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Autore: Elsa Maria    17/05/2016    2 recensioni
[Post Civil-War] [Stony] [Tony centric]
Tutto quel gioco era come uno spogliarello. C’è chi si mostra, chi guarda, chi si schifa mentre si passa una mano sull’erezione (per celarla o soddisfarla), chi esulta e più di tutti vuole essere notato, i disperati. Lui era la bella, desiderata e seducente prostituta che si metteva in mostra di fronte agli altri, mostrando e vendendo il proprio corpo per compensare una mancanza nel proprio essere. E Steve?
Genere: Angst, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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GUIDA ALLA LETTURA
Sarò breve. Questa song-fic nasce da un pomeriggio di discussioni (e scleri) avuti con una mia amica, che decide di passarmi questo video: https://www.youtube.com/watch?v=-wL-erAVy8s (Take it all, Marion Cotillar dal film Nine). Qui (http://testitradotti.wikitesti.com/2011/01/15/take-it-all-testo-traduzione-e-video-dal-film-nine/) potete trovare testo e traduzione completa (io ho messo solo dei frammenti) della canzone, per noi molto calzante con questa coppia. Questa fiction si potrebbe molto criticare, quanto capire, ma io non voglio annoiare scrivendo di come percepisco la figura di Tony in relazione con Steve, soprattutto dopo la visione del film Civil War (di cui ovviamente è presente un spoiler corrispondente alla fine del film), dato che si capirà dallo scritto. 
CONSIGLIO
Fate partire il video linkato a: "Chiuse gli occhi". Rende molto di più la scena descritta, avendo trasportato la scena nella mia fan fiction (la scena si conclude a 3:01).
Detto ciò spero sinceramente vi piaccia, vi auguro una buona lettura e vi incito a lasciarmi un messaggio o una recensione, avendo bisogno di elementi di confronto! 

 

Take it all
 

Posò il bicchiere di whisky accanto a sé, sul pavimento freddo. Sulla scrivania dell’ufficio (che aveva di fronte) c’era ancora il cellulare che Steve gli aveva dato, anzi spedito: si era presentato un vecchietto che non era riuscito neanche a pronunciare correttamente il suo cognome –e voleva ribadire il suo cognome, non qualcosa di mai sentito o sconosciuto.
Non si era degnato di mostrarsi, il bastardo.
“Già, bastardo.” Sorrise sotto i baffi passando l’indice sulla bocca del bicchiere. L’insulto era più che centrato, con lui il grande Steve Rogers, Capitan America, simbolo della bandiera a stelle e strisce e pupillo del popolo, si era comportato da vero bastardo.
 
“Lui è mio amico.”
 
Dalle sue labbra uscì un verso di stizza.

“Lo ero anche io.”
 
Amico, ovvio. Prese un altro sorso, non riuscendo a resistere al richiamo della sirena.
Quando Steve perdeva tempo a proteggere il soldato ghiacciolo (e si parlava di Bucky, non di lui stesso) agendo senza usufruire della macchina perfetta donata all’umanità dall’evoluzione: il cervello, tutte le sue sicurezze crollavano, i momenti passati insieme perdevano valore e tutto il tempo, che fosse di lite o di spudorato flirt, diventava come una bella menzogna creata dalla sua mente offuscata dall’alcool.
“Tanto è sempre colpa dell’alcool” Si disse. Non di Tony Stark, sia mai, almeno se stesso doveva evitare di farlo sentire uno schifo più di quanto già non facessero i suoi compagni di squadra –e avrebbe aggiunto un bel po’ di virgolette a compagni e a squadra.
Svuotò il bicchiere, lasciando una singola goccia che si teneva salda al fondo di vetro; avrebbe fatto di tutto pur di non finire fra le sue labbra. Queste le asciugò con la punta della lingua.
 
Tutto quel gioco era come uno spogliarello. C’è chi si mostra, chi guarda, chi si schifa mentre si passa una mano sull’erezione (per celarla o soddisfarla), chi esulta e più di tutti vuole essere notato, i disperati. Lui era la bella, desiderata e seducente prostituta che si metteva in mostra di fronte agli altri, mostrando e vendendo il proprio corpo per compensare una mancanza nel proprio essere. E Steve?
Sul suo viso si dipinse un lieve sorriso. Un sorriso divertito, rivolto ad un’immaginaria platea che lo invitava, con esulti e fischi, a farsi avanti.
Chiuse gli occhi.
Era lì: dietro una tenda di lustrini, indossando il suo completo più elegante, che faceva attendere un pubblico impaziente.
La musica partì e la tenda si aprì, venendo investito dalla luce dei riflettori. Camminò con il suo solito passo sicuro verso il centro del palco.
Le parole di una vecchia canzone venivano accompagnate da un saxofono e una batteria.
Squadrò tutto il suo pubblico, abbassandosi gli occhiali, accarezzandone la montatura con l’indice. C’erano tutti: quelli che odiava, quelli che amava.
Con un gesto veloce lasciò andare gli occhiali a terra, lontani. Dalle spalle iniziò a scivolare la giacca, mostrando la camicia bianca, che fasciava la sua muscolatura.
 
You want my love?
Take it all.
You want to watch it al come off?
Take it all.
 
Queste le parole recitate gli fecero affiorare un sorriso triste sulle labbra che andò ad unirsi al ghigno sfoderato per la situazione.
Gli occhi seguirono la giacca che finì in terra per poi rialzarli di colpo sul pubblico.
 
E Steve?
 
Ci fu un veloce scambio d’occhiate, fugace, impercettibile.
 
