Videogiochi > Final Fantasy VIII
Ricorda la storia  |      
Autore: Luna Manar    22/05/2016    0 recensioni
La notte prima della battaglia finale contro Artemisia, Rinoa e Squall riflettono nervosamente sui loro sentimenti l'uno per l'altra, e se il loro amore sia una maledizione o una benedizione.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rinoa Heartilly, Squall Leonheart
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimer: Final Fantasy VIII e i suoi personaggi sono proprietà della Square-Enix e vengono qui utilizzati senza scopo di lucro. Nessuna violazione del copyright è pertanto da ritenersi intesa.

Nota dell'autrice: per capire completamente questa storia, sarebbe meglio leggere prima The Camping Trip.

THE FIRST WATCH
scritta da Luna Manar, tradotta da Alessia Heartilly

"Desidero nei tuoi occhi
la verità di quello che sono dietro la maschera
oltre il passato
."

*

"Sì. Se c'è un problema, gridate e basta o una cosa così. Come vi pare. Vado a dormire." Squall aspettò che Quistis annuisse, e si allontanò da lei e dal resto dei SeeD un momento dopo. Non si trovò solo con i propri pensieri come era abituato a fare di solito, comunque; arrivò, più o meno, faccia a faccia con Rinoa. Lo stava guardando con calma, con curiosità. Qualcosa della sua espressione gli sembrò speranzosa, come se gli chiedesse qualcosa in silenzio, dove le parole potevano mancare a entrambi.

Era una richiesta facile da capire. Squall distolse gli occhi, fece un passo in direzione dell'angolo in ombra che aveva scelto prima, si fermò e la guardò di nuovo. Si voltò e iniziò a camminare verso quell'angolo, dando una risposta silenziosa alla sua domanda altrettanto silenziosa. Lei capì il permesso che le aveva dato, e lo seguì dopo uno sguardo agli altri per essere sicura che non stessero guardando.

Squall arrivò all'angolo, e si appoggiò al muro di pietra. Il posto era secco e duro, freddo, e non ci arrivava alcuna brezza per cambiare l'aria. Era silenzioso, buio e calmo. Esattamente il tipo di ambiente di cui i pensieri disordinati di Squall avevano bisogno.

Il punto che il gruppo aveva scelto come luogo di riposo non era altro che una sporgenza pavimentata all'angolo della cittadella, con un soffitto alto costituito da una pietra costruita sopra - il lato sottostante di un pavimento del piano di sopra - e circondata da un nulla grigio e vuoto fuori. Sembrava una caverna alta, larga e vuota, abbastanza profonda da proteggerli dal vento e abbastanza isolata da - speravano - dar loro un rifugio temporaneo dai ripugnanti abitanti del castello di Artemisia.

Con una rigidità che non aveva notato fino a quel momento, Squall si chinò e voltò le spalle al muro. Si sedette lentamente, appoggiando la testa alla roccia e chiudendo gli occhi quando Rinoa si avvicinò a lui. Lo aveva seguito nel breve sentiero verso le ombre, ma esitava ancora. La sentì muoversi per sedersi a qualche centimetro da lui, nulla di più Come al solito, la sua vicinanza lo metteva a disagio. Ora, però, come nelle ultime volte, il disagio era per una ragione totalmente diversa da quella che si sarebbe aspettato. Non era seduta troppo vicina a lui; non era seduta abbastanza vicina. Sentì una specie di tensione di superficie, a cui resistette. Comunque la riconobbe, il che era più di quanto si era degnato di fare in passato. O osato fare. Non era sicuro di quale delle due cose. Tenne gli occhi chiusi.

Rinoa sospirò piano e rimase in silenzio per quello che sembrò molto tempo. Di solito, Squall non l'avrebbe notato, avrebbe aspettato la fine del silenzio e l'avrebbe usato per concentrare i suoi pensieri. Ma in quel momento i suoi pensieri non erano su se stesso o sull'arduo compito che aveva davanti. In quel momento non riusciva a concentrarsi su questo. Aspettava, si rese conto, che Rinoa dicesse qualcosa. Quando alla fine lei lo fece, aveva un tono smorzato, la voce bassa e un po' tremante. Se Squall non avesse ascoltato intensamente il suo silenzio, tanto per cominciare, non avrebbe capito cosa stava dicendo.

"Hai paura?"

Sollevò leggermente le palpebre pesanti, ma gli occhi blu non la guardarono. Fissarono il soffitto dall'altra parte dell'enorme stanza. "Certo" disse lui semplicemente. Guardò un piccolo pipistrello spostarsi inquieto, appeso a testa in giù alle travi.

"Quando arriviamo da Artemisia, cosa pensi di fare?"

Gli occhi rimasero solennemente immobili. "Non ne ho idea."

"Pensi..." Si fermò, senza voler finire la domanda, ma si costrinse a farlo. "Pensi che cercherà di ucciderci?"

"Probabilmente."

"Pensi che potremo fermarla?"

Questo le guadagnò uno sguardo cattivo. La guardò in silenzio. Lui non rispose.

Lei distolse gli occhi dal suo sguardo, spostandolo sulle proprie mani.

Quello sguardo... così freddo. Rinoa lanciò un'occhiata esitante a Squall, ma solo per momento, prima di dover distogliere di nuovo gli occhi. Ma lui non lo è. Si portò le gambe contro il corpo, abbracciando le ginocchia e coccolandosi nell'inutile tentativo di scacciare scaldandosi il gelo che le saliva nel petto. Io so che non lo è. Lo sento, ma lui fa sembrare che sia così. Come ci riesce? Come può ammettere di avere paura e far sembrare comunque che non significhi niente? Potrebbe essere l'ultima notte che vedremo mai... Si trattenne dal finire quel pensiero con la parola "insieme".

"C'è qualcosa che vuoi che faccia?"

La domanda la colse di sorpresa, ma stavolta sostenne il suo sguardo di ghiaccio, che non si era affatto sciolto da quando lo aveva guardato l'ultima volta. Eppure non c'era scherno o disprezzo nella sua espressione o nella sua voce, nulla a parte sincerità in quello sguardo crudelmente onesto. Lei scrollò un po' le spalle, impotente. "Non lo so."

"Sicura" rispose lui, in un tono dolce che gli aveva sentito usare raramente "o hai solo paura di dirmelo?" Osò spostarsi un po' più vicino a lei. Si disse che era perché stavano sussurrando ed era difficile sentirla.

Rinoa si strinse ancora più forte. "Non lo so" ripeté. Sapeva che non gli piaceva quando la gente non sapeva rispondergli, quindi barcollò tra i suoi pensieri. "Io... non... voglio chiederti niente. So che hai questa missione di cui preoccuparti, e probabilmente non vuoi essere distratto. Penso di star cercando... di riuscire a dire qualcosa, e non mettermi in mezzo allo stesso tempo." Le sembrava una risposta confusa e frammentata, e si chiese se lui avesse capito qualcosa di quello che voleva dire. Lui non sembrò irritato o frustato quanto lei si aspettava che fosse. Si prese solo un momento per pensare, capire cosa lei avesse detto.

"Non devi preoccuparti di non metterti in mezzo." Sbatté le palpebre una volta, con calma. "Non pensare che è una missione. Io non lo faccio." Riluttante, distolse gli occhi da lei e li spostò di nuovo sulle travi. "Non più."

Rinoa lo guardò riflettere, lo guardò discutere con se stesso, lo guardò arrivare a una decisione.

"Non avere paura di avvicinarti a me. O di starmi vicino. Non mi arrabbierò."

Rinoa guardò il pavimento, considerando la familiarità delle sue parole. "Non ho davvero paura."

"Adesso sì." La stava fissando di nuovo.

"È solo che... non voglio fare qualcosa che potrebbe scocciarti."

La sua voce si era abbassata, tanto che Squall dovette sforzarsi per sentirla. Gli ci volle un po' per formulare una risposta. Capiva la sua incertezza. Persino ultimamente, si era tenuto il suo "borbottare" per sé, le aveva detto di stargli vicino eppure l'aveva tenuta a distanza. Doveva confonderla così tanto. Questo lo turbava. Era facile tenerla vicina quando c'era un pericolo. Quando le cose erano più calme, quando la vita diventava meno urgente e si sentiva più a suo agio, era altrettanto facile lasciare che l'indipendenza che era così abituato a mostrare lo sopraffacesse di nuovo. Il suo comportamento era intimidatorio. Probabilmente, c'erano momenti in cui lei sentiva di non far parte del gruppo...

ma lo era, e Squall lo sapeva. Si sentiva orribile per averle detto di lasciar fare a lui, di stare zitta mentre pensava, di lasciare che Quistis e Zell se ne occupassero quando sapeva che Rinoa era capace quanto loro di un compito. L'aveva fatta sentire di nuovo un ostacolo. Doveva smettere. Ma cosa poteva fare? Cosa poteva fare per trattenersi prima di sbottare con lei o rinnegarla ancora? In momenti come quello, era abbastanza semplice pensare a quelle cose, ma quando non ci pensava, come poteva liberarsi del comportamento abituale su cui si era esercitato per anni?

"Scusa" disse lui piano. "Rimango invischiato in quello che sto facendo, a volte. Voglio dire..." Grugnì un poco per la frustrazione, costringendosi a parlare più coerentemente. "Sai, solo perché faccio lo stronzo per qualcosa, non devi prenderlo come un ordine. Abbiamo un contratto, giusto? Tu hai assunto me, non il contrario. Non è che tu sia ai miei ordini." Sorrise leggermente. "Senti, d'ora in poi, se sono scemo dimmelo e basta. Come facevi prima."

Lo aveva inteso come uno scherzo. Era riuscito a fare un piccolissimo, brevissimo, eppure verissimo sorriso. Incerta su cosa pensarne, o anche solo di averlo davvero visto, Rinoa non disse niente.

Squall parlò per spezzare il silenzio che doleva in lui per ogni momento sprecato nell'indecisione. "Forse sono cambiato, ma non sono diverso da chi ero, anche se è più personale, adesso." Persino in quello, era senza espressione, e lo notò lui stesso. Si raddrizzò a sedere contro il muro, continuò a guardarla, fece un gesto vago con una mano. "So che faccio casini. Probabilmente continuerò a farne. Ma cercherò di non farne." Di nuovo trovò l'aria piena di silenzio. Aveva così tante altre cose da dire, era così incerto su come riuscirci. "Non intendo andare da nessuna parte." Questo fu sussurrato, e socchiuse gli occhi come se si stesse concentrando. "E non sto pensando nemmeno di lasciar andare te." La guardò alla ricerca di una sua reazione, non la vide, se c'era, e lottò disperatamente per trovare altro da dire. "Per favore." Il suo atteggiamento duro cadde, ma solo leggermente, e istintivamente si affrettò a nascondere la paura ansiosa che iniziò a strisciargli nelle viscere, la paura che stava per ammettere. "Non lasciare che ti allontani. Non avere paura di me. Se c'è una cosa che mi spaventa adesso è l'idea di perderti. Non mi sono mai sentito così. Non so cosa fare. Voglio continuare a sentirmi così. Non voglio perderlo. Mi..." Si interruppe. Non avrebbe detto 'mi ucciderebbe'.

