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Autore: Afaneia    22/05/2016    3 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Buonasera a tutti!

Suppongo sia inutile dire che mi sento un mostro per averci messo così tanto ad aggiornare questa storia – quando ho avvertito che gli aggiornamenti sarebbero stati irregolari, per la verità, nemmeno io pensavo niente del genere! - ma purtroppo, lo giuro, questo è il massimo che sono riuscita a fare: ho avuto degli orari all'Università semplicemente impossibili, da assommare ai continui disagi causati dai mezzi di trasporto e, come se non bastasse, ogni singola sera che non mi ritrovavo a letto già alle dieci c'era qualcuno che insisteva per uscire. Paradossalmente il capitolo era pronto già da un po' di tempo, ma copiarlo al computer mi ha portato via quasi altrettanto tempo che scriverlo.

Ciò detto, mi decido finalmente a pubblicare stasera, sperando che questo nuovo capitolo possa valere almeno un minimo dell'attesa che ha comportato.

Ci tengo anche a fare i miei ringraziamenti a crystal_93, Persej Combe e Stag Tree per le loro deliziose recensioni al precedente capitolo: so di essere ripetitiva, ma mi hanno fatto davvero piacere!

Un bacio enorme a tutti e vi auguro buona lettura.

Al prossimo capitolo! (Che spero di poter pubblicare in tempi un po' più decenti, con la fine delle lezioni)

Afaneia


Capitolo II – Promesse da marinaio.


Se c'è una lezione che gli ha insegnato la sua recente esperienza di vedere un colossale leggendario di quasi quattro metri alzarsi e andarsene a spasso con disinvoltura in mezzo al mare, è che conviene avere un piano B in qualunque situazione. Che poi questo piano B sia spedire una bambina di dieci anni negli abissi di una grotta segreta con nient'altro che una tutina per ripararsi dal calore non importa: l'importante è che un piano B ci sia. Sempre.

Quindi Max, che in quanto uomo di scienza ha imparato dai suoi errori, si è presentato a questo appuntamento con almeno una decina di piani diversi da attuare in base a tutte le possibili situazioni che potessero verificarsi e ogni eventuale piega che potesse assumere la conversazione. Il problema, come ha scoperto stasera nel giro di pochi minuti, è che il comportamento dei bambini non rientra esattamente in quella categoria di eventi di cui si può prevedere in anticipo lo svolgimento.

Hyra starà con loro per tutto il finesettimana, dopo che Ivan è andato a prenderla direttamente a Ciclamipoli, all'uscita da scuola. Nei giorni scorsi, Ivan gli ha spiegato che si è sempre occupato di lei per la maggior parte dei week end dell'anno e circa la metà delle varie vacanze scolastiche, ma in modo piuttosto flessibile, senza regole precise: in effetti, lui e Aima sembrano un perfetto esempio di civiltà genitoriale (Max se ne è sorpreso, in un certo senso, ma dopotutto, a ben pensarci, ha il sospetto che se qualcuno proibisse a Ivan di vedere sua figlia, finirebbe col passare un quarto d'ora non precisamente edificante). Questo regime si è interrotto per qualche mese nel periodo in cui le attività dei loro Team si sono intensificate, ma ora, a quanto pare, Ivan non ha più alcuna intenzione di perdersi i suoi momenti con sua figlia.

A questo proposito, Ivan ha tassativamente insistito perché lui rimanesse in casa per tutto il week-end. Egli gli aveva proposto di trovarsi un'altra sistemazione per i finesettimana in cui Hyra si fermerà da loro, o almeno per i primi tempi, per non confonderla troppo («...dopotutto io e te non siamo sposati. Potrai resistere per un paio di notti da solo senza dovermi denunciare per abbandono del tetto coniugale»), ma Ivan si è mostrato decisamente contrario(«Smettila, Max. Hyra capisce molte più cose di quelle che credi, non si sconvolgerà perché dormiamo insieme. È una bambina intelligente, sai?»), e Max, alla fine, è rimasto.

Ivan ha voluto fare le presentazioni tra di loro non appena entrato in casa, e per Max, che lo conosce più del suo proprio respiro, non è stato difficile intuire il perché: emozionato e orgoglioso così, lui quest'uomo non l'aveva visto mai.

