Anime & Manga > Altro - anime/manga vari
Ricorda la storia  |      
Autore: Rainia    18/05/2016    2 recensioni
[Anime/manga vari]
[One Punch-Man] [Genos centric]
Uno squarcio sulla vita di Genos, prima che diventasse cyborg: il racconto di quella giornata in cui perse tutto, in cui finì la vita che aveva sempre vissuto e ne iniziò una nuova.
Dal testo:
[...] Era iniziata come una tranquilla giornata primaverile, stranamente “tormentata” dall'afa, in cui suo padre se n’era andato di casa alla solita ora e lui, per una volta, si stava recando a scuola in orario. [...] Allora non esisteva l’Associazione di Eroi, i cattivi dai poteri e dagli aspetti bizzarri non erano pane quotidiano per la popolazione e le forze dell’ordine e Genos, allora, aveva solo quindici anni, era circondato da amici e, soprattutto, aveva ancora una famiglia. [...] Quell’urlo femminile che sarebbe rimbombato nella sua testa per giorni e giorni si fece spazio nel totale vuoto della via. Affacciatosi alla finestra, istintivamente gridò: - M… mamma! -. Una donna dai lunghi capelli neri come la pece e dalla pelle diafana, paragonabile a una bambola di porcellana, era inerme nelle mani del cyborg.
Genere: Azione, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Owari to hajime

 

Le gambe erano affaticate, il cuore pulsava sangue all’impazzata e nemmeno i polmoni reggevano più, ma lui doveva correre, correre il più possibile, doveva arrivare in tempo. Non importava la stanchezza, il caldo che non riusciva più a sopportare, il sudore che lo bagnava completamente: la sua famiglia aveva bisogno di lui.
Le urla di dolore e di disperazione della gente rimbombavano nelle sue orecchie. I bambini piangevano chiamando la mamma e gli uomini, egoisticamente, si strattonavano a vicenda nel tentativo di farsi largo tra la folla per uscire il più velocemente dalla Città, ma, come alcuni ultimi coraggiosi cercavano di fare, lui andava nella direzione opposta, verso casa sua.

Era iniziata come una tranquilla giornata primaverile, stranamente “tormentata” dall’afa, in cui suo padre se n’era andato di casa alla solita ora e lui, per una volta, si stava recando a scuola in orario. Aveva salutato sua madre in maniera poco affettuosa, turbato forse dagli ultimi giorni del suo terzo anno alle medie: la fine di tutto si stava avvicinando, era normale quel comportamento.
Non sapeva però che quella non sarebbe stata una normale giornata, ma che si sarebbe trasformata in un incubo.
Allora non esisteva l’Associazione di Eroi, i cattivi dai poteri e dagli aspetti bizzarri non erano pane quotidiano per la popolazione e le forze dell’ordine e Genos, allora, aveva solo quindici anni, era circondato da amici e, soprattutto, aveva ancora una famiglia.

 

Il parco sottostante casa sua era vicinissimo, ormai poteva scorgerlo; stranamente, il quartiere era quasi del tutto vuoto, ma, al contempo, pressoché distrutto: molti palazzi erano crollati, delle macchine erano state schiacciate dalle loro macerie e, notò con orrore, si potevano anche scorgere cadaveri immersi nel loro stesso sangue. Genos accelerò, attraversò il parco il più velocemente possibile, poi imboccò una piccola stradina, sorprendentemente, non vuota: un suo vicino, con le lacrime agli occhi, stava correndo via.
<< Ragazzino! >> gli urlò, << Cosa fai? Scappa! >>. Genos si fermò un attimo, guardò dietro l’uomo e si accertò che la sua palazzina fosse ancora in piedi. Un leggero sorriso gli spuntò sul viso non appena costatò che era tutta integra.
All’improvviso, si ritrovò le mani dell’uomo sulle sue spalle. Iniziò a sbraitare: << Cosa fai, ragazzo? Devi andar- >>. Non finì mai la frase in tempo. Genos sgranò gli occhi, spalancando leggermente la bocca per l’orrore che vide: una mano d’acciaio prese la testa dell'uomo, sollevandolo di un metro da terra, schiacciandogli il capo. Quell’essere che portava solo morte, quel cyborg, era arrivato fin lì.
Le gambe gli si mossero da sole e iniziò a scappare. Per un attimo, si voltò indietro, scorgendo quel corpo principalmente meccanico che colpiva a ripetizione la sua vittima, ormai a terra: continuava a calpestargli la testa, a fracassargli il cranio, incurante delle cervella che schizzavano da ogni dove o del fatto che, ormai, fosse già morto.
È colpa mia… è solo colpa mia!, si rimproverò il ragazzo. Se non si fosse fermato per parlarmi, sarebbe ancora vivo. Il tempo dei rimpianti, però, non era quello e lui lo sapeva bene.

 

Nessuno. In casa sua non c’era nessuno. Tutta quella fatica per niente, dunque? Dov’era sua madre? Probabilmente suo padre era bloccato da chissà quale parte a causa del lavoro, ma lei? Era una casalinga, quella dolce signora. Dove poteva essere? Genos sperò che fosse riuscita a scappare, che fosse lontana dal loro quartiere o, addirittura, fuori dalla città. Quanto si sbagliava.



