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Autore: _unknown_    15/05/2016    5 recensioni
una raccolta sulla coppia StingxMinerva realizzata a partire dai prompt della Stinerva week 2016 indetta su Tumblr:
Day 1 Reunion
Day 2 gift
Day 3 nightmare
Day 4 light
Day 5 movie night
Day 6 AU
Day 7 promise
saranno missing moment e what if e spazierò fra più generi
spero che il risultato vi piaccia
realizzata grazie alla collaborazione di _cercasinome_ (ho un debito di ispirazione nei suoi confronti)
buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Minerva, Sting Eucliffe
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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angolo autrice
salve a tutti! eccomi di nuovo qui con questo nuovissimo esperimento Stinerva! c'è da dire che io amo alla follia questa coppia, durante Tartaros il mio cuore si è sciolto tantissimo e non potevo non scrivere su di loro. Mi piace anche la StingYu, ma diciamo che con questa mi trovo un pò meglio, non saprei dire perchè ahahahah... beh come già detto questa raccolta è nata in concomitanza con la Stinerva week, ma per ragioni di tempistica non è venuta fuori in tempo ( pubblico il day 1 quando in realtà è il day 5) però sono dettagli di poco conto.
fatemi sapere cosa ne pensate, mandatemi anche a quel paese se non vi piace, tranquilli ahahah
ringrazio ancora una volta l'utente _cercasinome_ che per quanto riguarda alcune giornate è stata una vera e propria manna dal cielo...
vi lascio alla storia, buona lettura!
alla prossima
_unk_

Master and His Lady.

 
  1. REUNION
 
Si risvegliò dopo ore, ritrovandosi con stupore sopra una brandina in un infermeria.
Contemplò assorta il  soffitto bianco e  asettico davanti a se, immobile e perfettamente in silenzio.
Sentiva distintamente ogni fibra del proprio corpo ribellarsi e pulsare fastidiosamente, impedendole qualunque movimento se non quello di ruotare gli occhi.
Con il fisico ridotto a un fascio di dolori e la testa a pulsare furiosamente, Minerva Orland giaceva su una lettiga a farsi milioni e milioni di domande.
Si sforzava di capire e ricordare cosa le fosse successo, come mai fosse ridotta in uno stato così pietoso, chi l’avesse conciata così
E mentre faceva lavorare le proprie meningi, nella sua mente si era formata una prima immagine, una sola parola. Chiara. Limpida. E terrificante.
Tartaros
Improvvisamente ricordava tutto.
La sua mente era stata d’un tratto inondata come da un fiume di ricordi, un flusso di pensieri che l’aveva ridestata da quell’insopportabile iniziale dolore.
Davanti agli occhi di lei si stavano palesando una dopo l’altra tutte le scene che aveva vissuto fino a qualche ora prima.
E per la prima volta, dopo tanti anni, Minerva provò vergogna.
Si sentì arrossire fino alla punta dei capelli in preda al più insano degli imbarazzi
Si sentiva così stupida.
La sua incapacità di ribellarsi, di mostrarsi davvero per quella che era solo per piacere a suo padre le aveva fatto toccare io fondo. Aveva voluto provare a tutti quella fortezza che non aveva  mai avuto. Aveva ceduto al volere altrui, aveva ceduto al male, tutto per piacere a Jiemma. Non per sé stessa. Per lui.
Come aveva potuto essere così cieca?
Si era fatta manovrare come un burattino, si era fatta privare dei suoi desideri, dei suoi sogni e del suo volere. E cosa aveva ottenuto? Dolore. Solo dolore.
Fisico, e lo avvertiva chiaramente nei muscoli che tiravano senza pietà e nei tendini che sembravano volersi sfilacciare da un momento all’altro
Morale, perché adesso, in fin dei conti, lei era rimasta sola.
Chi avrebbe visto voltandosi dietro di se lungo il suo cammino?
Nessuno, se non la sua ombra. Era stata molto brava a fare terra bruciata attorno a se. Era stata molto brava a far correre via tutti con quei suoi modi bruschi, con quel suo sguardo sadico, quella sua risata sardonica e quella vena sarcastica con cui era solita trattare la gente intorno a sé. Suoi sottoposti. Certamente non amici.
