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Autore: Homra_Girl    21/05/2016    1 recensioni
Direttamente dal testo:
"Mentre correva attraverso il bosco di conifere, il ragazzo inciampò in una radice. Rudy maledisse quella radice, maledisse l’intero albero, maledisse l’intera foresta e maledisse il proprio stato – la propria Polonia – per la quale stava combattendo.
La sua cara Polonia lo aveva tradito nel momento meno opportuno, lasciandolo solo nelle mani dell’invasore tedesco."
Genere: Fluff, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Lituania/Toris Lorinaitis, Nuovo personaggio, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Prussia/Gilbert Beilschmidt
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
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Stones for the Rampart*
 
 
 
Polonia, 1943
Feliks correva come un pazzo per la foresta polacca, seguito dai fratelli Kamiński. Rudy, il più piccolo, correva a più non posso cercando di stare dietro ai fratelli maggiori e all’amico ma il terreno accidentato e la pressione dei cani tedeschi gli incutevano terrore.
Terrore che gli faceva tremare le gambe e gli impediva di correre al massimo delle proprie capacità.
Poi accadde il disastro.
Mentre correva attraverso il bosco di conifere, il ragazzo inciampò in una radice. Rudy maledisse quella radice, maledisse l’intero albero, maledisse l’intera foresta e maledisse il proprio stato – la propria Polonia – per la quale stava combattendo.
La sua cara Polonia lo aveva tradito nel momento meno opportuno, lasciandolo solo nelle mani dell’invasore tedesco.
Il ragazzo sentiva già il fiato dei pastori tedeschi sul collo ed il sapore di sangue in bocca ed aveva già abbracciato il nero foriere della morte chiudendo gli occhi quando sentì degli spari accanto a sé.
Aprì gli occhi scuri e vide un ragazzo biondo, con un fucile in mano, che stava sparando verso i tedeschi.
-SCAPPA RUDY!!! – disse la voce della nazione polacca sopra il rumore degli spari – VAI DA ALEK E ZOSKA E NASCONDETEVI!!!-
Rudy non ebbe la forza di ribattere: sapeva che se fosse rimasto lì le SS lo avrebbero preso e torturato, ma non poteva lasciare lì Feliks e fuggire come un codardo.
-Rudy, ascoltami. Vai. Scappa, ai tedeschi ci penso io. E non ti preoccupare per me, dopotutto sono una nazione e di certo non ho paura di loro. Sai meglio di me che per liberare la nostra cara Polonia bisogna sacrificarsi. Bene. Ora vai e non voltarti-
Rudy – sebbene si sentisse un traditore - corse verso i fratelli, non prima di urlare “PER LA POLONIAAA”.
Feliks sorrise e continuò a sparare.
Vedeva soldati, comuni mortali, cadere sotto il colpo di quel misero fucile. Il loro cuore si fermava per colpa di un misero proiettile.
Ma l’unico che doveva cadere, l’unico che Feliks avrebbe desiderato veder cadere, non moriva nonostante le raffiche del polacco.
Quando Feliks si accorse di aver finito i proiettili, ormai era troppo tardi.
Lo sguardo gelido e sadico di Ludwig lo stava scrutando da sotto il cappello scuro.
-Sei morto, Feliks – disse il tedesco colpendo il polacco con il calcio del fucile e facendolo svenire.
 
 
Buio. Tutto ciò che Feliks percepiva era il buio più totale. Unico appiglio alla vita era il sapore di sangue nella bocca ed un ricordo perenne.
Un ricordo indelebile che in quel periodo affollava spesso la mente del ragazzo: Toris e lui correvano felici in un campo di grano – giocando e scherzando come pazzi. Si rotolavano a terra percorrendo interi campi a forza di capriole poi finivano l’uno sopra l’altro e le loro labbra si sfioravano in un delicato tocco. Quasi come una delicata viola del pensiero – il fiore preferito di Feliks.
Il polacco sorrideva a quelle immagini ed una lacrima gli percorreva il viso martoriato.