You want my glove?
Are you enthralled?
You want to see it slip away
and watch it fall?
 
I gemelli, brillanti, vennero sbottonati e la manica perse di compostezza. Si spostò verso un lato con passi calcolati, corti, limitati dai pantaloni di seta, aderenti. Ad ognuno di loro offrì il suo sguardo, il suo invito a divorarlo.
 
Oh, we know it’s your show
So take it all.
 
Fece unire con un colpo di tacco i piedi, girando su se stesso, bloccandosi di spalle al pubblico. Di spalle a Steve. Mosse la schiena, il bacino, movimenti provocanti… E anche la camicia venne portata via.
Era uno come tanti su quel palco, uno qualunque per gli occhi del pubblico.
Per gli occhi di Steve.
 
So go ahead,
take it all.
You want my soul?
Take it all.
 
Afferrò un bicchiere che insistentemente uno del pubblico agitava. Lo bevve d’un fiato. Lo lanciò, finendo in frantumi. Le suole rigide delle scarpe pestarono le schegge, mentre freneticamente, con il crescendo della musica, danzava, permettendo a chiunque di esaminarlo.
Lo svuotavano sguardo dopo sguardo.
 
It’s time to leave
if I’m to live,
because I have no more
there’s nothing left to give.
 
Si lasciò andare in terra con una spaccata, richiudendo le gambe, per poi girare ancora e distendersi contro il palco, ferendosi, ma non sentendo dolore.
Non c’era onore o gloria, solo il vendersi ad un pubblico insaziabile, che continuava a chiederne, di più, ma solo uno in realtà prendeva tutto.
Il suo sguardo guizzò contro la figura di Steve, di fronte la fine della passerella. 
 
Non c’è più nulla da dare.
 
Si alzò in piedi, passando in rassegna tutto il pubblico che iniziò ad afferrarlo, tirandogli i pantaloni fino a strapparli via.
La musica saliva, correva su per la scala di note, il ritmo più frenetico, più forte, ma non bastava ancora, ancora di più!
Lo strinsero con le loro braccia, salirono il suo corpo come dei tentacoli cercando di portarlo da loro, affogarlo.
 
E Steve?
 
Qualcuno lo morse, qualcuna lo graffiò, chi lo tirò, chi lo spinse.
E da lui nient’altro che un coprirsi la bocca, accarezzarla con la mano.
 
I watch you rise,
I watch you fall,
while I standing with my back
against the wall.
 
Gli venne toccata la schiena, si sbilanciò contro quella mano che lo spinse in avanti, sempre più contro di lui.
 
Now it’s your turn to finally learn
Adesso, infine, è arrivato il momento per te di capire
you had the world.
che hai avuto il mondo.
You had your fling.
Che te la sei spassata.
You wanted more than everything,
Volevi sempre di più da ogni cosa,
you got your wish,
hai esaudito il tuo desiderio,
you got your prize.
hai avuto il tuo prezzo.
 
Così egoista, buonista, indifferente, freddo, immorale, avido. Crudele. Per lui la cosa migliore che quella vita gli avesse mostrato. Una luce. Una speranza.
 
Venne lanciato addosso a lui, a gattoni si avvicinò, come una pantera contro la preda, preda morta che nascondeva il corpo del leone, pronto a divorarla.
 
 
But don’t you see that in the end
there will be nothing!
Ma non capisci che alla fine
non sarà rimasto nulla!
 
Si graffiò il petto. Il sangue, freddo, colava dalla cicatrice, mentre la cassa toracica si gonfiava, frenetica, bloccandosi solo nell’istante. La musica si bloccò e le voci sfumarono, rimasero solo loro due.
 
“Sei un essere insaziabile, Steve Rogers.” Gli dice, con il fiato corto.
“Non differente da te, Tony.”
“C’era un patto, fra noi, c’era qualcosa.”
“Qualcosa di sbagliato, se questo è il risultato.”
“Non è colpa mia!” Urlò afferrandolo. “È colpa tua, non di Stark! È solo colpa tua!”
Steve non reagì, si lasciò strattonare, mentre la voce rotta di Tony continuava ad incolparlo, scuotendolo, ancora e ancora.
“Sei stato avido, hai scelto per me, per tutti, ti sei addossato delle scelte non tue, tu… È solo colpa tua…” La voce si fece più debole e non appena rialzò gli occhi, lo vide… Si vide.
“Sì.” Gli disse il suo riflesso. “È solo colpa mia.”

Riaprì gli occhi sentendosi svuotato dentro, come se fosse tornato alla realtà dopo troppo tempo, da chissà quale universo. 
L’aria fredda della notte gli accarezzava il volto, da delle piccole ferite sulle mani colava del sangue, causa del bicchiere che aveva lanciato in casa, prima di uscire sul terrazzo.
Guardava il paesaggio non vedendo altro che la notte, le luci si erano spente alla sua vista. Il respiro si era fatto silenzioso unendosi al vento.
Si avvicinò alla ringhiera, assaporando sulle labbra ancora bagnate dal sapore del liquore quella serata.
Sorrise, lasciandosi andare a se stesso, contro il metallo freddo che lo teneva lontano dall’altezza.
 
E Steve?
Lui era il cliente che veniva ogni sera, pagava, chiacchierava con la prostituta, ma nulla. Fingeva di amarla, ma non glielo diceva mai. Era gentile, ma poi aveva pagato il padrone per farla esibire con classe di fronte a tutti.

“Take it all.” Pronunciò in un messaggio che solo il vento avrebbe sentito.
Poi, il vuoto.
 
   
 
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