Serie TV > Once Upon a Time
Ricorda la storia  |      
Autore: _Trixie_    19/05/2016    8 recensioni
Lezione #1: come attirare l’attenzione della più bella della classe (anche se è l’insegnante).
Lezione #2: come mantenere l’attenzione conquistata (anche a costo di rischiare la vita).
Lezione #3: come fare un regalo piccolo, dolce e poco originale (anche se le doneresti l’universo intero).
Lezione #4: come chiederle di uscire (anche se è notte fonda).
Lezione #5: come farla innamorare (anche se tu lo sei già).
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Note: ho scritto questa shot nella settimana tra la 05x21 e il doppio finale di stagione e questa è la ragione per cui vi sono sfuggenti riferimenti a ciò che succede nella 05x21, ma nessuno agli avvenimenti successivi.
In ogni caso la shot è ambientata un non meglio precisato numero di mesi dopo la conclusione della quinta stagione. Direi anche un paio di anni, dai.
 
L’idea è scattata quando Lana ha affermato che Henry venga istruito a casa da Regina in persona e pensare a una certa teacher Mills… Insomma, non so come sia successo che questa shot sia rimasta a rating verde.
 
Infine, un ringraziamento a Gaemac per i commenti del tutto inutili, ma divertenti, alla shot. Conoscere lo show solo attraverso le mie sclerate su Emma e Regina… insomma, ci vuole un certo grado di sconsideratezza.
 
Enjoy ;)
 
 
 
 
Lezioni di vita
 



 
 
Lezione #1: come attirare l’attenzione della più bella della classe (anche se è l’insegnante).
 
 
Secondo l’attendibile parere di Henry Daniel Mills, che vi aveva vissuto gran parte della propria vita, crescere in una cittadina come Storybrooke aveva numerosi vantaggi. E tuttavia, se ti ritrovi a essere il figlio della Salvatrice ed ex-Signore Oscuro e del sindaco ed ex-Regina Cattiva, nonché nipote di Rumpelstiltskin, della Regina di Cuori, di Snow White e del Principe Charming e con sicuramente molti più legami di parentela di quanti sia possibile definire razionalmente, allora la probabilità di finire invischiati in un’avventura più  o meno fatale risulta essere pericolosamente alta.
E questo, secondo Regina, era assolutamente intollerabile, perché avrebbe finito con l’incidere sull’educazione scolastica di suo figlio. Certo, c’era anche la questione del rischiare la vita a mesi alterni, ma questa diventava marginale quando a essere presi in considerazione erano i giorni scolastici persi mentre si tenta di difendere il proprio cuore dalle mani di Peter Pan, nonché bisnonno, o da quelle verdi della Malvagia Strega dell’Ovest, ziastra, nota bene.
Così, con il beneplacito della signorina Swan, il sindaco Mills aveva iniziato a istruire privatamente Henry.
Le lezioni di sua madre erano piuttosto interessanti, questo Henry non poteva in alcun modo negarlo. Non solo Regina seguiva alla lettera il programma che la scuola le aveva fornito, ma lo integrava con nozioni riguardanti l’Enchanted Forest: proprietà magiche di piante e pietre, la storia e le guerre del regno della loro famiglia, la geografia di luoghi lontani e sconosciuti.
Certo, Regina era un’insegnante severa, ma questo era del tutto prevedibile.
Ciò che invece non sarebbe mai stato prevedibile era che, a un certo punto, Regina Mills chiedesse a Emma Swan di darle una mano nell’istruire il loro ragazzo o che, perlomeno, si degnasse di assistere alle lezioni. 
«Cosa?» fece Emma, alzando un sopracciglio.
«Mi hai sentito benissimo» rispose Regina, stringendo gli occhi.
Erano nell’ingresso del numero 108 di Mifflin Street. Emma aveva riportato Henry a casa dopo aver passato la notte a casa sua e di Hook.
«E perché? Henry mi ha detto che sei un’enciclopedia umana!»
«Perché il tuo disinteresse per il grado di istruzione di Henry è intollerabile».
Emma spalancò la bocca e gli occhi, stupefatta.
«Non è assolutamente vero! Mi importa! Voglio che Henry abbia solo il meglio!»
«Non si direbbe» rimbeccò Regina, incrociando le braccia.
«Non si direbbe?» ripeté Emma, basita. «Ha la professoressa Mills! Se questo non è il meglio, dannazione!» aggiunse, facendo scorrere lo sguardo lungo tutto il corpo di Regina.
Già, perché la signorina Swan aveva questo suo modo particolare di indugiare sulla figura del sindaco che si era manifestato fin dal loro primo incontro e che la ragazza non sembrava intenzionata a voler correggere. Emma si coglieva spesso in flagrante, riscuotendosi, a osservare il corpo di Regina come se volesse imprimerselo nella memoria e rimirarlo in eterno.
E il problema era che il corpo di Regina, nella mente di Emma, aveva già un circuito neuronale riservato. Anzi, a  peggiorare le cose, non sarebbe stato scorretto affermare che con Regina di mezzo quello diventava l’unico circuito neuronale funzionante.
«Non imprecare» la riprese il sindaco, prima di alzare un sopracciglio, intrigata. «Quindi io sarei… il meglio
Emma lo sentiva, quell’impulso nervoso in cui la sensuale voce di Regina era stata codificata e inviata al suo cervello, girare come una pallina da flipper tra i neuroni del suo circuito fino a mandarla completamente in tilt.
«Cosa?»
«Cosa?»
«Regina, no-»
«Ah-ah» fece il sindaco, alzando un dito a pochi millimetri dalle labbra di Emma e riducendola al silenzio. «Aiutami a crescere tuo figlio».
«Che cosa?! Ora è mio figlio?!»
Regina si strinse nelle spalle.
Emma alzò gli occhi al cielo e sospirò, contrariata. Mise il broncio, sporgendo appena all’infuori il labbro inferiore, e incrociò le braccia.
Il sindaco sorrise, vittoriosa. Henry reagiva nello stesso modo quando era costretto ad ubbidirle. Il ragazzo aveva perso quell’atteggiamento intorno agli undici anni, mentre la signorina Swan…
«Appendi la giacca e togli quegli orribili stivalacci, prima che tu possa rovinarmi il pavimento» disse Regina, voltandosi per raggiungere la sala da pranzo dove Henry la stava aspettando per iniziare la lezione.
Emma si liberò della giacca di malavoglia, facendo smorfie e imitando sottovoce il tono di Regina.
«E non farmi il verso!» l’ammonì il sindaco dall’altra stanza.
Emma trasalì e soffocò un verso di frustrazione.
 
