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Autore: Lala96    15/05/2016    3 recensioni
Lalage, giovanissima promessa della musica classica, a seguito di una serie di eventi dolorosi e di fallimenti professionali si trasferisce dalla capitale francese a Aix en Provence, dove si ritrova a vivere con la bislacca zia materna. Tormentata da dolorosi ricordi ma tenace, troverà ad attenderla persone, ragazzi giovani come lei, che l’aiuteranno a ritrovare l’amore mai scomparso per la musica. E le daranno il coraggio di affacciarsi investigando negli abissi della Storia, alla ricerca dell’amore perduto di sua nonna…
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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INFO ILLUSTRAZIONI: sono riuscita a caricare una sola illustrazione finora, spero di riuscirne a caricarne altre nei prossimi giorni. Il nome su Deviantart è Lalage96

La corsa fu un assoluto disastro. La preside dondolava sul posto facendo vacillare i suoi chili in eccesso  da una parte all’altra berciando contro il nuovo assunto e i due ritardatari. Lalage cercava in tutti i modi di pensare ad altro mentre si sorbiva la ramanzina di quella grossa meringa isterica, ma era difficile visto il tono acuto e irritante della sua voce. “…e mi auguro che questo incidente vi insegni come comportarvi per eventi futuri!! Ma vi rendete conto che avete mobilitato alcuni studenti e tutto il corpo insegnanti??” “Mi dispiace” fu l’unica cosa che riuscì a dire lei, prima che la preside sproloquiasse “E ne ha ben donde!! Riceverete una punizione E-S-E-M-P-L-A-R-E per tutto questo” “Se permette, preside, vorrei assumermi la responsabilità dell’accaduto. Il mio compagno è stato involontariamente coinvolto nelle mie decisioni. Perciò” tentò di concludere Lalage, ma Lysandro la interruppe “Signora preside, la mia compagna di corsa è responsabile solo in parte. L’idea di aspettare la fine dell’acquazzone fuori dalla pista tracciata è stata mia. E comunque, non è certo una nostra responsabilità se è scoppiato un temporale nel bel mezzo dell’evento, era un’eventualità che avrebbe dovuto prevedere chi si doveva preoccupare delle previsioni meteo” “Su questo sono assolutamente d’accordo” lo interruppe la preside degnando il professore di una lunga occhiataccia “non è vero, professor Faraize??”. Il professor Faraize sospirò “Sono desolato” “Bene, ora tutti nei pullman, arrivati a scuola deciderò della vostra sorte” concluse- finalmente, a detta dei tre imputati- la preside, indicando i due studenti “ e della sua” tuonò rivolgendosi al povero docente. La maggior parte degli studenti era già seduta nel pullman. Attraverso i finestrini vide Kim e Violet, Rosalya che la aspettava e la salutò agitando la mano, e Castiel, che la degnò solo di un lungo, gelido sguardo prima di girarsi dall’altra parte. Non poté fare a meno di sospirare e si avviò dietro a Lysandro verso il pullman.

 Mentre salivano sul pullman Lalage si fermò accanto alla poltrona dell’autista e si rivolse al professor Faraize. “Professore…mi dispiace per quanto è accaduto oggi, abbiamo ostacolato il suo lavoro”. Faraize sorrise “Non preoccupatevi, è anche colpa mia...avrei dovuto guardare le previsioni del meteo, ma…” “E’ stato troppo occupato, vero? Dopotutto lei è un professore, dovrà preparare le lezioni” lo precedette Lysandro comparendo alle spalle di lei. Il sorriso del professore si assottigliò e si trasformò in una risatina nervosa, mentre in una sorta di tic nervoso continuava ad aggiustarsi gli occhiali sul naso. “Giusto giusto, dopotutto non sono mica andato a divertirmi o che so, a tentare la sorte a uno speed date in centro città in un locale dove servono dell’ottima cucina etnica marocchina, giusto?? Anche perché questo mi renderebbe una figura niente affatto esemplare per voi, sia dal punto di vista comportamentale sia da quello esistenziale, non c’è niente di peggio di un professore che vi insegna a spassarvela invece di pensare al proprio dovere e che è così depresso per il proprio celibato quarantennale da tentare la sorte a questo modo, non è vero? Sarebbe piuttosto patetico un insegnante che tentasse tra un piatto di couscous e l’altro di allacciare rapporti col gentil sesso” e mentre parlava a scatti e nervosamente in questo modo Faraize piegava la schiena e allo stesso tempo un’espressione afflitta si dipingeva sul suo volto. Lysandro sussurrò all’orecchio di Lalage. “Meglio che andiamo, non mi pare che sia troppo in forma” “Sì, e in questo momento non ho intenzione di ascoltare i suoi problemi di cuore” soggiunse lei avviandosi per lo stretto corridoio di sedili, lasciando il professore a parlare da solo e ad abbandonarsi a sospiro di autocompassione. Rosalya la accolse con un “Bel guaio avete combinato!” “Non ne voglio parlare”. Rosa le guidò la testa fino alla sua spalla, e Lalage sorridendo vi si appoggiò socchiudendo gli occhi. “Come fai ad avere un buon odore anche dopo aver sudato?” “Mi porto sempre dietro il deodorante, piccole accortezze da donna di mondo. Piuttosto” sussurrò accennando a Castiel, dall’altra parte dei sedili di fronte a loro “da quando è tornato non ha spiccicato parola”. Lalage girò il volto posando la fronte sulla clavicola della sua migliore amica, per nascondere due lacrime che Rosalya comunque avvertì nella sua voce. “Rosa, ho detto delle cose orribili” “Beh, oggi è stata una brutta giornata per tutti, direi. Quindi su col morale” cercò di sdrammatizzare lei accarezzandole i capelli celesti. Cullata da quelle carezze e sfinita per tutto quanto era successo, Lalage si appisolò mentre il pullman si metteva in moto.

