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Autore: Hamlet Moriarty    19/05/2016    4 recensioni
C'è un mondo di sensazioni, timori, rabbia ed ali spezzate dietro agli occhi di Castiel. Ma la cosa che più gli causa dolore è la nostalgia per un'esistenza umana, breve, colma e meravigliosa che mai ha avuto l'occasione di gustare fino in fondo.
[EndVerse, drugaddicted!Castiel]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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NOTA D'AUTORE:

Il mio è solo un consiglio spassionato, ma la storia renderebbe di più se letta ascoltando il brano Fly di Ludovico Einaudi.

(https://youtu.be/KWSmB8JyqEk)


Ricordo poco. Qualche odore, un suono, forse due, la sensazione di un sudario che scende a coprirmi la testa isolandomi dall'ambiente esterno. Immagini fugaci, brevi, sbiaditi fotogrammi che si rincorrono scivolando l'uno sull'altro, e d'improvviso è come perdere conoscenza restando in piedi. Il mio intero corpo è intorpidito, immerso in una lenta trance, vischiosa come miele, troppo densa perché possa muovermi e sufficientemente dolce dal risparmiarmi la voglia di farlo.

Attendo.

Non so se un segnale, un permesso, che qualcuno mi strattoni per un braccio o semplicemente che mi riprenda a muovere da solo. Ma che vuoi che ne sappia, in fondo. A malapena mi ricordo come mi chiamo.

Che drogato. Quand'è stato che ho deciso di dipendere da qualcosa di così volatile ed effimero come una polverina bianca? Dico davvero, come ci sono arrivato a nuotare nei più reconditi anfratti della mia mente con la stessa agevolezza con cui si nuota sotto una valanga di neve? Cosa stavo pensando quel momento in cui ho preso la mia vita, l'ho legata ad una corda e l'ho appesa su un baratro, scommettendo quanto sarebbe durata lì a testa in giù prima di precipitare con questi quattro esseri?

Ho un attacco di nausea, un punto sotto ai miei occhi, abbastanza in basso da essere il torace, sembra vittima di una deflagrazione di dolore. Brucia tutto, dalla gola alla testa, la fronte, i polmoni, il cuore.

Cerco di respirare per riprendermi, ma sono ancora in quello stato di lentezza in cui tutto mi sembra infinitamente stupido e doloroso. Se non fossi così stanco, mi metterei a ridere. O a piangere. Qualcosa si muove di fronte a me e di colpo l'ondeggiare gelatinoso in cui sguazzo si pietrifica come sotto ad un incantesimo.

Vergogna, rabbia, tristezza, nostalgia. Ora li vedo appena distintamente, ma mi basta riconoscerli dall'odore che emanano. La vergogna è ripugnante. Mi si rivolta lo stomaco e potrei aver percepito le mie mani stringermisi attorno al busto, ma non ne sono del tutto certo, c'è ancora uno spesso muro fra me e la realtà, e le fessure tra un mattone e l'altro sono troppo sottili perché possa avere uno sguardo d'insieme su ciò che c'è di la.

Ma il tanfo della vergogna mi circonda ed è inequivocabile, muro o meno non posso non riconoscerlo. Non si sforza nemmeno di oltrepassarlo, non ne ha bisogno per farmi sentire malissimo.

La rabbia invece, non è così cattiva. Mi fa contrarre i muscoli ed è una bella sensazione di corporeità in mezzo a tutto questo indolenzimento, ma è così forte che devo voltare la testa dall'altra parte. È così forte che ha quasi un sapore, e serro le labbra. La rabbia a volte sa di sangue, questo me lo ricordo bene, ha un sapore metallico, rosso, ma stavolta sono quasi sicuro che sia diversa: sembra che si schianti contro il muro per distruggerlo ed aggredirmi con inaudita violenza.

Vorrei potermi fare del male, ma non ho speranze di farcela, adesso, quindi mi limito a soccombere.

