Sin da ragazzina sono sempre stata ambiziosetta. Sognavo di diventare qualcuno, di distinguermi dalla folla anonima, piatta che popolava il mio paese.
E così studi massacranti e lunghi, ma tutti sempre con grande tenacia fino all’arrivo della sospirata laurea. Poi il primo impiego, il primo scalino di una scala che speravo di salire tutta di un fiato. Finalmente i miei sogni cominciavano a prendere forma.
L’impiego era proprio di mia piena soddisfazione, danaro, viaggi e gioie sul lavoro. Poi ho incotrato lui.
“Ti amo”. Quante volte me l’ha detto e gliel’ho detto! Non ricordo anche perché non avevamo tempo di contare allora.
Ma quando una sera gli ho detto che aspettavo un bambino e ho visto lo smarrimento nei suoi occhi, sono cominciati i discorsi inutili quanti vani. L’ho capito subito che non se la sentiva di legarsi a una famiglia: un peso evidente troppo grave per le sue spalle. E così sono rimasta sola con una terribile alternativa: il mio lavoro o mio figlio.
Ora devo smettere di scrivere. Sabrina, la mia bambina mi chiama. Si, ho scelto lei. I sogni sono importanti. Senza sogni sarebbe impossibile vivere, ma la realtà è quella che conta.
Ogni tanto penso con una certa malinconia a ciò che sarebbe potuto essere ma non è. Però la meravigliosa realtà di mia figlia mi ricompensa dello svanire dei sogni.