 
Henry era seduto tra loro, impegnato in un complicato problema di matematica.
Regina, con i gomiti appoggiati al tavolo, si sporgeva per vedere il quaderno del figlio.
Emma si annoiava terribilmente.
Erano passati cinque minuti da quando si era seduta su quella scomoda sedia di legno e già desiderava andarsene. O schiacciare un pisolino.
Aveva provato ad appoggiare la testa sul tavolo e chiudere gli occhi. Era durato circa tre secondi. Poi aveva sentito lo sguardo bruciante di Regina sulla nuca e quando la ragazza aveva alzato le palpebre si era ritrovata davanti un’espressione talmente minacciosa da parte del sindaco che Emma non aveva esitato a raddrizzarsi, pur senza contenersi dallo sbadigliare. Un atto di ribellione che le era costato una promessa di Emmacidio da parte di Regina.
Almeno, osservare il sindaco era un’occupazione più che divertente.
Emma adorava guardare Regina.
Le piaceva il modo in cui si scostava i capelli dal viso o in cui si mordeva il labbro inferiore, in un gesto di assente concentrazione.
Ma, una cosa che Emma amava fare ancora di più con Regina era stuzzicarla.
Perciò la ragazza prese furtivamente uno dei fogli di Henry appoggiati sul tavolo e se lo mise in grembo. Poi, mentre Regina indicava al figlio un errore, Emma prese anche una matita.
La signorina Swan infilò la lingua tra i denti mentre appoggiava la mina sul foglio.
Guardò Regina.
Emma tracciò la prima linea.
 
 
Henry si era alzato per prendere un bicchiere d’acqua e una boccata d’aria. Dopo un’ora di esercizi di matematica si sentiva stremato.
Regina sedeva compostamente, mentre Emma sorrideva tra sé e sé.
«Cosa c’è?» domandò il sindaco.
La ragazza si strinse nelle spalle prima di lanciare uno sguardo divertito a Regina.
Poi Emma, con un guizzo della mano, fece in modo di sospendere in aria un piccolo aeroplano di carta.
Regina piegò la testa di lato.
«Sul serio, signorina Swan? Tutto quel potenziale magico e lo usi per aeroplanini di carta?»
Emma ruotò il polso e l’aeroplano svolazzò in aria per qualche secondo, prima di urtare la testa di Regina e finirle in grembo.
Il sindaco la guardò con la disperazione negli occhi.
«Suppongo che questa sia la mia punizione per averti costretta a rimanere» disse a Emma. Questa si strinse di nuovo nelle spalle.
«Aprilo» aggiunse poi, indicando l’aeroplanino tra le mani affusolate del sindaco.
Regina la guardò confusa, ma fece come le era stato detto.
Trattenne il fiato e deglutì visibilmente.
Emma sentì il proprio cuore fare una capriola nel petto. E quando Regina alzò gli occhi su di lei, occhi pieni di ammirazione e di… qualcos’altro, che Emma non riuscì a interpretare, quando Regina la guardò, la ragazza perse ogni capacità intellettiva.
«Emma…» soffiò il sindaco, dolcemente. Era un velo di lacrime, quello che Emma vide sui suoi occhi? «Emma, è… bellissimo».
Emma, incerta, arrossì e poi sorrise.
A Regina era piaciuto.
A Regina era piaciuto!
«Hai usato la magia?» domandò il sindaco.
La signorina Swan scosse la testa vigorosamente, continuando a sorridere senza sosta.
«Io non… È davvero stupendo».
«Cosa è stupendo?» domandò Henry, tornando nella stanza.
«Niente!» risposero in coro Emma e Regina, arrossendo visibilmente e abbassando entrambe lo sguardo.
Regina nascose dietro la schiena il ritratto che Emma le aveva fatto.
 
