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Autore: Darksaurus 97    16/05/2016    1 recensioni
In una società dove personaggi dalle più svariate opere vivono insieme e interagiscono l'uno con l'altro, un essere incappucciato cerca vendetta in modi decisamente inaspettati.
Attenzione : I personaggi della storia vivono una vita parallela rispetto alla loro storia originale, quindi è possibile riscontrare incongruenze.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Karkat Vantas, Un po' tutti, Vriska Serket
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Il potere nelle piccole cose
 
Era un pomeriggio buio e piovoso nella periferia del 66° distretto di Metropolis. Le strade erano praticamente deserte, con solo qualche automobile posteggiata come segno di vita.
 
  I palazzi, grigi e tutti uguali, troneggiavano sull'ambiente, quasi del tutto privo di vegetazione, e sembravano quasi fare da staccionata al quartiere, la cui carreggiata, abbandonata a se stessa, risentiva dei colpi del tempo, con le sue crepe sparse.
 
  Quella zona della grande città-stato di Metropolis non era mai stata molto affollata, comunque. I suoi abitanti erano quelli che nessun altro distretto voleva e che si muovevano tra le ombre degli edifici in decadenza. Spacciatori, mercenari, prostitute dividevano l'ambiente con vampiri selvaggi o qualche demone inferiore, ansioso di stipulare un contratto. 
 
  Sui marciapiedi deserti però, d'un tratto, una musichetta ruppe il silenzio, rivelando insieme a lei una donna con abiti fin troppo eleganti e dai capelli celesti e con quello che sembrava un tatuaggio che sembrava una M con la coda sulla fronte, inseguita da una persona con indosso un mantello e con un cappuccio calato sul viso, che lo rendeva invisibile a occhi indiscreti. Il telefono squillava senza sosta da tempo ormai, eppure non una volta la donna si era fermata ad aprire la borsetta firmata, che portava attaccata alla spalla, a controllare chi chiamasse. Tutto quello che faceva era camminare lungo il marciapiede, quasi incurante del tempo, della brutta fama di cui godeva la strada, o della figura incappucciata che la seguiva a poca distanza. Era come se fosse sonnambula, con i suoi occhi freddi e vacui che guardavano dritto davanti a lei.
 
  Continuarono a camminare a lungo, con i loro passi scanditi dalla musichetta che ancora continuava, attraversando due volte la strada, finché alla fine non raggiunsero un edificio in rovina con le finestre svetrate, con diverse crepe che ne scandivano la superficie e totalmente privo di una qualunque forma di portone. Vi entrarono lentamente, in fila indiana, mentre a poco a poco l'incapucciato aumentava velocità, raggiungendo la donna con l'ombrello.
 
  L'interno della casa era esattamente come l'esterno: vuoto, grigio, polveroso e decisamente abbandonato. A prima vista l'ingresso sembrava costituita esclusivamente  da un piccolo corridoio e da una rampa di scale subito dopo che portava ai piani superiori. Tuttavia, alla donna, che, appena entrata, aveva riposto via l'ombrello, e all'incapucciato non interessava salire e perciò raggiunsero la scala e vi girarono intorno, trovando una piccola fessura nel sottoscala, in cui entrarono, ritrovandosi poi in un piccolo corridoio nascosto, con una porta all'estremità. Nel frattempo, il telefono aveva anche smesso di suonare.
 
  La donna fu la prima ad avvicinarsi alla porta, mentre l'incapucciato restava a una certa distanza, con lo sguardo fisso su di lei. Ella afferrò la maniglia con forza, tirandola verso di lei.
 
  - GiurO sOlennemente di custOdire il prOfOndO segretO - recitò meccanicamente, accentuando le O, e spingendo la porta, su cui, per un momento, era apparso uno strano simbolo raffigurante una specie di sole ellittico, la aprì. 
 
  L'incapucciato raggiunse la sua compagna di viaggio e osservò l'interno, che consisteva in una rampa di scale che scendeva verso il basso, dove nessuna luce illuminava il fondo. La donna stava per scendere le scale, quando il cellulare riprese nuovamente a squillare.
 
  Stanco di dover sopportare quella suoneria, il tizio col mantello mise le mani ai lati della testa, mentre da sotto il cappuccio una lieve luce azzurra prese forma. Anche il tatuaggio sulla fronte della donna si illuminò e allora quella si piegò verso la borsa e raccolse il telefono, con l'intento di porre fine alla chiamata e spegnerlo definitivamente. Tuttavia, quando prese il telefono tra le mani, lo sguardo della signora cambiò, mentre un crescente mal di testa opprimeva il tizio insieme a lei: era troppo tardi... la donna si stava liberando... non poteva pormetterlo!
 
  Con un ultimo sforzo, l'incapucciato si concentrò sulla sua compagna, mentre il simbolo su entrambe le loro teste diventava sempre più luminoso. La donna bloccò la chiamata, rimise il telefono nella borsetta, mise entrambe le mani ai lati della testa e, con uno schiocco secco, la girò di 180 gradi, rivolgendo lo sguardo verso il suo accompagnatore. Quest'ultimo la guardò senza far trasparire alcuna emozione, mentre il simbolo raffigurante la costellazione dello Scorpione lasciava la sua fronte e i suoi occhi acquisivano finalmente coscienza di sé, anche se per poco tempo, dato che presto si ritrovò a sputare sangue verso l'incapucciato,  per poi cadere in maniera scomposta giù per le scale. L'essere sospirò, tenendosi la fronte dolorante. Ci aveva impiegato molto tempo per ottenere un controllo efficace sulle persone, ma costava sempre molta fatica.
 
