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Autore: Kourin    22/05/2016    3 recensioni
“Chi sei, tu?” m'interroga, prima che con la voce con i suoi occhi allibiti, ed io non posso fare altro che restare a contemplarli attraverso il velo cangiante della pioggia, sentendomi ricolmare di tenerezza.
Breve storia ambientata dopo “Stella Cometa”. Un po' seria e forse anche un po' incest, altrimenti sarebbe stata troppo seria.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aries Mu, Leo Aiolia, Sagittarius Aiolos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scintilla




Fino a ieri ero una scintilla di energia cosmica. Oggi sono un guardiano venuto meno al suo dovere. A mia discolpa, potrei affermare che non era mia intenzione: io non provo sentimenti che possano influenzare le mie decisioni, ma è accaduto che rimanessi impigliato in quelli altrui.
Nell'azzurro di quelli che erano i miei stessi occhi ho visto un animo gentile che nessuno specchio mi aveva mai restituito. Catturato da quel ricordo che peccava di perfezione, anziché tornare nelle sacre vestigia, sono rimasto con il guerriero a cui avevo concesso di indossarle.
Ho potuto ascoltare i pensieri di Aries prima che si addormentasse ed ho potuto vedere i suoi sogni. Egli conosce pochi dettagli sulla mia esistenza umana ma si sorprende a ricostruirli, facendomi vivere momenti che in realtà non mi appartengono. Mi rivede forte ed amato, perfino da chi mi aveva tradito ed ucciso: tutto si contraddice senza tornare mai, veramente, a posto.


Aries si è alzato quando faceva ancora buio. Ha scostato il bambino che dormiva con lui, premurandosi di ricoprirlo. Ha raccolto con cura i capelli scarmigliati, è sceso fino all'arena deserta per controllare lo stato di un Santuario dove la dea, seppur rivelata, continua ad essere assente. Ha parlato con Virgo che era con lei, accertandosi che fosse tutto a posto. Aries vorrebbe dargli il cambio, ma Libra lo vuole a vegliare il Santuario insieme agli altri santi d'oro. Ora la strada dei dodici templi è presidiata da Taurus e Scorpio, mentre Leo... Aries non impiega molto a scoprire dove si trovi. Gli è sufficiente muovere alcuni passi per scorgere la sua figura a valle, davanti ad una tomba.
Anche se la distanza non permette di vedergli il viso, io lo ricordo chiaramente. Come potrei dimenticarlo? Ero presente quando attaccò la sua stessa dea. Lui alzò il pugno contro colei che l'aveva reso santo, io la difesi dalle sue zanne.
La dea infante era divenuta fanciulla, ma per me che ero solo un'armatura non aveva mai fatto differenza. Eppure quando avevo incontrato Leo divenuto adulto mi ero sentito turbato. Avevo ricordato che lui era stato mio fratello di sangue. L'avevo chiamato per nome.

“Aiolia,” sussurra Aries con tristezza. Si sofferma ad osservare più attentamente il giovane che reca in mano un fiore, continuando ad affidare le sue parole ad un simbolo silenzioso. Aries si porta le mani alle tempie e fa alcuni respiri profondi, comprendendo che gli sta accadendo qualcosa di strano. Scuote il capo pensando alla stanchezza, ha già deciso di rientrare alla Prima Casa, quando io ripeto: “Aiolia!”
Le sillabe s'imprimono nitide nel grigio silenzio dell'alba. La voce è quella del giovane guerriero che le ha pronunciate ma il sentimento no, non gli appartiene. Non può aver provato rabbia nei confronti di Aiolia: potrebbe essere, semmai, il contrario. Aiolia non ha mai compiuto azioni che possano suscitare simili sentimenti. Di Aiolia si fida, ciecamente.
Io invece mi chiedo: “Che cosa gli è successo? Perché si è comportato in un modo simile?
Aries è costretto a dominare la paura quando contempla l'ipotesi della follia che già fu infausta per il Santuario, ma la esclude con decisione. Inizia quindi a sondare i dintorni, temendo la presenza di un nemico in grado di manipolare la mente. Tuttavia il filo di quelle labili ipotesi si spezza per colpa mia, che senza rendermene conto prendo il sopravvento sul suo mite spirito, lasciando precipitare entrambi in un universo sconosciuto.

