Prompt: Punto di
rottura.
Citazione:
«È
impossibile» «Solo se pensi che lo sia».
Alice in Wonderland
Titolo: Broken pieces.
Autore: Cinzia N. Spurce.
Fandom: Teen Wolf.
Wordcount: 2915.
Rating: Giallo.
Avvertimenti: un filino
OOC, Oneshot, What if.
Note
dell’autore: Dunque, innanzi tutto, è
ambientata nella prima metà della quinta
stagione, in particolar modo prima della 5x11, ma dopo la 5x09, quindi
se non
l’avete ancora vista non leggetela, ci sono spoiler, se
continuate a vostro
rischio e pericolo. È ambientata dopo la morte di Donovan e
la successiva
scoperta di questo evento da parte di Scott, ma prima della
riappacificazione
tra i due.
È abbastanza angst, ci sono pensieri sul
suicidio, un po’ di instabilità emotiva e mentale
e tanta tanta sofferenza. È
una potenziale pre-slash Sterek, anche se la vedo più come
una connessione
spirituale che come una connessione romantica. Qui il nostro Stiles non
sta
affatto bene, non ha superato benissimo la possessione del Nogitsune,
anzi è
come se lo continuasse sentire dentro di sé, come se
effettivamente una parte
del demone fosse rimasta dentro di lui.
L’avvertimento What if
sta non perché gli avvenimenti cambiano, ma
perché viene
inserito un avvenimento che nella quinta stagione non
c’è, OOC sta
per il modo in cui Stiles affronta questo punto di rottura,
che penso non sia proprio fuori dal personaggio, reagire in questo
modo, ma
comunque mi considero lungimirante e metto l’avvertimento xD.
Partecipa al contest “Il
Citazionista” di SherylHolmes,
indetto sul forum di EFP con la citazione “«È
impossibile» «Solo se pensi che lo sia»” del film Alice in
Wonderland e all’iniziativa Piscina di Prompt, con
il prompt “Punto di rottura” indetta su
Livejournal, mi sento in dovere di dire
che il prompt è stato interpretato e non inserito
letteralmente, semplicemente
il punto di rottura è la morte di Donovan e il cadere
nuovamente nel baratro.
Cosa
è successo nelle successive quarantotto ore, effettivamente,
non lo sai. Ne hai
un vago ricordo, solo un lieve sentore, tutto è immerso
nella confusione,
ricordi solo l’acqua della doccia che ti bagna, lo strofinio
forsennato delle
tue mani, ma come si toglie il marcio
della morte dalla propria pelle?
L’acqua
non basta, nemmeno il sapone.
Cominci
a pensare che scorticarti la pelle sia una buona idea,
perché – Cristo Santo
– dentro quella pelle
costellata da nei non sai neanche più chi si nasconde,
allora strofini e
strofini e continui a strofinare fino a far diventare rossa la pelle
lattea,
fino a sentire bruciare sotto le dita quei lembi di pelle che non
vorresti più
vedere.
Come
si fa a
cambiare pelle?
Non ci si
libera della propria pelle, né delle proprie colpe.
Ti
sussurra nella testa una voce che è troppo simile a quella
Nogitsune, troppo
simile a quell’oscurità latente che Deaton ti
aveva detto che avresti percepito
e tu l‘hai percepita in pieno, quella notte, quella
fottutissima notte in cui
un filo si è spezzato, quello della tua sanità
mentale, dell’innocenza, della
morale.
Cosa
è successo, poi, proprio non riesci a ricordarlo, solo non
ti spieghi come
Scott, Liam e Malia non abbiano percepito con i loro maledetti sensi
sovrannaturali del cazzo l’odore del senso di colpa, quello
inaspettato del sollievo,
quello inquietante della potenza.
Non
ti
libererai mai di me.
Lo
senti sussurrare a lezione, quasi dento le orecchie, ti giri e vedi
Lydia
lanciarti uno sguardo sorpreso.
Loro
non lo
sapranno mai.
Dirlo
ti aiuterebbe e far finire quel tormento che ti sta lacerando
l’anima, pensi
convinto, ma per dirlo ci vogliono le palle di ammettere che hai ucciso
una
persona, che hai deciso che la tua vita valesse più della
sua e, in fondo – se
ancora una parte del vecchio te esiste dentro te stesso –,
sai che non è così,
che tu quella possibilità non la meritavi, perché
tu, al contrario di quel
ragazzo, avevi già preso delle vite, le hai sentite morire e
ti è piaciuto.
Come ti è piaciuto uccidere Donovan, non lo hai mai ammesso
a te stesso, ma
oltre al sollievo dello scampato pericolo hai sentito anche la
scintilla del
potere, un leggero e dolcissimo piacere per averlo ucciso, con le tue
mani.
