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Autore: Soqquadro04    15/05/2016    2 recensioni
[AU/AH | Teen!Destiel | 4005 parole | (lots of) stargazing | possibile OOC | I'm baaaack (...ish)]
lui non si chiama Cas, si chiama Castiel, ma chi mai chiama un figlio Castiel Dean non vuole saperlo, e lui diventa Cas, solo Cas, dopo i primi dieci minuti di conversazione, perché a quanto pare non è in grado di indovinare gli accenti nemmeno se lo implorano e, beh, meglio così, si risparmia tempo ed è più facile da ricordare (e forse non lo ammetterà mai, probabilmente non lo farà, ma un po' gli dispiace, perché Castiel è un nome importante e suona così bene, quando non è lui a dirlo – e c'è anche un altro motivo, ma non è qualcosa di cui gli piace parlare, lo nasconde e lo confessa solo quando è buio fuori e sul prato c'è soltanto lui, ma forse è anche perché nessuno lo chiama Cas, gliel'ha detto lui, Cas è Cas solo quando è con Dean ed è una cosa che gli rende lo stomaco piacevolmente e pericolosamente e maledettamente caldo) [...]
Dean Winchester, quattro anni, passava le notti sotto il cielo pieno di stelle, abbracciato alla madre.
Tredici anni dopo, Mary non c'è più - eppure, Cas non lascia che sia solo.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Autore: Soqquadro04
Disclaimer: loro non mi appartengono, né guadagno nulla da tutto questo se non un esaurimento
Generi: Fluff, Malinconico, Romantico
Avvertimenti: possibile OOC, teen!AU, John Winchester's A+ Parenting (accenni)
Rating: Giallo
N/A - Note dell'Autrice:
Salve, lettrici.
Well, che dire. È strano tornare - causa real life più vari e diversi altri problemi, fra cui un blocco piuttosto brutto che mi ha messo in crisi, sono mesi che non compaio nel fandom e ad essere sincera scrivere di questi due mi è mancato più di quanto credessi possibile.
Mi è mancato un po' tutto, a dire il vero.
Non so quanto riuscirò a essere regolare nelle mie comparsate, ma questa storia è stata la prima cosa che ho scritto dopo molto, troppo tempo e, beh, spero non si noti troppo quanto io sia arrugginita.
Avevo bisogno di un po' di tenerezza e quindi, here we are :3

A presto (spero),
la vostra Soqquadro

____________________________________________________________________________________________________________________________
 

And I loved the stars too fondly (to be fearful of the night)

 

Ho amato le stelle troppo profondamente per avere paura della notte.
Galileo Galilei

Silently, one by one, in the infinite meadows of heaven,
blossomed the lovely stars, the forget-me-nots of the angels.

Henry W. Longfellow

 

Notte 16 (1)

Quando era bambino, sua madre aveva l'abitudine di portarlo in cortile quasi tutte le sere, se il cielo era limpido – aveva tre anni e sedeva con lei anche d'inverno, se non c'era la neve, su una coperta patchwork sul prato dietro la casa. Mary gli indicava le costellazioni, e ogni tanto suo padre li raggiungeva e ogni tanto no.

Era stato così fino a quando, molto semplicemente, non era più stato così. Lei se n'era andata e le stelle invece erano rimaste, ed era rimasto anche lui – anche se era solo, ormai – a osservare il cielo senza parlare perché ormai Dean non parlava più e basta, ogni notte, sgattaiolando dalla porta sul retro con la vecchia trapunta che era troppo pesante, e ogni tanto aveva pensato di poter sentire una carezza sulla sua guancia appena umida.

Poi era cresciuto.

 

Dean sospira, uno sbuffo leggero che disturba la quiete altrimenti perfetta del parco – non si sentono nemmeno le auto, quella sera, nemmeno le urla lontane dei poveracci che frequentano i pochi, squallidi bar della periferia.
Lawrence è addormentata, tutto attorno a lui.

Per un momento sente che potrebbe essere l'unico essere umano rimasto al mondo – la qual cosa risolverebbe parecchi problemi, ad essere sinceri –, ma scuote la testa e sbuffa di nuovo, e sorride appena quando ricorda la sagoma allampanata di Sammy sotto le coperte, il ciuffo di capelli scuri e troppo lunghi che aveva intravisto uscendo, le scarpe in mano, trattenendo il fiato per non svegliarlo.