 
Regina non riuscì a concentrarsi per tutta l’ora successiva. Le sue dita non ne volevano sapere di lasciar andare l’aeroplanino di Emma.
Persino Henry si era accorto che sua madre aveva la testa da un’altra parte, ma dal momento che persino Emma sembrava persa in un mondo tutto suo, il ragazzino decise di non indagare.
Per esperienza personale sapeva che invischiarsi negli affari di una delle sue madri sarebbe potuto essere un tantino rischioso, ma gestibile, e tuttavia invischiarsi negli affari di entrambe, nello stesso momento, era semplicemente un’impresa impossibile.
«Possiamo smettere per oggi, mamma?»
Mancavano dieci minuti al termine della lezione stabilito da Regina. E il sindaco non aveva mai risposto affermativamente a quella domanda. Il tentativo di Henry era disperato, il ragazzino ne era consapevole, ma chiedere non costava nulla.
«Certo, tesoro. Sei stato molto bravo oggi» rispose Regina, accarezzandogli i capelli.
Henry si afferrò la mascella, sicuro che sarebbe caduta se l’avesse lasciata andare.
«Non ti senti bene?» domandò immediatamente il sindaco, il cui istinto di protezione non si assopiva mai.
«No, no, sto benissimo!» precisò immediatamente Henry, mettendosi a raccogliere frettolosamente libri, quaderni, fogli, penne e matite prima che sua madre si rendesse conto che il mondo aveva iniziato a girare al contrario e che avevano appena concluso una lezione con ben dieci minuti di anticipo.
Il ragazzino schizzò su per le scale con un semplice «ciao, ma’!» rivolto a Emma, ancora incredulo per tanta fortuna.
Qualcosa doveva essere successo. Qualcosa di molto grande, anche.
Henry non aveva idea di cosa, ma se rendeva Regina tanto felice, persino dopo Robin, il ragazzino era disposto ad accettarlo senza esitazioni.
Ora doveva solo scoprire di cosa si trattasse.
 
 
Regina e Emma rimasero sole e prima che il sindaco potesse invitare la ragazza a bere un bicchiere di sidro di mele, così da avere la possibilità di chiederle qualcosa di più riguardo alle sue doti artistiche, qualcuno suonò un clacson nel vialetto d’accesso di Regina.
«Oh» fece Emma, sorpresa, come se si fosse appena ricordata di qualcosa. «Deve essere Killian. Gli avevo detto di passare a prendermi qui».
«Oh» rispose Regina. Era come se un macigno le si fosse appena posato sul petto. «Ancora non riesco a capacitarmi di come sia riuscito a prendere la patente, dal momento che sa a stento usare un telefono».
La ragazza tentò di dissimulare un sorriso divertito con un leggero sguardo di rimprovero, che Regina ignorò completamente.
All’ingresso, Emma si mise gli stivali e poi la giacca.
«Quindi…» fece la ragazza, infilandosi nervosamente le mani nelle tasche dei jeans. «Quando è la prossima lezione?»
Sorpresa, Regina la fissò per qualche secondo. Aprì la porta d’ingresso, facendosi da parte perché Emma potesse passare.
«Domani, signorina Swan. Stessa ora».
 
*
 

Lezione #2: come mantenere l’attenzione conquistata (anche a costo di rischiare la vita).
 
