Serie TV > Criminal Minds
Ricorda la storia  |      
Autore: JulyAneko    10/04/2009    1 recensioni
Quell'uomo avrebbe potuto ucciderlo. E nonostante tutto si ritrovava vivo. Vivo senza aver combattuto. Scosse la testa. Doveva farsene una ragione. Doveva farsene una ragione!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Derek Morgan
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Untitled Document

SPOILERS: La storia è ambientata poco dopo la puntata 4x18 - Omnivore.
DISCLAIMER: I Personaggi non mi appartengono, ma sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.

 

FENICE

Si era diretto là sperando che la sua mente trovasse un po' di pace. Dopo quel caso era rimasto decisamente scottato. Si era ritrovato impotente. Impotente. Lui che era sempre abituato a trovarsi nelle situazioni più estreme, che era abituato a cacciarsi, volontariamente, in situazioni pazzesche.. stavolta aveva vacillato. Si era lasciato atterrare e non aveva potuto reagire. Tutto era diventato scuro e la sua coscienza aveva abbandonato ogni barlume. Era svenuto convinto di non svegliarsi mai più. Invece, invece si era ripreso e si era ritrovato vivo, col fiato in bocca.
Sospirò salendo i gradini che lo dividevano dalla porta di quella bella villetta bianca.
Ricordava ancora quando aveva deciso di comprarla, l'agente immobiliare era una bella donna dai capelli castani raccolti in un importante chignon e lui aveva avuto da subito la tentazione di slegarli e farli ricadere sulle spalle a contornarle il bel viso. Non ricordava come mai avesse avuto quella sensazione, sapeva solo che alla fine della serata l'aveva fatto, quando si erano ritrovati a bere un aperitivo insieme e già erano passati alla fase di una conoscenza non solo lavorativa.
Non sapeva esattamente quale effetto suscitasse su alcune donne. Beh, a dirla tutta.. su molte donne! Lui sorrideva gentile, beh.. magari in modo affascinante, e il gioco era fatto.
A quei pensieri scosse la testa mentre proprio un sorriso gli coloriva le labbra.
Si decise a far girare quella chiave nella serratura e aprì la porta di legno massiccio entrando in un grande soggiorno arredato come se fosse sempre primavera. Una piccola abatjour posizionata su un tavolinetto di vimini accanto al divano, illuminava tutta la stanza già inondata dalla luce proveniente da una grande vetrata che dava su una piccola terrazza affacciata sul mare.
Velocemente posò il borsone nero e si avvicinò alla vetrata per uscire fuori. Appena mise piede in terrazza sentì il gelo del mare in inverno sulla sua pelle, sentì il salato portato dal vento appiccicarsi al suo viso. Respirò a pieni polmoni cercando di inebriarsi di quella sensazione di benessere che gli invadeva il corpo.
Restò qualche attimo ad osservare le onde appropriarsi di qualche frammento di sabbia per poi ritornare sui propri passi e ricongiungersi all'infinità mare.
Gli piaceva stare in quella casa, gli dava una sensazione di serenità che il suo lavoro gli concedeva ben poche volte.
Lentamente si sfilò le scarpe sentendo il freddo del pavimento invadergli la pelle dei piedi e salire sulle caviglie, allora poggiò le mani sul marmo del balcone della terrazza così che anche le sue dita potessero gelarsi a quel contatto.
Amava il caldo di una giornata estiva ma quel ghiaccio, quella sensazione che gli aveva sempre donato quella posizione non l'avrebbe mai ritrovata in un sole splendente.
Per un attimo chiuse gli occhi e quei momenti che rivedeva ormai da giorni gli passarono nuovamente per la mente. Si maledì per questo perché quei ricordi lo facevano sentire inerme, lo facevano sentire chiuso in gabbia senza che lui che potesse reagire, senza che lui potesse urlare, dimenarsi, pensare.. salvarsi.
Mi aveva fra le sue mani. (1)
Una frase veloce che passò nella sua mente lasciando una schiera di cadaveri dietro di sé.
