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Autore: Hermione Weasley    19/05/2016    3 recensioni
2025. Sono passati quasi dieci dalla conclusione della guerra civile che ha visto la sconfitta dello schieramento di Steve Rogers. Natasha, alle dipendenze del nuovo SHIELD, cede ad una vecchia, familiare tentazione e rintraccia Clint, obbligato alla clandestinità dalla fine del conflitto. Ma forse i rapporti sono irrimediabilmente compromessi...
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Lo stomaco si strinse e, per quella che doveva essere almeno la ventesima volta da quando era partita da Washington, pensò che era stato tutto un madornale errore di valutazione da parte sua. Che credeva di fare esattamente? Presentarsi dopo quasi dieci anni e chiedere un favore come se niente fosse successo?
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[Clint x Natasha] [non segue il canon MCU] [non contiene spoilers per Civil War] [4 di 4] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Inverno)

 

*

 

 

Un debole segnale acustico lo informò che il portellone automatico del garage era stato attivato dall'esterno. Voci confuse ne accompagnarono il silenzioso sollevarsi.

Si accostò maggiormente ad una delle tante rientranze in ombra: il garage era talmente ampio da poter accogliere svariate centinaia di persone. Uniche ospiti, invece, erano le costose auto di lusso di Tony Stark. Ce n'erano per tutti i gusti: sportive, aggressive, vintage, rosse, blu, nere, pittorescamente decorate; si distribuivano a perdita d'occhio nell'enorme stanzone fatto di box auto sapientemente collocati.

Quella prescelta per la serata appena conclusasi era una vecchia Rolls-Royce imbiancata dalla neve che non aveva smesso un secondo di cadere – sarebbe stato un gennaio più rigido del solito a New York. O almeno così aveva ripetuto più volte il notiziario intravisto per caso alla stazione dei pullman.

Restò in silenzio mentre la voce dall'esterno – petulante e insistente, probabilmente appartenente ad una guardia del servizio di sicurezza notturno – si assottigliava fino a spegnersi del tutto, ma non prima di aver smozzicato un'imprecazione che Clint sospettò non essere stata programmata. Il portellone si chiuse, tagliando fuori lo sconosciuto senza troppi complimenti.

Uscì allo scoperto dopo una rapida occhiata all'orologio che aveva in tasca; l'unico motivo per cui aveva scelto il garage della residenza newyorkese di Stark era che non c'erano telecamere, ma non aveva intenzione di peccare d'ingenuità e rischiare di essere beccato. Doveva essere veloce.

Costeggiò le zone in ombra fino a raggiungere il box in cui Stark stava finendo di parcheggiare la Rolls. Aspettò che si accorgesse della sua presenza senza dire niente, le mani infilate in tasca, un gran sonno a pesargli sugli occhi e qualcosa di molto più schiacciante all'altezza del petto.

Stark scese dall'auto con movimenti nervosi – su qualsiasi cosa fosse stato il diverbio con la guardia, doveva avergli messo addosso un pessimo umore. I capelli gli si erano ingrigiti in più punti, ma l'abbigliamento era sempre lo stesso: impeccabile e un tantino eccentrico. Indossava occhiali da sole che mal si sposavano con le necessità della stagione. Il pizzetto estremamente curato, spruzzato di grigio anche quello.

Eppure Tony Stark sembrava stanco. Stanco di tutto. Appesantito nei movimenti, nel respiro, forse un po' anche nella figura.

L'uomo fece appena in tempo a richiudere la portiera prima di realizzare di non essere solo. Le linee del viso – molto più marcate di quanto Clint ricordasse – si contrassero vistosamente in un'espressione spaventata; subito sostituita dalla scintilla della consapevolezza e quindi da perplessità e disagio.

L'ultima volta che si erano trovati faccia a faccia c'erano cadaveri e edifici in fiamme a circondarli; adesso soltanto auto silenziose e lucide sotto la soffusa illuminazione del garage.

«Barton», fu Stark a parlare per primo, solo una minima incertezza nella voce. «Come hai fatto ad entrare?» Stava cercando di comportarsi come se niente fosse, come se l'imprevisto non lo mettesse minimamente in difficoltà.