  Fece un ultimo sospiro e scese a passo malfermo le scale, facendo attenzione a non inciampare su niente, mentre il telefono aveva ripreso nuovamente a squillare. Alla fine, raggiunse il pavimento e guardò in basso, dove riusciva a riconoscere il corpo della sua vittima, illuminato appena dal telefono che squillava insistemente e che sembrava quasi trapanasse le orecchie dell'essere che, stanco di dover sopportare quella musichetta fastidiosa, si chinò a raccogliere il telefono per spegnerlo. Fu allora che lo vide.
 
  Sul telefono della donna, insieme alla suoneria fastidiosa, era apparsa l'immagine di un ragazzino che poteva avere sì e no otto anni, molto muscoloso, anche troppo per la sua età, e con i capelli viola. Sotto c'era scritto il nome Trunks. L'incapucciato rimase fermo a osservare quel ragazzino immobile in quel sorriso sfrontato, accompagnato pure dal pollice in alto, per un po'. D'improvviso, alcuni ricordi cominciarono ad affiorare nella sua mente, ma li bloccò subito e buttò il telefono a terra, schiacciandolo con i suoi stivali rossi, finché non rimase solo qualche rottame. Sapeva bene che, in quel momento, ricordare era un lusso troppo pericoloso per poterselo concedere. Non poteva mettere tutto a repentaglio proprio ora che era così vicino al suo obiettivo.
 
  Percorse il corridoio totalmente immerso nel buio, finché poi l'essere non arrivò davanti a una porta. Fortunatamente, aveva preso alcune informazioni su ciò che avrebbe dovuto fare dopo, prima di uccidere la sua "guida": afferrò la maniglia, tirò una volta, spinse due volte, tirò ancora una volta e infine ruotò la maniglia di 180 gradi. Non ebbe nemmeno bisogno di spingere, perché la porta si aprì da sola, rivelando subito l'interno.
 
  La tecnomagia era ormai diventata una realtà comune a Metropolis. Quando il grande mago Aster Tiranno abbandonò in circostanze misteriose il Concilio dei Maghi, tutto lo davano per spacciato, data anche la maledizione, che lo aveva colpito in circostanze altrettanto misteriose, che gli avevano dato l'aspetto di un bambino di dieci anni. Nessuno si aspettava il successo che sarebbe riuscito ad ottenere non molto più avanti quando, insieme ad alcune delle più grandi menti della magia e della scienza di Metropolis, riuscì a fondere le due grandi forze, creandone una del tutto nuova: la cosiddetta tecnomagia. Essa ebbe un successo capillare su tutti gli abitanti della città, che in poco tempo decisero di sostituire le loro semplici lavastoviglie tecnologiche che lavavano  soltanto i piatti, con delle nuove e personalizzabili lavastoviglie tecnomagiche che non solo lavavano i piatti, ma che, all'occorrenza, potevano teletrasportarli al loro posto, oppure metterli a tavola. Lo stesso valeva per frigoriferi che non solo ti avvisavano quando un particolare prodotto stava per finire, ma ti permetteva pure di comprarli e farli apparire al loro posto, telefoni che oltre a mandare immagini potevano anche spedire oggetti fisici, oppure, cosa possibile solo negli ultimi modelli, anche persone. 
 
  Insomma, la tecnomagia aveva rivoluzionato l'intera Metropolis in ogni suo aspetto, e presto le industrie che non riuscivano a reggere il passo, furono costrette ad associarsi alla AsterCorps, la grande industria guidata da Aster Tiranno, o a chiudere. La Capsule Corporation scelse la prima opzione. In realtà, l'affiliazione con la AsterCorps provocò solo guadagni per la Capsule, che migliorò la progettazione delle famose capsule Hoplà che funzionavano solo in base alle leggi della fisica quantistica e che spesso, però, davano problemi a chi ne faceva uso: non era raro, infatti, trovare automobili incapsulate ricomposte in maniera del tutto deforme, con pneumatici messi in fila o altri problemi. Le cause non si contavano nemmeno, da quanto erano numerose. Con l'avvento della tecnomagia, però, la Capsule Corporation riuscì a sistemare gli ultimi errori del sistema, risollevandosi notevolmente e garantendosi un elevato successo nella società. 
 
  Tuttavia, proprio quando la Capsule Corporation stava riuscendo finalmente a emergere e far fronte ai propri debiti, fece scalpore la notizia che il fondatore della fabbrica, il Dottor Brief, si era ammalato di un importante cancro ai polmoni che lo stava portando lentamente alla morte. Furono tanti i giorni in cui la cronaca di Metropolis trattava quasi incessantemente il caso della fabbrica che, proprio quando stava raggiungendo il suo più alto successo economico, stava per dire addio al suo storico fondatore. È immaginabile, allora, che, il giorno in cui il Dottor Brief dichiarò di essere riuscito a guarire dal cancro, fu gridato al miracolo. 
 
  Secondo le fonti ufficiali, fu la grande forza di volontà del fondatore, unita alle cure, anch'esse tecnomagiche, fornite dalla sua clinica, a permettere al dottore la completa guarigione. Tuttavia, alcuni dati non quadravano: la malattia era a un punto fin troppo avanzato perché anche la tecnomagia potesse avere un effetto così efficace. In più, nessuno dei medici volle mai rilasciare un'intervista. Nacquero così alcune voci su una setta segreta, nota soprattutto ai personaggi più ricchi e benestanti di Metropolis, che permetteva la formazione di veri e propri miracoli e che sembrava anche essere confermata da alcune indiscrezioni: tale setta era nota con la sigla OD, in base a quanto riportato da alcune fonti più o meno affidabili. Ma nessuno sapeva esattamente di che si trattava.
 