"A volte..." Rinoa dovette fermarsi e decidersi di finire la frase. "Ho paura addirittura di toccarti, o anche di stare a un metro da te, perché sembra che tu non lo voglia."

"A volte" mormorò di rimando Squall "penso di respingerti quando ti avvicini, perché invece lo voglio." Terminò in silenzio. Mi spaventa. Distolse lo sguardo, esaminando il muro alla sua destra. Il vuoto continuamente pervasivo gli dava sui nervi. Desiderò poter dire qualcosa di più, ma non trovò parole. Desiderò poter fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma era congelato nell'indecisione. Squall udì uno spostamento al suo fianco. Rinoa si era avvicinata a lui fino ad essere a solo qualche centimetro dal sedersi spalla contro spalla con lui. Rimase fermo, pensando, che problema ho?

"Cosa?"

Gli fremeva la spalla. "Niente." Di che cosa ho paura?

Rinoa si sporse un po' più vicina a lui, e la sua voce morbida era calda contro l'orecchio di Squall. "Non ci credo."

Lui lottò contro un brivido, un fremito di allontanarla. "Non lo so. Qualcosa mi sta spaventando a morte."

"Sai perché?"

"No."

"È una paura buona o cattiva?"

"Non lo so."

Rinoa continuò a guardarlo, ma lui non la guardò. Anche se desiderava che lo facesse, quello che le interessava di più era stare con lui. Non voleva che arrivasse il domani, se i giorni e le notti significavano qualcosa nel reame di Artemisia. Il domani avrebbe portato...

non voleva pensarci. Rilassò le ginocchia e le lasciò andare, appoggiandosi sulle mani e fissando il buio senza tempo. Anche tra gli altri, a prescindere da quanto fossero accoglienti, si sentiva alienata. A parte il fatto che non era una SeeD, c'era qualcos'altro che la divideva da loro. Non solo il suo potere da Strega. Quello era un dettaglio. Era diversa perché era potente, e perché ora era parte della storia, parte di una leggenda.

Quistis, Zell, Selphie, Irvine . tutte le persone che aveva conosciuto o incontrato negli ultimi mesi - la trattavano tutti con molta gentilezza, la trattavano come una loro pari, ma sceglievano di farlo. Dovevano non pensare al fatto che lei era una Strega. Ma era impossibile per loro ignorarlo del tutto, a prescindere da quanto volessero. Era diversa da chiunque altro, e sotto questa cosa c'era il fatto che aveva un grande potere; non era controllabile con prontezza. Era pericolosa.

Lo odiava.

Tutti la guardavano in modo diverso da prima. Tutti la trattavano con più rispetto di quello che era abituata a ricevere, e sembrava una presa in giro. Tutti quelli che conosceva come amici sorridevano quando li guardava, sorridevano per essere amichevoli e assicurarle che si fidavano di lei e non ce l'avevano con lei. Tutti sapevano che non era semplicemente un'altra persona. Tutti avevano dovuto ricordare a se stessi che lei era Rinoa, oltre che una Strega.

Ma non Squall. Il modo in cui la trattava come persona non era cambiato come quello degli altri. Certo, spesso sembrava che dimenticasse del tutto che lei era una Strega. Questa cosa era semantica, riconosciuta solo quando era importante per la situazione, affrontata solo quando i suoi poteri potevano entrare in gioco. Trattava la sua abilità potenzialmente pericolosa come se fosse un'abilità, non un attributo; i suoi poteri di Strega non erano per lui più strani del suo talento con il gunblade. Con un tale potere arrivavano responsabilità e disciplina, sì, ma non era cambiata l'impressione che lui aveva di lei come persona. Aveva un'abilità nuova e pericolosa, ma nulla di più.

Per Squall, era ancora umana. Quello che era non era cambiato.

Tutto quello che vedeva, tutto quello a cui si rivolgeva quando parlava con lei era Rinoa. Essere una Strega non era un problema o una considerazione; finché si trattava di lui, lei era Rinoa e nessun altro, a meno che e fino a quando avesse provato altrimenti. O almeno, questo era quanto aveva capito Rinoa da come si comportava lui.

Nascose un sorriso mentre pensava. Anche Squall era diverso, unico in un modo caustico. Era una distinzione che separava lui da altre persone, chiudeva fuori il mondo e lo lasciava isolato. Anche tra amici e compagni che gli volevano bene, lui era da solo. Prima, quella differenza l'aveva affascinata. Ora lui era l'unica persona che lei poteva davvero capire proprio per questo, e solo perché lei si comportava proprio all'opposto.

C'era anche un'altra sensazione. Più subliminale, ma di cui Rinoa non riusciva mai a liberarsi. Era una sensazione, una paura e una speranza che l'avevano seguita da quando era riuscita a capirla, cinque mesi prima. Anche se succedeva in una maniera diversa, Squall condivideva questa paura con Rinoa, che se ne rendesse conto o no. Guardò la sua espressione farsi distante nel buio. La Paura era altrettanto reale per lui, eppure aveva una forma diversa. E a differenza di Rinoa, non era estraneo alla cosa.

Era una paura terribile. Una paura della morte, del nulla. Una paura della non-esistenza. Una cugina della paura di Rinoa del fallimento finale, dell'idea che davvero non ci fosse una luce alla fine del tunnel, e che tutto non sarebbe davvero andato bene.

Una paura di essere completamente, disperatamente persa.

Non voleva sentirsi così, non voleva scampare a quella paura. Sapeva che Squall doveva odiarla tanto quanto lei. Lo vedeva in ogni suo gesto, lo sentiva in ogni parola che pronunciava. Comunque fosse arrivata a perseguitarlo, lei sapeva che era la Paura a spingerlo ad essere così evidentemente freddo, ed era la Paura che incanalava la mentalità del lupo solitario che aveva cesellato il suo comportamento in duro granito. Comunque, lui cercava la stessa cosa che cercava lei - qualunque fosse - o qualcosa di molto simile. Poteva sentirlo, in qualche modo. A prescindere dalle loro differenze, questo strano fatto era diventato una specie di tacita comprensione. Comprensione che era diventata rispetto. Rispetto che aveva aperto una porta a uno strano tipo di amore che nessuno dei due capiva.

Era una cosa il cui pensiero la lasciava perplessa. Squall non era nulla di quello che lei avesse mai desiderato. Era stato addestrato ad essere crudele, o si era addestrato ad esserlo, e non ci pensava due volte ad uccidere, una pratica che Rinoa disprezzava. Era imprevedibile, in un certo senso. Lei non poteva mai essere certa di come lui avrebbe reagito su qualcosa. Raramente si arrabbiava, ma era successo qualche volta, e c'erano poche cose che potevano terrorizzarla di più. Per qualche ragione nulla di tutto questo alla fine aveva importanza, comunque. Comunque e soprattutto, il suo lavoro probabilmente avrebbe reso quasi impossibile vederlo spesso. Ma era disposta ad aspettare.

Non sapeva perché, non riusciva a capire cosa stava succedendo nel suo cuore, ma aveva fiducia in esso. Proprio come aveva fiducia in Squall, per nessun altro motivo che era così. Sembrava giusto - e alla Dimora della Strega, era stato abbastanza forte da portarlo a correre a salvarla dalle sue scelte più sciocche in una maniera eroica quasi non-da-Squall. Ma persino quel momento era sembrato giusto. Così giusto che non aveva voluto lasciarlo andare, che sarebbe rimasta nel suo abbraccio per sempre se avesse potuto.

Il dramma era finito. Oh, era stato meraviglioso, significativo e tutto il resto, ma era finito, e ora non avevano di fronte la coperta confortante dell'emozione pura, ma avevano di fronte l'altro, individuo a individuo. Le annodava lo stomaco. Di certo, erano innamorati. Ma non poteva essere così, e lo sapevano entrambi. Erano troppo diversi.

Ma non potevano nemmeno lasciarsi e sopravvivere.

Lì, in quel momento, quando potevano morire da un momento all'altro, che cosa poteva risultare di buono dal preoccuparsi del futuro a lungo termine? Quello che importava era adesso - sempre che 'adesso' significasse ancora qualcosa - e per il momento era reale. Per adesso, almeno, l'amore era stabile e senza cicatrici.

Era più che amore e basta. Un altro dettaglio. Rinoa non aveva mai capito nessuno così bene. Né aveva mai trovato così difficile comunicare con qualcuno. La paura li attirava l'uno all'altra, e stava tra loro. Forse era tutto lì, rifletté. Forse l'amore non era nulla più che una specie di paura. La differenza tra lei e Squall era che lei considerava ancora la paura e il suo scopo. Lui aveva rinunciato, l'aveva messa via e aveva dimenticato la chiave. Si era imputridita in lui. Alla fine l'avrebbe ucciso, se fosse stato lasciato a se stesso. Sempre che Artemisia non lo facesse per prima.

Rinoa si accigliò. Come poteva lui nascondersi dalla sua peggiore paura, adesso? Invece, doveva affrontarla: inevitabilità. E più di qualunque altra cosa, non vuole morire.

Lei soltanto aveva capito il suo sfogo al Garden di Galbadia; non voleva diventare un ricordo, un 'è-stato' da perdere nella storia. Per gli altri era stato un gesto strano e casuale da parte sua. Lo avevano addebitato allo stress. "Povero Squall" avevano detto.

Rinoa sapeva che lui avrebbe odiato sentirlo.

Se l'unico modo in cui esisteva ancora dopo la morte era nei ricordi degli altri, potevano essere rivoltato e cambiato in qualsiasi modo volessero loro. Avrebbe affrontato quel fato all'alba del buio? O sarebbe potuto sopravvivere, se l'affrontava con lei, se seguiva il suo cuore invece della sua paura?

Guardò Squall spostare il peso a disagio, e si chiese se stava pensando alla stessa emozione a cui pensava lei. "Sai" borbottò lui piano, così all'improvviso da farla sobbalzare "non ti morderò."