Credevi
che
bastasse davvero mettermi dentro una scatola di legno per liberarti di
me?
Il
Nemeton non ti ha dato solo l’oscurità, ha dato
una casa alla volpe.
Lo
sai da sempre, da quando hai riaperto gli occhi dopo averlo affrontato,
da
quando hai guardato il tuo migliore amico ed eri combattuto tra il
chiedergli
scusa un infinità di volte per avergli rigirato una spada
nel petto e il
sentirti tremendamente elettrizzato da quella crudeltà che
ti ha invaso il
cervello e che ti stuzzica i sensi.
Non
resistermi,
Stiles.
Hai
cercato di resistere per mesi interi a quella fottutissima sensazione
di potere
che la volpe scaturisce in te. Sai di avere il potere di uccidere e che
farlo
ti procura piacere, ti fa sentire forte, ti fa scoppiare il cuore, ma
hai
sempre cercato di seguire la retta via e poi è successo
Donovan, la sua morte,
la tua vita e il silenzio, perché non puoi sul serio dirlo
agli altri, Scott ti
giudicherebbe, tuo padre si rovinerebbe la vita… e un
pensiero ti serpeggia
nella mente, si fa spazio prepotentemente tra i tuoi pensieri
scoordinati, tra
le tue elucubrazioni mentali più raccapriccianti, per
tradursi in immagine
proprio dentro i tuoi occhi e dirti che una persona al mondo che
potrebbe dirti
come si sopravvive a quello prima di sfiorare la follia
c’è, esiste, devi solo
chiederglielo.
Lui
non sa come
si vive da ingannatori.
«Ma
sa cosa vuol dire sopravvivere da colpevoli» sussurri al
nulla, mentre ti
guardi allo specchio e tra le tue iridi ambrate vedi il luccichio del
Nogitsune, la sua fame, la sua voglia.
Serri
gli occhi, volti il capo, li riapri per cercare forsennatamente il tuo
telefonino e noti che non hai mai avuto niente di suo, nemmeno il
numero di
cellulare, solo la consapevolezza che gli hai salvato la pelle, che
avrebbe
continuato a sopravvivere grazie a te.
Adesso,
realizzi, non sai se gli hai fatto un favore o un terribile torto.
Sai
però come rintracciare la mercenaria che lo ha salvato dal
baratro, poco tempo
prima, e allora la chiami e glielo chiedi, senza dirle ciao,
né darle
spiegazioni.
«Ho
bisogno del suo numero» non hai bisogno di specificare di
quale numero stai
parlando. Tu e Breaden avete solo lui in comune, e la Lupa del deserto,
ma con
lei non vuoi certo farci una chiacchierata. Breaden non si fa problemi
a
dartelo e tu fissi quel pezzo di carta in cui lo hai appuntato in un
misto tra
trepidazione e paura.
Non
lo
accetterà mai.
Il
pensiero di sentirti giudicato anche da lui ti fa mancare il fiato,
è una
variabile che non hai calcolato, l’indignazione di Derek, il
suo disprezzo.
Lui
ha ucciso Paige ma non è un assassino, tu invece lo sei, ti
sei macchiato e
adesso il peso della colpa e il senso di potenza ti stanno facendo a
brandelli
e ti scappa una risata strana, quasi pazza, stai cedendo e prima di
lasciare il
controllo a quella fottutissima bestia che ha preso possesso di te
decidi che
non andrà così, che puoi fermarlo,
c’è sempre un modo.
Guidare
la tua Jeep è sempre stato calmante, ma adesso non puoi fare
altro che pensare
a quanto sia stretta, a quanto ti manchi l’aria, a quanto sia
fottutamente
sbagliato tutto quello.
È
un vecchio luogo dimenticato, una strada sterrata che si apre tra gli
alberi e
che porta a un altrettanto dimenticato ammasso di rocce che danno su un
dirupo.
È
affascinante.
Lo
chiami, senti gli squilli prima della sua voce assonnata.
Sono
le tre di notte e probabilmente dorme, vuol dire che non è
poi tanto distante
da voi, che siete più o meno in luoghi con lo stesso fuso
orario.
«Derek»
dici atono. Non è un saluto, né una supplica,
solo il suo nome e il miliardo di
domande che vuoi fargli, ma non sai da dove cominciare.
«Stiles?»
non si aspettava la tua voce, tu per qualche secondo non sai
cos’altro dirgli,
come si chiede a qualcuno come si sopravvive a un omicidio?