  Anche l'essere incappucciato era al corrente delle teorie riguardanti questa setta e vide in essa un modo per riuscire a ottenere ciò che voleva. Indagò a lungo, spiando persone influenti a Metropolis e concentrandosi in modo particolare sulla figlia del Dottor Brief, Bulma, alla ricerca di un qualunque indizio che rivelasse la sua vera natura. Fu però durante un incontro clandestino in un bar malfamato di Metropolis che scoprì l'effettivo significato di quella sigla: Ombelico di Dio. Fu il fautore di quell'incontro, l'anarchico Adam Kadmon, che rivelò quel nome, che, a quanto sosteneva, era riuscito a mettere le mani sui diari del professor Shiranui, che sosteneva di essere entrato con l'inganno in quella setta, al fine di compiere esperimenti che venivano riassunti con il nome di "Progetto Minus", che doveva avere lo scopo di trasformare un essere umano in un dio. Stando a quanto aveva scritto, molte delle sue cavie, perlopiù bambini orfani o abbandonati, non sopravvivevano al processo che il professore definiva semplicemente "Tocco", tranne uno che aveva sviluppato importanti doti, tra cui l'immortalità e la capacità di cambiare la realtà a lui circostante. Tutt'oggi, però, non si sapeva niente né del professore, né del bambino prodigio, tanto che si era arrivato a pensare che fossero messi entrambi a tacere definitivamente. Ma all'incapucciato ben poco importava di queste teorie da complottisti: erano i poteri acquisiti da quel bambino che solleticavano maggiormente il suo interesse.
 
  Dopo mesi di pedinamenti incessanti ai danni di Bulma e di allenamenti senza sosta finalizzati a un maggiore controllo del suo potere anche sugli esseri umani, l'incapucciato rapì la donna e, scrutandole la mente, ottenne notizie definitive su quella tanto segreta organizzazione, la setta dell'Ombelico di Dio. Usando il controllo mentale sulla donna, si fece accompagnare al luogo dove si trovava la sede principale dell'organizzazione, finché poi il suo potere non si affievolì troppo e fu costretto a uccidere la sua guida, e da lì continuare da solo fino alla costosissima porta tecnomagica che, e fosse stata aperta in un altro modo, avrebbe portato solo a un muro di cemento.
 
  L'interno della sala principale della setta aveva le sembianze di una struttura teatrale. Lentamente, l'incapucciato percorse la gradinata davanti a sé, che si espandeva orizzontalmente a formare una semiellisse, fino a giungere al grande spiazzale che ricordava un palcoscenico, delimitato proprio dalla gradinate. Al centro dello spiazzale stava una specie di altare, dove stava un libro chiuso e qualche candela spenta, e, dietro questo, su un piccolo piedistallo, era posta una statua di marmo. Lentamente, l'incapucciato si avvicinò proprio alla statua, osservandola attentamente. 
 
  Essa rappresentava un ragazzo adolescente che non sembrava avere più di sedici anni, che indossava un paio di pantaloni, un paio di scarpe, una camicia aperta e un mantello che si espandeva fino ai piedi. Si avvicinò alla statua e quasi non riuscì a credere che l'obiettivo della sua ricerca fosse proprio ciò che aveva davanti in quel momento: l'ombelico della statua, lasciato scoperto dalla camicia aperta. Era un ombelico normale di forma ellittica non troppo grande né profondo, che, probabilmente, in casi normali, nessuno avrebbe nemmeno notato. Eppure, stando a quanto diceva quel tipo mascherato, quel buco era riuscito a curare non solo il Dottor Brief, ma anche altri pezzi grossi di Metropolis. 
 
  Per un po' di tempo, l'incapucciato si limitò a guardarlo scettico, provando a cogliere qualche frammento del suo presunto potere, sentendosi però ridicolo come non mai... Alla fine sospirò e, cercando di mantenere inalterato il suo orgoglio, tese la mano verso la pancia della statua.
 
  Fu veloce. Estremamente veloce. Così veloce che l'unica cosa che l'essere notò all'inizio fu qualcosa di simile a una grossa vite, che bucava la parete alla sua sinistra e che ancora ruotava su se stessa. Abbassò lo sguardo e vide la sua mano tesa recisa di netto, come se qualcuno ci avesse passato sopra il filo di una lama, facendo cadere quantità copiose di sangue... blu.
 
  - Credevo che il fatto che alcune persone avessero il sangue blu fosse solo una leggenda... A quanto pare, mi sbagliavo - disse una voce non lontana che fece voltare l'incapucciato.
 
  L'essere si tenne il braccio ferito e e fece per voltarsi verso il luogo da cui proveniva la voce. Tuttavia, prima che potesse muoversi, sentì qualcosa di strano, come una forma di tenue calore avvolgere la sua mano. Si voltò nuovamente verso la statua e quel calore divenne più forte, mentre una specie di vento lo attraversava. Abbassò la sguardo e vide il sangue ricoagulare, mentre anche la mano pendente si risollevava, finché poi non tornò esattamente come prima, ponendo fine al vento e al calore.
 
  - Incredible, vero? - domandò la stessa voce di prima - È quasi assurdo vedere come i colpi di un perdente come me finiscano sempre per essere totalmente inefficaci! -
 
  L'essere non perse tempo e con uno scatto veloce si voltò verso la voce e poggiò le dita sulle tempie coperte, facendo apparire una piccola luce all'interno del cappuccio. La fronte del ragazzo che aveva parlato si illuminò a sua volta, formando il simbolo dello Scorpione. Quello si toccò la fronte e, con un gesto semplicissimo, rimosse il simbolo dalla sua testa come se fosse un adesivo e lo buttò via sorridendo.
 