La paura ritarda i passi, mentre si avvicina con la sua andatura strascicata, sento il suono della camminata attraverso la parete e la vischiosità e il mal di testa che rabbia si è lasciata dietro dopo avermi accoltellato e torturato. In un qualche modo, è l'unica delle quattro che riesce a farsi largo tra le fessure dei mattoni ed avvolgermi come una coperta troppo sottile e che dona soltanto gelo pungente. È fatta di tanti granelli, un miscuglio di odori freddi e dolciastri, a dir poco stomachevoli. Riesco a distinguere il senso di colpa dall'abbandono per un paio di secondi, poi tornano ad intrecciarsi ed il loro profumo eccessivamente zuccheroso mi invade le narici.

Di punto in bianco è come aver mangiato più cioccolato di quanto il corpo ne possa sopportare e vengo percosso da spasmi e conati. Vorrei rimettere tutto quello che ho dentro, i miei stessi organi, la droga, la coscienza e le sue astiose sensazioni, ma realizzo pian piano che in tal caso dovrei rimettere tutto me stesso perché non sono fatto d'altro che di organi, droga, coscienza e le sue astiose sensazioni.

L'ultima arriva scalando il muro. Non lo abbatte come rabbia, né resta dall'altro lato come vergogna, e nemmeno vi passa attraverso come tristezza.

Nostalgia è coraggiosa, e si arrampica scorticandosi le mani, infilando le dita sottili in ogni piccolo sfruttabile anfratto, spezzandosi le unghie, sbucciandosi le ginocchia, strappandosi le vesti. La odo con disarmante nitidezza mentre scivola e ricade con un singhiozzo pieno di dolore, ma subito si rialza e ricomincia la scalata. Nelle fessure passando ombre fugaci, e riesco a vedere dove è arrivata finché non fa capolino da sopra al muro, sporgendosi appena un po'. Poi si lascia scendere, gemendo per lo strazio alle mani, e vorrei davvero aiutarla ma sono ancora bloccato qui in un corpo che ha smesso di rispondermi da ormai parecchi minuti.

L'esserino striscia piano verso di me, continuando a piangere sommessamente come fanno i bambini che imparano a non urlare troppo forte il dolore, e mi si rannicchia in grembo. Ora posso muovere un pochino le braccia, lo circondo e lo stringo a me. Ha un odore delicato, buono, mi ricorda casa o qualcosa che ho amato, e tutto a un tratto ho una fugace visione. C'è un tenue calore, una stanza piccola e una persona bella che non riesco a descrivere perché è solo bella, non potrei essere più fedele.

Non sono un poeta, sono solo un drogato, una creatura che, se una volta era stata colma di una gloria divina tale da disintegrare le montagne, ora ne resta solo un involucro emaciato e debole. Ma l'impatto di quello che ho appena visto mi lascia dentro una voragine buia e piena di urla silenziose e parole che sembrano non aver alcun senso, sono così sopraffatto dalla desolazione e dalla pienezza di quello a cui avevo assistito che non ho dubbi al riguardo: la nostalgia è il dolore che scava più in profondità nella carne, e ho paura di non poterle sopravvivere.

D'improvviso ricordo un tempo in cui la mia elevazione era così alta che non esisteva nulla di più puro e misericordioso, ricordo la venerazione per mio padre bruciarmi nella gola e le ferite dove le mie ali sono state spietatamente strappate e fatte a pezzi si rianimano come un vulcano di dolore sopito. Ricordo il mio primo giorno sulla terra e di quando ho incontrato Dean Winchester, di quanto l'ho odiato, poi di quando l'ho salvato e mi sono fatto salvare.

È strano, mi ricordo anche di come l'ho amato.

La sensazione della pressione sul mio corpo, come se venissi passato in un tritarifiuti, si fa maggiore quando la caduta riaffiora nella mia testa indolenzita ed in completa balia della droga e vorrei piangere, ma ho così male ovunque e così poca consapevolezza del mio corpo, mentre tutte queste immagini mi investono, che è come se mi fosse dimenticato come si fa a piangere.

Ho paura perché la nostalgia mi sta uccidendo.

