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Autore: Lala96    19/05/2016    2 recensioni
Lalage, giovanissima promessa della musica classica, a seguito di una serie di eventi dolorosi e di fallimenti professionali si trasferisce dalla capitale francese a Aix en Provence, dove si ritrova a vivere con la bislacca zia materna. Tormentata da dolorosi ricordi ma tenace, troverà ad attenderla persone, ragazzi giovani come lei, che l’aiuteranno a ritrovare l’amore mai scomparso per la musica. E le daranno il coraggio di affacciarsi investigando negli abissi della Storia, alla ricerca dell’amore perduto di sua nonna…
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ormai l’aria primaverile stava lasciando il passo alla più calda aria estiva. Da tempo il Mistral era solo un ricordo, mentre il Libeccio conduceva pigre nuvole verso il nord, sgombrando il cielo e dipingendolo di tenui e fumose tonalità di azzurro. Lalage si sedette fuori dalla serra e si tolse i guanti, battendoli tra loro per eliminare i residui di terriccio. Se fuori dalla serra il caldo cominciava a farsi sentire, all’interno sembrava quasi di stare in un forno. Si appoggiò contro le pareti trasparenti e respirò a pieni polmoni. Ormai stava iniziando ad abituarsi all’aria diversa del Meridione, impregnata di una tenue nota salmastra. Ciò che più di tutto le piaceva era il fatto che i venti, incoraggiati dal mare, soffiavano spesso sulla città impedendo allo smog di trasformarsi in quella specie di nebbia che talvolta nelle giornate di traffico intenso si formava su Parigi. Si riscosse, mise i guanti in un secchiello che richiuse con cura nell’armadietto degli attrezzi e prese la cartella. “Ehi perdente, girati e stammi bene a sentire. Penso che tu sei una perdita di tempo, in realtà, ma questa non te la posso lasciar passare”. Lalage non si voltò nemmeno ma sollevò gli occhi al cielo esasperata. “Ambra, penso che tu sia. Il congiuntivo almeno risparmialo, se devi cominciare una crociata contro di me abbi pietà della tua lingua madre” “Non fare la saccentella carina, dai veramente il voltastomaco ” le rispose Ambra portandosi vezzosamente una mano sul fianco. Quando si alzò Lalage sbatté piuttosto violentemente la porta dell’armadietto, mentre il nervoso la pervadeva fino alla punta dei capelli. “E tu invece hai rotto con i tuoi piccoli atti vandalici. Sei così tronfia e oca da non saperti relazionare con gli altri? Devi ricorrere a dei trucchetti da scuola elementare tipo le cinghie dello zaino tagliate, la bottiglietta d’acqua aperta nell’armadietto eccetera? Mi fai pietà perché evidentemente il tuo sviluppo cognitivo si è fermato all’età di quattro anni, ma MENNE, capito? MENNE! Lasciami quietare e vai a giocare a fare la bulletta con le tue amichette da un’altra parte. Anzi già che ci sei giocate a darvi in testa un dizionario, chissà che così non si trasmetta qualcosa al tuo cervello”. Gli occhi di Ambra si ridussero a due fessure. “Guarda carina, che hai poco da fare la superiore. Prima ti sbatti Castiel, poi ci provi con mio fratello. Sei solo una facile”. Ci fa. A ‘sto punto ci fa. Se ci è poveri noi, pensò Lalage allibita prima di rispondere “Guarda, cara la mia subrette in squilibrio ormonale, che qui quella che si è sbattuta qualcosa sei tu. La testa, e a giudicare dai danni, parecchio forte”. Ambra ridacchiò, poi la spintonò contro i vetri della serra e con fare minaccioso continuò “Senti spiritosona, vedi di non tirartela  solo perché non l’hai ancora data via”, ma con abile mossa Lalage si divincolò e si avviò lungo il marciapiede fino al cortile, dove si voltò per urlare alla biondina furente che la inseguiva pochi passi indietro. “Io almeno non l’ho data via come se fosse in saldo” e sogghignando si avviò verso casa.
Chinandosi sopra al letto le sue dita incontrarono il freddo metallo della scatola di biscotti. Lalage la fece scivolare vicino a sé e la afferrò, soffiò via la polvere che ne ricopriva il coperchio e la aprì. Tutto era rimasto come quando l’aveva scoperto. Le carte lise e ingiallite la attendevano immobili, aspettando di essere lette…o ignorate. Non sapeva cosa farne, in realtà. Da una parte era incuriosita, e quelle parole, “Mio amato Max” le avevano lasciato un febbrile desiderio di saperne di più. D’altra parte…era giusto leggere lettere altrui? Vero era che, dal momento che nessuno le aveva reclamate, probabilmente potevano essere lette. Ne aprì una a caso, e lesse la data a margine. 16 luglio del 1940. Socchiuse gli occhi riflettendo. Nel 1940…si era in piena Guerra Mondiale. Negli anni Quaranta in teoria la Francia era sotto l’occupazione tedesca, anche se da poco. Guardo la carta, vi passò sopra le dita incerta. In teoria, chi le aveva scritte poteva anche essere morto…se non morto, poteva essere da tutt’altra parte, in un altro angolo del mondo. In ogni caso non poteva restituirle se non scopriva almeno un indizio, e per farlo doveva leggerle. Certo, il fatto che fossero state trovate a casa della nonna riduceva il campo…forse. Le passò per la testa che la zia potesse saperne qualcosa. Dopotutto era stata spesso in quella casa, da bambina. Forse si ricordava qualcosa. Chiuse la scatola e andò a cercare la zia. Non era ancora tornata, forse era ancora in ospedale. Qualcuno in compenso suonò il campanello. Immaginando che potesse essere lei, si avviò decisa verso l’ingresso. Quando aprì, però, chi trovò sul pianerottolo non era zia Agatha. Era Nathaniel.