  - Poteri psionici - sorrise il ragazzo - Interessante... -
 
  L'essere indietreggiò lentamente e osservò attentamente il suo avversario. Era un ragazzo alto, che sembrava avere sui 17-18 anni, con indosso sopra scarpe e pantaloni neri, una camicia a maniche lunghe e a colletto alto anch'essa nera. Anche i capelli erano rigorosamente neri e risaltavano sulla sua pelle bianca quasi pallida. Solo gli occhi erano azzurri e l'unica cosa non nera che indossava era il cerchietto che era intorno al colletto e che, per certi versi, lo faceva assomigliare a una specie di prete. Aveva un sorriso strano, sincero e spontaneo, di quelli che si potevano trovare nei ibambini, ma che appariva alquanto inquietante addosso a lui.
 
  - Perciò - disse il ragazzo con quel suo sorriso da bambino - Tu, senza mostrarti e uccidendo pure uno dei nostri membri, sei venuto fin qui per toccare l'ombelico a quella statua? Credi davvero che io possa lasciatelo fare? -
 
  L'essere indietreggiò ancora e, lentamente, mise le mani dentro una tasca del mantello.
 
  - Cioè, non è che mi importi poi tanto di quello che fai. Il punto è che se tocchi quel buco sono due le cose che potrebbero accadere - disse il ragazzo smettendo di sorridere e annuendo grave mentre scendeva i gradini - Potresti toccarlo e il suo potere finirebbe per sopraffarti e farti esplodere, e poi dovrei ripulire tutto, cosa che, francamente, non ho molta voglia di fare. Altrimenti, potresti essere anche abbastanza forte da sopravvivere, ma in quel caso avresti un potere anche troppo grande che potrebbe essere destinato anche a compiere del male, e poi finirebbero per prendersela con me perché non ti ho fermato in tempo -
 
  L'essere continuò a indietreggiare, nervoso, osservando attentamente il suo avversario. All'apparenza non sembrava troppo forte ma qualcosa gli diceva che quella era solo scena.
 
  - Perciò - disse allungando la mano verso l'essere, mostrando la palma - Temo di non avere altra scelta se non... - fece una pausa, mentre socchiudeva gli occhi e la sua bocca si contorceva in un sorriso diabolico quasi innaturale - Ucciderti! - dichiarò divertito, chiudendo il pugno.
 
  La terra tremò qualche istante e, prima che potesse fare alcunché, delle viti giganti uscirono dal pavimento, dalle pareti e dal soffitto, trafiggendolo l'incapucciato da parte a parte, mentre il sangue blu bagnava le punte delle armi e la terra sotto i suoi piedi.
 
  Il ragazzo lo guardò sorridendo in modo spaventoso e poi si voltò, pronto ad andarsene, quando sentì all'improvviso dei ticchettii e qualcosa di leggero sbattere contro il suo piede. Abbassò lo sguardo, e sotto di lui vide otto dadi che rotolavano e che si poggiavano proprio lì accanto. Mostravano quattro numeri quattro e quattro otto. Non passò molto che quelli si illuminarono di azzurro e, insieme a loro, anche l'essere trafitto che, in poco tempo, scagliò via le quattro viti che si schiantarono contro le pareti, mentre il sangue a poco a poco spariva.
 
  Quando la luce si spense, non c'era più un essere incappucciato davanti al ragazzo, ma una ragazza. A un primo sguardo poteva quasi sembrare umana, ma bastava dargliene anche solo un secondo per rendersi conto che lei di umano aveva ben poco. La sua pelle era grigia come il basalto, i suoi occhi erano grandi e gialli, con una pupilla in quello sinistro e ben sette, di cui sei sei disposti a raggiera intorno a quella più grande centrale, nell'altro. I capelli erano lunghi e neri e su di essi due corna arancioni avevano la forma, una di un pungiglione e l'altro di una chela, mentre i suoi canini erano grandi quanto i denti di un vampiro. Indossava una giacca grigia su una maglietta nera, su cui era stampato il segno dello Scorpione, sopra un paio di jeans e degli stivaletti rossi.
 
  - Wow! - esclamò il ragazzo stupito - Non credevo che Eva avesse creato mostri di questo tipo -
 
  La ragazza non perse tempo e, con uno slancio, corse verso il suo avversario, con i pugni tesi, pronti a colpire, che però quello riuscì a parare.
 
  - Ehi, mostriciattolo. Cosa speri di fare? - domandò il ragazzo ghignando.
 
  La ragazza, che in un primo momento aveva un'aria frustrata, distese il suo volto in un sorriso e, prima che lui potesse fare qualunque cosa, gli diede un calcio tra le gambe. Il ragazzo urlò dolorante, e lei si abbassò raccogliendo i dadi, per poi con un balzo indietreggiare.
 
  - Non voglio perdere tempo con te - disse la ragazza agitando i dadi - Perciò, ti do la possibilità di andartene, prima che mi girino davvero le scatole! -
 
  - Stronza! - urlò il ragazzo fuori di sé - Quello era un colpo basso. È sleale! - allungò la mano, dove apparve, all'improvviso, una vita grande quanto lui - Ti insegno io a colpire basso! - gridò alla fine lanciandosi verso di lei.
 
  La ragazza sospirò e lanciò i dadi che si illuminarono ancora, facendo apparire nelle sue mani un enorme fucile al plasma. Velocemente, prese la mira, e sparò un raggio al plasma che attraversò il busto del ragazzo distruggendolo, per poi esplodere sugli spalti.
 
  Il fucile sparì e i dadi tornarono in mano alla ragazza, che si prese un po' di tempo a osservare i pezzi che erano rimasti di quel ragazzo.
 
  - Te l'avevo detto - disse atona, per poi voltarsi, quando, d'un tratto, con la coda dell'occhio, vide qualcosa la fece impallidire.
 