-KESESESESESE!!! – parlava una voce dal forte accento prussiano – Non ti credevo così resistente, Feliks…
Gli occhi rossi e sadici di Gilbert squadravano le ferite del ragazzo polacco: il petto era pieno di tagli mentre il viso ed i capelli erano incrostati di sangue e lerciume. Gli occhi verdi che un tempo erano stati felici e gioiosi erano ora circondati da una macchia lilla e sembrava emanassero fiamme. Erano totalmente diversi da quelli che Feliks riservava al lituano ma dannatamente simili a quelli che aveva avuto nella battaglia di Tannenberg**: occhi feroci, occhi da animale selvaggio che rifiutava la reclusione in gabbia, occhi da combattente.
-Dovresti conoscermi, Gilbert – ridacchiò Feliks sputando sangue – Sai che non mi arrendo-
-Faresti meglio ad arrenderti, Polonia – disse seriamente il tedesco – Se non vuoi morire sotto le mie mani torturatrici ti conviene confessare: salvati Feliks, salva te stesso-
Feliks rise beffardo e fissò Prussia con uno sguardo indecifrabile.
-Io non tradirò mai i miei compagni, Gilbert. Anche se questo potrebbe salvarmi la pelle io non tradirò mai la mia nazione. Puoi torturarmi quanto vuoi. Puoi spaccarmi ogni singolo osso del mio corpo, togliermi ogni singolo organo, martoriare ogni singola cellula di me, bruciare ciò che ne resta nelle pire più ardenti del mondo intero ma io continuerò a rinascere dalle mie ceneri. Io sono la Fenice del nord Europa e tu sai meglio di me ciò che fanno le fenici. Rinascono ogni volta più forti dal loro letto di morte.-
Prussia non riuscì a sopportare più l’insolenza dello stato polacco e cominciò a calciarlo con il proprio stivale nel viso.
I lineamenti dello stato slavo venivano sconvolti dai calci dell’albino ed il dolore era lacerante, insopportabile: provava un dolore fisico atroce ma a Gilbert non bastava. Il ragazzo dagli occhi rossi – marchio del diavolo – si divertiva ad appiccare alle fiamme villaggi e città, a permettere ai suoi soldati di stuprare donne e bambini, di fucilare a vista gli uomini.
Per Feliks  non c’era dolore più grande del sentire il suo popolo morire per colpa dell’aquila prussiana, per colpa della svastica nazista che ormai aveva intossicato il mondo.
Gilbert urlava ordini in tedesco a destra e a manca ed intanto lo slavo non capiva nulla.
Riuscì a capire qualcosa solo quando vide un soldato nazista in uniforme avvicinarsi con una sacca di iuta tintinnante e la depositò a terra, al fianco di Gilbert.
Il prussiano rise sadicamente, con gli occhi iniettati di sangue.
-Ora capirai cosa significa il vero dolore, Feliks. Cosa si prova a sfidare l’aquila prussiana, a sfidare il regime nazista. Tu non sei altro che un mero ed infimo stato che ben presto scomparirà da ogni cartina…non credo che la cara Fenice del nord Europa potrà rinascere…-
E rise: una risata malvagia che riempì la stanza in cui Feliks era stato trattenuto e torturato per mesi.
L’albino sollevò il polacco per i capelli biondi e lo guardò negli occhi, mantenendo sempre sul volto quel sorriso sadico.
Lo sbatté con forza contro la parete, facendogli sanguinare il naso. Poi lo voltò verso di sé e ne appese le mani a dei cruenti ed arrugginiti ganci da macellaio.
Feliks urlò con quanto fiato aveva in gola: sentiva perfettamente il gancio perforare le sue carni, sentiva ogni singola particella di tetano che cominciava a diffondersi nelle sue vene. Sentiva il proprio sangue colare a terra, aggiungendosi a quello dei giorni precedenti.
Si sentiva debole, si sentiva stanco e lasciò che il proprio capo si abbandonasse sul petto nudo.