Quanti errori aveva fatto nel corso della sua giovane vita? Tanti. Troppi. Non riusciva neanche a contarli tutti. Aveva fatto un’ infinità di peccati che le avevano corroso l’anima insozzandola di un colore nero pece.
E tutto quel male, tutto quel nero, non aveva solo investito lei.
Sarebbe stato troppo facile.
Quante persone ci erano andate di mezzo? Quanto dolore aveva causato, quante morti, quanta sofferenza? Quanti bambini erano saltati in braccio alla mamma al solo vederla? Quanti uomini avevano abbassato lo sguardo non riuscendo a sostenere il suo?
Non avrebbe saputo rispondere, in realtà non le importava neanche. Faceva troppo male prendere piena coscienza del mostro che era diventato.
E no, quella non era colpa di suo padre.
Era la sua mano a muoversi. Erano i suoi occhi a intimidire la gente. Erano le sue labbra a incurvarsi in quell’espressione saccente e sdegnosa che serbava nei confronti delle vittime.
Non suo padre. Lei.
Non si era saputa ribellare. Avrebbe potuto farlo, ma aveva scelto di tacere.
Suo padre era stata la mente. Lei era stata il braccio.
Strinse con forza i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi.
Cosa ne sarebbe stato di lei, cosa ne sarebbe stata di quell’anima dannata che perfino la morte sembrava non volesse più?
Suo padre era morto, lei era libera dopo anni, ma, improvvisamente quella libertà che tanto aveva agognato le pareva scomoda. Non era sicura di volerla adesso che ormai era rimasta senza uno scopo.
Non aveva seminato niente di buono dietro di se e adesso non aveva nulla da raccogliere. Per lei c’era stato solo Jiemma, non aveva tenuto con sé nessuno, neanche Sabertooth.
Che senso aveva quindi la sua vita da quel momento in avanti. Era sola, senza uno scopo e senza una meta, senza nessuno al suo fianco, senza nessuno a guidarla, senza nessuno alle spalle.
Si sentì persa e un dolore al petto si era impossessò di lei.
Ebbe la consapevolezza  di non aver fatto nulla di buono nella propria esistenza.
Ebbe la consapevolezza di aver perso tutto.
Ebbe la consapevolezza di essere una fallita.
E fece male. Le bruciò il petto e la gola. Le spense il fiato e le parole.
Sentiva le prime lacrime spingere pungendole  gli occhi e le proprie labbra tremare, ansiose di far uscire il primo singhiozzo. Si impose tuttavia di controllarsi. Non voleva crollare. Aveva paura di non riuscire a riaggiustarsi dopo averlo fatto.
Respirò profondamente, mantenendo la calma, poi, dopo essere riuscita a darsi un contegno si mosse appena sulla lettiga, accorgendosi così di non essere sola.
Si mise seduta come poté appoggiando la schiena al capezzale e studiò con attenzione quella figura vicino a lei
Ai piedi del suo letto, poggiata con le braccia conserte sulle lenzuola, giaceva addormentata Yukino, con il viso rivolto verso di lei. Doveva averla vegliata per chissà quanto tempo, doveva essere stata preoccupata per le sue sorti. Quanto male le aveva fatto? Quanto lei e suo padre l’avevano fatta piangere? Ricordava perfettamente quella volta in cui – per pura noia – l’aveva schiaffeggiata e l’aveva fatta rotolare giù dalle scale, ridicolizzandola di fronte a tutta la Gilda. E ricordava anche di quando, dopo aver preso il suo poso durante i Dai Matou Embu, incontrandola per le strade di Crocus l’aveva fermata per un braccio e le aveva detto le peggio cose: l’aveva fatta sentita uno zero, una nullità, l’aveva annichilita, l’aveva annientata con la sola forza delle parole. E lei tutte le volte aveva reagito allo stesso modo: aveva raccolto pezzo per pezzo i propri cocci e si era allontanata, iniziando a piangere lontana dagli occhi di lei.