Quell’urlo femminile che sarebbe rimbombato nella sua testa per giorni e giorni si fece spazio nel totale vuoto della via. Affacciatosi alla finestra, istintivamente gridò: << M… mamma! >>. Una donna dai lunghi capelli neri come la pece e dalla pelle diafana, paragonabile a una bambola di porcellana, era inerme nelle mani del cyborg. Come prima, corse, ‘sta volta dritto verso il pericolo. << Mamma! >> gridò nuovamente, attirando su di sé l’attenzione del mostro; la donna strillò a quell’ammasso di ferro di essere ancora viva, che lui non aveva finito ancora con lei. Doveva proteggere suo figlio, che altro poteva fare se non distrarre quell’assassino e permettere al ragazzo la fuga? Era abbastanza lontano da loro, ce l’avrebbe fatta. Evidentemente, però, quest’ultimo non comprese. << Smettila, lasciala! Metti giù mia madre >>, sbraitò Genos, ormai vicinissimo ai due. La donna sgranò gli occhi. << F… fermo. Scappa. Salvati, almeno tu! >> gli implorò lei, ma ormai era troppo tardi: il cyborg l’aveva lasciata cadere a terra, per poi alzare il braccio destro, mirare e lanciare un piccolo missile verso l’unica struttura abbastanza vicina al ragazzo, un piccolo supermercato. In poco tempo, Genos si ritrovò sotto le macerie di questo. << No! N… no! >> iniziò a dire sua madre, ripetendo quelle due lettere in continuazione, mentre copiose lacrime le scendevano sul volto. Il terreno si scosse: il cyborg dalla pesante corporatura aveva iniziato ad allontanarsi dal quartiere, probabilmente ritendendo che non ci fosse più niente di divertente da fare.



Con le ultime forze in corpo, nonostante una gamba rotta, il sangue che le colava dalle tempie e dal braccio sinistro, ormai penzolante e inerme quanto la gamba, la donna si trascinò verso le macerie: suo figlio non poteva essere morto. Lo chiamò a gran voce, non ottenendo risposte, ma quando iniziò a spostare le macerie dell’edificio, lo trovò svenuto. Fortunatamente, forse grazie all’aiuto di chissà quale dio, era vivo. Le lacrime di sua madre iniziarono a cadergli sul volto, svegliandolo lentamente. << Mamma >> disse sollevando leggermente il capo e notando con orrore tutto quel sangue che lei aveva perso e la gamba rotta. Ciò che non notò, invece, fu il suo stesso stato: a parte la testa, sembrava che non riuscisse a muovere un muscolo; lei tentò di tranquillizzarlo, non capendo che l’unica cosa che gli permetteva di non agitarsi fosse la salvezza di sua madre.
Lo iniziò a tirare fuori dai detriti dell’edificio, poi iniziò a sentirsi un suono nel silenzio totale di quel posto: il pianto di lei.  Accasciandosi su Genos, con quei lunghi capelli corvini che le coprivano il viso e la brutta ferita, quella bambola di porcellana pianse a dirotto. Avevano perso tutto in una giornata iniziata come tutte le altre; suo marito era chissà dove e il suo bambino, forse, non si sarebbe più mosso. Come se non bastasse, con tutto quel sangue che aveva perso e con le forze che le iniziavano a mancare sempre di più, non era convinta che sarebbero rimasti insieme a lungo.

 

Quella scena proprio non piaceva al dottor Kuseno. Un ragazzino inerme con sua madre che si disperava, coperta di sangue e, probabilmente, morente. Non andava per niente bene. Nulla andava bene in quella Città, ormai del tutto scomparsa. E dire che ero qui solo di passaggio... chi avrebbe mai detto che avrei visto un tale orrore?, si domandò. Conosceva bene i cyborg, sapeva che non avrebbero reagito in quel barbaro modo: probabilmente, quello lì aveva avuto qualche problema di cortocircuito.
Si avvicinò lentamente alla donna e al ragazzo, sapendo, però, di non poter realmente fare qualcosa. << Promettimi una cosa >> sentì dire la corvina. << La mamma… la mamma sente freddo, sai? Non credo che la mamma riuscirà a stare con te o con il papà… >>. Un momento di silenzio intercorse tra i due. << Promettimi che vivrai. Assicurami che andrai avanti anche senza di me >>, gli chiese infine. Persino il dottor Kuseno, da quella distanza, riuscì a scorgere l’ultimo sorriso, impregnato di lacrime, della donna, prima che si accasciasse nuovamente sul figlio. << Ti voglio bene, G… >> iniziò a pronunciare con una flebile voce, ma, ormai, era tutto finito.

 

 

Quel giorno di quattro anni fa, Genos perse tutto: una casa, una famiglia e la sua stessa identità. Quella fu la fine di tutto e, al contempo, l’inizio di una nuova vita.

 

 

[Angolo Autrice]

Avevo iniziato a scrivere questa storia su Genos per altri motivi e, ora, invece, la pubblico qui. È la prima volta che realizzo qualcosa di così… triste; so che One Punch-Man è la presa (numero uno) per i fondelli di ogni shounen, ma ho voluto comunque dedicare uno spazio a una faccenda seria riguardante il suo co-protagonista. Spero, comunque, che questa storia vi sia piaciuta.

 

P.S.: Avevo trovato in giro l’informazione che il nome “Genos” sia stato dato a lui dal dottor Kuseno dopo la sua rinascita come cyborg, per questo sua madre non pronuncia mai il suo nome, accennato solo nella parte finale.

 

- miss_shinigami

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Altro - anime/manga vari / Vai alla pagina dell'autore: Rainia