«Stiles,
cosa diavolo è successo?» lo senti irritato,
perché potrebbe essere successo di
tutto e tu non glielo stai dicendo, stai perdendo tempo. Vorresti
dirgli che
qualcosa è successo, che è successo il dramma, la
catastrofe, la volpe non è
mai andata via, tu sei un assassino e Scott non lo accetterà
mai, vorresti
dirgli che hai una fottutissima paura di rifarlo, che non sai come
fermarti
perché la verità è che ti è
piaciuto da morire farlo e ci sono momenti in cui
quei sensi di colpa ti infastidiscono, ma poi capisci che quello ti
renderebbe
un mostro e allora fai un passo indietro e resti spezzato, con il tuo
dolore,
con il tuo terrore.
«Come
si sopravvive a un omicidio?» gli dici senza aggiungere
altro, ti si incrina
solo un po’ la voce, perché dirlo è
come buttare giù un muro che avevi
costruito, non sai più se per proteggere te o gli altri.
«Cosa?»
le parole gli si strozzano in gola, non capisce di che stai parlando.
«Come
hai fatto, tu, a sopravvivere a un omicidio...» ti fermi e lo
senti trattenere
il fiato, ha capito che ti riferisci a Paige, alla sua morte, al suo
dolore.
Solo non capisce perché credi di avere il diritto di
chiederglielo.
«Di
che cazzo stai parlando?» sputa tra i denti e tu non sai come
dirglielo che lo
hai pensato perché avete così tanto in comune,
voi due. Avete in comune il
dolore della morte, il peso della colpa, la debolezza che vi ha resi
così
manipolabili.
Cristo,
siete
uguali.
Ma lui non è un
assassino.
«Ho
ucciso, Derek. E alla fine non mi è nemmeno
dispiaciuto» la butti lì così,
quella frase, dopo un silenzio che sembra essere durato anni. Glielo
dici con
un mezzo sorriso sulle labbra, lui lo sente e sai che sta chiudendo gli
occhi,
sta stringendo i pugni, perché non sa cosa sta succedendo,
non glielo stai
spiegando. Non sa che Donovan era un wendigo del cazzo con manie di
vendetta e
che voleva mangiarti, non sa che hai cercato di scappare e che alla
fine non
hai potuto fare altrimenti, non glielo vuoi dire. Vuoi punirti e
sentirti dire
che sei un maledetto assassino, come hai letto negli occhi di Scott,
come ti ha
punito Theo.
La
verità è che vuoi pagare per peccati che nessuno
ti ha fatto pagare, vuoi
punirti per Allison e Aiden, per i morti innocenti e per Lydia in preda
alla
paura. Vuoi sentirlo il disprezzo, ti fa sentire meno mostro,
più umano e Dio
solo sa quanto tu abbia bisogno di sentirti umano, in certi momenti, ne
hai
bisogno più dell’aria a volte, perché
ti illudi di poter sopraffare il
Nogistune, di battere la volpe e ami quella sensazione. Ma adesso non
sai cosa
ami di più, se la voglia di sopraffare o di farti
sopraffare, non sai se è più
piacevole vincere o farti cadere giù, nel baratro di una
possessione mai del
tutto vinta. Hai vinto una battaglia contro quella specie di mostro, ma
non la
guerra e non sai più se vuoi ancora vincerla, ti piacerebbe
perderla in certe
mattine, quando ti alzi senza aver chiuso occhio e ti senti
così stanco da
sentire la storia del mondo tutta sulle tue spalle.
Non
sai se quella sensazione appartiene a te o al Nogitsune, non capisci
più quanto
c’è di te e quanto di lui e questo ti fa impazzire
«Stiles...»
lo senti mormorare, probabilmente non sa cosa dirti. Lo senti
trattenere il
fiato e tu lo trattieni per un attimo assieme a lui. Cosa ti aspettavi
da Derek
Hale? Sul serio, cosa pensavi di fare?
Poi
parla, dopo minuti interi in cui guardi il dirupo e un pensiero ti
nasce nella
mente. Lo senti parlare quando ti esce una risata aspra e folle.
«Non
si uccide mai senza un perché» lo senti sicuro e
tu non puoi accettarlo.
«Magari
mi è solo piaciuto» rispondi continuando a
ghignare cattivo.
Quanto
ancora
ti farai male?
«Magari
non hai avuto scelta»
Fottuto
Derek
Hale.
Ti
sta distruggendo. Ti sta facendo male e bene, perché lui non
ha avuto
esitazioni nel crederti innocente, nemmeno quando tu gli hai detto che
ti è
piaciuto uccidere.