Era Nathaniel. In abiti non formali, una felpa sportiva con cappuccio sopra una t-shirt semplice, un paio di jeans in buono stato e un paio di Adidas. Le sorrise e disse “Ciao”. Le capacità espressive di lei si azzerarono, complici forse gli ormoni più o meno casti che iniziavano a circolare nel suo corpo alla vista di Nathaniel, in abiti informali, a casa sua. Se avesse potuto descrivere la tempesta di emozioni che la scuotevano in quel momento probabilmente l’avrebbe equiparata al Carnevale di Rio, ma dal momento che si era dimenticata come si parla rimase lì a fissarlo con la faccia della trota lessa in mezzo al contorno. “Posso entrare?”. Una vocina simile a quella di Minnie-probabilmente la sua-rispose “Certo!” mentre lo faceva accomodare. “P-posso offriti qualcosa? Thè, caffè…” “No grazie, sono passato solo per chiederti un favore” “Ah” esclamò Lalage piacevolmente sorpresa“A nome della scuola” “AH” fece meno entusiasticamente lei. Lui sorrise, poi vide la porta di camera sua aperta e le lettere sul letto. “Ti ho disturbato?” “No no tranquillo. Piuttosto, come hai saputo dove abito?” “Il tuo modulo di iscrizione”. Lalage inarcò il sopracciglio “Così suona parecchio inquietante, sai?” “Trovi?” rispose lui confuso arrossendo “eppure mi sembrava giusto, per un motivo scolastico” “Ma sì ma sì, non ti agitare. Vieni, ne parliamo in camera mia” e prevenendo un’imbarazzata obbiezione che l’espressione attonita di lui sembrava voler annunciare “in cucina e salotto è pieno di scatole. Ci sono dei lavori in una nostra casa di campagna e ci hanno mandato degli oggetti da tenere. Non mi va di farti accomodare in mezzo agli scatoloni, e in alternativa c’è solo il bagno e la camera, quindi….” “A-ah, sì capisco, certo” e si accomodò, sedendosi sul bordo del letto e guardandosi nervosamente le mani, imbarazzato.