Lei socchiuse gli occhi scuri, prendendosi un momento per capire cos'aveva inteso. Che cosa significa? "È il tuo modo di chiedermi qualcosa... è una specie di invito?" Lo guardò, nervosa, sperando - a qualsiasi divinità del cielo potesse funzionare lì - di non sbagliarsi.

Lui aveva gli occhi semiaperti e fissava il nulla. "Potresti chiamarlo così" rispose lui, con la stessa esitazione della domanda di lei. Nonostante la sua cautela, la sua espressione era sicura; per il momento, la barriera dell'incertezza stava rapidamente svanendo sotto il potere di una certa pericolosa magia che entrambi conoscevano e sentivano, ma temevano.

Lentamente, Rinoa sollevò una mano e la posò delicatamente sulla sua spalla.

Squall glielo lasciò fare senza obiettare. Cos'aveva da perdere che non fosse già in gioco? Un piccolo brivido gli percorse la schiena e lottò per nasconderlo, ma dubitò di averlo fatto bene. Si chiese, distante, perché il suo semplice gesto di preoccupazione lo spaventasse, e allo stesso tempo lasciò andare un respiro basso di sollievo. Quello che stavano facendo adesso - il solo stare seduti lì, a parlare, a stare vicini, a diventare più vicini, lentamente - era apparentemente insignificante paragonato a quello che era successo negli ultimi tempi: si era precipitato alla Dimora della Strega per farla uscire, l'aveva tenuta al sicuro per alcuni brevi momenti meravigliosi; non riusciva a ricordare di essersi mai sentito così giusto come era stato in quel poco tempo. Anche prima, l'aveva abbracciata sulla Lagunarock in un tentativo inutile di scacciare la sua paura che l'aveva fatta finire in quel laboratorio terribile. Le aveva promesso che ci sarebbe sempre stato per lei, le aveva promesso di aspettarla. Le aveva permesso di restare accanto a lui una notte, le aveva permesso di stringerlo, quella notte. Aveva persino ammesso il suo amore, anche se solo una volta, e solo con una voce che non iniziava nemmeno a incanalare quello che provava. In tutte quelle occasioni, aveva sentito quest'emozione così forte che era difficile pensarci senza cominciare a sentirla di nuovo. Ora aveva più paura che mai di quella sensazione travolgente. Ma cosa c'era di diverso?

Non c'è nessuna scusa, si rispose da solo, mettendo la mano su quella di lei. Il viso non tradiva nulla più che un senso di determinazione che andava di pari passo con l'accettazione che non poteva scappare da questo sentimento, non poteva fingere di non essere legato alla sensazione e quindi a Rinoa. Prima, ogni carezza era stata una questione di svolgimento, perché c'era sempre stata una ragione utile e ovvia per farlo: per consolare, per proteggere, per stare insieme e smettersi di allontanarsi l'uno dall'altra. Tutte ragioni emotive, ma tutte altrettanto freddamente logiche.

Non dovevo pensarci, si dipanarono i suoi pensieri come una bobina stretta forte, non dovevo ammettere niente, non ne avevo bisogno. La sentì stringergli la spalla, ricambiò la pressione. Ora siamo qui e basta. Solo Rinoa, solo io. Le prese gentilmente l'altra mano. Ci sono dentro fino al collo. Belle parole, gesti eroici in un laboratorio di contenimento, infrangere le regole - bene. Ma l'amore? Che cosa so delle relazioni? Rinoa... la conosco almeno? Come posso? Lei sembra sapere così tante cose su di me. E le ho promesso che ci sarei stato. Dannazione. All'inizio era una sensazione... solo un'emozione.

Ora, in qualche modo... era diventata una realtà! Come poteva continuare?

E adesso? Non lo so. Non riesco a pensare. Non posso tornare indietro.

Squall si sentì orribilmente immaturo e stupido in quel momento. Non capiva quello che provava, ma per una volta non aveva importanza. Era abbastanza reale, forse più tangibile di qualsiasi altra emozione che avesse mai provato. Ma una cosa era sentire l'amore. Ora... viverlo? Poteva? Era capace di mostrare quel tipo di affetto? Poteva fidarsi così tanto di qualcuno? Niente scuse... ma non ho bisogno di una scusa. L'unica ragione che ho adesso è che voglio questo. Si bloccò, sperduto.

Mentre passavano i minuti, si rilassarono entrambi. "Ci inventeremo qualcosa" sussurrò inutilmente Squall.

Rinoa gli strinse forte la mano. "Come ci siamo finiti in questo pasticcio insieme?"

"Non lo so." Non lo sapeva, davvero. Ma capiva per quale motivo era lì. Quello, almeno, era chiaro, perché persino la casa stravolta di Artemisia era tangibile e visibile. Per nulla come la trappola in cui si trovava insieme a Rinoa. "Fino a quando non troveremo un modo di sconfiggere Artemisia, però, siamo intrappolati qui." E la sua situazione era una trappola, di gran lunga la trappola più mortale in cui fosse mai caduto. A quel punto era troppo debole per combattere, comunque, né ci avrebbe provato se avesse voluto. Doveva correre il rischio. La trappola l'avrebbe o abbracciato o fatto a pezzi.

Aveva paura. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenere quello che aveva adesso. Sapeva che perderlo significava la sua stessa distruzione. Una chiusura. Causata da solitudine, cuore spezzato.

Sciocco davvero.

La paura dentro di lui stava reagendo violentemente al suo amore, e il conflitto lo mangiava vivo da dentro, proprio come era successo quando era scomparsa Ellione.

Ellione... è questo? Sei tu? Sono così perché pensavo che te ne fossi andata? Sembrava che le domande arrivassero direttamente dal buco freddo nel suo stomaco. Tutto quello in cui ho sempre creduto... è stato solo per quello?

Aveva imparato la lezione sbagliata?

Avrebbe potuto, avrebbe dovuto ascoltare Quistis ogni volta che gli diceva che nessuno poteva vivere isolato. Ci aveva provato, e aveva pensato di aver dimostrato che lei si sbagliava. Aveva ottenuto tutto da solo. Persino lavorando in gruppo, era solo - un soldato a sé. Isolamento per evitare il dolore. Era così semplice. In quel modo non poteva perdere niente se non se stesso, e si era dannatamente assicurato di non cedere mai a nessuno. Aveva pensato di essere libero. La vita era stata giusta e basta. Fino a... quando?

Beh, prima aveva senso.

Nulla durava per sempre. Era davvero troppo tardi per cambiare quella mentalità adesso; era diventata una parte di lui, un istinto, nel tempo.

Un istinto che lo stava uccidendo ora che aveva davanti il bisogno insopprimibile del suo cuore. Anche se ogni valore nella sua mente gli diceva che questo era sbagliato, le sue emozioni affermavano il contrario, e per una volta stavano prendendo potere sulla ragione.

Ma la guerra dentro di lui aveva accumulato troppi danni collaterali. Non si sarebbe mai ripreso del tutto se avesse perso lei. Non con il cuore intatto. Ne era sicuro. Ma poi, anche se sconfiggeva Artemisia, la vita sarebbe stata degna di essere vissuta senza di lei? Sì. Sarebbe sopravvissuto? Possibilmente. Sarebbe stato felice di quel risultato?

A questa domanda, fu costretto a rispondere: no. Mai.

La mano di Rinoa gli lasciò la spalla e lui usò il braccio per guidarla in silenzio ad appoggiarsi contro di lui. La guardò sbattere le palpebre alcune volte, la sentì appoggiarsi al suo fianco con la testa sulla sua spalla. Un brivido lo percorse. Se l'avesse persa, e fosse vissuto per ricordarlo, di sicuro la ferita che aveva protetto con tanta ferocia non si sarebbe mai chiusa, non sarebbe mai guarita davvero. Un pezzo di lui sarebbe andato con lei. Quella parte di lui sarebbe morta dentro.

Vergognandosi della sua stessa debolezza, si sentì come tredici anni prima, ancora una volta carne e sangue. Ma non poteva gestirlo come aveva fatto anni prima. L'indipendenza totale non era una scelta possibile. Nemmeno la cruda indifferenza sarebbe servita.

Non poteva tornare indietro. Non poteva semplicemente rimettersi in sesto e fingere di stare bene. Era quello che aveva fatto per tutto quel tempo, e così aveva condannato se stesso; aveva creduto alla sua stessa bugia.

Scuotendo la testa come per liberare la mente dai pensieri confusionari, Squall ammise a se stesso che la razionalità significava poco per lui in quel momento. Dannato 'realismo'. Dannazione a cosa era giusto. Dannazione a ciò che era responsabile. Non voleva altre possibilità dopo questa.

Si tese, come per rafforzare se stesso. Mettendole il proprio cuore in mano, si sarebbe lasciato completamente scoperto per un colpo letale. Dopo tutto quello che era successo, ogni crisi a cui era sopravvissuto, ogni decisione tra vita o morte che aveva dovuto fare, era al limite. La sopravvivenza del mondo contava su di lui che guidava la battaglia per distruggere Artemisia. Non era una questione di orgoglio. Non era una questione di fare del proprio meglio. Era una questione di vita o di morte. Aveva un'unica possibilità, e se falliva, non ci sarebbe più stata una terra, non ci sarebbe più stato un Tempo come tutti lo conoscevano. Nonostante i suoi tentativi di soffocarla, la tensione di questo fatto gli aveva annodato lo stomaco a tal punto da renderlo pronto a sbottare, che lo sembrasse o meno.

Rinoa aveva bisogno di lui, e lui aveva bisogno di lei - ora più che mai, con l'inevitabilità nera di Artemisia che incombeva su di loro. Era già sul baratro con la paura, e solo Rinoa sapeva - solo lei poteva capire - quanto debole si sentisse adesso. In qualche modo, lei lo aveva raggiunto nonostante qualsiasi principio regolasse la sua vita, con la paura alle calcagna ad ogni passo.

Non poteva evitare quello che sentiva, non poteva fermarlo, o evitarlo. La amava. Era un rischio terribile da correre in un momento critico come quello. Ma negandosi la libertà di farlo, si sarebbe distrutto comunque, e avrebbe distrutto anche tutti gli altri.

Quindi è tutto o niente.

Che sia. Poteva perderla, e avrebbe accettato le conseguenze di quel rischio. Lei era il suo punto debole. Ma poteva anche essere la sua forza.

Quistis aveva ragione. Ero uno scemo. Ma non più.

Pensarlo era una specie di sollievo. Iniziò a prestare attivamente attenzione a cosa sentiva: voleva allungarsi a toccare il viso che lo fissava, aspettando che dicesse qualcosa. Ma fu spaventato nel vedere una lacrima scendere lungo la guancia di Rinoa, e la strinse di più quando lei cercò di voltarsi per nasconderla. "Che c'è che non va?"

