai dove speri questo treno ti porti, ma non puoi averne la certezza. Però non ha importanza, perché?" Continuò Tristezza.

“Perché staremo insieme.” Rispose Paura.

“Vedi, noi si e Rabbia?” Chiese Tristezza.

“Ho capito.” Disse Paura:” Fado a farmi malmenare.”

“Ho un’idea migliore.”

“E quale?”

“Andate a riprenderla”

“Io e Rabbia.” ---“Ma che razza di idea.”

Poi vide l’espressione di Tristezza arrabbiata e concluse:” Ma che razza di idea geniale che hai avuto.”

Quindi si diresse verso l’angolo di Rabbia, pronto a tutto, ma non successe nulla.

Rabbia era come inebetito e non reagiva.

Paura allora, senza mezzi termini, arrivò al punto:” Dobbiamo andare a riprenderci Eros.”

Fu come una scintilla gettata sulla cenere e Rabbia scattò come una molla, tutto infiammato.

“E allora facciamolo.” Ruggì come un leone.

All’ingresso del accesso per gli operatori, c’era Tristezza ad aspettarli; lei si tolse gli occhiali e svitò la stanga sinistra, tirando fuori, poi, una piccola stecca di ferro, con cui cominciò a manomettere la serratura, ma, stranamente, la serratura era già stata manomessa.

“Non devo averla chiusa l’ultima volta.” Disse Tristezza “Comunque, ricordatevi, partite in due e dove tornare in tre.” Disse Tristezza, dando poi un bacio al suo amore.

E giù verso l’avventura, anche se l’atterraggio non fu dei più morbidi

“Dove siamo?” Chiese Rabbia.

“Nella Memoria a Lungo Termine.” Rispose Paura, tirando fuori la mappa che aveva avuto da Tristezza.

“Terzo settore a sinistra, quarto a destra, venti passi e poi settimo settore.” Concluse, ma Rabbia era sparito, diretto verso alcuni operatori della mente.

“Panico.” Strillò e si lanciò verso Rabbia, incurante se poi lo avesse picchiato.

“Non si picchiano gli operatori.” Disse buttandolo in un angolo cieco: “Picchia me, ma non loro. Siamo in incognito per recuperare Eros e non per vendetta.”

E mentre Rabbia meditava se picchiarlo o abbracciarlo per l’enorme coraggio, dal nulla uscì una palla di pelo rosa che chiese con due occhioni azzurri spalancati:” Anche voi siete emozioni fuggiasche. Signori.”

FINE PRIMO TEMPO

   
 
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