«Non ho dimenticato proprio tutti i trucchi del mestiere», rispose soltanto, senza muovere un passo.

«A che devo l'onore?» domandò ancora, avvicinandosi con malcelata cautela.

«Quale onore?» rilanciò Clint, un tantino sarcastico.

In fin dei conti era un uomo morto, un fantasma che finiva di scontare la sua purgatoriale esistenza sulle sponde di un lago gelato nella più completa delle solitudini. All'onore aveva smesso di pensare molto prima che le cose andassero definitivamente a puttane; averlo lì non gli sarebbe valso alcun merito, solo una valanga di seccature nel caso l'avessero scoperto.

«Voglio sapere che è successo a Natasha», riprese, deciso ad andare dritto al punto.

«Romanoff?» chiese, improvvisamente allarmato. «Le è successo qualcosa?»

«In questi ultimi dieci anni», si corresse per evitare fraintendimenti. Stark si rilassò impercettibilmente.

«Perché non lo chiedi a lei?» obiettò allora.

«Perché non mi risponderà.»

«Allora, forse-»

«Stark», lo richiamò all'attenzione, il tono sommesso ma carico di determinazione.

Conosceva Natasha come il palmo della sua mano; la conosceva così bene da sapere che non gli avrebbe detto un bel niente di ciò che voleva sapere. L'aveva capito nel momento esatto in cui se l'era ritrovata davanti, i cambiamenti fisici a malapena accennati, eppure così diversa da fargli contorcere lo stomaco.

Gli aveva ricordato la ragazzina recalcitrante che era miracolosamente riuscito a convincere a dare una chance allo SHIELD, la bestia braccata che non smetteva neanche per un secondo di proiettare il suo sguardo attento e suo malgrado spaventato tutt'intorno, in attesa del minimo segno di pericolo.

Non c'entravano i capelli più scuri, o le sottili rughe che le solcavano il viso; erano stati gli occhi, vacui e carichi di un'angoscia che era sicuro si fosse lasciata alle spalle – erano stati gli occhi a metterlo in guardia. Non che si fosse aspettato di trovarla tale e quale; dieci anni sono tanti per chiunque, persino per la Vedova Nera.

«Credevo foste rimasti in contatto», ammise Stark a fatica.

«No», negò in fretta, perché era l'ultima cosa a cui voleva pensare. Tutte le volte che sfiorava anche solo per un istante la concretezza di tutti quegli anni trascorsi ad aspettare neanche lui sapeva bene cosa, una rabbia cieca e disperata gli contraeva i muscoli.

«Cosa vuoi sapere?»

«Lavora ancora per lo SHIELD?»

«Sì. Se così vuoi chiamarlo.»

«Perché?»

«Perché non ha altra scelta.»

«Di che stai parlando?»

Stark si adombrò di colpo, improvvisamente sospettoso. Per un attimo, Clint pensò che avesse a che fare col governo e il Ministero della Difesa: sapeva per certo che neanche i suoi legami con l'esercito erano stati rescissi del tutto. Dopo la Guerra Civile e la morte di Rogers c'erano state conseguenze per tutti, non importava di che schieramento avessero fatto parte – quello, in fin dei conti, non aveva mai avuto alcuna importanza.

«Non lo sai», esalò, rivolgendosi più a se stesso che a lui.

«Cos'è che non so?» fece un passo avanti, incurante di quanto minaccioso potesse apparire.

«Romanoff...»

«Tony.»

Stark ebbe uno scatto inconsulto, di nervosismo, forse; si sfilò gli occhiali da sole e gli offrì i suoi occhi, il destro solcato da una cicatrice che gli tagliava il sopracciglio e lo zigomo sottostante. La pupilla era appannata – cieca, realizzò Clint.

«Lo so,» commentò, perché doveva aver intuito la sua sorpresa, «suppongo sia una sorta di legge del contrappasso per tutte le volte che ho fatto battute inopportune sul vecchio Nick».