"Mi dispiace" gli rispose lei piano, sempre con la testa bassa. "Lo sto facendo ancora. Non voglio farlo. Cerco di non farlo. Solo che sembra che non riesca a trattenere tutto quando... ho paura."

Squall chiuse gli occhi. Le aveva reso la vita difficile in passato sul piangere, le aveva detto che non sarebbe servito a niente e che di solito faceva sentire peggio le persone. Ora non ne era così sicuro. "Forse..." Lottò con le parole, aprendo gli occhi a metà una volta che le ebbe trovate. "Forse non puoi evitare di piangere quando sei turbata... ma piangi." Non era sicuro che avesse senso, dubitava che le sue parole la consolassero granché. "Va tutto bene" sbottò impotente. "Se ne hai bisogno." Lei non gli rispose. Era come se non l'avesse sentito affatto.

Troppo. Non poteva più sopportarlo. Le parole non erano abbastanza; doveva fare qualcosa. Esitante, le lasciò andare la mano, e con la cautela delicata di un bambino curioso, le spinse i capelli dietro le orecchie, per scoprirle gli occhi. "Ehi... vuoi guardarmi?"

Lei lo fece, anche solo per il modo in cui le aveva fatto la domanda. Il suo viso non era cambiato a parte un po' di preoccupazione, ma la sua voce, quella era diversa. Sempre Squall, ma il suono aveva avuto una morbidezza che Rinoa non aveva mai sentito prima. Non sembrava il tono severo di un SeeD. Più di qualsiasi altra cosa, era sembrato il tono preoccupato del diciottenne che era. Lei scosse la testa lentamente. "Non voglio metterti in imbarazzo."

"Davanti a chi?" Lui guardò brevemente i loro presumibilmente addormentati compagni. Il bordo nella sua voce era tornato. Ma Rinoa sapeva cosa aveva sentito. "Siamo solo noi" continuò lui dopo la sua domanda.

Solo noi. Rinoa riuscì a fare un piccolo sorriso, sbatté le palpebre su occhi ancora pieni di lacrime. "Vero." La sua risposta sussurrata sembrò quasi mite.

"Sono spaventato anch'io. Spaventato da morire." Mentre parlava, si allungò dietro Rinoa così da togliersi i guanti senza doverla lasciar andare. "Immagino che quando si arriva al punto, non so cosa sto facendo." Soprattutto adesso.

Rinoa gli rispose piano, quasi con tristezza. "Riesci benissimo a fingere di saperlo. Ma posso capire. Nessuno sa cosa farà Artemisia quando ci vedrà."

"Vero anche questo." Delicato ed esitante come era stato prima, Squall le sfiorò la guancia umida con le dita nude. "Ma non parlo di Artemisia." Guardò Rinoa chiudere gli occhi, e le prese delicatamente la guancia nella mano. "Lei non ha importanza. Non me ne frega niente di lei. In questo momento ho in mente una strega diversa." Sfiorandole leggermente il viso, con il pollice le toccò gli occhi pieni di lacrime, seguì il sentiero delle lacrime e passò esitante sulle labbra tremanti. Se l'avesse persa, se fosse rimasto solo, almeno voleva qualcosa, qualche ricordo, qualche barlume di speranza - anche qualcosa di semplice come la forma del suo viso. Se il punto era questo, allora ogni momento aveva importanza. Squall sentì un insolito tipo di paura. Non paura normale, qualcosa di diverso. Non era sicuro di cosa l'avesse causata. Né gli interessava. Il concetto era minuscolo paragonato a ciò che provava in quel momento. Ora che si stava permettendo di provarlo.

Adesso. Che cos'era, poi?

Rinoa piegò la testa contro la sua mano, scossa dal suo gesto gentile e sorpresa dal suo calore inaspettato. Sembrava quasi che avesse la febbre. Era qualcosa che aveva notato nel dominio di prigionia di Bahamut, ma non aveva avuto il tempo di pensarci. Per un momento dimenticò le sue paure, gli prese la mano e la tenne delicatamente per poterla guardare. Curiosa, iniziò ad allungarsi verso il suo viso. Lui la fissò intensamente, senza dare alcuna indicazione di una qualche obiezione. Lei gli toccò la guancia con la mano, poi la ritrasse. Anche se aveva un bell'aspetto, quasi pallido, era caldo al tocco, così tanto che poteva sembrare malato. Era sempre stato così? Aveva notato prima d'allora che lui aveva freddo con facilità, ma aveva sempre sopportato il freddo del nord meglio di lei o degli altri. Aveva sentito parlare di un'anomalia genetica che causava una temperatura costantemente alta. Lui ce l'aveva? Se era così... lo imbarazzava? Rifletté. "È per questo" rifletté Rinoa piano. "È per questo che indossi sempre la giacca?"

Lui annuì. "Sì, tipo. È un problema per te?"

"No" disse lei in fretta. "Solo che... ci ho pensato. A dire il vero, io..." Gli prese di nuovo la mano, nervosamente, la mano destra, la studiò, contò ogni dito come per essere certa che ci fossero tutti. Stava evitando i suoi occhi, e un po' di rossore non collegato alle sue lacrime le macchiò le guance. "...Tipo, mi piace" terminò imbarazzata, poi si fermò ed esaminò una cicatrice piccola ma evidente proprio sotto il pollice.

"Uno stupido errore che ho fatto" spiegò lui. "Mi sono tagliato con un coltello da bistecca a dodici anni."

Rinoa rise un poco, piano. "Divertente. Si penserebbe che una persona con il tuo lavoro abbia cicatrici per incidenti di addestramento e battaglie, invece che per le posate."

"Presa anche quella." Spostò gli occhi in alto, come se cercasse di vedere la cicatrice sulla fronte. "Non posso davvero nasconderla questa, però."

Lei smise di fissargli la mano, ma non la lasciò andare. "A dire il vero, è un po' difficile per me immaginarti senza."

"Non mi hai mai visto senza."

"Vero." Distolse lo sguardo, pensierosa, per finire a fissare inavvertitamente dritta il simbolo ruggente di Griever. "Ma attira attenzione, sai?"

"Sì. Ho tipo notato..." Anche nell'angolo di una sala da ballo piena di gente.

Lo guardò di nuovo, si fermò, aspettò che il ricordo rivivesse di nuovo nella sua mente. "Voglio chiederti una cosa."

"Cosa?"

Il sorriso di lei tornò a metà. "Promettimi che risponderai con un sì o con un no."

L'espressione di Squall non era cambiata, e non lo fece a parte un sopracciglio leggermente sollevato. "Credo di sì."

"No, devi promettere" insistette lei.

"Bene. Prometto. Sì o no."

Comunque, a Rinoa ci volle un po' per riuscire a fare la domanda. "Tu... la notte che ci siamo incontrati, e ti ho trascinato a ballare, ti sei divertito?"

Squall iniziò a dire qualcosa, poi ricordò la promessa del sì-o-no. Si prese un momento per pensare, e Rinoa lo lasciò fare. Alla fine rispose con un piccolo cenno del capo. "Sì."

Rinoa sorrise di nuovo, ma il suo sorriso svanì in fretta. "Sei stato felice per un po'." Abbassò lo sguardo, piena di vergogna. "E poi io ho preso e me ne sono andata senza una parola. Nel mezzo del nulla." Strinse la mano intorno a quella di lui. "Sono sparita e basta senza un motivo. Giusto?"

Squall non rispose. Non poteva.

"Mi dispiace di averlo fatto. Non avrei dovuto."

"Va tutto bene. Non mi conoscevi."

"Vorrei averlo fatto." Rinoa si fece piccola dopo averlo detto - non era sicura di come Squall potesse prendere quelle parole. Non disse niente. Il silenzio che seguì portò Rinoa a rendersi conto di nuovo di ciò che li circondava, e ricordò in un lampo dov'erano. "Squall." Chiuse gli occhi, seduta a fissarlo senza vederlo, e stringendogli la mano disperatamente. Ho paura.

Lui poteva aver sentito la sua implorazione silenziosa, o averla percepita nel suo atteggiamento. Sentì che lui liberava la mano dalla sua presa, e si lasciò cadere nel suo abbraccio. Sentì che se lui non ci fosse stato ad abbracciarla in quel momento, sarebbe caduta di lato sul pavimento duro, troppo debole per la paura per fare qualsiasi altra cosa. Invece il suo peso incontrò il suo supporto consolante. Quasi pianse di nuovo, tanto fu intensa la sua reazione, come un'esplosione nel cuore e nella mente. Non era semplicemente la sensazione di sicurezza o attrazione o anche solo felicità. Erano tutte presenti, ma nessuna era travolgente quanto un altro pensiero: il concetto che era Squall - dimenticare il Comandante SeeD antisociale, intoccabile, ottuso, dal cuore di pietra. Era Squall che lo stava facendo, Squall che la stava abbracciando, per nessun'altra ragione che voleva farlo. La cosa migliore era che Rinoa sapeva che la sicurezza della sua rassicurazione era reale, e l'intento era sincero.

Sembrava un qualcosa da favola, con lo stolido guerriero incantato da una principessa dalla volontà forte, e che affrontare i poteri malvagi di una vana e crudele strega. Ma la gloria di tutto era che questa non era una favola, non era una fantasia, e la situazione non era così semplice e vuota. In tutta serietà, settimane prima non avrebbe pensato che Squall fosse capace di comportarsi in un qualsiasi modo gentile. Ora...

Ma cosa aveva fatto? Cosa gli aveva fatto per farlo sentire così? Tutto quello che riusciva a ricordare di aver fatto in passato era bisticciare con lui...

Sembrava così ingiusto che questo fosse soltanto appena successo, e lì affrontavano la possibilità di poter essere tutti fatti a pezzi. Rinoa aveva visto Artemisia. Aveva sentito i pensieri della Strega, e sapeva quanto fosse crudele quella donna. Se avessero perso, Artemisia non solo li avrebbe uccisi, avrebbe tormentato le loro anime, prima, per suo divertimento. Rinoa non poteva sopportare l'idea di Squall alla mercé della rabbia di quella strega terribile. Odiava averne paura, perché Artemisia sapeva arrivare nel cuore della gente, scoprire cosa li spaventava di più, e giocare con quel terrore.

Aprì gli occhi, bandendo immagini orribili, e fissò Squall con un sguardo teso e disperato. "Posso chiedere un'altra cosa?"

Squall non si era aspettato di muoversi come aveva fatto poco prima. Non aveva attivamente pensato di stringere Rinoa così decisamente; aveva sorpreso se stesso. Non aveva fatto nulla del genere dalla Dimora della Strega. Ancora recuperando per la sorpresa, con gli occhi spaventati nascosti da lei mentre posava il mento tra i suoi capelli, trovò a malapena la forza di rispondere con una sola parola: "certo". Riuscì a darsi di nuovo un contegno, raddrizzò la sua immagine per guardarla.