Se si fosse accorto che stava uscendo, avrebbero finito per litigare – principalmente perché il suo intelligente, sensibile fratellino avrebbe cercato di parlarne. Come se parlarne potesse portare in casa il denaro necessario o magicamente rendere suo padre qualcosa di diverso da un alcolizzato, o ancora spazzare un po' di panico dalla confusione nella sua testa.
Ovviamente, parlare non è la soluzione a niente di tutto questo.

Sospira per la terza volta, serra le palpebre per un istante – e gli sembra quasi di udire la voce di sua madre (chiudi gli occhi, Dean, se chiudi gli occhi e fai una domanda loro potrebbero anche risponderti) ma la scaccia, la seppellisce in fondo a una vecchia pila di ricordi da qualche parte nella soffitta della sua mente e finge di non sapere che è lì – e le riapre subito dopo per controllare l'orologio.

Non è molto incoraggiante, ad essere sinceri – sono le tre e mezza e domani da affrontare c'è un doppio turno alla Roadhouse, nulla di esageratamente entusiasmante, ma alla fine non riuscirà a dormire in ogni caso, quindi tanto vale restare un altro po', chissà che il calore rassicurante della notte di giugno non riesca a domare i pensieri.
Sopra di lui, le stelle palpitano come vive – nonostante la limpidezza del cielo, non se ne vedono troppe, non come quando era bambino.

Resta immobile a cercare di contarne il più possibile per un tempo indefinito, senza cercare di collocarle in nessun disegno, solo osservandone la luce sorprendentemente brillante – la luna è appena uno spicchio, ma la notte non sembra troppo buia.
Ad un certo punto deve scivolare in un dormiveglia leggero – non se ne accorge, e quando qualcosa lo sveglia all'improvviso, facendolo sobbalzare, il cielo è più chiaro e ci sono ancora meno stelle.

Si tira a sedere, disorientato, e non capisce cosa l'abbia disturbato fino a che non alza gli occhi – appoggia le mani all'indietro per non sbilanciarsi e soffoca un'imprecazione, sorpreso.
A meno di tre metri da lui c'è qualcuno.

Nonostante il buio, Dean riesce a vederlo piuttosto chiaramente – al suo gesto brusco è indietreggiato a sua volta, alzando le mani in un gesto di resa.
È un ragazzo che avrà circa la sua età, forse qualcosa di più – ha una zazzera di capelli neri e arruffati e che avrebbero bisogno di un taglio (anche se non quanto quelli di Sam) che gli ricadono sugli occhi e, a dispetto della temperatura non esattamente glaciale, indossa un lungo cappotto beige che gli sta enorme.

E, come riesce a constatare piuttosto tranquillamente – per quanto si possa intendere con tranquillamente, con il cuore ancora in gola e il battito che gli pulsa nelle tempie perché non è certo da tutti i giorni, né particolarmente divertente, svegliarsi di soprassalto in mezzo a un prato con uno sconosciuto che ti osserva – quando l'altro abbassa con cautela le mani, inclinando leggermente il capo di lato come per guardarlo da un'altra angolazione, nemmeno fosse un qualche esperimento scientifico o una nuova specie di insetto, ecco, lo sconosciuto-assassino-precoce-barra-stalker ha gli occhi più belli che abbia mai visto.

E sinceramente non sapeva nemmeno che li stava cercando finché non ci si è trovato dritto davanti, e sono immensi e blu e hanno la stessa identica sfumatura del cielo durante quelle notti della sua infanzia.

Dean deglutisce e nasconde il pensiero insieme al ricordo della voce di Mary, in un qualche angolo dentro di lui, e scuote la testa e si alza, spazzandosi il fondo dai pantaloni dall'erba, e raddrizza le spalle.

E poi sorride.

 

(E non importa poi tanto che siano le cinque e dieci del mattino e che lui potrebbe essere chiunque e che Dean dovrebbe stare scappando il più lontano possibile da quegli occhi, perché occhi del genere portano solo guai, guai, guai e lui ne ha già abbastanza per conto suo, o forse importa ma lui decide di ignorarne la consapevolezza perché Dean è esattamente quel tipo di persona e ormai è un po' troppo tardi per reclamare a riguardo).