-Kesesese – ridacchiò in tono beffardo il tedesco alzandogli il mento – ora non fai più lo sbruffone, eh Feliks? Hai perso che quel tuo modo di fare da sbruffone ormai…Kesesese. Divertiti con il tuo nuovo giocattolino. -
Detto ciò il tedesco sputò a terra accanto ai piedi del polacco e fece per andarsene, quando si ricordò di dover comunicare un messaggio.
-Ah, Feliks…mi sono scordato un messaggio per te – disse avvicinandosi nuovamente al polacco ed accostando le labbra all’orecchio destro – Ben presto anche il tuo caro Lituania subirà le nostre torture..-
Feliks poteva sopportare qualsiasi cosa ma se qualcuno toccava Toris…
NO. NON POTEVA PERMETTERLO.
Alzò la testa con rabbia e ringhiò come un lupo al prussiano.
-Non osare toccare Toris – disse sputando sangue – fai di me quello che vuoi ma prova a toccare lui e ti giuro che la tua anima non avrà mai pace. Ti perseguiterò sia in vita che nella morte. La mia anima ti torturerà per tutta la vita. Prova anche solo a torcergli un capello e ti uccido…-
-Tu vorresti uccidere me!?! – disse Prussia ridendo fragorosamente – Come credi di fare? Devo ricordarti che le tue mani sono appese a dei ganci in questa lurida stanza di tortura mentre il tuo caro amante si trova nella sua cara Vilnius circondato dai tedeschi. Come credi che sopravvivrà? Lui è debole. Lui non merita questa vita. Meglio ucciderlo ora più che farlo soffrire in un campo di concentramento…-
La mente di Feliks viaggiò immediatamente allo stato baltico: i capelli soffici e bruni che circondavano quel suo bel viso candido ed innocente, gli occhi verdi che al biondo ricordavano dannatamente le foreste di conifere polacche e poi c’erano le labbra. Quelle labbra lo avevano sempre fregato. Erano così delicate e morbide che ad ogni bacio a Feliks pareva di posare le proprie labbra su un mazzo di rose.
Non poteva permettere che qualcuno toccasse anche con un solo dito Lituania. Il biondo conosceva le abilità di Toris ma la paura che il suo amante potesse ferirsi in battaglia – o peggio morire – gli attanagliava lo stomaco.
-Ma ora voglio farti ancora più male. Vedi quel sacco lì per terra? Ottimo, è pieno di aghi che attendono solo di essere conficcati nei tuoi tes-
I pensieri di Feliks ed il discorso di Gilbert vennero improvvisamente interrotti dal suono di ripetitive scariche di fucile che provenivano dal corridoio, seguite da urla in tedesco pronunciate con rabbia ed agitazione.
Poi fu il silenzio ed improvvisamente un gruppo di quattro persone entrò nella cella di tortura.
-E VOI CHI DIAVOLO SIETE!?! – urlò il prussiano verso il gruppetto
Feliks li guardò nonostante la vista annebbiata dal dolore, cercando di inquadrare le figure di fronte a lui. Avevano delle divise totalmente differenti rispetto ai nazisti ma non riusciva a distinguere lo stato. L’unica cosa che riuscì a distinguere fu una fascia, legata al braccio sinistro, in cui vi erano il bianco ed il rosso.
Feliks capì immediatamente che quelli erano suoi soldati venuti a liberarlo.
Dopo pochi minuti riuscì a mettere a fuoco le figure, distinguendo Zoska, Rudy, Alek e la sua sorellina Varsavia.
La ragazza era dannatamente simile a lui ed erano distinguibili unicamente per pochi dettagli: Varsavia aveva i capelli lunghi raccolti solitamente in una crocchia o – in quel caso – in una treccia che le ricadeva sulla spalla, il ciuffettino era disordinato e le copriva la fronte causandole non pochi problemi e costringendola a fermarli con una spilletta che quel giorno era a forma di fenice. Ma il particolare più evidente che distingueva Anna da Feliks era la cicatrice: la guancia destra di Anna era percorsa da una cicatrice che le ricordava costantemente ciò che la sua città aveva dovuto subire nella storia.