Un brivido gli corse giù per la schiena, ma fece finta di niente. Era rimasto talmente lontano, estraniato da quel mondo, che ritrovarcisi dentro all'improvviso gli causava molti più scompensi di quanti avesse inizialmente preventivato.

«Natasha è stata indagata», lo informò Stark subito dopo.

«Lei come tutti.»

«Come tutti,» confermò. «Ma è stata l'unica a...,» fece una breve pausa, in evidente difficoltà, «lei...»

«Stark», insisté, cancellando la distanza che li separava e più che intenzionato ad afferrarlo per il bavero di quella sua stupida giacca d'alta sartoria se non si fosse deciso a parlare.

«L'hanno incarcerata», si affrettò a chiarire allora, costringendolo a bloccarsi dov'era.

«S-Scusa?»

«Dopo che gli uomini di Ro-», la voce gli si spense per un orribile istante, quasi un calo di tensione che lo obbligò a interrompersi e ricominciare da capo. «Dopo che siete stati accusati d'alto tradimento, Romanoff si è fatta in quattro per assicurarsi che aveste una chance. Quando si è accorta di non poterci riuscire per vie legali, ha fatto di tutto per farvi uscire dal paese.»

«Questo lo so», gli parlò sopra, impaziente. Come poteva non saperlo? C'era stato anche lui su quel maledetto confine ad implorarla di seguirlo, di lasciarsi alle spalle le ceneri di quelle che erano state la loro famiglia – prima lo SHIELD, poi gli Avengers – e di andare con lui. Dove non aveva importanza, quel che contava è che fossero insieme, al sicuro dalle ripercussioni di quel conflitto insensato che avevano creduto di combattere gli uni contro gli altri e che invece li aveva visti burattini inconsapevoli di interessi troppo più grandi di loro.

«Quello che non sai è che si è praticamente venduta per assicurarsi che non vi trovassero.»

«C-Che intendi?»

«Sapeva che coi mezzi a loro disposizione, il governo vi avrebbe trovati. Tutti... dal primo all'ultimo. Sapeva che l'unico modo per impedire che succedesse era dar loro qualcosa di più prezioso delle teste di traditori ormai innocui.»

«Che c-cosa...» Si sentiva la testa disgustosamente leggera.

«Nessuno sapeva più di lei. Dello SHIELD, degli Avengers... quella donna legge tutto e assorbe tutto», esalò Stark con gesti rapidi e nervosi. «Ha fatto un accordo.»

«Hai detto che è stata incarcerata.»

«Per più di tre anni. Nessuno ha mai saputo dove. Ad oggi non ho idea di d-», si bloccò bruscamente, l'occhio buono innaturalmente lucido. «Ho fatto di tutto per trovarla. Ho parlato con tutti i figli di puttana di Washington, con i lobbisti, ho chiesto persino udienza al Presidente», distolse lo sguardo, faticando a nascondere la smorfia furente che gli deformava il viso. «Mi ero convinto che fosse mor-»

«Stark», lo interruppe, impedendogli di pronunciare quella parola. Avrebbe voluto urlargli contro che Natasha non si lasciava ammazzare proprio da nessuno, men che meno da quei burocrati del cazzo, ma la voce gli uscì più come un bisbiglio sconnesso che altro.

Tony non lo guardava più; fingeva interesse per la parete del box auto. Restò in silenzio per un minuto buono prima di decidersi ad incrociare di nuovo il suo sguardo, riluttante e visibilmente desideroso di porre fine a quell'incontro.

«È ricomparsa così com'era scomparsa», riprese. «Sembrava tutto normale. A p-parte il fatto che era diventata l'agente di punta del nuovo SHIELD. Una s-specie di direttore fantoccio.»

«Non puoi credere seriamente che la stiano obbligando a lavorare per loro», ribatté incerto, forse col preciso intento di farsi contraddire.

«Non lavora per loro, Barton. È un loro ostaggio.»

«No.»

«No? Pensi che Romanoff abbia qualcosa a che spartire con quei figli di puttana?»

«Penso che non faccia mai niente senza una motivazione ben precisa.»

«Sono passati dieci anni. Dieci anni in cui il governo ha magicamente allentato la morsa sui traditori ancora da trovare.»