 
Regina controllò l’ora per l’ennesima volta, sospirando. Si schiarì la gola. Il suono riecheggiò nel silenzio della casa.
Henry, seduto accanto a lei e pronto a iniziare le lezioni quotidiane, la guardò confuso. Era passato un minuto da quando la lezione sarebbe dovuta iniziare e il ragazzino iniziava a preoccuparsi riguardo a sua madre. Non solo il giorno precedente aveva finito in anticipo, ma in quel momento sembrava così assorta nei suoi pensieri da non rendersi nemmeno conto dello scorrere dei secondi.
«Mamma?» tentò Henry, incerto. «Va tutto bene?»
«Certo, tesoro. Perché?»
Il ragazzino accennò eloquentemente all’orologio a pendolo presente nella sala da pranzo. Regina sospirò.
«Tua madre aveva detto che sarebbe venuta a lezione anche oggi. Suppongo che abbia cambiato idea senza avvisare».
Henry fece una smorfia scettica. «Conosci la mamma. Sarà in ritardo».
Il sindaco alzò gli occhi al cielo e guardò il proprio orologio da polso.
«Non importa, iniziamo» disse poi a Henry.
Il ragazzino aprì il libro di biologia. Non appena la copertina toccò il tavolo, il campanello suonò.
Il primo impulso di Regina fu di sorridere, ma si trattenne, ricordandosi che no, non era affatto educato presentarsi in ritardo e che un simile comportamento non faceva altro che dimostrare quanto poco responsabile e maturo fosse l’atteggiamento della signorina Swan nei confronti dell’educazione di Henry.
Cosa era per lei? Un gioco?, si domandava il sindaco mentre si dirigeva verso l’ingresso.
Regina aprì la porta con un gesto di rabbia.
«Ben tre minuti di ritardo, Emma. Non ti sembra di esagerare?»
La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa. «A dire il vero… no».
Regina alzò un sopracciglio. Emma aveva delle profonde occhiaie nere e il viso stanco, come di chi abbia passato una nottata insonne. Il sindaco era sicura che l’avesse trascorsa con Hook. «Suppongo che ti stessi divertendo troppo con il tuo pirata per ricordarti della lezione di Henry».
La sorpresa di Emma si tramutò in confusione.
«No! Ho comprato le ciambelle» disse, alzando il braccio per mostrare un sacchetto di carta.
«Sono zuccheri complessi, signorina Swan. Danneggiano le prestazioni intellettuali. Lasciale in cucina, Henry potrà mangiarne una dopo la lezione».
«Ma io ho fame ora» replicò Emma, come se fosse quanto di più ovvio esistesse al mondo.
«Signorina Swan».
«Ok, va bene, d’accordo. Dannazione, Regina, che diavolo ti prende?» domandò la ragazza, entrando finalmente in casa.
Dietro di lei, il sindaco sbatté la porta.
 
 
Regina era visibilmente tesa.
E Emma non ebbe problemi a capirlo. Era nelle spalle più rigide del solito, nella piega della bocca, nel modo in cui il sindaco evitava in ogni modo di guardare nella sua direzione. La ragazza si domandò che cosa fosse successo. Certo, lei si era presentata in ritardo, ma era un ritardo praticamente irrisorio rispetto a quelli cui aveva abituato Regina.
No, doveva esserci un’altra ragione, perché il ritardo di Emma non era altro che un chiaro pretesto per sfogare la frustrazione.
La faccenda non poteva riguardare Henry, dal momento che Regina si rivolgeva a lui dolcemente mentre gli spiegava il sistema immunitario. E non poteva nemmeno riguardare il lavoro perché altrimenti Emma era sicura che il sindaco se ne sarebbe lamentata con lei, fino a trovare una ragione del tutto evidente e logica in base alla quale la stazione di polizia era negativamente coinvolta in tutta la faccenda e, per esteso, Emma aveva una non meglio precisata responsabilità in quanto sceriffo, il che comportava, ovviamente, che la ragazza avrebbe dovuto aiutare Regina a risolvere l’ennesimo problema cittadino.
Senza contare, e questo era senza dubbio l’indizio più eloquente di tutti, che Regina la ignorava completamente. E a Emma non piaceva affatto essere ignorata. Se poi a ignorarla era Regina, la cosa le piaceva ancora meno.
Sapeva gestire dignitosamente una palla di fuoco lanciata dal sindaco nella sua direzione e un po’ meno dignitosamente un sorriso rubato a Regina quando credeva che nessuno guardasse, ma Emma non sapeva gestire con alcuna dignità il silenzio da parte di lei.
Inoltre, quella non era decisamente la giornata giusta per essere ignorata.
La ragazza si schiarì la voce prima di parlare.
«Sei arrabbiata?»
Henry e il sindaco guardarono Emma.
Il ragazzino sembrava chiedersi se sua madre fosse all’improvviso impazzita, osando interrompere Regina nel bel mezzo di una frase e per giunta con una domanda che non solo non aveva ragione di essere posta in quel momento, ma che per di più era di carattere personale.
Regina sembrò fare uno sforzo titanico per non distogliere gli occhi da Emma.
«Come, prego?»
«Sei arrabbiata? Con me?»
«Signorin-»
«Oh, andiamo, dacci un taglio, Regina. Se hai qualcosa da dire, dilla».
Il sindaco rimase impassibile.
«Henry, tua madre ha portato delle ciambelle, va’ a mangiarne una. Oggi anticipiamo la pausa».
Il ragazzino, cautamente, si alzò. Lanciò uno sguardo compassionevole a Emma, come se la ragazza avesse appena deciso di lanciarsi in una missione da cui le probabilità di uscire viva erano davvero molto esigue.
Il che, Emma lo sapeva, era metaforicamente vero.
Non appena Henry fu scomparso in cucina, la ragazza fece per parlare, ma si ritrovò a chiudere la bocca di fronte all’indice alzato di Regina.
«Emma» fece il sindaco, sottolineando il suo nome con il proprio tono di voce. «Sarebbe davvero gentile da parte tua se evitassi di disturbare la lezione».
«Regina» rispose la ragazza, imitando l’inflessione del sindaco, «sarebbe davvero gentile da parte tua se mi dicessi che problema hai invece di sottopormi alla tortura dell’indifferenza».
«Oh, scusami se non faccio i salti di gioia per il tuo ritardo».
«Tre minuti di ritardo non sono ritardo!»
«Immagino che passare il tempo con il tuo Killian ti faccia perdere la cognizione del tempo!»
«L’ho lasciato, Regina, dannazione, smettila di nominarlo!» sibilò Emma, con le lacrime agli occhi.
L’espressione del sindaco mutò in una frazione di  secondo. La mano di Regina volò a coprire quella di Emma appoggiata sul tavolo.
«Non ne voglio parlare» borbottò la ragazza, asciugandosi una singola lacrima scivolata lungo la sua guancia.
Regina la guardò in silenzio per qualche secondo.
«D’accordo» disse poi, dando una leggera stretta alla mano di Emma, che accennò un sorriso.
Henry tornò in quel momento, con il viso sporco di zucchero e un bicchiere d’acqua tra le mani. Prima che il ragazzino potesse notare il viso sconvolto di Emma, Regina intercettò suo figlio e lo spinse in direzione del bagno per costringerlo a darsi una ripulita.
Emma le fu enormemente grata per quei minuti di solitudine in cui poté ricomporsi.
 