  - All fiction! - disse il suo avversario, avvolto da un'aura nera, che si stava sollevando in piedi e che sorrideva in modo assolutamente innaturale, con i lati della bocca che sfioravano le orecchie.
 
  La ragazza si voltò stupita, sconvolta, ma al contempo interessata, verso il ragazzo che adesso si ergeva tranquillo in piedi, sorridendo come un bambino e con le palme delle mani, tenute basse, rivolte verso di lei.
 
  - Mi devo correggere. Tu non sei un mostro di Eva. Chi sei tu? - domandò quasi ingenuamente.
 
  - Il mio nome è Vriska - sorrise la ragazza - Vriska Serket, e sono un troll. E per risponderti, no, non ho mai conosciuto quella tua "Eva". Tu invece, devi essere quel ragazzino del progetto Minus, vero? -
 
  - Al tuo servizio - rispose inchinandosi - Il mio nome è Kumagawa Misogi, ma puoi anche chiamarmi Minus, se preferisci -
 
  Vriska lo guardò divertita e poi, velocemente, si scansò evitando una vite che usciva dal terreno come un arpione. 
 
  - Mi spiace deluderti - disse la ragazza troll, appoggiandosi all'arma del suo nemico - Ma dubito che delle viti troppo cresciute siano sufficienti per uccidermi. In realtà, temo che sia tutta questa situazione insufficiente per uccidermi - aggiunse, leccandosi le labbra.
 
  - Interessante - rispose Minus, sorridendo in modo inquietante per un attimo, per poi tornare velocemente alla sua solita espressione infantile - Ma toglimi una curiosità. Perché vuoi l'ombelico? Sei già abbastanza forte così, che te ne fai di quel potere? O devo dedurre che tu sia una feticismi accanita? -
 
  - Ho le mie ragioni - ribattè Vriska, improvvisamente seria - Ma sappi che non ho alcuna intenzione di fare niente di fottutamente malvagio, se è questo che ti fa preoccupare. Voglio solo un po' di potere in più, quindi puoi anche sparire -
 
  La ragazza si voltò verso la statua quando, d'un tratto, l'ambiente cambiò totalmente, ritrovandosi all'improvviso su di un prato verde, pieno di fiori, con un cielo azzurro sulla testa. Non c'era più traccia di alcuna cosa che potesse anche solo ricordare il teatro, nemmeno della statua.
 
  - Cosa... COSA HAI FATTO? - urlò Vriska  rabbiosa.
 
  - Tranquilla - rispose nella più assoluta tranquillità il Minus - È solo un'illusione.
 
  Calmo e sorridente, il ragazzo si avvicinò pian piano verso la ragazza con le corna, mentre il suo sguardo diventava sempre più inquietante passo dopo passo.
 
  - Vedi - disse con un sorriso innaturale - Per un perdente come me incontrare un essere come te è qualcosa di più unico che raro. Voglio vedere quanto in fondo puoi spingerti -
 
  In un istante, apparve proprio davanti a Vriska e si avvicinò al suo orecchio.
 
  - Facciamo una sfida - sussurrò con voce melliflua - Se tu mi batti, potrai toccare la statua. Se, cosa di cui dubito, sarò io a vincere, allora tu sparirai e non ti farai più vedere. Ci stai? -
 
  Velocemente si allontanò e rivolse le spalle alla sua avversaria.
 
  - Dopotutto, può essere per te un buon modo per poter vedere con i tuoi occhi che cosa è in grado di fare l'Ombelico, no? - domandò alla fine girando leggermente la testa quel tanto che bastava per farle sentire un brivido percorrere la schiena.
 
  - Va bene, ci sto! - rispose combattiva, stringendo i dadi e cercando di nascondere la sua inquietudine. 
 
  - Perfetto! - esclamò alla fine, girandosi e allargando le braccia, mentre sorrideva come un bambino - Ma dimmi - aggiunse, tornando velocemente, anche troppo, a un aspetto più inquietante - Cerchi qualcosa? - 
 
  Vriska strabuzzò gli occhi e aprì il pugno che teneva i dadi, vedendo però al loro posto delle semplici viti. Alzò lo sguardo e vide Kumagawa che li teneva tra le mani sorridendo. 
 
  Imprecando, la ragazza si lanciò verso l'avversario con i pugni tesi, ma proprio mentre lei lo stava per colpire dritto in faccia, il Minus sparì, per riapparire poco dopo dietro di lei e darle una gomitata tra le scapole che la fece urlare di dolore, seguito poco dopo da un affondo con una vite gigante che le trapasssò la testa, facendo schizzare ovunque il suo sangue blu. Le diede una spinta finale e la buttò a terra, sorridendo come un pazzo. Fece un paio di passi e mise il piede sul capocchio della vite, che iniziò a girare su se stessa come sotto l'effetto di un trapano, facendo così a brandelli la testa di Vriska, che lanciava ovunque pezzi di carne, ossa e sangue. Spinse con sempre più forza, finché poi la vite non si incassò nel terreno, facendone uscire a sua volta altre tre che le trafissero il busto e le gambe.
 
  Ridendo come un pazzo, Kumagawa si allontanò dal corpo martoriato della ragazza, osservando il suo lavoro.
 
  - Voglio proprio vedere come risorgi adesso senza i tuoi preziosi dadi! Anche se, certo, mi sarei aspettato molto di più da parte tua pe... - stava dicendo il ragazzo, prima che una specie di ragazza vampiro zombie con le corna dal sangue blu gli scaricasse un deciso pugno sul naso, facendolo sanguinare.
 