Il giorno dopo guardandosi allo specchio faticò a riconoscersi. Aveva dormito poco, e si vedeva. A partire dal fatto che per sbaglio quella mattina stava per uscire in pantofole e solo un trillo allarmato della zia la salvò dall’umiliazione di arrivare a scuola con le ciabatte a forma di coniglietto rosa. “Tutto bene tesoro??” “Sì zia, sono solo un po’ stanca” rispose lei indossando le più indicate converse e trascinandosi giù per la discesa. Per fortuna Alexy e Rosalya l’ultima volta le avevano ordinato i vestiti nell’armadio già abbinandoli sulle stampelle di legno e contrassegnandoli con grossi post-it con su scritto il giorno della settimana nel quale indossare i vari abbinamenti, altrimenti chissà con cosa sarebbe uscita di casa quella mattina. Appena arrivata a scuola si recò nell’ufficio della preside. Non sapeva cos’era peggio, trovarsi a scuola di giovedì mattina quando in teoria sarebbe dovuta essere a casa a dormire, o scontrarsi con Castiel all’ingresso. La guardò un istante e poi uscì senza proferire parola. “Aspetta!” gli urlò dietro lei, ferma sulla porta. Si fermò. “Mi dispiace. Castiel, mi dispiace per quello che ti ho detto ieri. Davvero”. Dopo qualche istante, senza nemmeno voltarsi, lui rispose “Tanto non sono affari miei giusto?” e si allontanò in direzione della palestra. Con il morale sotto i tacchi Lalage si avviò sospirando nell’aula del comitato studentesco. La preside era già lì, decisamente più rilassata sebbene non più accomodante del giorno prima. Lysandro le rivolse un sorriso incoraggiante. “Bene, ecco la signorina Germont. Lysandro, lei darà una mano al professor Faraize a sistemare alcuni compiti in aula professori. Lei invece, vada con Nathaniel in biblioteca, gli darà una mano a…o perfetto, eccolo qui”. Lalage si voltò di scattò e lo vide sulla porta. Perché mai anche lui era lì? “Bene, le spiegherà tutto lui. Ora andate”. Senza fiatare, lei seguì il delegato degli studenti verso la biblioteca, mentre Lysandro si allontanava in direzione opposta, verso l’aula professori. Arrivati in biblioteca Nathaniel finalmente le rivolse la parola “Certo che sei un uragano te, eh? Ci mancava solo la punizione del giovedì mattina!” le disse serio prima di girarsi a cercare della documentazione su una scrivania. Lalage abbassò gli occhi, a disagio. “Mi dispiace averti costretto a venire qui”. Non osava guardarlo negli occhi. Da una parte era felice di trovarsi lì, con lui. D’altra parte, non poteva fare a meno di chiedersi- e chiedendoselo, si stupiva di sentirsi apparentemente senza motivo in colpa- se ieri anche lui l’aveva vista tornare insieme a Lysandro. Interruppe questi suoi pensieri un tocco delicato di qualcosa, sopra la sua testa. Per avere la sua attenzione, Nathaniel le aveva posato un volume sulla testa, chinandosi verso di lei tanto che i loro volti quasi si sfioravano e sorridendole.  “Vieni, il nostro compito è rimettere a posto i libri che hanno posato nel carrello delle restituzioni e fare il giro degli scaffali per vedere se ce n’è qualcuno fuori posto. Oh, e comunque” continuò prendendo tra le mani alcuni volumi e porgendoleli “non hai costretto nessuno a fare nulla. Sono aiuto bibliotecario dall’inizio dell’anno, e tutti i giovedì mattina vengo qui a sistemare i libri. Al contrario, oggi mi vieni in aiuto, abbiamo avuto un sacco di restituzioni e da solo ci avrei messo molto di più”. Lei li afferrò e inizio a girare tra gli scaffali, riponendo i volumi seguendo le indicazioni che un’etichetta, dove erano annotati autore in ordine alfabetico e sezione, riportava. Alle dieci erano già a buon punto, lavorando in silenzio. Lalage sentiva la sua presenza vicino a lei, e ne era allo stesso tempo attratta e intimorita. A volte dovevano riporre due volumi l’uno vicino all’altro, e in quell’occasione lei sentiva il corpo di lui particolarmente vicino, tanto da poter sentire il calore,  il suo profumo, un dolce profumo di vaniglia-che apparteneva ad Ambra e di cui ella si cospargeva in modo eccessivo e nauseabondo- misto a una nota sottile di muschio, probabilmente il suo shampoo. In un caso le loro mani si sfiorarono, e lei sentì il cuore accelerare le sue pulsazioni nel petto. Ormai mancavano pochi libri da sistemare, e visto che avevano passato quasi due ore in silenzio, Lalage decise di fare uno sforzo per dilatare il tempo che rimaneva, facendo un po’ di conversazione. “Deve essere dura, gestire il liceo e lo studio e occuparsi della biblioteca”. Lui le sorrise, riponendo un volume nello scaffale. “Non sono solo. Anche Melody da’ una mano quando può”. Giusto, anche Melody, pensò lei sorprendendosi di essere triste. E senza ragionare lei gli domandò “Uscite insieme voi due, vero?”