 
Emma si lasciava accarezzare dalla voce di Regina, impegnata nella lezione di Henry.
Regina aveva una bella voce.
 
 
Uscendo, Emma si voltò verso Regina.
«Mi dispiace per prima» disse la ragazza, infilandosi le mani nella tasca dei jeans.
«Non devi. È stata colpa mia. Tre minuti non sono poi un ritardo così grave» rispose Regina, come se quell’ammissione le costasse gran parte dell’orgoglio che aveva.
Emma le sorrise.
«Allora eri davvero nervosa? Cosa è successo?» domandò la ragazza.
Regina represse un attacco di panico.
Ricordò il sollievo che aveva provato quando Emma le aveva detto di aver lasciato Hook. E la vergogna e la mortificazione che erano seguite. Capì che ciò che l’aveva innervosita tanto, fin dal giorno prima, altro non era che gelosia.
Regina era gelosa di Emma.
Ma quello chiaramente non era il momento adatto per una rivelazione del genere.
Nessun momento sarebbe mai stato adatto per una rivelazione del genere.
Emma non sarebbe mai venuta a conoscenza di una rivelazione del genere.
Regina non voleva assolutamente che la ragazza si allontanasse da lei solo perché non provavano lo stesso grado di affetto l’una per l’altra. Erano amiche, sarebbero rimaste amiche.
«Nulla di importante, Emma. Grazie per aver chiesto» rispose Regina, nel suo miglior tono da politicante,  perfezionato nel corso dei suoi anni da Regina Cattiva e poi sindaco.
La ragazza non disse nulla, ma entrambe sapevano che non aveva creduto nemmeno per un secondo alla menzogna di Regina. E tuttavia Emma si fidò di lei: se, secondo Regina, quello non era il momento giusto per parlarne, allora lei non avrebbe insistito.
«A domani? Stessa ora?» domandò Emma.
Regina annuì.
 

Henry notò che la porta dello studio di Regina era socchiusa quel tanto che bastava perché lui vi si potesse accostare per sbirciare all’interno. Cautamente, il ragazzino vi si avvicinò, piegando schiena e gambe così da farsi il meno visibile possibile.
Voleva solo dare un’occhiatina. Forse avrebbe notato un indizio in grado di fargli capire che cosa stesse succedendo alle sue madri in quegli ultimi giorni. Si comportavano in modo anomalo l’una con l’altra oltre che con lui.
Curiosamente, Regina non stava lavorando alla sua scrivania come era solita fare quasi ogni sera. Era seduta sul divano accanto al camino. Tra le mani teneva una cornice. Henry drizzò appena le gambe, per poter vedere quale foto contenesse.
Il ragazzino si rabbuiò, allontanandosi dalla porta.
Perché sua madre aveva un’espressione tanto pensierosa e assorta nel guardare un suo ritratto a matita su un foglio sgualcito?
 