  - Cosa?! - domandò sconvolto Kumagawa tenendosi il naso con la mano libera - I tuoi dadi... -
 
  Non riuscì a finire di parlare che la sua avversaria insanguinata gli scaricò un nuovo pugno sullo stomaco, facendogli sputare sangue e saliva. Il ragazzo ebbe appena il tempo di riprendersi dall'ultimo colpo che subito Vriska fece una piroetta e lo colpì con un calcio dritto in faccia, buttandolo a terra e facendo cadere i dadi che raccolse subito.
 
  Kumagawa si sollevò e guardò la sua avversaria ancora sporca di sangue, le cui ferite si erano però rimarginate. 
 
  - Tocca a me adesso! - sorrise la ragazza, agitando la mano e lanciando i dadi.
 
  Kumagawa, tuttavia, non si fece cogliere impreparato, e, con una velocità impressionante, batté le mani, facendo spuntare, in contemporanea, quattro enormi viti che le piombarono addosso come quattro serpenti che aggrediscono un topo.
 
  Il ragazzo annaspava visibilmente, apparentemente provato dallo scontro, ma, qualche secondo più tardi, una forte luce avvolse l'ambiente, partendo dal punto dove, poco prima, era stata colpita la ragazza grigia. 
 
  La luce fu tanto forte da accecare il Minus che, per proteggere gli occhi, si coprì la faccia. Poco dopo, la luce si affievolì e, a poco a poco, gli occhi si riabituarono all'ambiente e vide qualcosa che sembrava un'ombra avvicinarsi lentamente.
 
  Il ragazzo allargò le braccia e sorrise, intuendo che il momento che aveva aspettato sin dall'inizio era finalmente arrivato. Vriska si era finalmente trasformata e perciò adesso non solo sarebbe stata ancora più forte ma....
 
  - COOOOOOOSAAAAAAAAAA????????!!!!!!!!!!! - urlò Kumagawa sconvolto e in preda all'orrore. 
 
  La luce sparì del tutto e il sorriso compiaciuto di Vriska sparì, diventando un'espressione confusa. Che aveva da urlare in quel modo?!
 
  - Tu... - ringhiò in tono accusatorio, puntando l'indice - Tu... Tu non puoi farmi QUESTO! Cioè, ma guardati! Me lo chiami costume da combattimento quello?!
 
  Vriska si guardò confusa la sua uniforme da god-tier senza riuscire a capire quale fosse il problema di quel tipo.
 
  - Cioè, ok, le ali da fata sono carine, te lo concedo! - esclamò, alzando le braccia - Ma dimmi una cosa. Cos'hanno in comune ragazze del tipo di Sailor Moon, Elza Scarlett e tutte le altre ragazze fighe e cazzute di Metropolis? Te lo dico io, indossano tutte vestiti attillati, scollati, con le gambe in mostra e alcune volte pure le... Mutandine - si fermò, mordendosi la mano con le lacrime agli occhi, quasi fosse commosso - Tu... Tu invece... Si può sapere perché diavolo ti sei andata a mettere il pigiamone della nonna?! -
 
  Sì fermò, camminando avanti e indietro come un leone in gabbia, mentre una vena sul collo di Vriska pulsata in modo alquanto vistoso.
 
  - Cioè... Ma guardati! - esclamò indicandolo con entrambe le mani, con un'espressione disgustata in volto - Quella sottospecie di pigiama arancione con un sole sul petto... Ti sta pure largo! Non si vede NIENTE. Nemmeno con la fantasia sarei in grado di dire una taglia! E poi... Le mutandine... Le bellissime mutandine... DI CHE COLORE SARANNO???!!!! - esclamò alla fine alzando le braccia al cielo, quasi stesse chiedendo un aiuto divino, prima di ritrovarsi egli stesso in aria.
 
  Se infatti Vriska, in un primo momento era rimasta ferma a osservarlo sconvolta, appena cominciò a nominare le mutandine, sentì di non poter più resistere. Con il suo "pigiama" arancione con un sole giallo sul petto e un cappuccio con dei buchi per la corna, si scagliò verso di lui con un battito delle sue ali da fata, lanciando nel frattempo anche i dadi che assunsero le sembianze di uno spadino giallo nelle sue mani. Lo raggiunse in fretta, lo afferrò per il collo e lo lanciò in aria per poi, prima che potesse che fare qualunque cosa, spiccare un balzo verso di lui con l'arma sguainata e colpirlo.
 
  Tutto intorno l'ambiente creato dal Minus svanì e i due si ritrovarono nuovamente al centro dell'Arena nel sotterraneo di quell'edificio. Kumagawa era a terra, sanguinante, con un profondo squarcio sulla pancia da cui il sangue colava copioso. Lo stesso sangue rosso che ricopriva anche lo spadino di Vriska, che era atterrata proprio davanti alla statua.
 
  -E così... - disse il ragazzo ferito - Il perdente nato viene sconfitto ancora. Ti conviene sbrigarti, ragazza. Potrei morire tra poco e allora ci toccherebbe ricominciare - aggiunse alla fine, sogghignando. 
 
  - Ne dubito - rispose Vriska, osservandolo divertita - Sappiamo entrambi che tra i poteri dell'Ombelico c'è la capacità di guarire le persone da ogni forma di male, ma, francamente, non credo che riuscirà a guarire presto la ferita che ti ho fatto.
 
  Muovendosi lentamente, la ragazza si chinò sul ferito e si accostò al suo orecchio, mentre lui la guardava preoccupato. 
 
  - Vedi, io non solo ti ho fatto un bel taglio sulla tua pancia, tagliandoti gli intestini, ma mi sono spinta anche oltre, arrivando a graffiare anche l'aorta - sussurrò - Sai, hai ragione. Sei un perdente, ma chiunque lo sarebbe con me, con la grande Vriska Serket, ladra della luce, colei che ruba anche la fortuna - si avvicinò ancora un poco, facendogli sentire il tatto della lingua sul suo orecchio - Avrei potuto sbagliare, sarebbe bastata un po' più di profondità e saresti morto.
 