Odiava, odiava quella situazione! Odiava l'essersi trovato sul punto di morire e non esserlo perché inerme. Non si dava pace, per lui era sconfitta. Anche se era vivo.
Potere e manipolazione, non lasciare che ti prenda. (1)
Erano state queste le parole di Hotch, e lui sapeva benissimo che il suo capo aveva ragione. Lo sapeva, era cosciente della fortuna che aveva avuto ad essere ancora in vita, ma non avrebbe voluto avere quella fortuna così, in quel modo.. inerme.
Si riscosse dai suoi pensieri sentendo una allegra voce provenire dalla spiaggia. Guardò davanti a sé vedendo una bambina dai capelli color del grano legati in due buffi codini correre velocemente verso il padre che la stava aspettando a braccia aperte. Vide la bambina gettarsi in quella braccia forti che la sorressero e la portarono al petto e vide due enormi sorrisi formarsi sulle labbra di padre e figlia. Più indietro notò una snella figura di donna camminare verso i due con in mano un paio di scarpine rosa che la bambina non portava.
Improvvisamente gli venne una gran voglia di sabbia, di sentire quei granelli sfiorargli la pelle. Senza pensarci prese le scalette alla sua destra e scese verso la spiaggia. Quando sprofondò i piedi in quell'umida sabbia sentì il peso dei suoi pensieri farsi più lieve. Doveva imparare ad andare avanti, ad essere più razionale, ad affievolire il suo orgoglio.
Doveva farlo. Doveva farlo se voleva continuare a vivere quella serenità che solo quella casa riusciva, ora, a donargli.
Camminò fino ad arrivare sulla battigia e immergere i piedi in quell'acqua così tremendamente gelida. Sentiva che tutta quella situazione gli purificava l'animo. Era come se quella quiete lo rassicurasse.
Mentre tornava sui suoi passi sentì il fondo dei pantaloni bagnati impregnarsi di sabbia e appiccicarsi alle sue caviglie. Sorrise calpestando un piccolo tappetino che teneva sempre in cima alle scalette, per scuotersi dalla sabbia che comunque sapeva avrebbe portato inevitabilmente dentro casa.
Si era preso quel fine settimana solo per sé, da dedicare a se stesso e alla sua mente. Sapeva che doveva rimettere a posto i cocci che erano stati infranti quel giorno da quell'uomo che si faceva chiamare Il Mietitore.
Rientrò in casa e velocemente corse in bagno sfilandosi i pantaloni e abbandonandoli dentro la vasca. Li guardò accasciarsi a formare un lago nero a contrasto con la lacca bianca di quella piccola vasca addossata ad una parete. Sospirò specchiandosi nello specchio ovale sistemato davanti al lavandino sul quale aveva poggiato le mani.
Era stanco. Si ritrovava dannatamente stanco, lui che era sempre energico e solare si ritrovava spossato. Ma era certo che quando sarebbe uscito da quella casa per tornare a Washington sarebbe nuovamente stato il Derek Morgan di sempre. Solo con una ferita in più, una ferita che si sarebbe cicatrizzata.
Osservò i suoi lineamenti morbidi per poi puntare lo sguardo nei suoi occhi riflessi.. forse ora sarebbe stato in grado di affidare la sua vita ad Hotch? Al team? E forse.. forse, in realtà, non ci stava già riuscendo quando non aveva voluto che sentire la voce di Penelope mentre portava a girovagare per New York una bomba?
Scosse la testa, se l'era vista brutta anche in quel momento. Aveva voluto ascoltare la voce di Penelope come fosse una ninna nanna da tenersi stretto al cuore. Era così legato a quella donna che non aveva nemmeno realizzato quanto vi fosse affezionato e quanti sentimenti provava per lei. Non era affatto innamorato di lei, era un legame molto più profondo, molto più radicato nell'animo. Lei era la donna che lo faceva sentire bene. Lei era la donna con cui scherzava, l'unica. Lei era la donna da proteggere. Lei, semplicemente, era la sua consolazione divina.
Con un gesto rapido aprì l'acqua del rubinetto e per qualche attimo restò in ascolto di quella cascata, di quel suono ritmato, poi vi immerse le mani e si strofinò il viso, togliendo quel buon salmastro che gli era rimasto attaccato alla pelle.