 

 

Notte 24 (3)

Salta fuori che Cas – che non si chiama Cas, si chiama Castiel, ma chi mai chiama un figlio Castiel Dean non vuole saperlo, e lui diventa Cas, solo Cas, dopo i primi dieci minuti di conversazione, perché a quanto pare non è in grado di indovinare gli accenti nemmeno se lo implorano e, beh, meglio così, si risparmia tempo ed è più facile da ricordare (e forse non lo ammetterà mai, probabilmente non lo farà, ma un po' gli dispiace, perché Castiel è un nome importante e suona così bene, quando non è lui a dirlo – e c'è anche un altro motivo, ma non è qualcosa di cui gli piace parlare, lo nasconde e lo confessa solo quando è buio fuori e sul prato c'è soltanto lui, ma forse è anche perché nessuno lo chiama Cas, gliel'ha detto lui, Cas è Cas solo quando è con Dean ed è una cosa che gli rende lo stomaco piacevolmente e pericolosamente e maledettamente caldo) –, ecco, salta fuori che Cas ha diciassette anni ed è arrivato in città da qualcosa come quattro giorni, con la sua famiglia – padre, madre, una sorella più grande e c'è anche un altro fratello disperso da qualche parte in America, gliene ha accennato ma non sembrava avere voglia di raccontargli altro (ed è comprensibile, perché magari Dean ha questa strana sensazione per cui gli sembra di conoscerlo da anni, da sempre, Dio, da prima anche se non sa da prima di cosa ma è ovvio che è solo lui che sta lentamente impazzendo a forza di soffocare la disperata voglia di-) – e che frequenterà l'ultimo anno lì a Lawrence.

Con il trasloco ancora in corso, Cas non ha minimamente la sua stessa libertà di movimento – è passata un po' più di una settimana, ma Dean l'ha visto solo un'altra volta.

Lui, al contrario, è lì tutte le notti – quando Sam si addormenta e suo padre esce (sempre che non sia fuori da giorni, certo), ignora il senso di colpa che lo prende a lasciare solo suo fratello (la maggior parte delle volte, per riuscirci deve continuare a ripetersi per tutta la strada che Sammy non è più un bambino, ha quattordici anni e sa cavarsela da solo, se anche si svegliasse senza vederlo nel suo letto non andrebbe nel panico) e cammina lentamente verso il parco, la vecchia trapunta in spalla.

La casa che hanno comprato dopo la morte della mamma è a una decina di minuti dall'area verde, e abbastanza lontana dal centro città da permettere alle stelle di comparire, anche se l'inquinamento luminoso è molto peggiorato rispetto a quando aveva quattro anni.

Sospira, muovendosi appena e sistemandosi più comodamente le braccia sotto la testa.
Sorride, quando sente i passi leggeri dietro di lui.

«Ciao, Dean.» la voce roca è diventata dolorosamente familiare, nonostante sia passato così poco tempo – inclina il capo all'indietro più che riesce, e scorge una ciocca disordinata di capelli dritti e la fronte corrucciata di Cas, prima di rinunciare e girarsi a pancia in giù.
Cas lo osserva con una certa curiosità, con quel suo modo strano di piegare la testa – lo fa più spesso (e Dean lo ha notato più spesso) di quanto sarebbe forse opportuno –, poi si stringe nelle spalle e fa un paio di passi di lato, lasciandosi cadere accanto a lui.

Si siede a gambe incrociate, e Dean vorrebbe davvero, davvero riuscire a ignorare il fatto che è appena un po' troppo vicino, e che può sentire il rumore delicato del suo respiro e il suo profumo (qualcosa che è come di vecchi libri e pioggia ed erba umida) e che non sta facendo niente per mettere spazio fra loro (che nemmeno desidera farlo e la consapevolezza fa un po' paura, ma non è questo il punto).

Il punto è che gli occhi di Cas sono grandi e sono blu e Dean è davvero troppo pieno di problemi per potersi permettere anche questo, ma non ci può fare niente e gli occhi di Cas sono attualmente diventati probabilmente il dramma più grande della sua vita, perché Dean non è gay.

Davvero non lo è.

(Eppure, eppure, eppure – gli occhi di Cas gli fanno venire voglia di pensare cose che non dovrebbe pensare, perché cosa direbbe suo padre, cosa direbbero Sam e Bobby e tutti quegli idioti a scuola e non può farlo, non può.

Eppure, eppure, eppure c'è una parte di lui che vuole solo mandare al diavolo tutto e lasciarsi desiderare, lasciare che sia perché l'estate è appena iniziata e Cas è bello, d'accordo?, e davvero non è da lui perché Dean Winchester non si prende cotte per nessuno, tranne che ha la sensazione – e sa di avere ragione – che Cas sarà la sua eccezione per molte altre cose ancora).

Non dice nulla di tutto questo, ovviamente.