Varsavia si scagliò con decisione contro Gilbert urlando come una pazza e colpendolo ripetutamente con il calcio del fucile: il prussiano cercava di difendersi ma Anna era determinata a ferirlo.
Gilbert doveva pagare per ciò che aveva fatto agli abitanti di Varsavia. Doveva pagare per ciò che aveva fatto agli ebrei – reclusi nel ghetto e costretti a continue deportazioni. Doveva pagare per la tortura del fratello.
Dopo svariati minuti di pestaggi, Anna permise a Gilbert – il quale aveva un labbro spaccato, un occhio nero e la divisa tutta lacerata – di fuggire.
-Me la pagherete cara, tutti quanti. – disse il tedesco fuggendo - Non avrò pietà di voi. Statene certi.-
Anna sputò per terra e poi, dimenticando totalmente il resto del mondo, si avvicinò a Polonia, il quale era già stato staccato dai ganci per mano dei fratelli Kamiński.
-Starszy brat*** – disse la giovane prendendo il viso del fratello tra le mani – come stai? Non oso immaginare l’inferno che quei dannati nazisti ti hanno fatto passare in questi mesi. -
-Tranquilla, siostra**** - disse Feliks sorridendo – io sto bene. –
-No! Tu non puoi stare bene! Hai subito le torture più atroci di questo mondo, non dovresti nemmeno avere la forza di parl-
Il discorso di Anna venne interrotto dai tre fratelli Kamiński che abbracciarono Feliks.
-Polonia, o nostra cara Polonia – dissero i tre fratelli in coro – ti chiediamo di perdonarci per il nostro ritardo. Il tuo sangue è stato versato per troppo tempo, sfruttato per nutrire l’aquila prussiana. Ma ora è tempo di ribellione. Noi saremo in prima linea, al tuo fianco, guidati dalla tua grande potenza. Ora è tempo di risorgere, cara fenice. –
Feliks sorrise mentre il viso era rigato dalle lacrime. Lacrime che negli ultimi mesi aveva versato per il dolore del suo popolo mentre ora stava versando per gioia.
Nonostante gli occhi appannati dalle lacrime, lo stato polacco riuscì lo stesso a vedere una figura sulla porta.
L’uomo alla porta stava imbracciando un fucile ma non appena Feliks guardò il viso lo riconobbe immediatamente.
Quei capelli bruni che tanto amava toccare, quella pelle candida che adorava accarezzare, quelle mani delicate e calde che tanto amava stringere e quegli occhi che aveva sempre giurato di amare.
Sulla porta c’era Toris, il SUO Toris.
Polonia ordinò alle gambe – provate dalle torture – di alzarsi.
“Avanti gambe” diceva il polacco nella propria testa “Alzatevi e permettetemi di raggiungere l’amore della mia vita”
Le gambe obbedirono, sebbene con grande sforzo, e lo stato slavo riuscì a rimanere in piedi, seppur tremante.
A piccoli passi cercava di raggiungere il suo amato Lituania che gli sorrideva dolcemente e si avvicinava a sua volta.
Non appena furono abbastanza vicini, le gambe di Feliks cedettero ma Toris lo prese e lo sostenne. Come aveva sempre fatto: Toris era sempre pronto a sostenere lo stato slavo. Nel vene e nel male.
-Ora sono a casa… - disse Polonia impregnando il proprio naso dell’odore della divisa del suo Liet. Lo slavo chiuse gli occhi, finalmente felice, mentre lo stato baltico gli piantò un lieve bacio sulla fronte e lo prese in braccio come una sposa.
-Ora andiamo davvero a casa, amore mio… -
 
 
INFO:
*titolo di un libro traslitterato dal polacco che narra la storia dei fratelli Kamiński (Zoska, Alek e Rudy)
** battaglia avvenuta nel 1410 in cui il regno di Polonia ed il granducato di Lituania affrontarono e sconfissero la Prussia sfruttando intelligenti manovre
*** “fratello maggiore” in polacco
**** “sorella” in polacco
   
 
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