*
 
 
Lezione #3: come fare un regalo piccolo, dolce e poco originale (anche se le doneresti l’universo intero).
 
 
Ad aprirle la porta quel giorno fu un sorridente Henry, che indossava un grembiule da cucina sporco di cioccolato e farina. Emma sorrise, annusando l’aria.
«Regina ha fatto una torta?» domandò la ragazza in un bisbiglio, come se avesse timore di sperare in una possibilità del genere. Il fatto era che, dopo Robin, Regina aveva smesso di fare tante cose. E le sue torte, le sue buonissime torte, così buone che Emma credeva che nessuno sarebbe mai riuscito ad eguagliarle, erano diventate una rarità, assaggiabile giusto in occasione del compleanno di Henry.
Il ragazzino annuì.
A entrambi brillarono gli occhi.
Emma si precipitò in casa e verso la cucina.
Sembrava la mattina di Natale.
 
 
Regina, dando le spalle a una trafelata Emma appena arrivata sulla soglia della cucina, chiuse lo sportello del forno con un fianco, per poi girarsi verso la ragazza.
Tra le mani, reggeva la torta al cioccolato con cannella che aveva preparato facendosi aiutare da Henry.
La sorpresa del sindaco nel vedere Emma si trasformò in un sorriso esitante.
La ragazza spalancò la bocca.
Regina si incupì. «Qualcosa non va?»
Emma mosse la testa a destra e a sinistra, continuando a guardare davanti a sé.
«Emma?» la chiamò Regina.
Emma negò nuovamente con la testa.
«Cosa?»
La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte. Deglutì.
«È… è come una visione» riuscì infine a balbettare Emma.
«La torta? La torta è una visione?» domandò Regina, confusa. «Non credevo che il tuo stomaco avesse tendenze mistiche».
Emma scosse la testa, negando di nuovo.
Poi si affrettò ad annuire vigorosamente.
Non aveva la minima intenzione di rivelare a Regina che lei era la visione cui Emma si riferiva, con i capelli ormai lunghi fino alle spalle raccolti in un basso chignon laterale e una goccia di cioccolato fondente all’angolo della bocca.
«Emma» sospirò Regina, appoggiando la torta sul ripiano di marmo accanto a lei. «Quante volte ti ho detto di non entrare in casa con gli stivali?»
 
 
Henry e Emma non riuscivano a pensare ad altro che alla torta di Regina.
Regina parlava, Regina tentava di spiegare al ragazzino la storia del Diciassettesimo secolo, ma il sindaco sapeva benissimo che lui non le stava prestando attenzione. Il suo sguardo era fisso, vacuo, distante e l’ombra di un sorriso che non riusciva a dissimulare completamente gli adornava le giovani labbra, che avevano lo stesso taglio di quelle di Emma.
La signorina Swan, dal canto suo, non aveva nemmeno quel minimo di discrezione che Henry era riuscito a conquistare nonostante la sua giovane età. La ragazza non faceva che mordersi le labbra e muovere la gamba su e giù velocemente, in un chiaro segno di impazienza. Oltre a questo, Regina notò anche il modo in cui Emma le lanciava occhiate furtive, arrossendo appena per poi piantare lo sguardo nel tavolo di fronte a lei.
Era come se l’acquolina della ragazza fosse provocata da lei e non dalla torta.
Al pensiero, l’aria che Regina stava inalando deviò bruscamente tragitto, facendola tossire. Emma si alzò di scatto, portandosi al suo fianco, allarmata.
«Regina, stai bene?»
Il sindaco diede ancora un paio di colpi di tosse, poi rimase immobile, come trasognata. Gli occhi di Emma erano così vicini.
Con un incredibile sforzo di volontà, Regina annuì. «Certo, non è nulla».
Si schiarì la voce, massaggiandosi il collo, incapace di distogliere lo sguardo dal volto di Emma.
«Io…» iniziò il sindaco, cercando invano di scacciare il pensiero che la ragazza potesse avere una cotta per lei. «Io credo che sia ora di fare una pausa. E mangiare la torta».
Henry, come una saetta, si alzò in piedi e corse verso la cucina. 
«Non ho intenzione di lasciartene nemmeno una fetta, ma’!» gridò, rivolgendosi naturalmente a Emma. La ragazza impallidì alla prospettiva e diede una stretta alla mano di Regina.
«Sicura di stare bene?»
Il sindaco annuì di nuovo. 
«Scusami, ho una torta da mangiare» disse allora Emma, prima di lanciarsi nella stessa direzione di suo figlio.
 
