Storie originali > Azione
Ricorda la storia  |      
Autore: Najara    19/05/2016    5 recensioni
Dopo un risveglio brutale in un campo di battaglia pieno di cadaveri la protagonista si ritrova sola e con la mente svuotata. Tra passato e presente riuscirete a ricostruire la sua storia?
Storia partecipante ai contest: "This is War III" di ManuFury e "Il contest delle regioni" di tatsuei
Genere: Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il nostro tempo sta scadendo

 

 

 

Da dove vengo io?

 

Una goccia d’acqua le colpì il viso. Aprì gli occhi: davanti a lei solo un plumbeo cielo.

Sbatté le palpebre mentre una seconda goccia di pioggia si infrangeva sul suo volto e poi una terza. Iniziò a piovere. Il concetto le sfuggì dalla mente e lei girò la testa. Un forte odore aveva preso il sopravvento su tutto: sangue. Scattò in piedi e si guardò attorno: cadaveri. Ovunque. Un immenso campo di battaglia in cui lei era la sola in piedi, la sola a muoversi.

 

***

Ora: Zulu 0608

Luogo: Sobborghi di Melbourne

 

“Non mi piace.”

“Hanno detto recupero.” La città grigia e informe scorreva rapida sotto i loro piedi.

“Sì, ma non riceviamo segnali radio da parecchie ore.”

“Guardali…” L’uomo distolse gli occhi dal Barrett M107 che stava pulendo da invisibili tracce di polvere e osservò. “Sono solo una massa indisciplinata: senza capi, senza regole.” Continuò il compagno.

I due soldati osservarono in silenzio il triste paesaggio che stavano sorvolando.

“Indisciplinati, ma non per questo meno letali.” Mormorò infine il cecchino poi distolse gli occhi e riprese il suo lento e preciso lavoro.

 

***

 

La pioggia si infrangeva sui corpi con impietosa ferocia, eppure la sua mente non riusciva ad afferrare l’immensità della tragedia che aveva davanti. L’odore del sangue era stato sostituito da uno più intenso: il penetrante puzzo di carne umana bruciata.

 

“Reclute, sull’attenti!”

Obbedì all’ordine facendo del suo meglio per stare rigida e ferma, ma i suoi occhi seguirono l’uomo che si era fermato davanti a loro.

“Non vi farò il classico discorso intimidatorio.” Ruppe il silenzio il sergente istruttore. “Siete dei sopravvissuti, conoscete il mondo, conoscete la minaccia che dobbiamo affrontare.” Guardò nei loro occhi, uno ad uno, erano tre e non ci mise molto. “Farò tutto ciò che posso per insegnavi a battervi e a usare il meglio delle ultime armi prodotte dalla nostra civiltà.” Fece qualche passo allontanandosi, poi come in un ripensamento si voltò di nuovo verso di loro. “Avete deciso di battervi invece che di procreare, questo significa che la vostra vita mi appartiene e ricordate: da dove vengo io, un soldato che perde la testa in combattimento si chiama bersaglio.[1]” L’uomo se ne andò, lasciandoli liberi di rilassarsi. Il suo vicino ridacchiò: era un uomo dalla possente muscolatura, evidenziata dalla maglietta aderente.

“Sergenti istruttori… una volta in un libro che ho letto un soldato diceva che non hanno una madre, ma come i batteri, si riproducono per cariogenesi.” Rise e questa volta lei sentì le labbra incresparsi in un sorriso.

“Mi chiamo Matt, mi hanno trovato in Canada.” Le tese la mano e lei la prese.

Nisha, sono indiana.”

“Ah sì? E come sta Toro Seduto?” La terza recluta la guardò con aria provocatoria, aveva la pelle bianchissima e i capelli rossi raccolti in una treccia.

“Non iniziare Erin.” Intervenne Matt.

“Vengo dall’India, ma sono sicura che Toro Seduto ti chiederebbe di mandargli delle patate. Irlandese.” Le rispose decisa. Non aveva intenzione di farsi nemici il primo giorno alla base, ma di certo non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da uno scricciolo di donna senza sangue nelle vene e dal rivelatore tatuaggio a forma di trifoglio sul collo.