  Si alzò e si incamminò ancora verso la statua, alzando la mano a mo' di saluto. 
 
  - Ma, come sempre, la fortuna è tutta dalla mia parte e il taglio è stato sufficiente profondo da stenderti, ma non abbastanza da... Ucciderti - aggiunse, girandosi verso di lui e schiacciando l'occhio con le sette pupille - Chissà quanto ci metterà a farti riprendere... -
 
  Continuò a camminare per ancora un po', finché poi non si fermò davanti alla statua. La osservò attentamente da capo a piedi, prima di soffermare lo sguardo sul suo ombelico, posto proprio di fronte ai suoi occhi.
 
  - Ti sei mai chiesta perché Minus? - domandò il ragazzo ansimando.
 
  Vriska si voltò, sorpresa nel sentirlo parlare ancora.
 
  - Minus è una parola latina - rispose sorridendo triste, con i denti sporchi di sangue - Vuol dire "Cosa più piccola". Un nome curioso... Per un progetto... Che mirava alla creazione... Di un dio - affermò, fermandosi più volte a prendere fiato - Beh... l'ombelico è un posto strano... In cui nascondere un potere del genere... Vero? Insomma... Uno si aspetterebbe... Un anello... Una corona... Uno scettro... O magari anche un occhio... Ma un buco sulla pancia di una statua... Che posto è? - si fermò e sorrise triste - Il potere delle piccole cose... - aggiunse alla fine, chiudendo gli occhi e riposandosi. 
 
  - In fondo, sei stato un bell'avversario, sai? - rispose lei, rivolgendogli uno sguardo furbo con la coda dell'occhio, a cui lui rispose solo con un ghignò stanco e alzando il dito medio.
 
  La ragazza grigia si concentrò, muovendo le mani freneticamente, sentendosi disgustata da ciò che stava per fare, ma che a quanto pare aveva i suoi effetti. Lo scontro con il Minus, alla fine, si era rivelato utile a capire il potere della statua e a rendersi definitivamente conto che era proprio il potere che cercava: un potere che le garantisse la resurrezione indipendentemente dal motivo che la conduceva alla morte, superando così il limite del god tier. Se solo lo avesse avuto prima...
 
  Fu una notte, non molto tempo fa, quando Vriska tornò al rifugio dove viveva insieme ai suoi compagni, troll come lei. Era davanti alla porta, quando un rumore sospetto la mise in allarme. Si concentrò, osservando fissa la porta con le sue otto pupille, riuscendo così a guardarvi attraverso. Ciò che vide la riempì di orrore.
 
  All'interno del rifugio, molti dei suoi compagni giacevano a terra, morti e squarciati in più punti, con tante varietà di sangue colorato sparse ovunque nella stanza. I due troll che non erano ancora caduti lottavano con ferocia, uno sparando fiamme dagli occhi, l'altro sparando con il suo fucile ovunque. Tuttavia, nonostante i loro sforzi, qualcosa di estremamente veloce e pericoloso, gli passò accanto ed entrambi si ritrovarono decapitati, mentre dai loro colli fluiva come da delle fontane sangue rispettivamente giallo e viola. 
 
  L'essere allora si fermò, mostrandosi come una bambina dagli occhi rossi sporca di sangue di vario colore, con due enormi lame strette tra le braccia che usò per infierire divertita sui corpi delle sue ultime vittime.
 
  Con lo sguardo, Vriska cercò Aradia, l'altra troll che, come lei, godeva del titolo di god tier, ma notò che anche lei era morta, letteralmente tagliata in due. Doveva aver commesso un'azione incredibilmente eroica per morire a quel modo... 
 
  D'un tratto, ci fu un colpo di vento all'interno della stanza e un essere apparve dal nulla, in mezzo al massacro. Aveva un vestito nero a pallini colorati, accompagnato da un ombrello che portava come bastone e quella che sembrava una maschera totalmente bianca che rappresentava un volto sorridente estremamente inquietante, con sopra un cappello a cilindro. L'essere, nell'alto di quelli che sembravano almeno due metri e mezzo d'altezza, osservò il massacro quasi compiaciuto, com'era intuibile dai suoi atteggiamenti. 
 
  Vriska non sapeva cosa fare, se mettersi a correre da vigliacca o andare lì e combattere. L'unica cosa certa era che entrambe le azioni avrebbero potuto portarla a una morte senza scampo. Ma, in realtà, fu proprio questa sua indecisione a salvarla perché, prima che lei potesse accorgersene, la sua testa esplose in un mare di sangue blu, lasciando al suo posto l'ombrello aperto dell'uomo sorridente.
 
  Vriska aveva cercato di accantonare il ricordo finora, perché se fosse morta con il desiderio di vendetta nella mente, era sicura che non sarebbe tornata. Ma, ormai solo pochi centimetri la sparavano dal suo obiettivo, e, così, spinta dal ricordo, allungò la mano e toccò l'ombelico.
 
  La prima cosa che sentì fu una strana sensazione al tatto, come se non stesse toccando del granito, ma vera e propria pelle. Poi sentì qualcosa di strano, come se qualche specie di energia la stesse attraversando sotto pelle. Il suo corpo, d'un tratto, iniziò a brillare, mentre quell'energia diventava più forte e sembrava bruciare dentro come se qualcuno le avesse lanciato dentro una molotov. Alla fine, quando il bruciore si fece insopportabile, venne come scagliata lontano dalla statua, finendo lanciata a terra non molto distante dal Minus. 
 