«Si è venduta per salvarci il culo?»

«Si è venduta per salvarti il culo», lo corresse, quasi incredulo di dovergli spiegare per filo e per segno qualcosa che a lui appariva tanto scontata.

«Se lavora per loro-»

«L'hai vista?» gli chiese, interrompendolo bruscamente. «Perché se l'hai vista, allora sai che ho ragione. Qualsiasi cosa stia facendo... Natasha non è più la stessa.»

«Nessuno di noi lo è», replicò furente.

«Già, ma è lei che lavora per chi ha mandato tutto a puttane. Li vede tutti i giorni, li aiuta, si assicura che le loro operazioni vadano a buon fine.»

«Nessuno la sta obbligando, mi pare», un ridicolo tentativo di smentirlo.

«Non ce n'è bisogno. È convinta di sapere cosa deve fare per espiare i suoi peccati. Credevo che... speravo che foste ancora in contatto.»

«Ci vediamo, Stark», stroncò il discorso sul nascere, provando l'irrefrenabile bisogno di sparire.

Non esitò a dargli le spalle, ad allontanarsi rapidamente in direzione dell'entrata secondaria che aveva usato per introdursi di soppiatto nel garage.

«Barton!» gli urlò dietro Stark, «Abbiamo tutti perso qualcosa,» gli ricordò quand'era ormai lontano, «non lasciare che si prendano anche il resto».

 

*

 

Si strinse nel giaccone, tentando inutilmente di tenersi al caldo. La neve continuava a scendere imperterrita, ammucchiandosi ai lati della strada, inumidendo l'asfalto, i marciapiedi, i suoi vestiti.

Il cappellino che si era calcato sulla testa era quasi completamente fradicio; se lo sarebbe tolto se non ci fosse stata una ridicola cautela a fermarlo.

Aspettava ormai da un paio d'ore. Era notte fonda, quell'area della città pressoché deserta. Si era più volte trovato a sospettare che l'informazione che un suo vecchio contatto gli aveva procurato fosse falsa – magari era tutto un complicato inganno per rinchiuderlo finalmente in gattabuia. O magari Natasha aveva tardato. Magari, di rientro dalla sua ennesima missione, aveva optato per tornare immediatamente a Washington.

Fece risalire lo sguardo sulla facciata dell'edificio in cui una volta la donna aveva abitato. Non era neppure sicuro che l'appartamento fosse ancora di sua proprietà; sapeva solo che l'aveva adorato: piccolo, funzionale, sempre pulito e in ordine come piaceva a lei. Solo la camera da letto era abbastanza ampia da poterci stare in due senza togliersi l'aria a vicenda – per quello, di solito, si erano dati da fare in ben altri modi.

Contrasse bruscamente i pugni infreddoliti, ancora infossati nelle tasche, e spinse istintivamente la schiena contro il lampione spento a cui era rimasto appoggiato per tutto quel tempo.

La parte peggiore non era ripensare a quello che era successo, alla Guerra Civile, al trovarsi improvvisamente su schieramenti opposti; no, la parte peggiore era ricordare quello che c'era stato prima. Le giornate pigre sul suo divano a Bed-Stuy, le colazioni a metà pomeriggio nel letto di Natasha, le docce condivise con la scusa di risparmiare acqua, i baci scambiati all'Avengers Tower quando gli altri erano troppo distratti per prestar loro attenzione.

Erano quelli a fargli male. Un male del diavolo.

Un'auto comparve sul fondo della strada; solo un'ombra confusa tra le altre, ma Clint non fece fatica a distinguerla. Era pur vero che quei dieci anni gli avevano fatto dono di un paio di simpatici acciacchi, ma la vista era rimasta tale e quale (non che la possibilità di fregiarsi ancora del titolo di Occhio di Falco lo consolasse in alcun modo).

La vettura si avvicinava; dapprima rapidamente e poi, di colpo, più lenta. Fu sicuro che chiunque fosse al volante avesse rallentato dopo essersi accorto della sua presenza. Non mosse un dito, però, finché l'auto non si fermò proprio davanti al lampione.