 

 

 

Un soldato

 

Ora: Zulu 0613

Luogo: Melbourne

 

“Dettagli sulla missione?” Chiese il cecchino sistemando il Barrett sul tetto mentre il suo osservatore riceveva informazioni via radio. La risposta non giunse e il soldato voltò la testa verso il compagno. Il viso del sergente era sorprendentemente pallido.

 

***

 

Il sangue scorreva lungo la strada, lavato via dall’acqua, ma lei non ci fece caso. Camminava senza una meta, la mente che rincorreva immagini e sensazioni senza mai afferrarne nessuna.

Incespicò nel braccio di qualcuno e i suoi passi si fermarono, come se gli occhi avessero riconosciuto qualcosa che il cervello si rifiutava di accettare. Vestiva come lei. Il pensiero fu fugace, ma la portò ad alzare le mani e a osservare i guanti di metallo che le arrivavano fino al gomito.

Un rumore le fece alzare bruscamente la testa: un elicottero. Senza riflettere oltre sul corpo che giaceva a terra, riprese a camminare in direzione del velivolo, le braccia ricoperte di metallo di nuovo abbandonate lungo i fianchi.

 

“Questa sarà la vostra uniforme: la vostra armatura, la vostra ultima protezione.” Il sergente istruttore Radeski afferrò una delle corazze appese alla parete e la mostrò loro. “È una lega di tungsteno e acciaio, resistente e leggera è anche una buona schermatura contro le radiazioni.”

“Ed è tossica.” Intervenne con una smorfia Erin. Radeski le lanciò uno sguardo penetrante.

“Lo sarebbe se non fosse che il tungsteno è stato trattato con composti chimici appositi per privarlo della possibilità di crearvi attacchi convulsivi e insufficienze renali.”

Erin, provocatoria come sempre, fissò il suo sguardo su di lei.

“Che lo provi prima Pocahontas, così vediamo se con le convulsioni migliora.”

“Peggio di te non potrei diventare.” Le rispose secca.

Matt sbuffò e prese l’armatura che il sergente teneva tra le mani, poi la infilò, guidato dai secchi, ma precisi, ordini dell’istruttore. Quando fu pronto Radeski gli tese i guanti.

“Si adatteranno alle tue mani così come ha fatto l’armatura al tuo corpo.” Indicò i due dischi posti sui pettorali sopra i quali brillavano tre piccole luci blu. “L’unico modo per attivare lo scudo personale è premere sui dischi con i guanti.” Con la mano colpì uno dei dischi mostrando che non succedeva niente poi fece un passo indietro e annuì a Matt che eseguì la stessa manovra. Attorno all’uomo si formò un brillante scudo blu.

“Spegnilo: devi premere sul piccolo disco che hai alla cintura.” Obbediente Matt eseguì e lo schermo si spense.

“Lo scudo d’energia vi proteggerà come ultima risorsa, che siate troppo vicini a un’esplosione o che i nemici vi siano addosso.” Erin si avvicinò alla parete afferrando con un sorriso soddisfatto una delle armature, ma il sergente la bloccò fissandola con intensità. “Lo scudo ha un’autonomia di dieci minuti, cinque minuti per disco, non uno di più. Sono molti in battaglia, ma potrebbero non essere comunque sufficienti. Ricordate: non siete invincibili e non lo sarete neanche con queste addosso.”

Vestirono le armature e provarono a muoversi, non erano comodissime, ma presto sarebbero diventate come una seconda pelle. Nisha si guardò allo specchio e sorrise: ora era un soldato.

 

 

 

Chi perde la testa?

 

Prima di essere recuperata la sua vita da sopravvissuta era stata al limite dell’umano, nascondersi in un buco da cui sgattaiolare fuori solo per il cibo era stato difficile, ma nulla l’aveva preparata per la sua prima brutale missione. Confrontarsi con l’orrore che era ora il mondo aveva messo a vivo le loro anime e li aveva testati. Era stata sciocca a credersi un soldato osservandosi allo specchio in armatura.