Superata la sorpresa, lei lo guardò con curiosità. “Cosa sei venuto a chiedermi?”. Nathaniel tirò un respiro profondo e sospirò. “La preside è furiosa per l’insuccesso della corsa” “Lo so, ho finito con le ore di punizione solo giovedì scorso”. Nathaniel spiegò “Il problema è che la corsa ci serviva per finanziare alcune attività della scuola. In teoria spetterebbe al dipartimento farlo, ma ovviamente di ‘sti tempi i soldi non arrivano, o arrivano a singhiozzo”. Si appoggiò sulle mani chinando indietro la testa. “Quindi, si è discusso di un nuovo evento da organizzare a questo scopo. E a me è venuto in mente…che si potrebbe organizzare un evento…più culturale diciamo”. Lalage sospirò. Sapeva dove voleva andare a parare. “Un concerto, non è vero?”. Nathaniel giunse le mani e la guardò supplichevole “Non te lo chiederei se non fossimo davvero disperati, ma tutte le altre proposte sono infattibili o troppo costose…” “…e un concerto di Lalage Germont che torna in scena attirerebbe pubblico e soldi, oltre che nuovi iscritti l’anno prossimo, non è così?”. Sospirò di nuovo e si sedette accanto a lui. Le girava un po’ la testa, non sapeva se era per la vicinanza tra loro o per l’ansia e la tensione che la prendevano quando sentiva parlare di queste cose. “Non ti dico che non lo farò, perché mi dispiace, dopotutto il casino della corsa è stata colpa mia….ma non sono sicura di poterlo fare. Capisci, non è che non voglio, più che altro non so se POSSO”. Nathaniel le posò una mano sulla spalla “Non sei costretta, assolutamente, ricordalo. La corsa sarebbe stata un disastro in ogni caso” “Non credo. Ad ogni modo, è stata anche una mia responsabilità”. Incrociò le mani poggiando i gomiti sulle ginocchia e ci poggiò la fronte sopra, cercando di calmarsi. “Fammici riflettere un po’ e ti faccio sapere al più presto, va bene?” “Ok, non c’è problema”. Per un po’ fra loro passò solo il silenzio, poi Nathaniel si ricordò delle lettere e incuriosito si alzò a prendere la scatola. “Lettere?”. Lalage si riscosse e lo guardò, poi annuì. “Sì, erano nella casa in campagna della nonna. Ma non so di chi siano”. Lui si era seduto di nuovo vicino a lei, con la scatola in grembo. Estrasse una lettera a caso e la scorse appena. “Stavi per leggere questa?” “Come fai a saperlo?” si stupì lei. Nathaniel sorrise “Era la prima della serie, ma non sembra una delle più vecchie. Ho pensato che potessi averla messa tu così”. Lalage rise divertita “Sembri proprio un investigatore” poi la prese dalle sue mani. “Vuoi che la legga?” “Se non ti dispiace”. Lei prese fiato, e cominciò a leggere a voce alta

“Mio amato Max,
spero che
questa mia vi trovi entrambi bene. Io ancora non so cosa farò. Qui a Marsiglia è il caos, le notizie che arrivano dalla capitale sono solo voci confuse. Ho paura, sai? Tanta paura. Ma so che devo andarmene di qui. Ho paura che le cose possano peggiorare. Voglio andarmene via dall’Europa, e dopo vi farò venire qui. Troveremo un modo, vedrai, questa guerra non può continuare all’infinito. Oggi suonavo per strada per tirar su qualche soldo, come da un po’ di giorni a questa parte. Sai, quando sono partita non ho avuto il tempo di prendere la tessera, quindi devo per forza andare al Mercato Nero, è rischioso e non costa poco ma è l’unico modo con cui posso trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Indovina chi ho incontrato mentre improvvisavo presso il molo, dove vanno le famiglie a passeggio con i bambini la domenica? Il professor Klaus! Non si aspettava di vedermi, mi ha abbracciato stretto stretto e si è anche commosso. E’ stato divertente, commovente e strano allo stesso tempo sentirlo parlare con quell’accento, ti ricordi?, un po’ strampalato, un po’ tedesco. Era insieme a un uomo alto e dalla pelle scura, credo un mulatto, in divisa da ufficiale elegante. Mi ha baciato la mano e si è unito alla conversazione, anche lui parlava in modo strano, così notando il mio stupore Klaus mi ha detto che è delle Antille, e che lo accompagna in giro per una breve passeggiata perché, dice, hanno paura che i tedeschi possano farlo pedinare e magari sequestrare. Ha detto che è venuto solo in visita per fare le condoglianze alla cognata, te la ricordi, la signorina Babette, quella ragazzona tonda che rideva sempre come una chioccia? Pare che suo marito sia morto qualche giorno fa in un incidente d’auto. Mi ha chiesto se non avessi voluto stare da questa signora, intanto che si aspetta di capire come vanno le cose “lassù”, come dice lui per dire Parigi. Io non lo so Max. Ho paura a rimanere in Francia, siamo così vicini alla Germania, e ai suoi alleati! Ho provato a scrivere a quel mio cugino di Londra, quello che era venuto una volta da noi a Natale quando papà si era rotto un braccio scivolando sul ghiaccio, non so se ti ricordi. Magari lui potrebbe trovare un modo per farmi venire da lui. Ma è così rischioso! Dovrei passare attraverso i territori occupati, è un bell’azzardo. Ma qui sai, c’è sempre il sospetto che gli italiani possano tentare qualcosa. Mi prendo ancora due giorni per decidere. Ora vado, l’ufficiale Morzot mi ha invitato sulla nave per stasera, sai quello che ti dicevo oggi, della passeggiata. La vedova Babette mi ha anche fatto prestare un bel vestito da una delle sue figliole. Spero che stiate bene, che siate riusciti a mettervi in salvo. Fatemi avere vostre notizie.