Rinoa fece un respiro, si allungò a toccargli di nuovo il viso. "Lascialo andare." La mano si mosse sulla sua guancia come per rimuovere la maschera di cui parlava. Ritrasse velocemente il braccio, lasciandolo con la sua richiesta e lo strano formicolio che avevano lasciato le sue dita.

All'inizio Squall non la capì, alzò gli occhi con confusione e non poco riserbo; non era sicuro di come interpretare le sue parole. Che cosa gli stava chiedendo di fare? Lasciar andare cosa?

Ovviamente, la prima cosa che gli venne in mente era totalmente ridicola. Di certo non si aspettava che lui - non in quel momento, non ! Non poteva essere. Sbatté con forza reazioni ormonali così irritanti in uno sgabuzzino in fondo alla mente e decise anche di puntellare la porta.

Calmatosi dal panico iniziale e interno, ricordò che lei gli aveva toccato il viso. Solo allora capì, e molto improvvisamente. Scosse la testa lentamente. "Non so se posso."

"Per favore?"

"Come?" Si sentì all'improvviso irritato. "Le cose sono troppo incasinate adesso. Non posso semplicemente permettermi di perdere la testa." Al momento, non sapeva che espressione avrebbe dovuto avere, che viso si adattava ai suoi sentimenti. E se avesse smesso di cercare di mantenere il controllo. E se davvero avesse perso la testa? E se fosse crollato? Non poteva rischiarlo adesso, non con una minaccia come Artemisia che lo aspettava nel profondo di quella fortezza oscura che cresceva come una brutta erbaccia nodosa dalla terra del mondo spezzato intorno a lui.

Rinoa scosse lentamente la testa, guardandolo discutere con se stesso. Stava strizzando gli occhi, sembrava che stesse cercando di sostenere un enorme peso, ma stava cedendo sotto a quello sforzo. I suoi occhi tremarono, ma oltre a questo non si mosse.

"Per favore" lo incoraggiò lei. "Sarebbe più facile parlare con te se potessi semplicemente vedere cosa provi. Non posso sempre intuirlo."

"Troppe cose."

"Non c'è ragione di mettermi il broncio." Lei sembrò all'improvviso frustrata, e distolse lo sguardo da lui. "A cosa serve, se so già che è finto?"

"Non è 'finto'" sbottò lui. "Mi dispiace. Non posso evitarlo. Tu non capisci. Non sto cercando di nascondere niente, è solo il mio modo di essere." Scosse la testa allo sguardo di sfida di lei. "Non puoi cambiare questo."

Lei sorrise tristemente. "Tua madre non ti ha mai detto che se hai sempre il broncio la faccia ti si bloccherà così?"

Squall chiuse gli occhi. "Non ricordo mia madre."

La risposta colpì. "Certo." Rinoa sospirò piano, senza più idee per convincerlo. Premette la fronte contro la sua spalla, chiuse gli occhi e rinunciò. Alla fine non aveva importanza. Quello che importava era che lui era lì.

"Che cosa vuoi che faccia?"

Lei si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri cupi. Eccola ancora, la sua voce, senza il bordo tagliente o la fermezza attentamente costruita, ma senza altre differenze. Era ancora forte, ancora bassa, ma sembrava anni più giovane rispetto a solo qualche minuto prima. Ma aveva ancora gli occhi chiusi. Il viso era un po' più calmo, e sembrava quasi che stesse dormendo, completamente inconsapevole del mondo intorno a lui, e senza la coscienza di mantenere la maschera.

"Apri gli occhi" lo incoraggiò dolcemente. "Vorrei che mi guardassi." Voleva vederlo senza la facciata equilibrata, voleva vedere cosa provava anche se lo sapeva già. "Se tu non distogliessi lo sguardo, se solo tenessi gli occhi su di me."

Eyes... On Me. Quelle parole, così familiari per Squall. Alla fine tutto si ricompose nella sua mente, il titolo legato alla musica che sembrava seguirlo ovunque andasse. La ragione per cui Rinoa conosceva il titolo, qualcosa che non aveva pensato di notare, lo colpì virtualmente. Caraway... Caraway ha sposato Julia. Julia ha scritto quella canzone! Ora sapeva perché quella canzone lo perseguitava. Lentamente aprì gli occhi e fissò lo sguardo su Rinoa.

Era uno sguardo completamente differente. Il viso si era rilassato, la mascella non era più rigida e tesa. Aprì completamente gli occhi, che normalmente sarebbero stati alterati da un broncio fisso. Sembrava più giovane e sembrava, per quello che poteva dire Rinoa, spaventato e confuso come chiunque altro al suo posto: trascinato fuori dalla sua vita normale e ficcato nella posizione di un leader che non aveva mai sognato di essere, che non aveva mai voluto essere. Non c'erano nervi d'acciaio. Solo una persona, un essere umano. Fallibile, vulnerabile.

Qualcosa di lui sembrava rovinato e danneggiato. In quell'atmosfera, guardarlo negli occhi era come guardare ciò che rimaneva di un lavoro di vetro macchiato dopo che aveva ricevuto addosso decine di pietre. Il disegno era ancora riconoscibile, e una volta ovviamente era stato bellissimo e vibrante di colore e personalità. Ma la brillantezza era sparita, adesso, era svanita in una versione più tenue delle sua radiosità. Qualsiasi punizione Squall avesse sofferto in passato, l'aveva tenuta per sé, aveva lasciato che i bordi rotti e taglienti lo lacerassero e tagliassero ogni volta che veniva urtata una vecchia ferita. Il suo orgoglio si pavoneggiava ancora del furioso splendore come cicatrici di battaglie, e aveva proclamato al mondo che era spezzato, orgoglioso di questo, che non aveva bisogno di nessuno, e portava bordi taglienti pericolosi da toccare, che facevano sanguinare chiunque osasse. Quell'orgoglio lo aveva lasciato solo con la sua forza a sostenerlo, e gli anni lo avevano distrutto come un vento duro e continuo. Ora, come vetro stressato, minacciava di rompersi e cadere a pezzi se gli veniva gettata addosso un'altra pietra. Gran parte della sofferenza era stata colpa sua. E lo sapeva.

Nonostante questo, non aveva una sola ruga di malinconia sui lineamenti. Curioso, speranzoso, spaventato, confuso. A macchiare tutte quelle cose c'era un senso di sfida, una passione violenta che non si sarebbe piegata a nessuna debolezza. E un'altra inclinazione, molto più dolce.

Fu questa delicatezza che infine mosse il suo viso mentre lei lo guardava, quella dolcezza che aveva sentito nella sua voce solo pochi minuti prima. Immaginava che fosse quella delicatezza a renderlo così vulnerabile. Un paradosso così bizzarro: si comportava così freddamente perché gli importava così tanto. L'affetto era pericoloso per lui, e quindi lo temeva, evitava i morbidi cocci di compassione tagliente come un rasoio.

Rinoa capì allora che aiutandolo a rimettere i pezzi a posto avrebbe dovuto rischiare di tagliarsi le mani.

"Julia" disse Squall, interrompendo quelle cupe riflessioni. "Tua madre si chiamava Julia."

"Sì." Sbatté le palpebre, rendendosi conto in ritardo di cosa le aveva detto. "Esatto. Come facevi a saperlo?"

Squall tenne gli occhi su Rinoa e spiegò attentamente. "Hai detto 'tieni gli occhi su di me'. Eyes On Me. Julia ha scritto una canzone con quel titolo. Nei sogni che mi ha dato Ellione, Laguna andava nel posto in cui lavorava Julia, solo per ascoltare la sua musica. Lei ha detto che grazie a lui era riuscita a trovare le parole per una canzone... ma poi se n'è andato." Gli occhi di Squall si strinsero in una smorfia che non si preoccupò di respingere, e quasi distolse lo sguardo, un dolore scialbo che gli si contorceva, incontrollato, nello stomaco.

Tutto quello che fece Rinoa fu guardarlo. Aveva reagito alle sue parole come se qualcuno l'avesse pugnalato con un coltello. Sembrava così insolito, eppure sorprendente.

"Se n'è andato" ripeté in tono vacuo Squall. "Non è mai tornato." La sua voce si calmò. "Non era nemmeno colpa sua. Almeno non del tutto." Si trovò all'improvviso incapace di respingere un leggero stringersi della gola, anche se non sentiva alcuna inclinazione a piangere. La stretta lo fece strozzare con le parole. "Julia dopo ha scritto quella canzone. Raine ne ha parlato, quindi so il titolo. Quando Laguna ha avuto modo di chiedere di Julia, lei aveva già sposato Caraway. Se non fosse successo..." Chiuse gli occhi e fece un respiro lento, calmandosi. Nella sua voce tornò la pacatezza. "Se nulla di tutto questo fosse successo, tu non saresti mai esistita."

Rinoa sentì un brivido. Questo concetto la spaventò. Non esistere. D'altra parte, esistere per la sfortuna di qualcun altro? "Squall..." Non sapeva cosa poter dire.

"Ma è successo." La paura si chetò, e la calma delicata prese la precedenza ancora una volta.

Rinoa capì che la dolcezza era per lei.

Squall fece un respiro, e il suo tono si fece più fervido, quasi disperato, e allungò le mani per enfasi, senza lasciarla andare. Ebbe solo una richiesta: "aiutami".

Ma si sentì terribile nel chiederlo - i suoi problemi non erano una responsabilità di Rinoa. E aiutarlo a fare cosa? A non rendersi cretino? No, solo a capire cosa aveva fatto lei, quello che lui non riusciva a capire; perché aveva così disperatamente bisogno di questo amore? Che tregua sarebbe venuta dal lasciare che la propria felicità dipendesse da un'altra persona, quando alla fine non c'era nulla se non perdita e dolore? Sembrava che tutti gli altri capissero che una tale fiducia e interdipendenza emotiva aveva un certo valore, che a lui sfuggiva. O gli era semplicemente scappata? O l'aveva ignorata? Rifiutata...?

Non poteva evitare di chiedersi se fosse una condizione terminale da cui nessuno poteva salvarlo. Ma e se lei avesse potuto?

"Aiutami a capire. Se puoi. Se vuoi."

Rinoa non sembrò turbata da quella che per lui era una richiesta monumentale. Gli strinse la mano. "Se ti fiderai di me." Era ovviamente determinata a rendere vera l'affermazione.