Essere parte di un'armatura non è come essere fatti di carne e sangue. Il peso del corpo sul suolo umido, il contatto con i vestiti sulla pelle, l'odore emanato dai tessuti mi sono inizialmente d'intralcio. Se posso orientarmi, è solo grazie a questo Cosmo dorato che continua a risplendere quieto. Toccandomi il petto posso sentire il battito di un cuore che scandisce lo scorrere del tempo che avevo dimenticato. Osservo le mani pallide, rovinate dal lavoro, e mi basta provare a stringerle a pugno per sentire pulsare la calda energia che compie i miracoli. Se solo volessi potrei spezzare il cielo: ricordo che voleva dire anche questo, essere un santo.
Una volta trovato l'equilibrio, inizio a scendere lungo la distesa di steli imbruniti e lucidi. Qualche rovina riflette la luce invernale filtrata dalle nubi plumbee che transitano verso il mare. Ogni tanto una fredda goccia di pioggia cade sulle mie braccia, solleticandole.
Mio fratello si accorge di me e attende che io lo raggiunga. Mosso da un impulso che potrei definire impazienza, accade che io mi materializzi, letteralmente, a pochi centimetri da lui, così repentinamente da farmi illudere che egli sia un altro, strano riflesso. Ma questo presunto me stesso bruciato dal sole ha occhi di un azzurro inquieto, in cui non mi riconosco.
“Che succede, Mū?”
Resto interdetto, ma poi realizzo che Aries si chiama così e che lui mi vede come tale. Se gli dicessi che sono suo fratello, il suo cuore non mi crederebbe. Accetterà di ascoltarmi? Dovrei essere un suo amico: in qualche modo, sento questo corpo considerarlo tale.
“Sono contento di vederti,” affermo con una voce che continua a sembrarmi estranea.
“Tutto qui?”
“Ti pare poco?”
Aiolia annuisce. “Hai ragione, non è poco.” Sembra attendere che io continui, ma per me non è facile, così continuo a fissarlo. Lui rivolge un'ultima, fugace occhiata alla tomba lasciata alle spalle e chiede: “Perché sei venuto qui? Devi dirmi qualcosa?”
“Ci sono cose, di te, che non capisco.”
“Ti riferisci a ieri, quando hai indossato l'armatura del Sagittario? È naturale che tu non capisca. Non hai vissuto qui, al Santuario.”
“Sembravi... non credere nella sua volontà.”
“Non è esattamente...”
“Esattamente cosa? Che cosa pensavi?”
“Perché dovrei dirlo a te!” esclama Aiolia, improvvisamente infastidito. Accelera il passo in direzione dell'arena ed io continuo a camminare al suo fianco, finché lui, colpito dalla mia ostinazione, dice: “Sei strano stamattina, che cosa ti ha fatto quell'armatura? Non dovresti continuare a pensare a mio fratello per colpa mia. Quel che è accaduto è accaduto, siamo entrambi vivi. La guerra è vicina, perché non impieghi le tue energie nel preparare la battaglia?”
“Con un animo simile, non puoi pensare di proteggere Athena.”
Aiolia si ferma. Mi lancia uno sguardo torvo, stringe le mani in pugno, le allenta insieme ad un sospiro di impazienza.
“Va bene, Mū. Va bene. Al contrario di te, mi sono lasciato ingannare dal volto di un demone. Avere vissuto per tredici anni comandato dalla menzogna non mi rende onore, ma ti assicuro che io in Athena ho creduto, fino all'ultimo. Sono sempre stato solo e soltanto un suo santo.” Quindi mi volta le spalle, fa una pausa ed aggiunge: “Non immaginavo che tu lo mettessi in dubbio.”
Non vedo il suo volto, ma so di averlo ferito. Mi sento stringere il petto, dove qualcosa si ribella alle parole che ho appena pronunciato e m'impone di scusarmi. “Non intendevo...” Il ticchettio sordo della pioggia s'interpone nel discorso, facendomi perdere questa fragile cognizione. Porto le mani alle orecchie e riprendo: “Tu...” Ma poi, nuovamente, m'interrompo.
Aiolia osserva curioso il mio agire, incurante del suono dell'acqua. “Mū, ti senti bene?”
Realizzo che non ho molto tempo prima che la mia determinazione si disperda nel Cosmo che mi accoglie. A rischio di estinguermi, brucio la mia residua volontà per affermare: “Quel giorno, quando Athena si è rivelata a te, suo santo d'oro, ti sei rifiutato di riconoscerla. Che cosa ti faceva così paura, tanto da agire da traditore?”