  Dolorante e ansimando, la ragazza troll si sollevò a fatica, lanciando un ultimo sguardo alla statua, che non sembrava aver subito alcun effetto. Alla fine, si rialzò e vide che i suoi vestiti erano cambiati ancora. Aveva addosso una specie di giacca blu scuro, accompagnata da un paio di leggings e delle scarpe nere con i tacchi. Sembrava un costume da piratessa che però non le dispiaceva affatto. Notò che anche le ali adesso erano più grandi e maestose.
 
  D'un tratto, superato lo shock iniziale, iniziò a sentire qualcosa di diverso rispetto a prima. Si sentiva forte, molto forte, in grado di piegare le montagne e fare a pezzi un grattacielo. E in più, si sentiva fortunata come non mai. 
 
 Prese i dadi, li scosse un poco e poi li lanciò in alto verso il soffitto della stanza, contro cui andarono a sbattere e si illuminarono, diventando una bomba che scavò un buco sul soffitto, che portava all'esterno.
 
  - Bello come potere... Non è vero? - riuscì a domandare Kumagawa con una voce un po' strana.
 
  Vriska si voltò e vide che il ragazzo era proprio sotto di lei, che guardava sotto la giacca con un'espressione indecifrabile. Lei non urlò. Non si nascose. Non disse niente con indignazione. Tutto ciò che fece fu scaricare un calcio in faccia al ragazzo con una forza sorprendente, che lo sollevò via da terra e lo inchiodò al muro di fronte, con un'espressione più estasiata che altro.
 
  - Ci vediamo presto, Kumagawa! - salutò Vriska con un ultimo occhiolino e poi prese il volo.
 
  Aveva volato altre volte con le sue ali fatate, ma mai si era sentita tanto veloce e tanto agile. Poi uscì da sotto terra e si ritrovò nel cielo, a un'altezza che mai aveva raggiunto in passato. Chiuse gli occhi e mise le mani sulla fronte, cercando il suo bersaglio. Lo ruvide, il suo volto bianco e costantemente sorridente, che in un primo momento aveva scambiato per una maschera: colui che era era responsabile della sua morte e di quella di tutti i suoi amici.
 
  - Sta' attento, Splendorman, questa volta sarai tu a morire! - urlò al vento, mentre volava attraverso il vento verso il suo bersaglio.
 
 
 
Non molto distante da lì, nel rifugio dove vivevano i giovani troll, qualcuno si stava muovendo, facendo attenzione a non calpestare nessun corpo martoriato. L'essere, che era anch'esso un troll, si muoveva meccanicamente come se fosse un sonnambulo, con addosso vestiti anche alquanto bizzarri. 
 
  Uscì dalla stanza del massacro e prese l'unica scala che lo conduceva al piano terreno, dove c'era un portone che usò per uscire in mezzo alla folla. In pochi, tra quelli che erano in giro, fecero caso alla sua pelle grigia, ai suoi occhi, un po' più grandi del normale e gialli, e a quelle piccola corna che fuoriuscivano dal cranio come delle protuberanze. 
 
  A poco a poco, però, il ragazzo si stava riprendendo, rendendosi lentamente conto di ciò che aveva intorno. Guardò le sue mani grigie come la cenere e poi ai suoi vestiti, costituiti da un mantello, una canotta nera con delle strisce rosse verticali che lasciava scoperta le braccia e il petto, su cui erano stampati un sei e un nove orizzontali e antiparalleli, e con sotto dei leggings neri a strisce rosse che sembravano un tutt'uno con la canotta.
 
  Karkat, questo era il nome del ragazzo troll, in un primo momento, rimase sorpreso nel vedersi così, poi però la sorpresa divenne confusione, poi tristezza, poi disperazione al ricordo di quanto era successo nel rifugio e infine rabbia, una rabbia così forte che generò un urlo dentro di lui, un urlo che se non fosse stato rilasciato avrebbe finito per distruggerlo. Un urlo composto da una sola parola.
 
  - CAAAAAAAAAZZOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! -
 
 
  
 
Angolo autore:
 
Bene, alla fine pubblico almeno questa storia. Sembra quasi un miracolo, lo so.
 
Invece, approfitto di questo angolo per avvisare quei poveri sciagurati che ancora mi seguono, che d'ora in avanti scriverò solo one-shot, magari tratte da Long elaborate ma mai scritte finora, come questa. Per le Long già in corso, io proverò a pubblicare il finale di "I feel like a monster" per quest'estate, se il computer fisso sopravvivo. Sì, perché in questo momento sto utilizzando il tablet per scrivere...
 
Comunque sia, adesso metterò i nomi dei personaggi nella storia e le opere da cui provengono.
 
L'incapucciato ovviamente era Vriska Serket da Homestuck
 
La donna rapita era Bulma di Dragon ball.
 
Aster "Tiranno" è l'antagonista delle Cronache del Mondo Emerso, che qui ho trasformato in un imprenditore. 
 
Kumagawa Misogi proviene dal mondo di Medaka Box, e non sono sicuro che la derivazione effettiva della parola Minus nell'anime e nel manga sia quella che ho dato io.
 
Il professor Shiranui è il preside di Medaka Box.
 
Adam Kadmon è... Sè stesso XD
 
L'ultimo personaggio è Karkat sempre di Homestuck.
 
La bambina assassina è Kohina Hiruko di Black Bullet e, in realtà, ci tengo a precisare che io ho fuso, date anche le somiglianze, il personaggio di Splendorman a Kagetane Hiruko della stessa serie. Tra parentesi, io per tutto l'anime l'ho sempre chiamato Splendorman XD
 
La città di Metropolis e la statua invece sono un'invenzione mia e se vi chiedete perché ho voluto usare un ombelico come fonte di potere, la risposta la dà Kumagawa nella storia: semplicemente, un po' di originalità. 
 
Un saluto,
 
Darksaurus 97 
 
 
  
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