 
«No».
«Cosa?!»
«Ho detto di no, Emma».
«Ma-»
«Non mi sembra proprio il caso di mangiare una terza fetta di torta» disse Regina, interrompendo sul nascere la protesta della ragazza.
«Ma quelle di Henry erano più grandi!» disse Emma, incrociando le braccia.
Il ragazzino ghignò.
Regina alzò un sopracciglio, sconcertata.
«La prossima volta userò il goniometro per tagliare la torta in fette identiche» rispose il sindaco.
«Non è necessario, basta che tu mi dia un’altra fetta di torta».
«No».
«Regina!».
«Puoi fare i capricci quanto vuoi, non ne avrai un’altra» rispose il sindaco, tornando nella sala da pranzo e facendo cenno a Henry di seguirla perché riprendessero la lezione.
Emma attese che il rumore di sedie che si spostano sul pavimento cessasse e la voce di Regina riempisse la casa. Guardò la torta a pochi centimetri da lei, sul tavolo. Prese il coltello, decisa a tagliarsi una terza fetta, che poi le spettava di diritto, considerando che quelle di suo figlio erano state decisamente più grandi delle sue.
Regina si sarebbe presto accorta della sparizione di un’altra parte delle torta, ma a Emma non importava.
Voleva solo la sua fetta.
Nel momento in cui la lama del coltello toccò la glassa di cioccolato, Emma sentì uno strano formicolio al collo, che subito si tramutò in solletico. Incapace di trattenersi dal ridere, la ragazza mollò la presa sul coltello, dimenandosi e passandosi le mani attorno al collo nel vano tentativo di far smettere quella tortura.
Ovviamente Regina aveva protetto la torta con un incantesimo. Avrebbe dovuto aspettarselo.
Ridendo e piegandosi su sé stessa, Emma riuscì a raggiungere la sala da pranzo.
«T-ti prego, Regi-» la ragazza dovette fermarsi, colta da un eccesso di risa. Henry la guardava stupefatto, mentre le labbra del sindaco erano curvate in una malevole smorfia di divertimento. «’Gina, fa-fallo smettere!»
Regina incrociò le braccia.
«Non avresti dovuto provare a rubare la mia torta».
 
 
La tortura di Emma era durata almeno una decina di minuti e le era costata la promessa che non avrebbe mai più provato a rubare una torta fatta da Regina e la maggior parte dei suoi alveoli polmonari, stremati dalla risata incontrollabile.
Il sindaco non poté fare a meno di immaginare che gioia sarebbe stata, quella di fare il solletico sul collo della signorina Swan con le proprie dita.
 
 
«Regina?» la chiamò Emma, mentre Henry saliva le scale per andare in camera sua al termine della lezione.
«Sì?»
Emma ebbe l’impulso di dirle di smetterla. Smetterla di essere così bella, smetterla di mandarla in confusione, smetterla di attirarla verso di lei.
Scosse la testa. «Possiamo parlare?»
«Certamente» rispose il sindaco, con un tono di qualche ottava più alto del normale. Tornò a sedersi al tavolo della sala da pranzo e Emma la imitò, occupando il posto dove solitamente sedeva Henry.
La ragazza capì immediatamente che non era stata affatto una bella idea. 
Il profumo di Regina era ammaliante.
Il sindaco si schiarì la voce. Emma si morse il labbro nervosamente.
«Mi ha detto che lo trascuravo. Mi ha detto che lo trascuravo e che, dopo aver esagerato con il rum, è andato a letto con qualcun’altro» disse Emma. Il suo sguardo era puntato sulle proprie cosce, dove, con il dito, la ragazza tracciava arabeschi senza disegno sui jeans, in modo assente.
«Oh, Emma» sospirò Regina, stringendole il braccio in segno di conforto. Le stava parlando di Hook. Aveva sperato che le parlasse di altro, certo. Ma era stato stupido. Ovviamente voleva dirle di quel suo pirata.
«No, è… Va bene. Voglio dire, non va bene, perché… Ci sono state tante cose. Lo sai, tu c’eri» disse Emma. «Quando me l’ha detto me ne sono andata, dicendogli di non farsi più vedere. Ma poi a casa ci ho pensato e ripensato. Mia madre dice che dovrei dargli una seconda possibilità».
Il volto di Regina si indurì. Mary Margaret non aveva esattamente un passato da Cupido quando si trattava delle relazioni altrui.
«Tu cosa vuoi?» domandò il sindaco.
Emma alzò gli occhi su di lei.
Fece per rispondere, ma poi sembrò cambiare idea, scosse la testa e puntò nuovamente lo sguardo sui propri jeans.
«Andrò a cena con lui, questa sera».
«Oh» fece Regina, senza riuscire a nascondere la delusione.
«Oh?» fece Emma, guardandola di nuovo. «Non dovrei? Voglio dire… Tutti meritano una seconda possibilità, no?»
Il sindaco si morse il labbro.
No, Emma non avrebbe dovuto, così la pensava Regina. Emma non avrebbe dovuto concedere l’ennesima possibilità a quel dannato pirata, che non era certo all’altezza della ragazza.
E tuttavia Regina non disse nulla.
«Sì, certo. Una seconda possibilità» disse, dando una stretta al braccio di Emma.
Dentro di sé, Regina giurò che, se mai avesse avuto una possibilità con Emma, non l’avrebbe bruciata.
 
