Prologo
Alames era affacciato alla finestra del suo
studio. Aveva scostato di lato le grandi tende rosse ed assisteva
impotente alla rovina della sua città, all'assalto degli Heartless.
Scuoteva lentamente il capo da destra a sinistra, balbettando parole
incomprensibili. Non si era mai ritenuto un uomo coraggioso. Soprattutto
in quei tremendi minuti, il suo poco coraggio venne meno. - Non è
possibile... Non è reale... - si disse. - Non può esserlo... - Si
diresse verso la sua poltrona dall'alto schienale e si sedette,
barcollando, mentre alle sue spalle Linahar rischiava di essere
rapidamente fatta a pezzi, sino ad essere ridotta a un cumulo di macerie.
Appoggiò i gomiti sulla scrivania e si portò le mani alle tempie,
sconvolto come non mai. Stava addirittura tremando. All'improvviso, un
boato. Alames sussultò, rizzandosi con la schiena ben appoggiata alla
poltrona. - No... Il cancello... - balbettò, senza voltarsi verso la
finestra. - E' finita. Sono entrati - Una risata riecheggiò tra le mura
dello studio, accompagnata da alcuni passi. Passi pesanti. Passi lenti.
Cadenzati. Un uomo varcò l'ingresso della stanza, come se nulla fosse,
andando a pararsi davanti al tavolo del re. - Da quanto tempo - esordì
il misterioso individuo. - Da quanto tempo, Alames. Mi fa piacere vederti
ancora in forma - Alames avvertì una terribile sensazione. Un brivido
gli percorse la schiena. Era come se una cupola di malvagità lo avesse
appena circondato. La paura, l'orrore, la rabbia, l'odio. La tenebra più
profonda e l'oscurità più minacciosa. Tutto ciò veniva invisibilmente
esalato dalla figura del nuovo giunto. - Sono passati un bel po’
d'annetti dall'ultima volta che ci siamo scambiati le ultime parole
- Il sovrano si alzò di botto, con aria furente. - Chi sei tu? Come ti
permetti di varcare quella soglia senza un'autorizzazione? E come ti
permetti, per giunta, di rivolgerti a me con quel tono? - - Rilassati -
continuò l'altro, dirigendosi verso l'unica sedia a pochi passi dalla
scrivania. Si sedette, incrociando le mani all'altezza del ventre. -
Risponderò alle tue domande, tranquillo. Una alla volta, però - Ora che
era uscito allo scoperto, lo si poteva chiaramente distinguere dal resto
dell'ombra in cui era immersa la stanza. Era alto, completamente vestito
di nero. Il volto era oscurato da un cappuccio e le mani protette da dei
guanti. Al petto portava una catenina d'argento, un ornamento del
soprabito, evidentemente, accompagnato da due laccetti lucenti. - Sono
un tuo vecchio amico, innanzitutto - rispose. - Ti dice nulla...
- Mosse la mano destra con gesto teatrale. Nel palmo apparve una sfera
scura. Allungò il braccio e posò la sfera sul tavolo, attendendo una
reazione da parte dell'interlocutore. - ... Questa? - Alames osservò
attentamente l'oggetto, senza però osare sfiorarlo. Iniziò a sudare,
avendo compreso l’identità di chi si trovava innanzi. Cercò di sembrare
rilassato, anche se era teso come una corda di violino. Non s'aspettava
una visita. Una sua visita. - Perché sei venuto? - chiese, stringendo
le mani sui braccioli. - Vedo che allora ti ricordi ancora di me.
Ottimo - commentò l'uomo, schioccando le dita. La sfera si dissolse
nell'aria in una nuvoletta di fumo. - Sono venuto a farti visita - -
Farmi... visita? - domandò incerto Alames. - Cosa intendi dire?
- L'incappucciato si ricompose, mostrando i palmi di entrambe le mani.
- Cosa intendo dire... Che sono venuto a farti visita... Un amico non può
incontrare un altro amico dopo molti anni per sapere come sta, cosa fa,
dove vive...? - Alames scosse il capo. - No. Tu non sei venuto per
quello - - Indovinato. Non ti si può nascondere nulla - disse l'uomo,
facendo cenno verso la porta. Una seconda figura varcò la porta,
vestita esattamente come il tale che l'aveva chiamata. Solo era un po’ più
bassa e di corporatura meno robusta. - Che significa? - chiese Alames
alzandosi di nuovo, allarmato. - Ti sei portato dietro tutti i tuoi
compagni? Sappi che non ho alcuna intenzione di collaborare con voi, mio
caro... - - No. Guai a te se osi pronunciare il mio nome - lo ammonì
bruscamente l'incappucciato. - Ascoltami attentamente. Ho un compito da
affidarti - Fece nuovamente un segnale con la mano al nuovo arrivato.
Questi si avvicinò silenziosamente, posando sul tavolo una gemma rosso
sangue. Alames la guardò aggrottando la fronte. - Non è un regalo per
te. Questa gemma la dovrai consegnare ad un altro. Ad un ragazzino - disse
l'uomo. - Appena ne avrai l'opportunità, consegnagliela, mi raccomando!
- - Tutto qui? - - Tutto qui - Il re rimase alquanto perplesso e
silenzioso per parecchi minuti. Alle sue spalle, intanto, a Linahar
infuriava la battaglia e Albaran si stava mostrando per ciò che era
realmente; un mostruoso essere che rassomigliava ad un Heartless. - Non
mi fido di voi. Che cosa c'è sotto? - domandò Alames. - Lo vuoi proprio
sapere? - chiese il tale. - Te lo dirò. Ci serve a scoprire gli
spostamenti del Custode del keyblade - - Che cosa volete da lui? - -
Non è affar tuo - sbottò seccato l'ospite. - Tu limitati a dargliela o sai
che cosa succederà - - Certo, mi hai già minacciato più di una volta...