Perdere la testa, cosa poteva esserci di peggio? Nulla.

Con un sospiro si sedette sulla panca della mensa, aveva riposto l’armatura nel suo armadietto e ora era in t-shirt cachi e pantaloni grigio scuro in silenziosa attesa che le portassero la razione, ormai le missioni alle sue spalle erano numerose.

“Spostati, non vorrei sporcarmi stando troppo vicina a un’Intoccabile.” Nisha saltò in piedi, la quiete pensosa in cui era caduta dopo lo shock dell’ennesimo scontro si dissipò in un baleno. Erin aveva aperto bocca nel momento sbagliato.

“Ripetilo!” Intimò con lo sguardo fiammeggiante e i pugni chiusi.

“Ragazze…” Iniziò Matt, ma gli occhi dell’irlandese brillarono.

“Sporca Intoc…” Non finì perché Nisha le saltò addosso. La colpì al volto con un pugno lasciando che tutta la tensione accumulata fuoriuscisse. Poté sentire la testa di Erin colpirle lo zigomo poi le possenti braccia di Matt la afferrarono mentre altri trattenevano la sua inviperita compagna di squadra.

 

L’elicottero ruotò per un istante sulla sua testa, lei alzò lo sguardo cercando di capire cosa stesse facendo, era lontano, oltre la sua portata, ma doveva raggiungerlo. Quando abbassò gli occhi un colore attrasse la sua attenzione: rosso, ma non era sangue. Un corpo giaceva poco distante, immerso nel bruciacchiato carnaio da cui stava cercando di uscire. Un corpo tra tanti eppure diverso.

Si avvicinò attratta da qualcosa che rimbalzava nella sua vuota mente.

La morte non aveva tolto dal volto quell’espressione di caparbia risolutezza che apparteneva alla giovane in vita, ma aveva spento il brillio dei suoi occhi. Era un pensiero troppo elaborato e la sua mente non lo colse, l’interesse però non si spense subito, come negli altri momenti di fugace lucidità. Con gli occhi vacui osservò la treccia rossa che leggermente scomposta ricadeva sull’armatura in tungsteno. Qualcosa di istintivo la spinse ad alzare la mano e a sfiorarsi lo zigomo là dove un piccolo cerotto mostrava l’attenzione per una vecchia ferita.

 

***

 

Ora: Zulu 0615

Luogo: Melbourne

 

“Maledizione, maledizione, maledizione!” L’osservatore calibrò l’ottica mentre masticava imprecazioni. “Non avrebbero dovuto mandarli da soli, senza appoggio aereo.” Aggiunse furioso, il tono di voce appena un sussurro.

“Non si aspettavano un simile raggruppamento: doveva essere una missione di recupero superstiti… superstiti che sono morti prima che loro giungessero, tirandosi addosso mezza città.” Argomentò il cecchino, mentre scrutava le strade sotto la loro postazione, alla ricerca del bersaglio.

 

 

 

In combattimento

 

Si piegò, il volto teso nell’osservare quel corpo privo di vita. Perché? Perché era così importante che ricordasse?

 

Un leggero bussare la distrasse dalla sua lettura. Ripose il libro suo comodino e si alzò per aprire la porta, quasi sicura che fosse Matt pronto a farle la paternale. Invece non era lui.

“Irlandese, se vuoi il resto…” Si bloccò, la donna aveva alzato la mano, tra le dita vi era un piccolo cerotto.

“Credo che tu ne abbia bisogno.” Disse solo, sulla mascella aveva un segno violaceo che presto sarebbe diventato un bel livido. Nel vederla sospettosa sorrise, mostrando che poteva farlo anche senza essere sarcastica. “Andiamo: è una proposta di pace!” Nisha titubò ancora un istante poi annuì e le indicò di entrare.

La donna posò il cerotto sulla piccola scrivania mentre si guardava intorno. Con le mani sfiorò l’elastico verde che in combattimento le teneva i capelli lontano dagli occhi, poi afferrò il libro che stava leggendo e notando che era scritto in hindi lo riposò, sedendosi sul letto. Nisha che l’aveva osservata senza muoversi ora la guardò interrogativa.