"Mi fido di te." Non aveva scelta. Non voleva un'altra scelta. Ma si fidava solo di lei, e di Ellione; non riusciva pensare a nessun altro di cui credere che potesse capire se non loro due.

Rinoa continuò a fissarlo. Si sollevò a sedere per guardarlo direttamente negli occhi. Non voleva distogliere lo sguardo, per nessuna ragione, perché sapeva che ad un certo punto Squall si sarebbe imbronciato di nuovo. Dopo questo, non c'era garanzia che avrebbe avuto modo di vedere il viso che vedeva ora. "Sembri spaventato."

Lui piegò leggermente la testa su un lato. "Sì." Sembrava davvero spaventato, ma più rilassato di prima, più a suo agio senza il broncio costante che normalmente lo proteggeva da qualsiasi cosa cercasse di farlo a pezzi. Vicino a lui, Rinoa poté intuire che, nonostante la sua vulnerabilità, respirava più facilmente. "Sto bene."

"A cosa stai pensando?" Gli accarezzò un lato del viso, e non si sentì nervosa come prima nel farlo. Lui sembrò abbandonarsi al gesto, anche se non per mancanza di volontà, accettando la sua carezza piuttosto che permetterla.

"Niente." La sua voce era bassa, ma chiara. "Tutto" si corresse velocemente. "La roba mi gira in testa troppo in fretta. Non potrei starci dietro nemmeno se ci provassi." Si accigliò, chiuse gli occhi. "Continuo a pensare che voglio fare qualcosa o dire qualcosa. Non so cosa." O non so come, la prima delle due che capita. Sentì un brivido corrergli lungo i nervi, guardò brevemente, con la coda dell'occhio, con curiosità, la mano fredda di lei contro la sua guancia. "Perché lo fai?"

"A questo ho già risposto."

"No invece. Quando?"

Per un momento l'espressione di Rinoa si rattristò, e scosse la testa, allungandosi con l'altro braccio a stringergli forte la spalla. "Una volta, Squall" sussurrò piano. "Non molto fa, e non su questo mondo. Per me è così chiaro... non ricordi?"

Il ricordo gli passò nella mente come una breve ondata. Perché mi stringi così?

Non ti piace, Squall?

È solo che non ci sono abituato.

"Non ci sono ancora abituato" mormorò a voce un po' più alta.

I suoi occhi si illuminarono un poco, ma non sorrise. Rinoa lo fece, anche solo perché aveva visto quegli occhi accendersi per un istante; il suo commento era stato una specie di umorismo mite. "Ti do fastidio?"

"No." La sua espressione si intensificò. C'era anche un desiderio lì, vero e naturale, che aveva un fervore sul bilico della sua paura. "Io non... non mi dà fastidio, no... per niente." La frase si ruppe quando si rese conto esattamente di cosa stava dicendo. Come per provare questo quieto desiderio a se stesso, ripeté: "non mi dà fastidio per niente".

Rinoa sentì un grande sollievo salirle dentro come una nuvola di vapore fresco. Non si era resa conto di quanto volesse sentire Squall dirle quello che le aveva appena detto, farle sapere per certo che andava bene stare così vicini, solo toccarlo o stringerlo se voleva, e non doversi preoccupare di fare qualcosa di sbagliato. Ritirò la mano e si accoccolò contro di lui, piacevolmente consapevole del suo braccio intorno a sé. "Voglio solo sapere di poter dire che siamo insieme. Voglio sapere se anche tu la vedi così. Voglio appartenere a qui."

Sapeva che con "qui" non intendeva il castello di Artemisia. Qui. Con lui. Ecco cosa intendeva. "Io voglio che tu lo faccia" rispose piano. "Sei la benvenuta qui."

Rinoa gli sorrise. Quell'affermazione da sola la scaldava. "Hai mai sentito davvero quella canzone?"

"Non proprio" mormorò lui, dirigendo lo sguardo alle travi, come aveva fatto prima. "Solo la melodia. Non le parole. Di solito non ascolto quelle cose."

"Una delle canzoni che abbiamo ballato insieme era una delle versioni."

Lui spostò di nuovo gli occhi su di lei, scettico. "Vuoi dire che ce n'è più di una?"

Lei sorrise. "Divenne molto popolare. Alla mamma piacevano diversi tipi di musica, e le piaceva sentire le canzoni suonate in molti modi diversi. Ma le è sempre piaciuta di più quella. ...Una parte, ci sto pensando adesso." Giocò delicatamente con i capelli di Squall, spostando con fare assente le morbide ciocche castane dietro l'orecchio, ripetendo quel movimento ancora e ancora mentre parlava. Lui rimase in silenzio, felice di guardarla e basta, ascoltare la sua voce e sentire le sue carezze semplici. "Mi ricorda quello che provo per te."

"Quale?" chiese lui, quando lei non disse altro.

"Oh, è..." Iniziò a distogliere lo sguardo ma si bloccò, si interruppe, cercando i suoi occhi. Lui era calmo, paziente, in attesa. Molto attentamente, lei rispose, ma stavolta la sua voce tenne il ritmo della canzone, e rispose non solo a parole, ma in musica.

""So let me come to you,
close as I want to be
Close enough for me
To feel your heart beating fast
And stay there as I whisper
How I love your peaceful Eyes On Me,
But did you ever know
That I had mine on you
?"

Sentire le parole insieme alla melodia che lo perseguitava da mesi sembrò strano a Squall. La canzone familiare, nella voce di Rinoa, gli mandava brividi lungo il corpo; sembrava che le parole fossero scritte mentre le cantava, parlando a lui invece che a qualcuno del passato. Sbatté lentamente le palpebre mentre la ascoltava, e notò che ora non stava semplicemente recitando le parole, ma le rivolgeva a lui.

"Darling, so share with me
Your love if you have enough
Your tears if you're holding back
Or pain, if that's what it is
..."

Rinoa cedette a questo punto, e la voce svanì nel silenzio come un'eco distante che rimaneva ancora dopo che era finita.

Quando Squall non poté più sopportare il suo sguardo muto e l'immagine che seguiva la canzone nella sua mente, emise un respiro breve, e guardò un attimo di lato. "Vuoi... andare a camminare da qualche parte? Non lontano, solo che devo muovermi." Troppi sentimenti lo stavano colmando; doveva alzarsi per evitare che ribollissero. Anche una breve passeggiata sarebbe andata bene. Semplicemente non voleva stare lì, seduto pigramente contro un muro di pietra dura.

"Finché ci sei tu con me." Il suo sorriso lo mise a suo agio.

"Certo."

Ci volle una breve, sciocca immobilità per entrambi prima di capire che, per alzarsi, dovevano lasciarsi andare l'un l'altro. Per abitudine, il viso di Squall divenne di nuovo rigido, gli occhi presero forme di lance mentre praticamente doveva costringersi a lasciare Rinoa. Lei si alzò con lui.

"Oh-!" La breve esclamazione fu malinconica. Aveva iniziato ad allungarsi per toccarlo ancora, ma si fermò, fissandolo sgomenta.

Anche prima che lei facesse quel suono, Squall era stato sul punto di rimettersi i guanti. Si bloccò dopo essersi messo solo a metà il primo. Senza muoversi, la fissò con la coda degli occhi. Il suo broncio svanì un poco. Lentamente si voltò ad affrontarla, mentre lei era in attesa. Ancora una volta allungò la mano per toccarle leggermente la guancia con le punte delle dita, e sorrise, il meglio che poteva con tutto quello che stava succedendo, con tutto quello che potevano perdere. Ma mantenne il sorriso per un po', annuì leggermente, per rassicurarla di non preoccuparsi. Lui era ancora lì.

Come per riflesso, Rinoa gli prese il braccio quando lui iniziò infine a ritrarsi. Lui non cercò di strattonare come aveva fatto in passato, ma socchiuse gli occhi, incuriosito dalla sua riluttanza per lasciarlo andare. Non se ne sarebbe certo andato.

"Ho solo paura" spiegò lei piano "che se distolgo lo sguardo per un secondo, tornerò a guardarti e tu non ci sarai. Potrebbe succedere qualcosa..." Si interruppe, ingarbugliandosi con le sue parole. Lei lo fissò con un'espressione di scuse.

E io potrei scomparire... "Non devi lasciarmi andare." In effetti, non aveva cercato di allentare la sua presa su di lui anche quando aveva iniziato a rimettersi i guanti.

Rinoa trovò consolazione nelle sue parole, e le prese alla lettera mentre iniziavano a camminare. Si tennero contro il muro interno. Rinoa teneva il braccio sinistro di Squall - non troppo stretto - e lui stabiliva il ritmo.

"Strano, no?"

Squall non capì la sua domanda brusca. "Strano?"

"Com'è successo tutto." Aveva gli occhi fissi sul terreno davanti a lei. "Sai, hai ragione. Se tutto quello non fosse successo, e Laguna non se ne fosse andato... non saremmo qui a parlare."

"Pensavi a quello?"

"A molte cose." Calciò una pietra sul pavimento, la guardò rimbalzare e rotolare via da lei. Prima che la pietra si fosse fermata, lei si bloccò e si voltò a guardare Squall. "Hai detto che non ricordi tua madre. Pensi che sia ancora viva, da qualche parte? Se sì, forse potresti trovarla. Non capita tutti i giorni che qualcuno chiami suo figlio Squall."

"Dubito che lo sia" rispose lui piano. "Qualcuno me lo avrebbe detto. E molti dei bambini all'orfanotrofio che erano lì perché era stati separati dalla famiglia... prima o poi sono stati ripresi dai genitori."

"Nessuno è mai venuto per te."

"No."

L'espressione di Rinoa si rattristò. "È così triste."

Squall continuò a camminare, e lei fece lo stesso. "Non proprio." Parlava in tono piatto. "Non li ho mai conosciuti comunque, quindi non posso esattamente sentirne la mancanza, credo. La Madre è stata una specie di mamma per tutti noi. Se qualcuno fosse venuto a prendermi, probabilmente non avrei voluto partire."

"E quando sei arrivato al Garden?"

"Edea e Cid ci hanno detto del Garden... l'hanno detto a tutti. Molti di noi all'inizio non sono andati. Seifer e io eravamo gli unici due che non avevano genitori adottivi. Non so perché Seifer fosse rimasto. Forse io volevo solo andare dove andava la Madre. O qualcosa del genere."

"E adesso? Sei felice di quello che hai scelto?"

"Rispetto a cosa?" Squall si fermò improvvisamente e si accigliò. Le lanciò un'occhiata irritata. "Come se avessi una scelta.

"Niente. Mi dispiace." Rinoa si difese dal suo broncio. "Non sto dicendo che non avresti dovuto. Mi chiedevo solo..."