Lui
semplicemente ti crede, come non ha fatto Scott, sa che togliere una
vita ti
cambia nel profondo e anche le possessioni da parte di demoni oscuri e
millenari non fanno bene alla stabilità mentale. Lui sa cosa
significa essere
schiacciato dai sensi di colpa e lo legge tra le righe della tuo tono
crudele,
nella tua voce incrinata che chiede aiuto, nell’urlo
silenzioso della follia
dilagante e dirompente.
Lui
lo sa, come
ci si sente.
«La
volpe è tornata» confessi. La tua voce
è un sussurro, le sue imprecazioni
invece sono perfettamente udibili.
«Non
fare cazzate, ragazzino» ti chiedi da quando ha imparato a
conoscerti così bene.
«Sarebbe
tutto così semplice» mormori e prendi coscienza
che toglierti di mezzo adesso
sarebbe sul serio la soluzione più indolore.
«Cristo
Santo, Stiles dove sei?» te lo urla arrabbiato.
«Io
ci ho provato sul serio, Derek. Davvero. Ma non va mai via,
non...» prendi un
respiro, comincia a tremarti la voce, poi ti appigli alla
lucidità, a quello
che sempre più chiaramente ti sembra un messaggio
d’addio e sorridi al pensiero
di come tu sia incasinato anche in quelli, potevi semplicemente
lasciare un
messaggio e dire che lo facevi per tutti loro, invece hai chiamato
Derek e lo
stai ammorbando con parole confuse e sensazioni schiaccianti.
«Ho provato di
tutto, ho fatto quello che so fare meglio: fare ricerche, mettere
insieme i
pezzi, ragionare e dedurre, ma non sono riuscito a trovare una
soluzione, non
sono riuscito a rimettere insieme i pezzi. Sono il mio caso irrisolto,
Derek»
ridi tra le lacrime, «sono un caso irrisolto e non so
sistemarmi e ucciderò
ancora, perché
il
Nogitsune lo vuole, io lo voglio... non voglio farlo, Derek. Non voglio
essere
un mostro» la tua confessione è la cosa che ti fa
più male.
Finalmente
lo hai detto, e quello che ti schiaccia più dei sensi di
colpa e dello schifo
verso te stesso è la paura di fare ancora del male. Ne sei
terrorizzato.
«Puoi
ancora batterlo». Lui ne è così sicuro,
come
fa? Ti chiedi.
Tu
non sei più sicuro di niente.
«Non
posso»
«Lo
hai già fatto una volta, stupido ragazzino, puoi farlo
ancora», ti dice
scontroso, «non lasciarlo vincere, non dargli la
possibilità di farti cadere.
Sei un sopravvissuto, non possono distruggere un
sopravvissuto»
«Perché?»
Ti
concedi la speranza.
«Perché
siamo già spezzati, Stiles. Ci hanno già uccisi,
non possono farlo di nuovo» e
sai quanto gli costi dirlo, che lui è spezzato.
Siete
ridotti a pezzi, dentro.
Avete
l’anima a brandelli e sapete che certi pezzi di voi non li
ritroverete mai,
altri invece saranno lì a ricordarvi gli errori commessi,
come un eterno
promemoria di dolore, altri ancora vi si conficcheranno dentro fino a
farvi
sanguinare, perché vi faranno sempre male, come una lama
affondata nel petto, o
come la morte di un amico.
«Come?»
speri che lui abbia le risposta, perché a te ne mancano un
bel po’.
«Puoi
cominciare dal perdono» e ti si rompe qualcosa dentro. Qualcos’altro, ti correggi.
«Non
so nemmeno da dove cominciare a farlo» ridi isterico.
«Scendi
a patti con te stesso, accetta che non è stata colpa
tua» ti sussurra. La sua
voce è una carezza leggera sul capo.
«È
impossibile» e lo credi davvero.
«Solo
se pensi che lo sia» risponde sicuro.
Quando
è diventato così ottimista, così
fiducioso, così non Derek.
«Tu
come hai fatto? Come sei riuscito a non impazzire?» glielo
domandi perché
davvero non lo capisci come sia stato possibile, per lui.
«Non
passa mai» mormora con il respiro spezzato.
I
ricordi devono straziarlo, come straziano te.
«Non
superi mai la morte, non passa mai il dolore, non diventa mai un eco,
non
cambia mai intensità, ma puoi imparare a piegarlo, puoi
decidere di usarlo e
allora avrai vinto, ragazzino» il suo tono acquista sicurezza
e i suoi silenzi
dopo simili parole sono un balsamo sulle tue ferite. Non ti guariscono
ma
leniscono il bruciore al petto, lo fanno apparire meno insopportabile,
come se
così potessi anche decidere di reggerne il peso per tutta la
vita.