«Ciao, Cas.» dice, e si ritiene soddisfatto quando vede quella che sembra l'ombra di un sorriso – perché potranno conoscersi da poco (o da molto o da sempre o da mai, dipende dai punti di vista) ma Dean sa che Cas non sorride tanto spesso, e non può fare a meno di inorgoglirsi un po' quando riesce a strappargli un sorriso o anche solo metà di un sorriso con una frase o un'occhiata (mai con una battuta, però – lo riterrebbe offensivo, se non fosse che Cas è un bel po' strano e che non si tratta semplicemente di chiunque altro, perché se fosse come chiunque altro di certo Dean non riuscirebbe a dimenticarsi per un'ora o due o tre dei soldi che mancano e di suo padre che non è più suo padre da troppo tempo o dei suoi litigi con Sam o di un'altra dalla vasta scelta di fottute problematiche della sua vita, e anche Cas stesso in fondo è una problematica perché Dean non ricorda nemmeno l'ultima volta in cui è stato così facile abituarsi a qualcuno, e non la ricorda perché non c'è mai stata).

 

 

 

Notte 36 (12)

A un certo punto durante le due settimane seguenti, il grosso dei mobili è arrivato e la maggior parte degli scatoloni sono stati spacchettati e Cas è con lui quasi tutte le notti – non che Dean se ne lamenti.
Certo, la cosa porta molte più preoccupazioni, ma alla fine va bene così – o forse no, ma per adesso sì perché non ha la forza di affrontare a testa bassa anche i suoi ormoni impazziti o qualunque maledetta battaglia si stia consumando da qualche parte dentro di lui – e poi Dean scopre che è incredibilmente facile fidarsi di Cas.

Non sa di preciso cosa glielo faccia pensare – forse la calma assoluta con cui affronta più o meno qualsiasi cosa o la tranquilla ingenuità di certe domande o semplicemente Cas in generale, con tutte le sue stranezze e una passione incomprensibile per le api e il trench troppo grande e totalmente inadeguato alle temperature di inizio luglio.

Il fatto è che Dean non si fida di molte persone, non davvero – ha qualche amico, certo, ma anche loro a volte fanno fatica a capire cosa gli passa per la testa e i Winchester in generale sono strani, bestie selvatiche (Sam è l'eccezione, tale e quale alla mamma) e poi arriva qualcuno come Cas, sempre che Cas non sia un esemplare unico, e tutto diventa facile e le parole gli scappano di bocca senza il suo permesso, mentre sono sdraiati fianco a fianco sulla trapunta.

«Sono stanco, Cas.» e Cas non dice nulla, lo guarda solamente, con quegli occhi immensi e blu e rassicuranti che sembrano conoscerlo da una vita – e non è così, sono solo dodici notti, più o meno sessanta ore, non sa quanti minuti e non sa nemmeno quando ha iniziato a contare – ed è liberatorio, e prima di rendersene conto non è solo sono stanco, è anche tutti i motivi per cui è così infinitamente esausto, tutti in una volta, tutti esposti al di fuori di lui, anche se a un certo momento non riesce più a guardarlo in volto e allora rivolge gli occhi a tutte quelle stelle sopra di loro e gli sembra di sentire sua madre cantare.

 

(«Sam vuole andare a Stanford – ha solo quattordici anni ed è intelligente, sai? Farà strada e probabilmente gli daranno una borsa di studio, ma non si sa mai e non posso permettere che succeda qualcosa e lui non riesca ad andare, ma è difficile. È davvero difficile, perché ci sono solo io.»

E poi gli dice di sua madre e delle stelle e di come lei è morta e li ha lasciati lì, lui e Sam, di come gli manca ogni giorno come se fosse il primo, e ancora non gli ha detto tutto, gli ha raccontato appena la punta dell'iceberg, ma a Cas non sembra importare, sembra che Cas sappia comunque, perché Dean non parla mai di suo padre – non come fa lui, con quella vaga ammirazione perché Chuck è uno scrittore e non è proprio il più conosciuto ma i suoi fan sono strani e simpatici, e sua madre cucina biscotti che mangiano al chiaro di luna almeno una volta a settimana, e lui non ha mai saputo com'è avere addosso tutta quella responsabilità perché Cas è il più piccolo di tre ed è sempre stato protetto, ed è proprio l'ultima cosa che dovrebbe pensare ma Dean vorrebbe soltanto che potesse continuare a essere così.