Il finestrino del sedile del passeggero si abbassò lentamente, rivelando il volto pallido, stupito e provato di Natasha, le mani arpionate al volante.

Non aspettò un invito, neanche si scrollò di dosso la neve che gli si era depositata sul cappello, sulle spalle, sugli scarponi; si limitò a salire in macchina.

Natasha ripartì senza una parola.

 

*

 

Quando scesero in una zona deserta dell'area portuale, la neve cadeva con sempre maggior intensità.

«Voglio sapere che è successo in questi dieci anni», le disse non appena furono scesi dall'auto.

Natasha era uscita per prima. Si era avvicinata alla linea, a malapena distinguibile nell'oscurità, che separava l'asfalto dall'acqua e gli dava le spalle senza dire niente.

«Natasha», la richiamò all'attenzione, impaziente. Si sentì stupido, perché in fondo aveva aspettato una quantità di tempo che adesso gli appariva infinita e solo ora si lasciava prendere dalla fretta; una fretta disperata e inderogabile.

«Perché sei venuto fin qui?» gli chiese invece, sempre voltata.

Avrebbe voluto dirle la verità, che un altro anno era finito, che l'anno nuovo aveva portato con sé una parola che aveva sempre trovato ridicola – propositi – e dalla quale, invece, si era lasciato sedurre. Che per quasi due mesi aveva pensato a come si era sentito nel vederla seduta al tavolo della sua cucina, sbiadita da un'angoscia che aveva tentato invano di nascondergli. Che nonostante tutte le recriminazioni che si era ripromesso di muoverle contro – che altro c'era da fare, di notte, con gli occhi insonni fissi al soffitto se non fantasticare su un nuovo, improbabile incontro? – l'unico vero bisogno che si era impossessato di lui era quello di aiutarla.

«Perché sei venuta in Nevada?» insisté. Non avrebbe ceduto per primo, non era lui ad aver nascosto segreti tanto importanti in quei dieci anni.

Natasha si decise finalmente a voltarsi. Era buio, ma Clint riuscì comunque a scorgere l'espressione contrita che campeggiava sul suo viso.

«Non ho voglia di-»

«Avresti potuto leggere i verbali di quelle missioni a Varsavia», disse, sottolineando una verità che doveva esserle già fin troppo evidente.

«I tuoi verbali sono sempre stati pessimi, Barton», rispose, calcando inutilmente sulla nota sarcastica nella propria voce.

Era sempre il solito teatrino di azioni fisse e rodate: lui la costringeva a parlare, lei ricorreva alle sue armi per non farlo, ma alla fine cedeva. Perché in fondo era quello che voleva anche lei: deporre ogni difesa, confessarsi e fingere d'averlo fatto perché non c'erano alternative.

Sapeva che tutto quello che Natasha voleva era lasciarsi smascherare; e, per farlo, gli aveva dato più di un'occasione: quando gli aveva propinato quella ridicola scusa sui trafficanti di droga polacchi, quando gli aveva mostrato il registratore prima di trattenersi a stento dal correre fino alla jeep che l'avrebbe trascinata via da lì. Di nuovo.

Eppure non l'aveva fatto, perché non era compito suo. Perché, dopo dieci anni, estrarle la verità con le pinze non era più nella lista di cose che era disposto a fare; perché era tempo che Natasha si prendesse apertamente le sue responsabilità.

Solo adesso si rendeva conto di essere stato ingiusto e che, in fin dei conti, era venuto meno al tacito accordo stipulato tra di loro tanti anni prima, quando Natasha era ancora una recluta mal vista tra le file dello SHIELD e lui un coglione che tentava di barcamenarsi nel caos che era la sua vita.

«Tutte le informazioni che ti ho dato, avresti potuto ricavarle da quelli», si ostinò.

«Non tutte.»

«C'eri anche tu, ricordi?»

«Ero soltanto il tuo contatto esterno.»

«A cui raccontavo tutto. Se le cose non sono cambiate, la tua memoria funziona ancora meglio della mia.»