. Nathaniel arrossì e le rispose secco “Certo che no!! Come ti viene in mente??”. Non capì perché, ma non poté fare a meno di sentirsi sollevata. Ormai mancavano solo due libri, da disporre nella mensola più alta della libreria. Lalage fece scorrere la scaletta di legno fino al punto giusto, poi iniziò a salire. Nathaniel le passò i due volumi, di cui lei si soffermò a leggere i titoli, facendo scorrere le dita sulle copertine un po’ lise. “Don Chisciotte!” “L’hai mai letto?” “Ne ho letto una riduzione da bambina. Mai l’originale” “E’ carino, anche se si dilunga un po’ in alcune parti. Poi guardò il secondo. “Questo invece l’ho letto!” “ “Alice nel paese delle meraviglie?” “ “Sì, quando ero piccola. Credo anzi che me l’abbia letto qualcuno, ma non ricordo chi”. Il libro non entrava perfettamente nello spazio tra i suoi compagni e quando finalmente lei riuscì a far scorrere le copertine vicine perse l’equilibrio e barcollò, in bilico sul quarto gradino. Nathaniel intervenne posandole le mani sui fianchi e sostenendola. Sentì la testa ronzargli impazzita quando sentì quella presa forte e decisa quasi a contatto della sua pelle, interrotta solo dal tessuto della camicia azzurra. La scala smise di traballare e con un sospiro di sollievo da parte di entrambi Lalage riuscì a scenderne con cautela. Quando ebbe posato i piedi per terra Nathaniel lasciò la presa attorno alla sua vita e la guardò sollecito “Tutto a posto?” “Sì grazie, solo un po’ di paura. Meno male che c’eri tu a prendermi al volo!”. I suoi occhi incontrarono per qualche istante quelli dorati di lui, e sentì come se fosse davvero vicina a lui, in quel momento, come se da un momento all’altro potesse accadere qualcosa. Invece entrambi distolsero lo sguardo. Dopo qualche istante lui ruppe il silenzio. “Senti, Lalage” “Mm”. Lo vide arrossire con la coda dell’occhio. “Tu e Lysandro…uscite insieme, per caso?”. Si girò stupita “No, davvero. E’ una persona interessante e gentile, ma siamo solo amici, nulla di più”. Forse era solo una sua egoistica impressione, ma le parve sollevato. “Capisco”. Respirò profondamente e le disse senza incrociare lo sguardo confuso di quei grandi occhi color cielo. “Bene abbiamo finito”. Lalage non potè trattenere un mezzo sospiro dispiaciuto “Peccato”. E si accorse all’improvviso che lui la fissava, assorto. Si avvicinò a lei, accorciando la distanza tra di loro, lei con le spalle quasi aderenti ai dorsi dei volumi della libreria. I loro volti erano così vicini che riusciva a sentire il respiro di lui sulla pelle, mentre si smarriva in quei grandi occhi color miele, perdendo la cognizione del tempo e di se stessa. Provò una sensazione di pericolo, quasi, insieme a un desiderio che trattenne a stento di accorciare ancora di più quello spazio che li separava. Lui mormorò sulla sua pelle, senza smettere di osservarla “Non dovresti parlare con tanta leggerezza, sai?” poi si ritrasse, lasciandola senza fiato “C’è chi potrebbe avere delle aspettative, per parole a cui tu non dai molto significato”.Lalage non seppe fare altro che balbettare “S-scusa”. Lui le sorrise e tornò al consueto tono affabile, come se niente fosse accaduto. “Beh, io devo controllare ancora una volta i registri del prestito. Tu vai pure” “Sei sicuro?” “Sì sì, vai tranquilla”. Con il cuore che ancora pompava a mille il sangue lei si diresse verso l’uscita, poi rallentò un secondo prima di aprire la porta e con voce insicura gli disse “Allora ci vediamo”. Quando la richiuse si appoggio prendendo fiato. Ripenso a quelle parole, così simili a quelle che le aveva rivolto Lysandro nel bosco. “Non dovresti parlare con tanta leggerezza”. Ha ragione, non dovrei, pensò. E risoluta si diresse verso il cortile. Ora sapeva cosa doveva fare.