Per quanto riguarda tutto il resto – tutto il resto che è quel blocco strano alla base del suo stomaco, quella tenerezza che gli prende a volte la gola senza preavviso, e la voglia e il bisogno di –, Dean spera solo che un giorno andrà via, ma intanto Cas non lo guarda più, lo sa perché il suo sguardo è una sensazione quasi fisica e lui solo sa che ora Castiel sta guardando le stelle e chissà cosa sta pensando, e può avvertire la sua esitazione, e poi ci sono dita lunghe e calde sul suo avambraccio e – e dopo scendono e trovano le sue e Dean trattiene il respiro, non può farne a meno, e il rumore è un po' troppo brusco e la mano di Cas nella sua è un peso confortante e spaventoso allo stesso tempo, e Dean vorrebbe scappare ma non può.

Non può, e quindi resta fermo dov'è, smette di respirare e di pensare e solo resta immobile perché ha paura di rovinare tutto.
Rimangono così fino all'alba, e quando infine si alzano e Cas scioglie le dita dalle sue Dean potrebbe piangere alla perdita di calore).

 

 

 

Notte 52 (28)

È quasi un mese che si conoscono quando la sorella di Cas, Anna, parte per il college.

Quella notte è anche la prima notte in cui Cas è diverso dal suo solito io composto e imperscrutabile – i suoi occhi sono più grandi che mai e Dean non è sicuro di avere mai visto niente di più triste, né è certo di poter sopportare tanto dolore sul suo volto.
Il tenerlo per mano è diventato routine, un rituale collaudato che non lo spaventa più troppo, ma questa volta non basta – riesce a strappargli a malapena un guizzo, una scintilla troppo breve in fondo alle iridi, prima che torni ad essere troppo silenzioso e così poco se stesso, così diverso da quello che ha imparato a conoscere.

E Dean non sa com'è perché Sam è ancora piccolo – anche se non più così tanto, anche se è sempre meno Sammy, ma ancora non se ne andrà per almeno quattro anni – e lo spaventa a morte pensare a come sarà la sua vita – solo lui e suo padre, e le mattine in officina da Bobby e i pomeriggi e le serate da Ellen – quando lui partirà per studiare e diventare l'uomo che sua madre avrebbe voluto – un avvocato importante, con una bella moglie e due figli e probabilmente un cane.

(E Dean resterà a Lawrence a mantenere un tetto sulla testa sua e di John e riuscirà a farlo studiare e ogni tanto andrà a trovarlo a Stanford e poi chissà, forse un giorno avrà un negozio o forse rimarrà semplicemente lì, a esistere).

Dean non sa com'è, ma gli occhi di Cas sono come il cielo di notte e non può permettere, davvero non può, che lui lo chiuda fuori – e ci sono vari motivi per cui non può ma è piuttosto sicuro che il principale sia perché Cas è il migliore amico che abbia mai avuto e una delle persone che lo conosce meglio al mondo e che lo capisce meglio al mondo e sente il suo soffrire al pari di un fallimento personale perché era compito suo schermarlo dal dolore e non l'aveva fatto.

E forse sarebbe anche facile solo lasciare tutto andare e ammetterlo, finalmente – ammettere che è dal primo istante che Dean ha solo voglia di baciarlo e farla finita con quella paura paralizzante e fregarsene di quello che potrebbero dire, in città, e semplicemente lasciare che sia quello che potrebbe essere se solo si lasciasse sperare – ma non può farlo oggi, non oggi che Cas non è poi tanto Cas ed è così infinitamente triste e può leggere la mancanza e la nostalgia nella piega della sua bocca e nel piccolo solco sulla sua fronte e nel modo in cui tiene le spalle, incurvate come per farsi più piccolo.

Quindi, Dean lo abbraccia.

 

Lo fa perché è la reazione più appropriata che gli viene in mente, e perché ha sempre creduto – per un qualche istinto infantile e profondo – che il contatto fisico sia la rassicurazione più grande che è in grado di offrire (un abbraccio dice sono qui e non vado via e puoi fidarti di me), e perciò sembra solo naturale stringergli un po' più forte la mano e poi, a sorpresa, tirarlo verso di sé, le dita ancora intrecciate alle sue.
Cas è appena più basso di lui, e può sentirlo inspirare bruscamente al movimento, e poi rilassarsi nella sua presa, affondando il volto nell'incavo del suo collo – se ne stanno così, in piedi sulla coperta rossa e gialla e verde, per quelle che sembrano ore.