Natasha si voltò del tutto verso di lui, le mani nascoste nelle tasche del lungo cappotto nero che indossava; il vento gelido le agitava i capelli scuri punteggiati dalla neve.

«Perché sei venuta fino in in Nevada?» ripeté, scandendo le parole quasi religiosamente.

«Secondo te perché l'ho fatto?» ribatté, la voce faticosamente mantenuta chiara e ferma.

«No. No, voglio sentirtelo dire.» Ne aveva bisogno; solo in quel momento realizzò di averne un fottuto bisogno.

«Sono passati dieci anni. Volevo... v-volevo...» tacque di colpo e distolse lo sguardo. «Volevo rivederti. Sapere... s-sapere come te la passavi», ammise in un soffio.

Clint socchiuse gli occhi, lasciando ricadere il capo in avanti; ma la sensazione di calore che gli riempì il petto durò solo per un istante. Dopodiché le parole di Stark tornarono a tormentarlo.

«Perché non me l'hai detto?» le chiese, nonostante tutto brusco, quasi aggressivo.

Quando Natasha tornò a guardarlo, non si sorprese di non leggere neppure un briciolo di stupore nel suo sguardo.

«Perché saresti tornato indietro.»

Un moto di rabbia lo costrinse ad avvicinarsi di un paio di passi: «Non è un valido motivo», stabilì, trattenendo a stento la furia che gli si risvegliò in corpo senza alcun preavviso.

«Sì che lo è. Saresti tornato indietro, ti saresti consegnato al Ministero e allora tutto quello che ho fatto sarebbe stato inutile», rispose senza esitazioni, segno che su quel punto sarebbe stata inflessibile.

«Nessuno ti ha chiesto di fare quello che hai fatto!» Non era di certo stato lui a implorarla di sacrificarsi; il concetto gli appariva talmente assurdo che neanche sotto tortura l'avrebbe mai preso in considerazione.

«Non ce n'era bisogno.»

«Non c-ce n'era bisogno? T-Ti sei...»

«Li ho aiutati. Prima che tutto andasse a puttane, credevo che-»

«No, la Guerra non c'entra.»

«Sì che c'entra. Ho commesso un errore di valutazione e Steve è morto.»

«Non sei cambiata per un cazzo», sibilò arrabbiato. «Eravamo tutti coinvolti in quella storia, ma sì, ti prego, fa' come se fosse tutta colpa tua. Come se tu sola avessi deciso le sorti della situazione.»

«Tu non capisci.»

«Non capisco? Capisco che ti sei consegnata a quei gran figli di puttana per non so che peccato che credi di aver commesso.»

«Steve è morto», ripeté.

«Steve è stato ucciso dal governo americano.»

«Che io

«No! No, Natasha», scosse il capo con veemenza. «Per quanti anni ancora hai intenzione di raccontarti una stronzata del genere?»

«Non è una stronzata.»

«Sì che lo è! Non eri dalla parte del governo. Eri dalla parte di Stark, sapevi che razza di effetto distruttivo gli Avengers potevano avere ed eri convinta che se fossimo stati supervisionati avremmo trovato il modo di trattenerci, limitare i danni in attesa di una soluzione migliore», disse duramente. «Non ero d'accordo dieci anni fa e non lo sono adesso. Ma questo non significa che sia andato tutto a puttane per colpa tua. Nessuno, neanche Rogers immaginava che la risposta del Ministero della Difesa sarebbe stata tanto violenta.»

«Clint», esalò, come per fargli capire di star mancando completamente il punto.

«No. Vuoi prenderti le tue colpe? Perché hai aspettato dieci anni per farti viva? Perché cazzo hai pensato che salvarmi il culo fosse compito tuo?»

«Ho fatto quello che era giusto fare», ribatté, più convinta adesso.

«Senza consultarmi!» Aveva la minima idea di come sapere che aveva rinunciato a tre anni della sua vita per lui lo facesse sentire?

«Mi avresti impedito di farlo.»

«Certo che te l'avrei impedito! Ti sembrerà strano, ma so cavarmela. So badare a me stesso, non ho bisogno che tu mi faccia da badante ogni santa volta!»

«Avresti fatto lo stesso per me.»