Quando scese in cucina, dopo aver indossato una semplice tuta blu, trovò ad aspettarlo quel sacchetto di hamburger che si era fermato a comprare prima di arrivare in quella casa. Svogliatamente lo aprì lasciando che l'odore del panino gli inebriasse le narici e in quel preciso momento desiderò di essere a Chicago, a casa sua, con le sue sorelle e sua madre. In quel momento desiderò un bel piatto caldo cucinato dalla sua bella madre.
Sorrise pensando a quella donna che lo aveva cresciuto per la maggior parte del tempo da sola, che aveva cresciuto tre bambini da sola ma senza mai demordere, senza mai arrendersi. Lui aveva preso molto da lei: la caparbietà, la testardaggine, il coraggio.. ma l'orgoglio lo aveva sicuramente preso da suo padre, da quel padre che era venuto a mancare troppo presto per colpa di quel lavoro che lui stesso aveva deciso di intraprendere.
A volte pensava al perché fosse voluto entrare nella polizia e nell'FBI e tutte le volte la risposta si mischiava fra il ricordo di suo padre e la rabbia per quell'uomo considerato un eroe, un salvatore, quando invece era un sudicio approfittatore di bambini.
Lui lo sapeva. Lui ci era passato.
Scosse la testa a quei ricordi, ormai rintanati in un angolo lontano del suo cuore, ma sempre pronti a venire a galla.. più che mai. Li rintanò lontani e rimase nella sua mente solo il sorriso di sua madre e l'odore di quei piatti così squisiti che preparava. Ed ora lui aveva davanti quell'odioso hamburger. Hamburger.
Sospirò andando verso la piattaia e tirando fuori un piatto dal bordo blu scuro dove poter posizionare il panino. Detestava non aver niente di meglio da mangiare ma questo era lo scomodo di arrivare in una casa nella quale non viveva la vita di tutti i giorni, anche se ormai passava molto più tempo sul jet di lavoro che nella sua casa a Washington.. la casa di tutti i giorni.
Addentò il panino assicurandosi che non fosse letale per poi andare a frugare nel borsone che aveva lasciato nell'ingresso e tirarvi fuori le sue grandi cuffie. Ecco, quell'oggetto, in qualche modo, gli faceva sentire l'odore di casa, gli faceva vivere bei momenti immerso nelle sue canzoni preferite, lontano con la mente anni luce dalla realtà. Era per questo che le portava sempre con sé ed era per questo che ad ogni viaggio di ritorno da un caso di lavoro, si lasciava il tempo di godere di una leggera melodia che gli animava le orecchie e gli arrivava dritto al cuore.
Gli era sempre piaciuto estraniarsi da tutto e da tutti, in un mondo tutto suo costruito con tanto impegno. Gli piaceva quando era un bambino bisognoso di coccole, quando era un ragazzo incapace di controllare la situazione nella quale era finito, quando era diventato grande e aveva potuto godersi il college, quando era diventato un agente col coraggio di affrontare ronde e malviventi, quando era diventato agente dell'FBI.. quando aveva conosciuto tutte quelle persone che, piano piano, erano diventate la sua famiglia.
Spesso si ritrovava con quelle cuffie alle orecchie mentre osservava i colleghi immersi nei loro pensieri ed era allora che si sentiva veramente a casa.
Finì il panino in pochi morsi, non voleva dilungarsi con quella tortura più del dovuto. Si distese sul divano color avorio, infilò le cuffie e avviò l'iPod.
Aveva preso quel fine settimana per se stesso e voleva goderselo il più possibile e la sua priorità in quel momento era riposarsi e rilassare la mente, togliere qualsiasi pensiero negativo, resettare il tutto e andare avanti.
Resettare. Andare avanti.
Ce l'avrebbe fatta.