Quando finalmente si separano – eppure le mani sono ancora unite, un modo come un altro per dire sono ancora qui e un giorno, un giorno, anche se non è oggi –, Cas ha gli occhi appena un po' lucidi, ma c'è un sorriso – è minuscolo e probabilmente non lo vedrebbe, Dean, se non avesse passato ore a studiare il suo volto nelle ombre della notte – sulle sue labbra.

 

 

 

Notte 67 (43)

Quando arriva, quella notte, Cas è già lì che lo aspetta – individua la sua sagoma da lontano, lo vede camminare avanti e indietro, innervosito (ha senso – hanno sempre avuto una certa routine, certi orari, e Dean ha fatto un bel casino e non solo ha rischiato che Sam- ha deluso anche lui. Anche lui).
Deve fare rumore, perché Cas alza di scatto la testa quando lui è ancora a qualche metro di distanza, e certo deve capire che c'è qualcosa che non va perché Dean non porta la trapunta in spalla, e non l'ha mai visto senza quella coperta e non c'è da stupirsi se Castiel finisce per corrergli incontro, impaziente.

Piega il volto, ma è troppo tardi – quando gli arriva abbastanza vicino, può sentire il suo respiro spezzarsi, sorpreso e sconvolto, e subito dopo le sue dita leggere sotto il mento.

Gli fa sollevare il viso, la fronte corrucciata, ed esamina il livido sul suo zigomo e le labbra gonfie e spaccate in un paio di punti, e quando abbassa lo sguardo vede che ha l'altra mano serrata in un pugno – e per un attimo Cas non sembra Cas, sembra qualcuno di diverso, di minaccioso, quasi, ma dura solo un attimo e poi torna ad essere soltanto, semplicemente Cas, con il suo cappotto troppo grande, Cas che si preoccupa per lui come non permette a nessun altro di fare.

«Cos'è successo, Dean?» e forse in fondo Cas lo sa già, ma sa anche che per una volta Dean ha bisogno di parlare – ha bisogno di tirare fuori tutto, il dolore e la mancanza e la rabbia, e allora solo lo stringe a sé come nemmeno due settimane prima aveva fatto lui, e non lo lascia andare nemmeno quando il ritmo del suo respiro è abbastanza veloce da sfiorare l'iperventilazione, né quando arriva abbastanza vicino al piangere da vergognarsene, e gli dice tutto.

 

Gli dice di come suo padre è tornato a casa ubriaco una volta di troppo, e di Sam che litiga con lui continuamente, e di come quella sera fosse stato per qualche motivo diverso – di come John avesse cercato di colpire Sammy e di come lui avesse finito per mettersi in mezzo, prendendosi il pugno al posto del fratello, e di come fossero finiti entrambi da Bobby, dall'altra parte della città. Aveva dovuto guidare fino a lì, ma non avrebbe potuto lasciarlo solo e forse in realtà è solo che Dean ha bisogno di lui, bisogno di lui come non ha mai avuto bisogno di nessuno.

 

(Cas lo lascia finire e anche quando ha finito non lo lascia andare – resta appena in punta di piedi per riuscire ad appoggiare il mento sulla sua testa, e preme appena le labbra fra i suoi capelli e tiene le dita strettamente intrecciate alle sue e con la mano libera lo accarezza ovunque riesca a raggiungere, e a un certo punto, ecco, a un certo punto non c'è più nessun motivo di tenerselo dentro.

Dean solleva appena il capo e lo guarda, lo guarda davvero e in quegli occhi – nei suoi occhi che sono come il cielo e il mare e l'universo – chissà cosa vede, ma è un istante, è un respiro e

lo sta baciando.

Ed è come se non avesse mai baciato nessuno prima, è come se non avesse mai respirato, è come vedere le stelle per la prima volta).

 

 

 

Giorno 1

«Bobby, mi passeresti il sale?»
«Tieni, ragazzo.»

Tintinnare di posate, una risata, mani che si sfiorano sotto la tovaglia, il sorrisetto compiaciuto di Sam.
«A quando il matrimonio, Dean?»
Un calcio sotto il tavolo, Cas che arrossisce.
«Non che siano affari tuoi, Sammy.» stringe un po' di più la sua mano, e lo sguardo disperatamente supplichevole che gli lancia lo fa ridere di nuovo.
È quasi strano vedersi alla luce del sole – eppure, quando Sam ride a sua volta, Bobby che nasconde un sorriso sotto il cappello, tutto sembra piuttosto perfetto.
E, dopotutto, negli occhi di Cas riesce ancora a vedere il cielo di notte.

   
 
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