«Non
voglio perdonarmi» lo sputi come un insulto.
«Non
è stata colpa tua» la sua voce è ferma.
Perché
ha così
tanta fiducia in te?
Siete
Derek e Stiles, non siete amici, vi salvate a vicenda per muto accordo
di
sopravvivenza. Non siete mai nemmeno stati parte dello stesso branco.
Però
avete tante ferite tremendamente simili, e un sopravvissuto malamente
al
baratro ne riconosce facilmente un altro.
«Non
sai nemmeno cosa è successo»
«Non
mi serve saperlo per crederti, mi hai salvato la vita, so che non
è colpa tua»
Non
sai se la sua fiducia ti uccide o ti tiene in vita, ma è una
cosa nuova, una
cosa che avevi dimenticato.
«Se
non riesco a controllarlo?» hai una paura fottuta.
«Sei
più forte del suo gioco mentale» sospira,
«se non riesci a batterlo da umano,
allora battilo da volpe» la sua voce ti colpisce a bruciapelo.
Realizzi
il significato di quelle parole e ti sconvolgi, mentre gli angoli delle
tue
labbra un po’ si innalzano per lo stupore.
«Vuoi
dire...»
«Usalo
a tuo vantaggio, dominalo, sii la volpe», sorride malizioso.
Sai
cosa vuole dire, sai che è possibile, perché
è quello che fai quando scatta il
pericolo.
È
l’oscurità intorno al
cuore di cui
parlava Deaton, ma forse credi che quell’oscurità
l’abbia chiunque ha perso se
stesso, per questo Derek lo capisce, per questo lui sa farti ritornare
il
respiro regolare.
«Non
so se posso farlo» hai paura di perdere.
«Non
hai scelta»
Capisci
che ti ha appena detto in silenzio che qualsiasi altro pensiero deve
essere
bandito.
Che
quel
pensiero deve essere bandito.
Non
esiste perdere. Non esiste arrendersi. Non esiste mollare.
«Se
prendesse il sopravvento...» non vuoi credere di potercela
fare, sarebbe un
passo verso il perdono.
«È
la tua mente, Stiles. Sei più forte di lui»
Sei
più forte
del male.
Sai
che ha appena messo fine alla conversazione, non accetterà
una conclusione
diversa.
Sai
che potresti sempre ignorarlo e fare di testa tua, far finire il tuo
strazio
stasera, su quel dirupo, un colpo di acceleratore e fine.
Finisce
il male, il dolore, il bisogno di proteggerli, perché li
avrai salvati, ma sai
che lui ne resterebbe deluso e non vuoi. Semplicemente
non vuoi.
Allora
gliela dai vinta, a Derek.
«Derek?»
«Mh?»
«Grazie»
Gli
esce fuori un mormorio di assenso, non avete più niente da
dirvi, tu e Derek
Hale. Non avete mai avuto nulla di dirvi, voi due.
Avete
solo il dolore, tutto quel dolore inespresso che vi ha compromessi e
che vi ha
resi simili.
«Ciao
Derek» lo saluti e sai che ti ha salvato, ancora.
«Ciao
Stiles» ti saluta e sai che lui lo sa, allo stesso modo in
cui lo sai tu, che
vi salverete sempre, in un modo o nell’altro.
Click.
Chiudi
la comunicazione.
Non
sarete mai
amici, ma vi salverete sempre.
Note 2.0: Eccoci
arrivati alla fine di questa one shot abbastanza angst, ma io amo
l’angst.
Dunque,
chiarimenti che non ho messo prima altrimenti vi spoileravo troppo, il
Nogitsune, effettivamente, non c’è, Stiles lo
sente, come se stesse impazzendo,
ma in realtà il capitolo Nogitsune è bello che
chiuso. Solo che il senso di
colpa lo sta distruggendo e lui non sa più come affrontarlo.
La sensazione di
Stiles di sentire ancora il Nogitsune e anche ciò cui fa
riferimento Derek
quando gli dice “Sii la volpe”, è
un’idea che ho letto in giro e che mi ha
stuzzicato abbastanza: in soldoni, il Nogitsune non
c’è più, ma è come se
alcuni residui, come l’oscurità, il cedere a
compromessi, l’essere ingannatori,
siano comunque rimasti in Stiles a causa della possessione. Poi ammetto
che mi
sarebbe davvero piaciuto vedere Stiles, Scott e la dipartita Allison a
fronteggiare
questa “oscurità intorno al cuore” di
cui parlava Deaton.
Niente,
fine delle delucidazioni.
Spero
vi piaccia, a presto,
Cinzia
N. ^^