Si svegliò di soprassalto balzando a sedere sul divano e facendo crollare a terra l'iPod. Vide il filo nero che arrivava alle cuffie, che ancora portava sulle orecchie, teso davanti ai suoi occhi. Osservò le oscillazioni che compieva mentre quel lettore mp3 cercava, invano, di fermare il suo movimento nel vuoto. Lentamente portò una mano alla fronte per poi sfilarsi le cuffie e abbandonarle sul divano, al suo fianco.
Si era addormentato mentre le note delle sue canzoni preferite lo facevano entrare in mondo tutto suo dove non c'erano più serial killer da catturare, malviventi da inseguire, pedofili da evitare. Non c'era più violenza, non c'era più ipocrisia. Morfeo lo aveva trascinato nella perfezione per poi ricordargli che non esisteva e che lui era vivo solo per una coincidenza.
Sveglia Derek. E' il momento di morire. (1)
Aveva ricordato quelle parole che non sapeva di aver ascoltato.
Erano arrivate ovattate alle sue orecchie e la sua mente le aveva cancellate nell'attimo esatto nel quale aveva perso i sensi, subito dopo.
Quell'uomo aveva avuto assoluto potere su di lui. Quell'uomo avrebbe potuto ucciderlo. E nonostante tutto si ritrovava vivo. Vivo senza aver combattuto.
Scosse la testa. Doveva farsene una ragione.
Doveva farsene una ragione.
Era lì, in quella casa, lontano da tutto e da tutti. Doveva riuscirci, doveva trovare il modo di voltare pagina, di andare avanti e sentirsi nuovamente proprietario del proprio corpo. Doveva ritrovare il controllo di se stesso.
Si alzò scuotendo la testa, credeva di averla passata quella fase, quei sogni, quei ricordi.. ma nel profondo sapeva bene che quel tormento non lo avrebbe mai lasciato. Lui poteva solo affievolirlo, renderlo più dolce.. ed era deciso a farlo.
Era notte fonda, da fuori si sentiva solo il fruscio del vento e le onde del mare agitarsi sempre più. Il tempo stava cambiando, sarebbe arrivato ancora di più il freddo.
Lentamente si alzò, sentendo i suoi muscoli addormentati flettersi. Distese braccia e gambe così da sentirsi come una corda di violino pronta ad essere suonata. Quel sonno aveva portato via tutta la sua voglia di dormire e la sua stanchezza si era tramutata in voglia di fare, di scoprire.. di scoprirsi.
Si diresse verso la vetrata che dava sul piccolo giardinetto davanti casa e scostò un poco la tendina bianca che la copriva. Tutto là fuori era tranquillo e avvolto nella notte scura.
Sospirò pensando che da qualche parte, in quel mondo, un uomo si stava dilettando col suo distintivo. Un uomo che sarebbe dovuto essere in prigione. Un uomo che lui avrebbe voluto affrontare a viso aperto. Un uomo che lui avrebbe voluto vedere morto.
Senza accorgersene strinse la mano in un pugno, lasciando che ricadesse sulla sua coscia e si mischiasse al tessuto della tuta che indossava.
Quello non sarebbe mai stato un caso chiuso. Né per lui né per tutti i componenti del suo team, specialmente per Hotch. Derek sapeva bene che il suo capo si era preso una bella responsabilità, sapeva bene che ora si sentiva distrutto come lo era in quel momento lui. Però sapeva bene che il dolore di Aaron era tutt'altro rispetto al suo astio risentimento d'orgoglio. Lo sapeva ma nonostante tutto non poteva impedirsi di pensare a quell'uomo e a quello che gli aveva fatto. Nonostante tutto era ancora lì a cercare di darsi pace.
Sfiorò il freddo vetro con le dita che tenevano la tendina bianca tirata per vedere fuori. Una macchina si era accostata sulla strada principale e i suoi fari illuminavano lo spiazzo proprio davanti alla sua casa, facendo brillare il colore rosso della sua cassetta per le lettere.
Stette in ascolto sentendo la musica provenire dall'interno dell'auto aumentare mentre una delle portiere si apriva per lasciar scendere un ragazzo e una ragazza. Seguì con lo sguardo quelle due figure avviarsi verso il viottolo della casa accanto alla sua mentre la macchina schizzava via lasciando dietro di se solo il rombo del suo motore potente.
