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Autore: B_A_U    17/05/2016    0 recensioni
Sua madre accostò la macchina al cancello del moderno edificio del liceo e le augurò una “buona giornata”. Sarebbe stata di tutto fuorché buona.
Alex è diversa dagli altri adolescenti, sia come aspetto fisico sia come carattere (è "acida, scontrosa e quasi misantropa"). Con una madre che disprezza e i compagni che la bullizzano, vive superando continuamente ostacoli e situazioni difficili. Questa è la sua storia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il bianco raramente era perfettamente bianco,
  la nerezza del male sfumava:
  non mi riusciva veder altro che
  chiaroscuri.”
-Simone de Beauvoir, “Memorie d’una ragazza perbene”
 
 
Il ticchettio veloce e regolare della pioggia sul vetro dava ad Alex una profonda sensazione di pace.

Aveva sempre amato la pioggia, fin da quando era bambina.

Alex paragonava le gocce a piccole lacrime fredde delle nuvole.

Anche il cielo piangeva, ogni tanto.

Il vetro della finestra rifletteva l’immagine di un volto indistinto, coperto per metà da lunghi capelli neri. Guardando oltre, alte montagne dalle cime bianche si stagliavano fiere contro il cielo scuro. A volte, la ragazza credeva che queste la osservassero, silenziose e immobili, e che magari commentassero tra di loro la sua insignificante vita in un linguaggio non udibile agli esseri umani.

Un urlo familiare ruppe prepotentemente quella pace quasi estatica. “Alessia muoviti, sei in ritardo per la scuola!” La ragazza guardò il cellulare: erano le 7.30. Le lezioni sarebbero iniziate alle 8 e per arrivare a scuola lei impiegava 45 minuti. Sì, era decisamente in ritardo. Si staccò dalla finestra e gettò un’occhiata alla sua camera: c’erano quasi più libri per terra che sugli scaffali, sulla sedia della scrivania e sul letto i vestiti erano gettati alla rinfusa e il computer sostava in stand-by sul comodino. Le cuffiette bianche erano nascoste tra le pieghe del letto sfatto. “Sembra passato un tornado” constatò lei, indifferente. Si vestì con i primi abiti che le capitarono sottomano, poi scese in cucina, dove l’aspettava la madre già con le chiavi della macchina in mano.

Quest’ultima la squadrò attentamente, poi esclamò: “Ma come ti sei conciata? Quella maglia verde è orribile, dove l’hai trovata? Io non te l’ho comprata di sicuro. E poi perché ti trucchi così male? Non ti sta per niente bene l’ eye-liner così spesso. E la tua camera in che condizioni è? Immagino faccia schifo, come al solito. E…” Alex le lanciò un’occhiataccia e la signora si zittì, piccata e delusa dalla figlia, come sempre. Storcendo impercettibilmente la bocca, si girò, avviandosi verso l’ingresso senza aspettare risposta.

Alex viveva quella stessa situazione quasi ogni giorno, magari non sentiva gli stessi sostantivi, gli stessi verbi o le stesse lettere, ma quello sguardo negli occhi della madre era diventato parte della sua routine giornaliera. Avrebbe tanto voluto risponderle che, anche se fosse diventata elegante, bella e di classe non sarebbe cambiato niente nella sua vita, avrebbe continuato ad essere la ragazza sfigata e senza amici che all’intervallo vagava per la scuola con solo le cuffie a tenerle compagnia. L’unica cosa che sarebbe cambiata sarebbe stato il rapporto con sua madre, ma non le interessava avere un gran rapporto con una donna stupida e frivola come lei.

Il suo vero problema era un altro.

Oltrepassata la soglia, indugiò un po’ prima di salire in macchina, assaporò l’odore fresco della pioggia e percepì le gocce che le accarezzavano il viso, finché non fu esortata bruscamente a entrare in macchina.

Le ruote del suv scivolavano leggermente sull’asfalto bagnato e la guida nervosa della madre faceva quasi paura ad Alex: ad ogni tornante temeva che, a causa dei tacchi vertiginosi, sua mamma non riuscisse a frenare e uscissero di strada, precipitando. Ad ogni modo, sarebbe stato meglio che andare ogni giorno in quel covo di stupidi bigotti chiamata scuola. Fortunatamente era il penultimo anno e avrebbe dovuto sopportare i suoi compagni ancora per poco tempo. Dopo circa mezz’ora, sua madre accostò la macchina al cancello del moderno edificio del liceo e le augurò una “buona giornata”.
Sarebbe stata di tutto fuorché buona.
   
 
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