La parte peggiore è che non ho nostalgia del paradiso, dei miei fratelli o di mio padre. Ho nostalgia della vita degli uomini e della loro corruzione, del loro essere opere d'arte nel vivere una vita breve, effimera come una fiammella e del loro saperla rendere così importante.

Ho nostalgia di poter percepire con i sensi il calore di una persona, il suono di una risata, il colore degli occhi, gli odori, ogni cosa.

Sono sgomento.

D'improvviso, un'altra sferzata di malessere mi investe, e la lucidità che ha accompagnato questa rivelazione affoga nella droga.

***


Castiel?

È come se mille coltelli mi si fossero conficcati nella carne, dilaniandola.

Castiel, mi senti?

Non rispondo.

Che cosa diavolo hai preso stavolta? E soprattutto, quanto ne hai preso?

***


Dean?

Un braccio mi afferra per la vita e mi ribalta su una superficie ruvida e morbida. Riconosco il mio letto con un occhio semiaperto. L'altro è ancora pesantemente serrato.

Ho il pizzicore della polvere nel naso, la testa martellante. I polmoni sono spiacevolmente accartocciati fra le costole. Il cuore pompa sangue con fatica immensa.

Sì, sono io, razza di scemo. Che ti aspettavi?

Dean.

Stavolta è lui a rimanere in silenzio. Sembra attendere che prosegua, ma in realtà non so cosa dire. Non so neanche più come si respiri, fra parentesi.

Cas?

È tanto che non mi chiama Cas. Forse perché ultimamente ce l'ha con me a morte.

Non posso dire nulla, mi sento un cadavere. Appoggio la mia testa sulla sua spalla e taccio perché se provassi a parlare gli direi la cosa sbagliata, come di recente mi sta capitando decisamente più volte di quanto non sia lecito.

***


Ti amo.

Ecco, appunto.




Note d'Autore:


Questa è una delle sei storie che ho scritto mentre quel branco di idioti (si fa per dire) dei miei compagni di classe venivano interrogati in una qualche materia.

Forse avrei dovuto scrivere il terzo capitolo de l'Amico Immaginario, ma essendo un epilogo relativamente lungo, l'idea di farlo a mano e di doverlo trascrivere al computer mi faceva venire il latte alle ginocchia. (ME EHI HO UNA SCALETTA. Non temete, mi ci vorrà un po', ma arriverà).

Forse qualcuno si starà chiedendo se io mi sia mai effettivamente drogato, per sapere cosa si prova in circostanze simili. Ebbene, me le sono puramente immaginate (povero fesso), e in parte leggendo tanto ho alcuni pezzi che mi sono divertito a mettere insieme / mentre scrivevo stavano interrogando la Tatiana in chimica, quindi beh. Reasons.

Mi è piaciuto scrivere questa storia, e spero che a voi sia piaciuta da leggere, nonostante la tematica un po gneh (devo piantarla di esprimermi aversi, chiedo venia). La tematica dell'EndVerse mi ha sempre sconfinferato e non poco, devo essere onesto, ma non ho mai saputo bene cosa costruirci sopra. Per giunta il Castiel di quell'universo è qualcosa di glorioso (la faccia di Misha è un tocco di classe, ma sorvoliamo) e sì, è una delle tante sfaccettature del personaggio a cui bisogna rendere giustizia.

La personificazione delle sensazioni / spersonificazione del personaggio è colpa di Cavalcanti. Dannato Guelfo. E si lamentava perché l'hanno esiliato. Sto divagando.

Non ho altro da aggiungere.

Spero che l'abbiate letta ascoltando quel pezzo di Einaudi, perché nella trascrizione mi ha aiutato molto a concentrarmi e sì, insomma, dava quel tocco tetro all'atmosfera che mi serviva per completarla. È stato un travaglio copiarla tutta quanta.

Grazie di aver letto. Come sempre, lo apprezzo molto.

Scrivetemi qualcosa se vi va, lo apprezzerei ancora di più.

Queste note sono una quaresima, ADDIO MIE CARE (continuo a sperare di non essere l'unico ragazzo qui, ma ehi. Non mi lamento. Voglio bene a tutte.)

CIAO PAPERE


Blue James

   
 
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