Ma arrivi tardi! La città sta per essere distrutta! Per cui il tuo ricatto
non ha alcun significato per me - - Riponi troppa poca fiducia nei tuoi
difensori - L'uomo alzò il mento, come ad indicare la finestra. Alames
si voltò nel preciso istante in cui la grande ombra di Albaran veniva
sconfitta da Sora. Incredulo, si precipitò a guardare fuori. Con un misto
di stupore e di gioia, si voltò verso l'ospite, lanciandogli un'occhiata
di fuoco. Da sotto il cappuccio, il tizio sorrise. - Ora il mio ricatto
ha significato. Fa ciò che ti ho detto o penserò io stesso a terminare ciò
che hanno iniziato loro - - Mai! Non mi piegherò mai al tuo volere!
Neanche... - si interruppe, dopo aver sbattuto i pugni sul
tavolo. Affianco a lui, l'altro incappucciato, rimasto in disparte sino
a quel momento, gli puntò alla schiena qualcosa di affilato; una spada
probabilmente. - Neanche se rischiassi la morte? Ho mezzi piuttosto
convincenti per obbligare qualcuno a fare ciò che comando. Che mi
rispondi, ora? - Il re si sedette, sempre con l'arma puntata addosso.
Chinò il capo, riflettendo attentamente. Non poteva certo lasciare che la
città sulla quale governava andasse in rovina. Dov'era l'amore per il suo
popolo? Ma d'altronde, non poteva neanche tradire così coloro che avevano
fatto tanto per proteggerlo. "Non importa" pensò. "Loro sono in gamba,
possono permettersi di rischiare. Io no" - Il tempo stringe e ho
bisogno di una risposta, Alames. Sbrigati - - E va bene. Farò ciò che
mi dici. Donerò la gemma al ragazzo - si arrese, infine, il re. -
Ottimo. Vedo che sei una persona ragionevole - si congratulò a modo suo
l'incappucciato. Si alzò e chiamò a sé il compagno, ordinandogli di
riporre l'arma. Questi obbedì, avviandosi verso la porta ed uscendo. Ma
l'uomo rimase sull'uscio. - Non fare strani scherzi. Ordinerò ben
presto a due miei subordinati di giungere qui in città per controllare il
tuo operato. Una sola mossa falsa e io lo saprò. Intesi? - -
I-intesi... -
Alames rimase affacciato, come prima, alla finestra,
rimuginando su ciò che era accaduto. “In che guaio mi sono cacciato...”
pensò. “Se loro scoprono che non collaboro, distruggeranno la città e poi
uccideranno me” Si voltò di scatto, richiudendo le tende. La stanza
piombò in una semioscurità inquietante. “Ma se collaboro, sarà Axander
a capire cosa ho fatto. E lui è capace di uccidermi... Anche se salverei
la città. Quindi, ho scelto il minore dei mali. Sì, ma... Se loro hanno in
mente qualcosa? Potrebbero benissimo avermi mentito e distruggeranno lo
stesso Linahar anche se li avrò aiutati... Devo essere fiducioso,
sì!" Si accomodò sul suo scanno, tremando ancor più di prima. “In
fondo... Lui è sempre stato di parola... E questa volta non ho avuto la
forza necessaria per oppormi. Come sempre, d’altronde” - Vostra Maestà
- La figura di prima rientrò. Ma non era l’uomo dalla voce autoritaria,
bensì l’altro. Non mostrava più la stessa sicurezza con la quale
accompagnava il suo superiore. Pareva, anzi, più intimidito. -
Scusatemi, Vostra Maestà... - - C-Che cosa volete ancora? - balbettò
Alames. - Non ho più niente da darvi - - Non temete. Lui non sa che
sono tornata indietro. Ho poco tempo! - replicò il misterioso individuo,
accostandosi al sovrano. - Consegnate la gemma a Sora, anche se questa
sembra una pessima idea. Fidatevi! Se gliela donerete, avrò modo di
contattarlo anche io - Una voce femminile. Il re rimase alquanto
sorpreso dalle parole di costei e la fissò a lungo. - Chi mi dice che
mi posso fidare? - La figura allora abbassò il cappuccio. Il sovrano
restò sbigottito a quella visione, ma poi sorrise compiaciuto. - Tu!
Sei quella che ha impedito la prima ondata di Heartless, qualche settimana
fa! - esclamò Alames. - Non mi è ancora chiara la faccenda, ma sono
contento di rivederti - - Vi ringrazio, Vostra Maestà. Sora sta
correndo un grave pericolo e ne correrà altri. So che può sembrare una
pessima idea - ripeté la ragazza. - Ma quella gemma posso rintracciarla
anche io e posso aiutare il Custode. Mi raccomando, acqua in bocca! - -
Muto come un pesce. Hai tutta la mia fiducia - sorrise Alames. - Grazie
ancora! Mi dispiace, ma non ho più tempo! Addio! - A quel punto, la
fanciulla si rimise il cappuccio ed uscì rapidamente, scomparendo alla
vista del sovrano. Alames restò immobile, puntando le sue stanche iridi
sull'ingresso. Nonostante tutto, c'era ancora una qualche possibilità di
salvezza. Per lui, per Linahar e per
Sora.
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