“Ti ha mandato Matt?” Rise all’idea poi scosse la testa, si alzò e le indicò di avvicinarsi.

“Sono venuta di mia spontanea volontà.” Nisha si accostò quando vide che la donna aveva ripreso il cerotto. “Non mi aspettavo che combattere fosse così…” Il suo tono era basso, quasi mormorava mentre cercava la parola, liberò il cerotto dal suo involucro e si avvicinò ancora di più a lei. “Difficile.” La parola non la soddisfece e lei scosse la testa.

“Brutale, pauroso… disumano.” Le venne in aiuto lei. La donna fissò i propri occhi nei suoi. Colpita nel ritrovare espressi i propri sentimenti.

“… brutale, pauroso e disumano e ho sempre pensato che la sofferenza fosse solo sofferenza, ma combattendo per la sopravvivenza incominci anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci.[2] Uscire in missione è uno schifo, però…” Di nuovo si fermò, sembrava improvvisamente impaurita, come se essersi aperta con lei la spaventasse.

“Sì, è uno schifo, ma ti insegna ad amare la vita, ad amare anche solo la bellezza di un fiore o il sapore di quella sbobba che chiamiamo cibo. Gettarsi con il paracadute verso una probabile morte non mi spaventa più, ormai vedo solo la bellezza del volo. Sì, credo che tutta questa sofferenza ci abbia fatto crescere, non solo come soldati, ma come esseri umani.” Erin rimase in silenzio, sistemandole con delicatezza il cerotto sullo zigomo poi, senza distogliere lo sguardo dei suoi occhi, le accarezzò il volto.

“Siamo qualche centinaia di superstiti contro milioni di mostri, miliardi anzi, e tutto quello a cui riesco a pensare sei tu.” La dichiarazione di Erin la lasciò senza parole, il suo cuore che aveva battuto furiosamente in battaglia ora sembrava essersi liquefatto, il suo stomaco si contrasse dandole la bizzarra sensazione di aver ingoiato farfalle. Il viso della donna era vicino e i loro occhi erano allacciati, ma Nisha poteva leggere, per la prima volta, la verità in quegli occhi azzurri come il mare.

“Mi hai rivolto sempre e solo parole taglienti e offensive!” Osservò ed Erin si strinse nelle spalle.

“Come dicevo ho capito che proteggersi e tentare di non soffrire è solo una perdita di tempo. Volevo starti lontana, non volevo aggiungere i problemi di cuore alla lista dei nostri castighi, ma quando ho visto il furore nei tuoi occhi un attimo prima che tu mi colpissi, ho capito che crescere e maturare significa accettare tutto quello che la vita ci offre, anche l’amore. Soprattutto l’amore.”

Nisha sorrise, sorrise perché il mondo era un posto orribile, aveva e avrebbe giocato ancora con la morte, ma Erin le stava offrendo qualcosa di puro e bello.

Così come, poche ore prima, aveva sferrato il primo pugno ora fu lei ad annullare le distanze. Con decisione e coraggio catturò le labbra sottili di Erin e la baciò.

Quando due ore dopo le chiamarono per una missione di recupero di possibili superstiti dovettero correre per farsi trovare pronte dal Lockheed C-5 Galaxy che le avrebbe condotte a Melbourne.

 

La pioggia scorreva da lei al corpo riverso senza che la sua memoria le suggerisse un ricordo, qualcosa a cui aggrapparsi. Un quadrifoglio verde spiccava sul collo pallidissimo del cadavere: irlandese. Il pensiero durò un istante poi un refolo di vento le portò un odore. La sua testa scattò mentre il suo corpo incominciava a muoversi. Doveva correre ora.

 

***

 

Ora: Zulu 0618

Luogo: Melbourne

 

“Soggetto in avvicinamento, preparare copertura.” Mormorò alla radio il cecchino. Il suo fucile ora era nelle mani del sergente, il suo osservatore aveva deciso che quel colpo sarebbe stato suo e lui non aveva discusso la volontà del suo ex istruttore.