Squall fece un sospiro, calmandosi. Non era sicuro di cosa avesse toccato un tasto dolente in lui. "È solo che non voglio rimpiangere niente del passato. Non ne vale la pena."

"Chi ha parlato di rimpianto? Non volevo dire quello."

Lui pensò a lungo, in silenzio. Erano arrivati al bordo del muro e si erano girati per tornare indietro prima che lui dicesse altro. "Non avrei mai trovato Ellione andandomene. O almeno così pensavo. Non volevo essere da un'altra parte se fosse tornata. E se fossi diventato un SeeD, avrei viaggiato per il mondo, e forse allora l'avrei incontrata."

Rinoa sorrise leggermente. "Ellione è stata con te per qualche anno, vero?"

"Non davvero molto. Ma finché ricordo sì. A me sembrava molto tempo."

"Forse lei lo sa? Di tua madre, intendo."

"Ne dubito. Non siamo parenti."

"Come lo sai?" lo stuzzicò Rinoa. "Potrebbe essere la sua sorella maggiore e non lo sapresti mai."

Squall sorrise all'idea, e rispose in tono piatto "ah ah".

Rinoa fece un piccolo sorriso. Discusse brevemente tra sé e sé le parole successive. "Sai, non ti ho mai sentito ridere, credo" disse infine. "Che cosa trovi divertente?"

Squall scrollò le spalle. "Niente."

"Bugiardo. Ti ho sentito ridacchiare. E se quel piccolo giochetto che hai fatto nell'ufficio della Kadowaki è un indizio, da qualche parte hai anche il senso dell'umorismo."

Un altro sorrisetto. "È stato mesi fa... ora che ci penso, però, probabilmente non stavo scherzando... non del tutto, comunque." Le lanciò un'occhiata di sbieco. "Pensavo di sì."

"E adesso?"

"E adesso cosa?"

"Cambiato idea?"

"Non lo so. Sei ancora preoccupata che la gente si faccia 'l'idea sbagliata'?"

Rinoa soffocò una risatina. "No."

"Credo di non scherzare più." Rallentò, si fermò; sembrò colpito. "Non lo so." La guardò con occhi calmi che indicavano un sorriso, ma non lo fece mai. "Tu che ne pensi?"

Lei si mise le mani dietro la schiena, si sporse in avanti e fece mostra di rimproverarlo. "Pensi che tu sia ottuso in maniera stupefacente."

"Hai ancora paura di me?"

Lei scosse la testa e si raddrizzò. Il tono si fece più serio. "Non credo." Spostò una mano da dietro di sé e gli prese leggermente il braccio. "Non... non più."

Per la terza volta quella notte, un sorriso gli passò sul volto. "Bene" disse. "Non devi."

Sospirando, Rinoa appoggiò un po' il peso al suo braccio, chiuse gli occhi sia per i pensieri che per la pura stanchezza. "Nella caverna di Bahamut" sussurrò dopo un po' "quello che hai detto - lo intendi davvero, giusto?"

"Sì. Forse non è sembrato."

"No, non è questo." Alzò gli occhi per scoprirlo a guardarla, e scosse la testa alla sua preoccupazione. "Non dubitavo che dicessi davvero. Non l'avresti detto, altrimenti. Ho chiesto solo..." Si fermò, pensò e poi ammise infine: "...penso, perché volevo che tu me lo dicessi di nuovo". Lo osservò distogliere lo sguardo da lei, vide la sua compostezza vacillare sotto l'incertezza. "Non devi" aggiunse in fretta lei. "Non ne dubiterei anche se tu non avessi detto niente fin dall'inizio."

"Ma non c'è altra parola per quello che provo." Nel momento di silenzio che seguì, Squall combatté con il desiderio intenso di abbracciarla, di stringerla, di fare qualcosa, qualsiasi cosa che glielo mostrasse, che potesse esprimere con certezza quello che sentiva, che le parole non riuscivano ad esprimere. Ma ancora una volta non era né il posto né il momento. Lo sapeva. Eppure, era sicuro di non aver mai combattuto con un sentimento potente quanto questo. Vide il desiderio riflesso nei suoi occhi neri, odiò il fatto che quella situazione gli impedisse di avvicinarsi. "Odio le parole" ringhiò piano, distogliendo lo sguardo e chiudendo gli occhi per il dolore che gli saliva nel petto. "La gente può dire quello che vuole, e può non significare niente. Le parole possono essere belle, ma quando si arriva al punto sono del tutto vuote." Incrociò le braccia. "Come puoi valutare la sincerità di tre parole quando il loro significato può essere inutile come ciao e arrivederci?"

"Dalla persona che le dice. A volte il tono della voce, o l'espressione degli occhi." Quando lui non disse nulla, Rinoa aggiunse: "non è un crimine, Squall. Se lo dici, e lo senti quando lo fai, non è inutile. Significa più di qualsiasi altra cosa tu possa dire a qualcuno". Gli mise una mano sulla spalla. "Ma va bene. Non devi. E non pensare mai di dover dire qualcosa solo perché io voglio che tu lo faccia."

Perché no? Squall la guardò, silenzioso. Alla fine portò l'attenzione sull'aria davanti a sé e ricominciò a camminare.

Questa volta, quando arrivarono all'angolo, non si sedettero subito. Rimasero invece in piedi, ognuno fissando il muro ma senza vederlo.

Rinoa fu distratta dai suoi pensieri da un rumore petulante lì vicino. Guardò al di sopra della spalla e si accigliò sentendo russare Irvine. Persino dall'altra parte di un muro di pietra dava sui nervi.

Sentì la voce irritata di Zell: "-ey, chiudi il becco, amico!". Qualche secondo dopo ci fu un basso tump, un "mrf" di una persona semisveglia e poi silenzio.

"Sei stanco?" chiese a Squall.

"All'incirca" rispose lui, distante. La voce di lei gli ricordò dov'era, e si mosse per sedersi ancora, un gesto che Rinoa imitò.

Lei continuò a fissarlo, ma sembrò che lui non lo notasse. Se l'aveva fatto, o non lo disturbava o non gli interessava. Si chiese a cosa stesse pensando, ma decise di non chiedere. Si accontentò di guardarlo.

Potevano essere passate ore o minuti - lì il tempo non aveva comunque importanza - per Squall, a cercare di sistemare la sua mente caotica. Aveva guardato il buio senza stelle là fuori da quando erano arrivati a quella piccola nicchia, e aveva notato che, in effetti, sembrava che il tempo non significasse nulla in quel regno contorto. Era scesa la notte, ma non era avanzata. Non era passato un momento da quando aveva smesso di pensare al tempo e aveva iniziato la sua conversazione con Rinoa. Il cielo rimase buio, ma non nero, e i muri non proiettavano ombre. Il tempo era una scelta lì, iniziò a capire; qualcosa che aveva importanza solo se ci si comportava come se ne avesse.

Qualcosa che avrebbe potuto intrappolare tutti loro nel buio eterno, se lui e Rinoa avessero scelto di addormentarsi. Intrappolati nel tempo.

È un bene che abbiamo deciso di fare il primo turno di guardia, pensò senza umorismo. Trappola intelligente, Artemisia.

Ma la maledizione poteva anche essere una benedizione, e la mancanza di tempo di quel mondo sollevò in Squall una specie di sollievo amaro. Poteva parlare con Rinoa finché voleva, finché potevano evitare di pensare al tempo, tanto per cominciare. Per questa ragione, decise di non comunicarle la sua osservazione.

Lei lo stava fissando, e lui lo sapeva. Non lo disturbava. In passato lo avrebbe messo a disagio, ma adesso capiva che il suo sguardo non lo giudicava. Se lo stava guardando, era perché voleva farlo e per nessun altro motivo. Il fatto che lei lo volesse lo confondeva e insieme stuzzicava il suo orgoglio. Perché voleva guardarlo così a lungo, e così intensamente? Rispose alla sua stessa domanda con un'altra domanda a cui conosceva già la risposta: perché lui voleva guardare lei?

"Sai una cosa" lo riscosse la voce morbida di lei. Non disse niente, ma aspettò che lei continuasse. Infine, lei lo fece. "Sei un bellissimo ragazzo, Squall."

Squall trattenne brevemente il respiro, fissandola ad occhi semichiusi. "Che cosa dovrei rispondere?"

Lei scrollò le spalle, sorrise ironicamente. "Almeno te l'ho detto. Se tu fossi Seifer, mi avresti detto di smetterla di chiamarti 'ragazzo'." Scosse la testa, minimizzando la gelosia che saliva negli occhi di Squall. "No, seriamente. Non mi aspetto che tu dica niente. Volevo solo dirti... che lo penso. E dico davvero."

Squall si rilassò, cercando un modo di rispondere. "Beh... grazie" rispose fiaccamente.

Abbassò lo sguardo a terra. Voleva dirle che lei era bellissima secondo lui. Voleva dirle così tante cose. Non poteva. Tutto quello che pensava di dire sembrava così stupido e comune. Nulla di importante poteva essere espresso a parole. Tutto quello che pensava di dire era già stato detto da qualcun altro in passato, in un libro, in un film, nella vita di un'altra persona. Le frasi e i loro significati erano state usate al punto di diventare ridondanti. Non c'era una parola rilevante a cui potesse pensare e il cui significato non fosse stato abusato.

Come odiava le parole. Non poteva nemmeno dirle di amarla, non senza arrivare davvero alla verità. Persino quello, soprattutto quello, gli sembrava troppo insignificante. La parola "amore" era così comune. Quello che sentiva non era una cosa comune. Non per lui.

Una parte distante di lui desiderò che lei potesse leggergli la mente, anche solo perché potesse capire l'enormità di quello che pensava e provava. Nulla che potesse dire poteva fare giustizia a uno qualsiasi dei suoi pensieri. Nulla.

Rabbrividì, chiuse gli occhi. Voleva mostrarle una qualche specie di affetto, più di quanto avesse già fatto. Non era del tutto sicuro di cosa lo trattenesse dal farlo. Forse semplicemente non sapeva cosa poteva fare. D'altra parte forse lo sapeva, istintivamente, e anche troppo bene. Aveva paura di perdersi e andare troppo oltre.