Minerva non aveva mai sperato nel suo perdono, lei stessa non se lo sarebbe concesso; eppure Yukino era lì, accanto a lei, ad aspettare che si svegliasse.
La osservò fino a che non le bruciarono gli occhi, poi voltò di scatto la testa, perdendo per pochi istanti l’orientamento.
I suoi occhi si posarono su un altro dettaglio della stanza.
Poggiato su una sedia poco più in là rispetto al suo letto c’era un vestito. Non uno qualunque però, quello era il suo vestito, il suo preferito, l’unico che non si era comprata da sola.
Era stato un regalo. E l’unica persona che avrebbe potuto portarglielo  poteva essere solo la stessa che glielo aveva donato.
Distese piano le labbra in un sorriso amaro.
Sting.
A lui aveva riservato il trattamento peggiore.
Aveva giocato con i suoi sentimenti, gli aveva preso il cuore e lo aveva buttato via come un giocattolo rotto.
Sting era pazzo di lei, lo era da sempre. E Minerva aveva  consumato quel sentimento quanto più aveva potuto.
Gli si era avvicinata poco alla volta, come un leone che punta la sua preda; poi lo aveva azzannato, era stata capace di distruggere anche lui. In quel caso però, aveva distrutto anche se stessa.
Innumerevoli volte gli si era concessa, innumerevoli cose si erano uniti, diventando una cosa sola. Ed era stato bellissimo. Sempre. Ogni volta come la prima volta. Ogni volta più della prima volta.
Lei però non glielo aveva mai detto.
Si era sempre limitata a sospirare sconfitta ad ogni “ Sei bellissima”, ad accettare passivamente le sue carezze e i suoi abbracci, a piangere silenziosamente mentre lui la baciava piano, quasi avesse paura di farle male.
Persino quando l’aveva guardata negli occhi e le aveva sussurrato di amarla, con la voce rotta dall’emozione, lei era rimasta ferma, zitta e perfettamente composta, incapace di reagire.
Avrebbe voluto urlargli che si, anche lei provava lo stesso, ma non ci riusciva. C’era qualcosa a frenarla:
le apparenze, l’orgoglio, suo padre.
A Sting però, non era importato.
L’aveva tenuta con sé, non l’aveva lasciata andare. Era convinto che il suo amore sarebbe bastato a entrambi.
E avevano continuato così per anni. Perfetti sconosciuti di giorno e amanti di notte. Un rapporto strano a cui lei non aveva mai saputo dare un nome: non se  ne era mai sentita la necessità.
Erano loro: Sting e Minerva.
Con il loro orgoglio, la loro vanità, la loro passione e il loro amore che, sul punto di sbocciare, proprio non voleva saperne di venire allo scoperto.
Si erano costruiti un precario equilibrio, poi, Minerva aveva distrutto tutto.
E lo aveva fatto in una sola sera, durante i Dai Matou Embu.
Sting aveva perso l’incontro contro quel Dragon Slayer di Fairy Tail e Master Jiemma aveva preso molto male quella sconfitta.
Lo stava punendo, lo stava umiliando e lei taceva, immobile, senza muovere un dito per difenderlo.
Lui la osservava con una scintilla di speranza negli occhi, ma lei aveva distolto lo sguardo, infastidita e profondamente a disagio.
Era stato Lector a difenderlo come avrebbe dovuto fare lei, pagando così un altissimo prezzo.
Jiemma lo avrebbe ridotto in cenere sotto agli occhi del drago bianco senza farsi alcuno scrupolo. Il ragazzo non avrebbe mai retto a un simile dolore: glielo aveva ripetuto infinite volte, tutto quello di cui aveva bisogno per essere felice erano lei e il suo exceed. Senza si sarebbe perso.
Decise quindi di intervenire, salvando Lector prima che suo padre lo uccidesse.
Lo aveva messo al sicuro. Poi Sting aveva reagito. Aveva colpito suo padre con rabbia, accecato dal dolore.
Sorrise orgogliosa Minerva, ma quel ghigno fiero le morì sulle labbra non appena incrociò lo sguardo di Jiemma. L’aveva scoperta, aveva visto il suo incantesimo.