Radeski, accucciato sul tetto del palazzo, assestò meglio il fucile alla spalla.

 

 

 

Si chiama bersaglio

 

Correva, l’armatura non infastidiva più i suoi movimenti, nell’aria quell’odore che faceva impazzire tutti i suoi sensi. I capelli bagnati le frustavano il volto un tempo ambrato, ora tremendamente pallido. Gli occhi verdi e pieni di vita non erano altro che vitrei riflessi. La ferita al volto non bruciava più e neppure le ricordava dolci momenti di comprensione, condivisione e amore, così come non bruciava il morso al braccio o il graffio che le aveva strappato il pantalone sotto il ginocchio.

Correva, perché ora che aveva colto quell’odore non c’era più spazio per i piccoli barlumi di coscienza, no, c’era solo più spazio per la caccia, per la fame, quella fame prepotente e inarrestabile che sapeva di non poter colmare mai, ma che l’avrebbe spinta sempre a cercare la carne: carne fresca, carne umana.

 

“Sono troppi!” Erin lanciò una granata cercando di arginare l’assalto, mentre Matt sparava alla folle massa di gente che correva verso di loro.

“Il nostro tempo sta per scadere, non ce la faremo…” Mormorò Nisha con un tuffo al cuore.

Doveva essere solo una missione di recupero, una di quelle semplici, un segnale radio rintracciato a Melbourne aveva acceso le speranze di trovare sopravvissuti e loro erano stati inviati in esplorazione.

L’Australia non aveva basi operative così il supporto aereo sarebbe arrivato da una struttura petrolifera nel mar di Tasmania, ma il centro di Melbourne era stato ripulito tempo prima e il livello di pericolo era ragionevolmente basso: quei cosi non si spostavano senza un obiettivo.

Nella loro foga di farsi trovare i superstiti, una famiglia di tre persone, erano usciti in strada non appena avevano sentito passare il C-5 dal quale loro si erano paracadutati: un errore.

I portatori del virus erano spuntati da ogni strada attirati dal rumore e poi dalla carne fresca. Avevano preso i superstiti prima ancora che loro toccassero terra e poi li avevano accerchiati.

Mentre osservava la massa informe di uomini, ormai solo cacciatori di carne vivente, Nisha capì che sarebbe morta lì.

Dalla porta di una palazzina uscì quello che un tempo era un giovane, la morse al braccio prima che lei avesse il tempo di reagire. Erin sparò, colpendo alla testa l’essere che era caduto indietro, definitivamente morto: ma era tardi.

Si erano guardati, un solo istante perché il pensiero cogliesse tutti e tre: sarebbero morti e sarebbero risorti, infestando quel mondo e minacciando i pochi sopravvissuti rimasti.

“No, non io.” Disse l’irlandese risoluta. Matt lanciò l’ultima granata dando loro qualche minuto di respiro.

“Qual è il piano?”

“Un sovraccarico delle tute.” Erin e Matt la fissarono sorpresi e confusi. “Ricordate? L’elettricità frigge i loro cervelli e li uccide quanto un proiettile e le nostre tute sono dotate di uno scudo energetico piuttosto potente.”

“Ok, ma come pensi di sovraccaricarlo?”

“Non è così difficile. Basta unire le due celle di potenza. Estraetele.” Era una procedura abbastanza semplice e che loro eseguivano ogni volta che rientravano alla base, così che i nuclei di energia venissero ricaricati o semplicemente supervisionati da un tecnico.

Raccolte le celle Nisha si ingegnò collegando i circuiti poi le restituì a ognuno.

“Sarà una bella esplosione, niente a che vedere con il C4 però. Ho visto esplodere una cella di energia all’università di Bombai, sarà come un fulmine che si irradierà tutto attorno a voi.” Nisha sorrise nel vedere i loro volti stupiti. Non aveva mai detto di essere andata all’università altrimenti l’avrebbero considerata troppo preziosa per fare il soldato. “Il nostro tempo sta per scadere.” Ripeté, poi: “Siete pronti a morire?” Matt sparò un colpo abbattendo una donna poi voltò la testa e annuì.