*
 

Lezione #4: come chiederle di uscire (anche se è notte fonda).
 
 
Killian l’aveva portata nel ristorante del loro primo appuntamento.
Emma cercava di sorridere e di godersi l’ottimo vino che l’uomo aveva scelto per accompagnare la cena, ma il pensiero della ragazza vagava incessantemente per le vie di Storybrooke e attraverso le strade del suo cuore e ogni volta, immancabilmente, Emma si scontrava con il volto di Regina.
Era folle anche solo sperare che il sindaco pensasse a lei sotto quella luce, eppure Emma avrebbe attraversato l’universo intero per un suo bacio. E alla ragazza sarebbe bastato andare dall’altra parte della città, suonare alla porta di Regina, chiederle il permesso di baciarla e sperare che dicesse sì.
Perciò, cosa ci faceva lì a cercare di ricomporre i pezzi di una relazione che aveva sempre sperato di far funzionare, con ogni fibra del suo essere, ma che non aveva mai funzionato davvero?
Semplicemente, a volte, non hai gli ingranaggi giusti per far battere il tuo cuore e non ti rimane che iniziare a cercare quel pezzo mancante che sai si adatterà alla perfezione nel tuo petto.
«Mi dispiace, Killian. Devo andare».
 
 
Regina non riusciva a dormire.
Regina non riusciva a dormire ed era tentata di ricorrere alla magia solo per sapere dove fosse Emma. Ma sarebbe stata un’oltraggiosa nonché pericolosa invasione della privacy della ragazza. Il sindaco non voleva rischiare di vedere qualcosa che non avrebbe dovuto o, ancor meno, voluto vedere.
Allungò il braccio fuori dalle coperte e accese la luce.
Fissò il soffitto.
La notte era tranquilla, tersa, senza nuvole. Le stelle brillavano.
Regina sussultò, quando un aeroplanino di carta sbucò dal nulla e cadde accanto a lei sul letto.
 
*
 

Lezione #5: come farla innamorare (anche se tu lo sei già).
 
 
Regina indossò la vestaglia e si precipitò sotto l’albero di mele del suo giardino, come la signorina Swan aveva scritto sulle ali dell’aeroplanino.
«Emma?» bisbigliò il sindaco, nella notte.
«Ehi» fece Emma, sbucando da dietro l’albero di mele con una torcia in mano.
«Stai bene? È successo qualcosa?»
Emma fece un passo avanti, si fermò.
Fece per parlare, poi chiuse la bocca.
Diede le spalla a Regina solo per voltarsi nuovamente un secondo dopo e avvicinarsi, invadendo lo spazio personale del sindaco.
Il cuore di Regina iniziò a battere furiosamente. Seguendo l’istinto, alzò una mano e accarezzò il viso di Emma.
La ragazza chiuse gli occhi.
«Emma, cosa succede?»
«Devo chiederti una cosa, ma ti prego, Regina, ti scongiuro, non uccidermi. E non lanciarmi palle di fuoco addosso. Abbiamo un figlio da crescere» fece Emma, aprendo gli occhi. Le tremavano le mani.
Regina, colta di sorpresa da quella premessa, si limitò ad annuire.
«Grazie» rispose Emma.
Poi rimase in silenzio, fissando Regina negli occhi.
Il sindaco, che ancora aveva una mano sulla guancia della ragazza, disegnò con il pollice il contorno del suo zigomo.
«Emma, non-»
«Posso baciarti?»
Regina congelò. Ogni fibra del suo essere, ogni cellula, ogni molecola del suo corpo s’immobilizzò. L’universo intero sembrava essersi arrestato.
No, doveva aver frainteso.
Oppure stava sognando. Un sogno molto vivido, certo, perché la pelle di Emma era così liscia sotto la sua mano e il profumo della ragazza era così inebriante, simile a quello della cannella, e si sposava incredibilmente bene con il profumo del suo albero di mele.
Regina chiuse gli occhi.
Non bruciare la tua occasione, Regina.
Il sindaco tornò a guardare la ragazza, la ragazza dagli occhi verdi colmi di speranza.
Regina le prese il volto con entrambe le mani e si alzò con slancio sulla punta dei piedi per baciare Emma.
La torcia, cadendo a terra, si spense.
E loro risero nella notte.
 
 
 
 
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: _Trixie_