E lei si era ritrovata di fronte a un bivio: salvare il giusto o salvare le apparenze?
Alla fine, aveva scelto la via più facile. Si era schierata dalla parte di suo padre infierendo con più forza di lui sul biondo.
Lo sguardo che le aveva rivolto Sting l’avrebbe perseguitata per tutta la vita.
Vi lesse orrore, delusione, risentimento, rabbia. Vi lesse odio e giunse un brivido a correrle sulla pelle.
Ebbe la certezza di averlo rotto: di averlo perso per sempre.
Dopo i Dai Matou Embu aveva deciso di andarsene.
Non avrebbe sopportato di rivedere ancora quegli occhi. Non avrebbe retto, sarebbe crollata su sé stessa rompendosi in mille pezzi.
Sapeva che Sting non l’avrebbe mai perdonata. Non aveva più niente che la tenesse ancorata alla Gilda.
Per questo aveva seguito suo padre, nonostante sapesse già che, per lui, sarebbe stata solo un burattino che avrebbe usato per raggiungere i più vili dei suoi scopi.
In quel momento, aveva avuto  inizio la sua perdizione.
 Il suo flusso di pensieri si interruppe bruscamente a causa di un rumore. Minerva si ridestò in un attimo voltandosi verso la fonte di quel rumore.
Ciò che vide la paralizzò all’istante.
Appoggiato allo stipite della porta c’era Sting a fissarla con un sorriso carico di apprensione sulle labbra.
Era così bello, esattamente come lo ricordava, forse ancora di più
Si osservarono per un tempo che parve infinito: pochi secondi, o forse, un’eternità.
Poi il ragazzo entrò nella stanza avvicinandosi sempre più al suo letto. Raccolse, passando, quel vestito sulla sedia e glielo porse non appena giunse di fronte a lei.
Si guardarono ancora, senza proferire parola.
Occhi negli occhi. E non c’era davvero bisogno di altro.
Sting ampliò ancora il suo sorriso, gli occhi brillanti come due stelle luminose, poi posò una mano sulla guancia ferita di lei regalandole una carezza, le posò un bacio tra i capelli corvini e poi, semplicemente, come era arrivato se ne andò, lasciando Minerva su quel letto mentre la prima lacrima correva forsennata a rigarle la guancia.
***
Qualche giorno dopo era stata dimessa.
Sting e Rogue erano andati a prenderla e adesso la scortavano sul vialetto d’accesso alla Gilda.
Non sapeva davvero cosa aspettarsi, aveva lo stomaco in subbuglio. Era in preda al panico, timorosa del fatto che qualcuno – non a torto – avrebbe potuto respingerla, trattarla per il mostro che era.
Varcò la soglia della gilda e ciò che vide la fece scoppiare immediatamente in un pianto disperato.
Una festa.
Le avevano organizzato una festa.
Lei li aveva feriti tutti e loro erano felici di rivederla.
Sentì il profumo di casa, distante da lei da troppo tempo, e “Grazie” sussurrò sorridendo fra le lacrime.
I festeggiamenti andarono per le lunghe, tutti erano andati da lei per sincerarsi delle sue condizioni e dopo tanto tempo Minerva si rese conto di aver sentito la mancanza di tutti loro.
Al termine della festa fu raggiunta da Yukino che sorridendole affettuosa le disse che il Master aveva un urgente bisogno di parlarle.
La maga ringraziò l’albina e si avviò dritta alla meta.
L’ufficio di Sting.
La porta era già aperta, Minerva entrò senza fare rumore trovando l’uomo in piedi, al centro della stanza, mentre la studiava con attenzione.
La donna le si parò davanti e, ancora una volta, si guardarono negli occhi fino a che lei, sentendosi quasi soffocare, abbassò lo sguardo.
“Sting, io…” e non ci fu il tempo di dire altro perché lui l’aveva già presa per un braccio portandosela contro al petto ampio e muscoloso.
“Shh…bentornata, Minerva” sussurrò con un filo di voce, iniziando a cullarla dolcemente.
Lei sorrise premuta contro il suo petto.
Aveva ottenuto il suo perdono.
 
 
 
 
   
 
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