Castiel strinse le labbra per trattenere il plettro, mentre con una mano pizzicava le corde e con l’altra aggiustava l’accordatura della chitarra, che vibrava e miagolava contro il suo ventre riverberando il suono nella cassa di risonanza. Aveva raccolto le due ciocche sulle tempie in una coda dietro la nuca, come faceva sempre prima di suonare, e portava le maniche della maglietta rimboccate fino alle spalle. L’aria di primavera, penetrando nella serra e uscendone dalle finestre di vetro aperte per ossigenarla gli imprimeva nel respiro i profumo dei tulipani che stavano sbocciando. Improvvisamente un tocco gentile e tiepido gli sfiorò l’avanbraccio. Voltatosi, socchiuse gli occhi e aggrottò la fronte, contrariato. Lalage, inginocchiata accanto a lui, cominciò a parlare con voce flebile e incerta. “Voglio che ti interessi. Voglio che quello che faccio ti riguardi, perché mi rendo conto di aver passato troppo tempo a chiudere tutto, i momenti belli e i momenti brutti, dentro di me, in un angolo del cuore, e ora voglio gridare a tutti che sono molto, molto felice, e soprattutto voglio dirlo a te. Voglio che ti interessi. Voglio che tu sia vicino a me quando compirò le mie scelte, voglio che tu sappia se starò male o meno e che ci sia anche solo per prendermi in giro, anche solo per fare il tuo solito sarcasmo. E voglio esserci quando sarai tu ad avere bisogno di me, anche se sono una buona a nulla, anche se rovino sempre tutto, anche se sono un po’ imbranata. Questo perché” e si chinò posando la fronte contro la sua spalla e riducendo la propria voce a un mormorio “perché per me sei un amico, una persona importante. Ho sbagliato, ti ho detto delle cose cattive, e ti ho giudicato senza conoscere nemmeno la tua storia, senza sapere chi sei veramente. Ero così piena di me e orgogliosa che non mi sono accorta che anche tu avevi delle ferite, e non ho cercato di comprenderti. Ecco, solo volevo dirti…mi dispiace”. Rimase lì immobile. Per un po’, nessuno dei due parlò. Poi lui si spostò e, sfiorandole le guance nel gesto, fu lui ad adagiare la testa contro la sua spalla, sopra la sua clavicola. “Vorrei essere buono, ma non ci riesco. Vorrei non pensare come penso le donne, ma non ci riesco. Ho imparato a non fidarmi delle persone, e che gli altri si accorgono di te solo quando fai loro del male. Però, voglio che tu lo sappia, che non ti farei mai del male. Perché sei importante, per me. Perché sei la prima che riesco a considerare non una preda da cacciare, un numero in rubrica a cui ricordarsi di scrivere dopo una notte sconcia, ma qualcosa da proteggere. Qualcosa che voglio proteggere”. Due lacrime gli scivolarono sugli zigomi, così si scostò e senza chiedere il permesso impresse le labbra sulla sua guancia morbida. Lei rise. E così fecero pace, con quella risata cui di rimando rispose la sua, più cupa, con quel riso che gli metteva le ali al cuore. Perché lei era

Colei che dolcemente parla, che dolcemente ride.

 
   
 
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