“Non usare quella parola!” ringhia Aiolia in tono basso, minaccioso, ma poi si lascia andare sedendosi su un capitello ricoperto da spogli rampicanti. Torna a fissarmi. “Mi ero lasciato persuadere che Aiolos lo fosse, ma in realtà non ci ho mai creduto. Hai ragione, avevo paura della stessa verità che custodivo nel mio cuore.” Mi sorride, quasi in segno di sfida, quando aggiunge: “Aveva ragione anche Aiolos, quando disse che meritavo la morte.”
“Io... Lui,” mi correggo, “non poteva comprendere.” Faccio ancora una pausa, mentre ascolto l'accelerare dei miei palpiti. “Lui non è più in vita, non è più un essere umano. Tuttavia...” Muovo un passo verso Aiolia e avvicino le labbra alla sua fronte che è tiepida, a dispetto della pioggia che la sta bagnando. “Promettimi che non avrai più paura, Aiolia. Io... sarò con te.”
Sto respirando l'odore dei suoi capelli quando lui, inaspettatamente, mette una mano dietro la mia nuca. “Non trattarmi come un bambino,” sussurra prima di baciarmi sulla bocca, ed io, dopo un attimo di sorpresa, lo lascio fare, rapito dal calore di un gesto che mi incatena piacevolmente alla vita in cui l'amavo. È così, l'amavo, perché c'erano giorni che pensavo solo a lui, il mio vivace fratellino che riusciva a farsi prepotentemente spazio nel mio cuore devoto solo ad Athena... Ma Aiolia, all'improvviso, si blocca. Stacca le sue labbra, le sfiora con le dita come se vi cercasse qualcosa, una risposta.
“Chi sei, tu?” m'interroga, prima ancora che con la voce con i suoi occhi allibiti, ed io non posso fare altro che restare a contemplarli attraverso il velo cangiante della pioggia, sentendomi ricolmare di tenerezza. Infine, lentamente, annuisco.
Il fragore di un tuono squarcia il cielo muto di dicembre. Sento tremare le mie ossa, sento tremare perfino il terreno su cui poggio i piedi. Forse è un avvertimento degli dei, forse ho osato troppo. Aiolia si lascia sopraffare un'altra volta dal dubbio. “Smettila di prendermi in giro!” intima allontanandomi con un braccio. Non è una spinta forte, ma basta per farmi perdere l'equilibrio. Sono ormai così fragile! Sento il ginocchio destro toccare una pozzanghera, sento gli schizzi di fango che mi raggiungono il viso. Lo ripulisco con il dorso della mano e con un ringhio di frustrazione mi rialzo, muovo un passo in avanti, torno vicino a mio fratello perché credo in lui, e credo in questo corpo che mi sta concedendo il privilegio di vivere. Appoggio la mano tremante sui suoi capelli e li accarezzo mentre lui mi guarda sbigottito, prima di sillabare: “A... io...”
Io porto l'indice davanti alle labbra, facendogli segno di tacere, perché non è bene che si dica in giro che siamo riusciti ad ingannare le divinità.
Non mi è concesso di fare altro. Quando un secondo boato percorre i miei cinque sensi essi si spengono, uno dopo l'altro. Tramite il sesto percepisco il corpo accasciarsi come una bambola, poi torno ad essere solo una scintilla.


Il santo che fu mio fratello sostiene Aries mentre quest'ultimo sbatte le palpebre e si guarda intorno senza riuscire a mettere a fuoco nulla, lottando con un panico mai provato. “A... Aiolia, sei tu. Che cosa sta succedendo? Io...”
“Mū,” lo chiama Leo, mentre Aries s'interroga sul perché lui abbia gli occhi colmi di lacrime. Dopo alcuni istanti, scosta lo sguardo, imbarazzato, perché intuisce di trovarsi in una situazione che non gli appartiene.
Sono entrambi zuppi di pioggia, inginocchiati sul prato fangoso nei pressi di un sentiero poco battuto. Potrebbe essere mattina, ma anche pomeriggio, è difficile individuare la posizione del sole al di là delle spesse nubi.
“È tempo che io vada, Kiki...” Fa cenno di alzarsi, ma Leo lo trattiene, traendolo a sé in un inaspettato abbraccio. Anche se confuso, Aries ricambia, appoggiandogli le mani sulla schiena, dapprima timidamente, poi con più sicurezza.
Le loro guance si toccano, mentre un ultimo, violento scroscio di pioggia ne raffredda il rossore.



 
  
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