Ma cosa era 'troppo oltre'? Qualsiasi cosa? Per quel che ne sapeva, domani avrebbero potuto essere tutti morti. Ma la sua stessa logica di proibizione teneva a bada i suoi desideri più impetuosi. Quei sentimenti significavano poco per adesso, ragionò. L'idea non gli sembrava giusta. E non lo sarebbe stata, decise, non senza fiducia, un tipo di fiducia che, sapeva, poteva solo essere conquistata nel tempo. Quel tipo di tempo, capì mentre il dolore saliva ancora nel petto, non aveva nulla a che fare con le ore o i minuti o con il passaggio dei giorni e delle notti. Quel tipo di tempo esisteva solo nello stesso reame dei suoi sentimenti per lei. Non era fatto perché le parole potessero descriverlo o spiegarlo. Ma anche se fossero sopravvissuti a questa "missione", c'era la possibilità che la loro associazione non durasse. Lo sapeva, lo odiava, odiava che fossero così irrevocabilmente diversi l'uno dall'altro, odiava che la sua vita non gli avrebbe mai concesso tempo per lei. La sua stessa personalità non gli avrebbe permesso di concentrarsi su di lei. No, lui non era fatto per lei, alla fine. Impossibile.

Ma per adesso...

il futuro non gli importava, adesso. Per adesso, erano allo stesso livello, con un obiettivo comune. Per adesso, poteva darle il conforto e la stabilità di cui lei aveva bisogno. Adesso poteva concedersi questo amore per lei. Per adesso. Se questa era la fine delle loro vite, allora avrebbe passato l'ultimo giorno al suo fianco, avrebbe combattuto al suo fianco, sarebbe morto al suo fianco. Sapeva, almeno, che questo era giusto. Finché fosse durato non l'avrebbe sprecato.

Sta' con lei, si disse. Consolala. Non desiderarla.

Sentì Rinoa appoggiarsi di nuovo alla sua spalla come aveva fatto poco tempo prima, in quello stesso punto contro il muro. La guardò per scoprire che i suoi occhi erano distanti e mezzi chiusi dalla stanchezza.

La paura iniziò a crepitargli dentro di nuovo. Non andartene adesso- La scosse leggermente. "Ti stai addormentando addosso a me?" Non aveva inteso una domanda così letterale, ma immaginava che fosse accurata in qualunque modo si scegliesse di interpretarla(1).

"Scusa" arrivò il mormorio di risposta. "Sono stanca..."

Non andartene, implorò in silenzio il suo cuore. Se lei si fosse addormentata, lui avrebbe dovuto stare sveglio per permettere alla mattina di arrivare. Non lasciarmi solo qui! "Comoda?" fu tutto ciò che disse ad alta voce.

Lei gli sorrise, gli occhi pieni di sonno. "Sì. Vuoi dormire o no?" Si raddrizzò a sedere contro il muro, gli occhi ancora su di lui.

"Probabilmente no. Qualcuno deve restare sveglio... fare la guardia..." La voce gli cedette e le parole andarono in briciole. La stava fissando, quasi occhi negli occhi. Divenne improvvisamente, spaventosamente consapevole di quanto fosse davvero vicino con il viso a quello di Rinoa. Il suo battito del cuore accelerò e divenne così forte che temette che lei potesse sentirlo. Chiuse la bocca semiaperta, distolse lo sguardo da lei mentre allo stesso tempo rilasciava un respiro teso di aria soffocata.

Rinoa si mise una mano sulle labbra, accorgendosi in ritardo di cosa aveva quasi fatto - o era stato davvero accidentale? Si agitò un poco, non allontanandosi ma avvicinandosi a lui, spostando lo sguardo sul tessuto scuro della sua giacca. "Scusa, non volevo, non stavo cercando... quello. Ti ho solo guardato, non pensavo che avrei..." Si interruppe umilmente.

Squall non riuscì a trovare niente da dire. Non poteva perdonarla; non aveva fatto nulla di male. Era stato stato un incidente. Non era successo nulla. Non era successo nulla... Chiuse gli occhi, cercando di reprimere i suoi sensi confusi e di calmare il battito martellante. Era sollevato o deluso. Dannazione, ho bisogno di dormire. Ma non poteva dormire.

Ma perché diavolo no?

"Vado a svegliare Quistis così noi possiamo dormire" annunciò in tono piatto, alzandosi.

Rinoa si alzò con lui. Lo seguì da vicino, impaurita all'idea di allontanarsi dal suo fianco, se lui fosse svanito e separato da lei.

Quistis si svegliò di botto quando Squall la scosse con lo stivale. Cercò a tentoni a terra davanti a lei per un po' fino a quando trovò gli occhiali, li indossò e guardò confusa, sbattendo le palpebre, chi l'aveva disturbata.

"Sono passate alcune ore" disse Squall, inginocchiandosi accanto a lei per tenere bassa la voce. "Per quanto posso capire, comunque. Ho bisogno di dormire. Pensi di poterci sostituire per un po'?"

"Io... credo di sì." Quistis sospirò, lamentandosi in silenzio che lei fosse stata scelta per dare il cambio della guardia. Ma un attimo, che guardia? Nessuno aveva parlato di turni di guardia. "Sostituirvi in cosa?" chiese in ritardo.

Squall se lo aspettava. "Qualcuno deve restare sveglio" fu tutto ciò che disse. Dal suo tono, Quistis capì che era meglio non chiedere perché. Guardò Rinoa, che era in piedi dietro Squall, a fissare il nulla grigio. La giovane strega non sembrava prestare attenzione alla loro conversazione.

"Beh, va bene" accettò riluttante l'ex professoressa di Squall. "Dovrei svegliare tutti a... mattina?"

"Sì."

Quistis si raddrizzò a sedere, si appoggiò su una mano e fece un cenno a Squall con l'altra. "Vai pure. Va' a dormire un po', Squall. E anche tu, Rinoa" aggiunse. Rinoa distolse lo sguardo dall'inesistente orizzonte e sorrise debolmente alla SeeD. Non disse nulla.

Squall si alzò, guardò Rinoa per assicurarsi che fosse con lui, e iniziò a tornare al "suo" angolo. Si voltò verso Quistis passandole accanto e sibilò con tono fermo: "rimani sveglia".

Sollevando un sopracciglio alla sua insistenza, Quistis annuì lentamente.

Qualche momento dopo, Squall si appoggiò al muro, inclinando la testa e chiudendo gli occhi, con una smorfia come se avesse il mal di testa. Cadde a sedere, e sembrò che scivolasse lungo la pietra fredda come se fosse appiccicato al muro da una sostanza invisibile.

Rinoa si sedette in maniera molto meno drammatica. Si sistemò nell'abbraccio del suo braccio sinistro e si appoggiò alla sua spalla, accoccolandosi contro di lui e chiudendo gli occhi per la fatica. Non voleva svegliarsi, la mattina, ma era così stanca. Finché il sonno non la separava dall'unica persona in cui trovava conforto, allora era disposta a lasciarsi prendere. Gli strinse fermamente il lato della giacca. "Pensavo che avessi detto 'solo stavolta'" mormorò lei. Lo sentì sospirare piano. La sua risposta fu ritardata, quasi impercettibile, ma abbastanza chiara per Rinoa da sorridere alle sue parole.

"Ho mentito."

Felice che questa fosse l'ultima cosa che gli sentiva dire prima di addormentarsi, Rinoa lasciò andare la sua coscienza e non disse altro.

Squall chiuse gli occhi e cercò di fare del suo meglio per addormentarsi. Non era troppo difficile; era inesorabilmente stanco, la mente troppo confusa per pensare chiaramente. Persino contro la pietra dura si sentiva comodo con Rinoa al suo fianco, al sicuro nel suo abbraccio. Quistis era sveglia a fare la "guardia".

Avrebbe potuto tenere Rinoa sveglia, avrebbe potuto parlare con lei per tutto il tempo che voleva. Avrebbe potuto passare una piccola eternità lì con lei. Ma a che scopo? Ogni parola e ogni gesto sarebbe stato macchiato dal fatto sempre presente e incombente che ad un certo punto sarebbe finito tutto, e che avevano da affrontare il potere crudele di Artemisia. In realtà, Squall voleva che il mattino arrivasse il prima possibile. Voleva affrontare Artemisia, liberare dalla sua minaccia se stesso e tutto della sua vita. Il suo problema con lei era diventato personale. Artemisia l'aveva reso personale quando aveva preso il controllo di Rinoa e l'aveva quasi uccisa. Odiava Artemisia, e tutto quello che aveva fatto per rendergli la vita un inferno. Voleva dimostrare a quella strega che giocando con le sue emozioni, infliggendo tutto quello che aveva inflitto a lui e alle persone che lui conosceva, cercando di controllare la sua vita e quella di Rinoa come aveva fatto con quella di Seifer, stava commettendo un errore terribile e fatale.

Che lui lo sapesse o meno dall'inizio, era stato addestrato per tutta la vita per il solo scopo di sconfiggere Artemisia. Voleva raggiungere quello scopo. Non uno scopo che gli era stato dettato da un potere più alto. Il suo scopo. Il sentiero che lui aveva scelto di camminare per se stesso, che avesse avuto o meno la scelta della strada da seguire. Almeno aveva scelto di continuare.

Ma più di ogni altra cosa, voleva che tutto finisse. Non voleva più dover pensare a questa insensatezza. E, strano, l'accettazione che quel mattino poteva portargli la morte non trovò in lui paura, ma una strana specie di pace. Non esistere... Come si faceva a non aver paura di nulla? Decise che era impossibile. Nessuno non aveva alcuna paura, nemmeno Seifer. E nessuno non aveva paura di nulla, nemmeno Squall. Questi due fatti erano la stessa cosa? Immaginò che non importasse. Tutto quello che importava era l'adesso.

Avrebbe combattuto con Artemisia. L'avrebbe distrutta. Sarebbe stato al sicuro. Rinoa sarebbe stata al sicuro. Lui e Rinoa...

La sua coscienza svanì. Scese un buio caldo.

Arrivò il mattino. Ma il buio non si sollevò mai.

~*~
"Ritarda il domani!
Ritarda la luce del mattino
Tu sei tutto quello che ho mai sperato
Abbiamo solo bisogno di avere il tempo dalla nostra parte
."
~*~

*~* FINE *~*

*

Note al testo
(1) interpretarla: c'è un gioco di parole intraducibile. L'espressione inglese è "fall asleep on me", che significa sia "addormentarsi addosso a me" sia "addormentarsi lasciandomi solo", nel contesto della storia. Non sono riuscita a rendere il doppio significato.

*****
Nota della traduttrice: ogni recensione e commento, anche in messaggio privato, sarà tradotto e inviato all'autrice, e ogni eventuale risposta verrà poi riportata qui. Per chi volesse tenersi aggiornato sulle mie traduzioni (in questo e altri fandom), lascio il link alla mia pagina facebook (dove segnalo sempre quando aggiorno) e alla mailing list. Alla prossima! - Alessia Heartilly

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VIII / Vai alla pagina dell'autore: Luna Manar