“Tanto lo sapevo che sarebbe finita così.” Sorrise mentre sparava un secondo proiettile. Sembrava serafico, come lo era sempre stato. “Però voglio portarmi dietro il maggior numero possibile di loro.”

“Va bene, allora separiamoci in un raggio il più ampio possibile.” Il giovane annuì e lei voltò la testa verso la ragazza “Erin?” Chiese. L’irlandese scattò verso di lei per catturarle le labbra in un ultimo bacio.

“Ora sì.” Sorrise e poi si allontanò correndo.

 

***

 

Ora: Zulu 0619

Luogo: Melbourne

 

L’osservatore, ora cecchino, nonché sergente istruttore Radeski strinse i denti mentre l’obbiettivo entrava nella sua linea di tiro.

“Fuoco quando pronto.” Annunciò il suo compagno di team, solo un piccolo tremito nella voce mostrò che anche lui conosceva l’obiettivo.

 

***

 

Matt aveva tenuto la posizione mentre Erin era corsa a Sud. Nisha  sparò due colpi precisi aprendosi la strada verso una piazza affollata, non avrebbe mai cercato un luogo così aperto, non se voleva sopravvivere, ma l’idea era morire e portarne il maggior numero con lei quindi: quello era il posto giusto.

Non aveva più granate e dopo una decina di colpi finì anche i proiettili, il suo cinturone era vuoto.

Alzò la mano verso il comunicatore che portava al collo.

“Pronti?” Chiese.

“Go.” Rispose conciso Matt.

“Oh sì, mia bella dalla pelle ambrata. Ci rivedremo in paradiso!” Poi iniziò a canticchiare lasciando il canale aperto:

“And our time is running out

Our time is running out

You can't push it underground

You can't stop it screaming out

How did it come to this ?”[3]

 

Nisha sorrise riconoscendo la lingua madre della ragazza, premette il guanto sul generatore di scudi e fu avvolta in una piccola palla azzurra. Stupita, abbassò gli occhi e capì che mentre sparava doveva aver urtato i fili sconnettendo le due fonti di energia. Le celle alimentavano di nuovo lo scudo: lei era, ora, protetta da uno scudo.

Mentre il panico la sommergeva fu raggiunta dall’onda d’esplosione delle celle di Matt ed Erin.

Fu un’esplosione forte, abbastanza da sbatterla indietro e scudo o non scudo, di ucciderla. Abbastanza da folgorare la massa urlante di feroci zombi, abbastanza da uccidere definitivamente Matt ed Erin, ma non abbastanza da azzerare il suo cervello, protetto dal piccolo scudo d’energia.

Così, varie ore dopo, lei si rialzò priva di memoria, tra una montagna di cadaveri. La mente vuota che si affannava per afferrare gli ultimi barlumi di ricordi, per dare un senso agli ultimi inutili sussulti delle sinapsi.

Morta eppure ritornata, infettata dal terribile virus che si era preso il mondo e tutta l’umanità, se non per quel pugno di superstiti che ancora lottava.

 

E ora correva. Correva per nutrirsi di carne fresca.

 

***

 

Ora: Zulu 0619

Luogo: Melbourne

 

“Ricordi Nisha? Da dove vengo io, un soldato che perde la testa diventa un bersaglio. Noi non lasciamo indietro i nostri. Mai.” Un singolo preciso colpo, sparato da 914,5 metri, pose fine alla folle corsa di quello che un tempo era stato un suo soldato.

“Bersaglio centrato, pronti al rientro.” Mormorò il cecchino accanto a lui.

Radeski annuì, si alzò e chiuse il treppiede del fucile.

I vivi stavano perdendo la guerra per il mondo.

 

“And our time is running out

Our time is running out

You can't push it underground

You can't stop it screaming out

How did it come to this?”

 

 

 



[1] Metal Gears Solid

[2] Hermann Hesse

[3] Muse - Time Is Running Out

 

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Najara