Smise di leggere e lo guardò negli occhi. Nathaniel aveva unito le mani appoggiando i gomiti sulle ginocchia e uno sguardo intenso e concentrato. Provò l’impulso di scostargli le ciocche bionde dal volto per vedere i suoi occhi, ma si convinse che non era il caso e si trattenne. “E tu non sai di chi potrebbero essere?” “No…in realtà è la prima lettera che leggo…non so nemmeno se è eticamente giusto che lo faccia. Dopotutto al suo posto non vorrei che leggessero la mia corrispondenza”. Nathaniel le prese la lettera dalle mani, sfiorando le sue e facendola arrossire. La rilesse, poi gettò un’occhiata alla scatola. “Temo che non avremo scelta. Bisognerà che le leggiamo una ad una, altrimenti non ne verremo mai a capo” “Leggiamo? Vuoi dire che vuoi darmi una mano?” “Beh assomiglia un po’ a un poliziesco, no?” sorrise lui restituendola “però temo che non sia il caso che me le porti a casa. Quella peste di Ambra potrebbe inventarsi chissà quale diavoleria, e non vorrei proprio che ci rimanessero in mezzo le lettere”. Le ripose nella scatola. “Hai uno scanner?” “Sì, alla mamma serve la stampante. Non è mai stata qui, quindi è come nuova” “Puoi scannerizzarle e mandarmele via mail. Potremmo dividercele e analizzarle, magari troviamo qualche indizio. E se me le mandi via mail scannerizzandole non c’è il rischio che Ambra rovini le originali”. Lalage batté le mani entusiasta. “Sembra quasi un caso da investigatori!” “Vero?” e scoppiarono a ridere. “Beh, è così tardi, sarà meglio che vada…” fece lui alzandosi e girandosi verso di lei per salutarla. “Perché non ti fermi a cena? Mia zia è sempre entusiasta quando abbiamo persone in casa!”. Un ombra di amarezza attraversò per un’istante quegli occhi color miele, così rapidamente, prima che distogliesse lo sguardo sorridendo, che Lalage si chiese se per caso se l’era sognata o cosa. “Vorrei, ma i miei non me lo permettono. Grazie, come se avessi accettato”. Sospirando Lalage si lasciò cadere sul materasso. “Sei un tipo così sfuggente e misterioso!” commentò guardando il soffitto di fronte a sé. “Beh, sembra quasi un complimento” “In un certo senso…però è anche una cosa inquietante. Non si capisce mai quello che pensi sul serio”. Sentì un peso sulle sue ginocchia e si tirò su sui gomiti, stupita. Nathaniel, accovacciato davanti a lei, teneva le braccia incrociate sulle sue gambe e il mento appoggiato sopra le braccia, e la scrutava pensieroso. Lei arrossì fino alla punta delle orecchie, e incrociò gli occhi di lui, dove si accese una luce di divertimento. “Tu invece, sei un libro aperto. Dici sempre quello che pensi, e fai sempre capire quello che provi” “E’-è un male?” esitò lei “Non saprei. C’è chi direbbe che sì, è un difetto, ma non dei peggiori. Secondo me invece è un pregio”. Appoggiò le guance dove prima si era adagiato col mento, assumendo un’espressione sofferente e assorta che la turbò “Vorrei non dover sempre essere così evasivo. Vorrei poter dire anch’io quello che penso. Certe cose sono dolorose da nascondere”.Lalage si levò a sedere e gli passò una mano tra i capelli. Non voleva vederlo così abbattuto. Avrebbe voluto caricarsi di un sorso di quella sofferenza che lui voleva nascondere. All’improvviso, mentre lei era così china e intenta verso di lui, Nathanile le afferrò con delicatezza la mano e la strinse leggermente nella sua. Prima che lei potesse capire cosa fosse successo lui tirò su la testa tendendosi verso di lei, i loro volti si sfiorarono, e le labbra di lui incontrarono le sue, baciandola delicatamente. Il cuore si fermò un istante prima di accelerare bruscamente, mentre tratteneva il respiro completamente stupefatta. Socchiuse gli occhi e sentì il profumo di lui come se potesse sentirlo come un suono, il calore di lui come se potesse vederlo con gli occhi. Era una sensazione strana, che le diede l’impressione di stare sognando. Quando lui si separò da lei, i suoi occhi brillavano. Ma senza dare nessuna spiegazione Nathaniel si alzò, e con una certa velocità si diresse in ingresso. L’ultimo suono che lei sentì dopo i suoi passi, mentre ancora era pietrificata nella stessa posizione di prima, con la mano sospesa a mezz’aria, fu la porta di casa che si richiudeva.

 

   
 
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