Un sorriso increspò le sue labbra, ricordandogli come questo lo facesse sentire bene, al vedere quei due ragazzi abbracciarsi a vicenda e fermarsi vicino ad un cespuglio di rose, sistemato proprio prima delle scalette che portavano al portone d'ingresso. Vide il ragazzo staccare un solo petalo della rosa più rossa che abitava quel cespuglio e donarla alla ragazza mentre le cantava come la sua bellezza si mostrasse semplicemente anche da un solo e piccolo pelatolo di rosa, proprio come quello che lui le aveva dato.
Guardò quella scena e si sentì proprio come quei due ragazzi, tornato adolescente e voglioso di amore e in quel preciso istante capì che nessun s.i. poteva portargli via quello che sentiva dentro, quello che aveva costruito con tanta diligenza negli anni, quello che era. Non sapeva se sarebbe stato pronto ad amare, a sorridere, a vivere.. ma sapeva benissimo che avrebbe lottato con tutte le sue forze perché questo accadesse, perché il suo animo fosse pronto a voler vivere davvero. Per adesso poteva solo mettersi in gioco.
Restò ancora qualche attimo ad osservare quella scena mentre sentiva la ragazza sussurrare al giovane come lui fosse il suo eroe.
Eroe.
Quella era una parola che aveva legato alla sua mente come fosse la punta d'iceberg per ricordargli quella semplice frase che per lui valeva mille sogni. Quella frase detta per lui da Penelope. Ancora riusciva a vedere il suo volto mentre pronunciava quelle parole, i suoi capelli biondi che le ricadevano su quella buffa giacchetta a pois.
L'eroe nero è un cavaliere con l'armatura incrostata di sangue, è sporco.. ma nega sempre, incessantemente, di essere un eroe. (2)
Pensò a quelle parole mentre gli uscivano dalle labbra come un mormorio confuso. Non sapeva se si sentisse a quel modo, non sapeva se quella frase fosse adatta a lui.. ma gli piaceva pensarlo e lo rendeva felice sapere che c'era qualcuno che lo credeva sul serio.
Improvvisamente sentì la tensione che aveva accumulato scivolare via come fosse stata pioggia che scorreva sulla sua pelle, poteva sentire come una goccia percorrergli lenta il corpo e ornare il profilo di ogni suo singolo muscolo. Si sentiva come se si stesse ricostruendo pezzo per pezzo e non riusciva a capirne il motivo.
Si scostò dalla finestra sorridendo alla stanza che lo circondava.
La sua anima era ferita, sporca.. ma brillava di una luce pronta a illuminare il mondo. Doveva solo ricordarsi come accenderla.
Velocemente radunò le sue cose appallottolandole nel borsone che aveva abbandonato nell'ingresso. Non voleva perdere nemmeno un minuto, voleva cominciare a chiarire con se stesso le cose veramente importanti. Voleva poter essere un eroe che ricominciava la sua vita, rinascendo dalle sue stesse ceneri.
Aprì il portone di casa mentre si sistemava il borsone su una spalla. Per ora quella sua villetta bianca aveva finito il suo compito, era riuscita nell'impresa di fargli ritrovare la calma e il sangue freddo che credeva di aver perso. Era riuscita a fargli ritrovare la speranza.
Prima di chiudere la porta dette un'ultima sbirciatina all'interno, forse adesso poteva provare a schiudere le sue ali e tornare vittorioso. Forse adesso, dopo aver ammesso a se stesso i suoi limiti, le sue colpe,  dopo aver riavviato il sistema, poteva tornare più forte di prima.. perché aveva la consapevolezza di essere così umano da riuscire a ritrovarsi nell'immensità del mondo.
Ritrovarsi, rinascere.
Accese il motore dell'auto e salutò quella casa col sorriso sulle labbra. Doveva riprendersi la sua vita. La vita che era a Washington e che lo stava aspettando a braccia aperte. Non sarebbe stato facile, non sarebbe stato indolore, non sarebbe stato veloce.. ma sarebbe stato vero, sarebbe stato come rinascere. Sarebbe stato come una fenice.

 

 

1 - Citazioni dalla puntata 4x18-Omnivore
2 - Citazione dalla puntata 3x10-Il Cavaliere della Notte [è una frase di Frank Miller]

 

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: JulyAneko