«E tu mi avresti preso a calci! Non avresti mai accettato che mi compromettessi per te.»

«No, perché l'hai già fatto una volta, ricordi?» Aveva improvvisamente alzato la voce, e si era fatta avanti con urgenza.

«Mi sono compromesso con lo SHIELD, mi sono messo nella situazione di essere espulso o sospeso, di certo non mi sono fatto chiudere in gattabuia per tre anni!» Possibile che tutto tornasse sempre a quel punto? Al giorno in cui si era rifiutato di ucciderla perché aveva deciso che ci doveva pur essere un'alternativa?

«Non ha importanza», insisté Natasha, il respiro controllato e regolare. Avrebbe saputo riconoscere i suoi maledetti esercizi di respirazione anche ad occhi chiusi.

«Ce l'ha, eccome. Ce l'ha per me

«Volevo che fossi al sicuro.»

«Non volevo essere al sicuro! Volevo essere con te, Natasha! Per gli Avengers, per Tony e Steve è andato tutto a puttane quando ci siamo spaccati in due. Ma tra te e me le cose sono precipitate quando ti ho chiesto di venire in Canada con me e tu te ne sei andata senza neppure guardarmi in faccia, già con l'idea di sacrificarti per me quando tutto quello che volevo era che fossimo insieme! Non m'importava né dove né quando, avrei potuto fuggire per una vita intera se tu fossi venuta con me.» Si fermò per riprendere fiato, le guance ricoperte di barba improvvisamente accaldate, le mani intirizzite tremanti, ma non per il freddo.

Cadde il silenzio. C'era solo il flebile sciabordio dell'acqua altrimenti immobile a fare da sottofondo alla furiosa percussione del suo cuore.

Si sentì in colpa, irrazionalmente, non appena comprese che Natasha era in difficoltà, che faceva fatica a rincorrere i propri respiri. Le si avvicinò, ma la donna si ritrasse di colpo, gelosamente.

«Sta' calma, Natasha», mormorò senza demordere.

«S-Sono calma», lo contraddisse, ma si era portata una mano al petto e stava tornando verso l'auto su passi incerti, quasi barcollanti.

La guardò appoggiarsi al cofano, chinare il capo in avanti, boccheggiare per convincere i polmoni a reclamare l'aria che si erano improvvisamente rifiutati d'accettare.

Gli era capitato solo una volta di vederla in condizioni simili, tanti anni prima e solo pochi mesi dopo il loro primo incontro. In altre situazioni ci era andata molto vicina, ma era sempre riuscita a placarsi, a ritrovare un seppur misero straccio di equilibrio. Qualcosa, però, gli diceva che stavolta non sarebbe successo, che era precipitata più a fondo del previsto.

«Natasha», la chiamò di nuovo, poggiandole una mano sulla schiena.

La donna si ribellò, scostandogliela bruscamente, i respiri corti e affannati. Clint l'afferrò per le spalle e la costrinse a farsi guardare, incurante delle sue proteste.

«Respira.»

«Sto r-respirando.»

«Stai boccheggiando. Guardami», le ordinò perentorio. «Guardami, Natasha.» La osservò mentre tentava inutilmente di sottrarsi ai suoi occhi.

Quando cedette quasi si pentì d'aver insistito così tanto: non c'era quasi più traccia dello sguardo impertinente a cui si era abituato. Non c'erano il sarcasmo, il divertimento a malapena trattenuto, la voluta vacuità di chi pretendeva di non essere compresa. Pure il verde delle iridi sembrava essere sbiadito insieme a tutto il resto.

Si chiese se per lei non fosse lo stesso, se vederlo in quelle condizioni – così cambiato dopo così tanto tempo – le avesse contorto lo stomaco in preda a rabbia, disperazione, inutile nostalgia.

«Sta' calma», ripeté, perché non aveva ancora ripreso a respirare. «Guardami. Concentrati sulla mia voce.»

«C-Clint.»

«Concentrati sulla mia voce, ho detto», tagliò corto. «Stringimi le braccia», aggiunse, assicurandosi che obbedisse.

Natasha gli dette miracolosamente retta, ma forse più con l'idea di strattonarlo e farsi lasciare che per reale volontà di seguire il suo suggerimento. Fatto stava che rimase aggrappata alle maniche del suo giaccone come ne andasse del suo equilibrio.

«Sono qui. Tu sei qui», parlò a voce bassa, sperando suonasse tranquillizzante, il nervosismo a malapena represso. «La senti la neve? È gelida... e c'è una gran puzza di pesce marcio.»

Non aveva pianificato quello che successe dopo, ma la docilità che le lesse negli occhi innescò il meccanismo prima che potesse anche solo provare a trattenerlo: l'attirò a sé, avvolgendola tra le braccia, stringendo quanto più possibile senza farle male.

La sentì abbandonarsi contro di lui, nascondere il viso nella patetica scusa per una sciarpa che portava attorno al collo e sussultare appena.

Era sicuro stesse piangendo, ma non disse niente.

 

*

 

La macchina si fermò ad un isolato di distanza dalla stazione dei pullman. Era quasi l'alba e nessuno dei due aveva dormito molto: avevano trascorso le ultime ore percorrendo insensati, silenziosi itinerari attraverso New York.

Parole non ce n'erano state; forse entrambi sapevano che avrebbero soltanto peggiorato le cose.

Ma, con l'imminente spuntare del nuovo giorno, Natasha doveva aver deciso che quel tour improvvisato era arrivato al capolinea. Non gli aveva fatto domande, né chiesto che intenzioni avesse; probabilmente aveva intuito che era arrivato fin lì in pullman e agito di conseguenza.

Non spense neanche il motore, segno che voleva che tutto si svolgesse il più rapidamente possibile.

«Ti conviene andare,» fu lei, infine, ad interrompere il confortevole silenzio che li aveva accompagnati fin lì, «New York è troppo pericolosa».

Gli venne quasi da ridere: aveva attraversato gli Stati Uniti solo per dar conto ad un ridicolo proposito per il nuovo anno, e tutto quello che Natasha aveva da dargli erano un paio di stupidi consigli sulla sua incolumità? Nonostante tutto quello che era successo, nonostante gli anni passati, una parte di lei era sempre in all'erta, sempre sull'attenti, sempre pronta a fare la cosa giusta. Qualsiasi cosa significasse, comunque.

Valutò se rispondere, ma decise che non ne aveva voglia. Di parole, in fondo, sentiva di averne sprecate pure troppe. E poi temeva che se solo avesse azzardato a dar voce alla sua frustrazione, non avrebbe più chiuso bocca.

Dovette soffocare la vocina interna che l'avrebbe spinto – ancora e ancora – a chiederle di andare con lui. Non l'aveva fatto dieci anni fa, di certo non avrebbe cambiato idea adesso, senza alcun preavviso o uno straccio di pianificazione.

Aprì la portiera e si preparò ad uscire.

«Clint», lo richiamò Natasha, tendendogli quello che aveva l'aria d'essere un cellulare usa e getta tirato fuori da chissà dove. Neanche lo stava guardando.

Esitò per qualche secondo, ma alla fine accettò quella criptica offerta – un modo sicuro per contattarla, suppose.

Ne osservò il profilo, i lineamenti sempre uguali, i capelli scuri incastrati nella sciarpa e una stretta di disperazione gli prese lo stomaco. In fin dei conti, forse, non si erano mai capiti a sufficienza, altrimenti non sarebbero stati in quell'orrenda situazione... di nuovo.

«Sono così stanco di dirti addio, Natasha», si lasciò sfuggire, esausto davvero.

Richiuse la portiera e non si voltò per controllare che lo stesse guardando. Dopo un paio di metri sentì l'auto che si allontanava lungo la strada costeggiata da mucchi di neve sporca, immersa nella luce grigiastra dell'alba.

Neanche New York sembrava più la stessa.







Note: nell'intro mi sono dimenticata di dire che i capitoli sono due dal POV di Natasha, due dal POV di Clint. Per il resto nient'altro da aggiungere (:
Grazie a chi legge & commenta! Al prossimo capitolo (:
  
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