Quanto alla bambina, per la verità, all'inizio gli è stato un po' difficile giudicare. Dopo aver nascosto per almeno un paio di minuti la faccia contro il ginocchio di suo padre, forse sperando che in quel modo egli non potesse vederla, alla fine tutte le affettuose insistenze di Ivan hanno portato i loro frutti: finalmente Hyra si è decisa a guardarlo e, con grande solennità, gli ha teso la mano. Allora Max ha visto uno scricciolino di forse trenta chili, con lunghissimi capelli neri, sopracciglia scure e molto folte, che quasi si congiungono alla radice del naso, la carnagione olivastra e vellutata di qualche paese esotico, e gli stessi occhi di Ivan. Da questo dettaglio, chissà perché, Max si è sentito molto colpito, senza che ce ne fosse un vero motivo. Ma perché, poi? È la figlia di Ivan. È poi tanto strano che una bambina abbia gli occhi di suo padre?

Ma la somiglianza con Ivan non si limita a questo. Vinti i primi iniziali minuti d'imbarazzo, dopo che Ivan le ha spiegato con calma che lui era il ragazzo di papà e che da allora in poi sarebbe rimasto sempre con lui, Hyra si è limitata a far cenno di sì un paio di volte col capo, per dar segno di aver capito, ha aspettato un po' e infine si è decisa a domandare a suo padre quello che, evidentemente, non vedeva l'ora di chiedergli sin dal suo arrivo: «Papà, ora posso andare a giocare in giardino con Mightyena, però? Non lo vedo da così tanto tempo!»

Dopodiché, completamente dimentica della loro presenza, Hyra ha afferrato la Pokéball che Ivan le porgeva e si è defilata strillando, immensamente felice di poter finalmente incontrare di nuovo il suo amico Pokémon.

In effetti, di tutti i piani B che aveva elaborato nella propria mente, Max si rende conto soltanto ora di non averne approntato nessuno per l'eventualità che alla figlia del suo compagno non importasse semplicemente nulla della sua presenza.

«Beh, è andata bene, no?» constata Ivan allegramente, appogiandosi allo schienale del divano con aria immensamente compiaciuta, non appena i latrati giocosi di Mightyena e le risate sguaiate di Hyra provenienti dalla finestra aperta lo informano che no, non c'è alcun pericolo che sua figlia li senta.

Max è abbastanza sicuro di avere un'espressione assolutamente idiota in viso da almeno qualche minuto. È inutile dire che la reazione di Hyra gli è giunta alquanto... inaspettata. Per la precisione, si sente stupido esattamente come quella volta che Groudon si è risvegliato e se n'è andato allegramente a spasso per l'oceano in barba a ogni sua possibile previsione... solo che stavolta a confonderlo così tanto è una bambina.

«Tu dici?» chiede con sincera perplessità.

«Sicuro che lo dico.» Certo, è inutile parlare con lui. Ivan è felice come un bambino che abbia appena ricevuto un regalo desiderato da troppo tempo. «Anzi, sai che ti dico? Dopo cena potresti presentarle i tuoi Pokémon, che ne pensi? Sono certo che Hyra li adorerebbe.»

«Sì, certo. Senti, Ivan, non so se ci hai fatto caso, ma non mi è parso che le importasse molto.»

«Beh, certo che no!» risponde Ivan, scoppiando a ridere della sua risata roboante. Avvicinandosi a lui gli tira quella che dovrebbe essere, almeno nelle sue intenzioni, un'amorevole pacca sulla spalla, che per poco non gli provoca una lussazione. «Max, Hyra è una bambina intelligentissima, ma è una bambina. Ha bisogno di abituarsi a vederti qui ogni week end, prima di capire veramente che sei il mio ragazzo. Che ti aspettavi?»

Già, che si aspettava? A questa domanda Max non si sente in grado di produrre una risposta così, su due piedi, ragion per cui evita cautamente di rispondere. La verità è che forse non si aspettava niente, e che anche lui stesso, a sua volta, ha veramente realizzato per la prima volta l'esistenza di Hyra solo nel momento in cui essa ha assunto una forma precisa, davanti a lui, e nel suo viso egli ha riconosciuto gli occhi di Ivan. Comunque, questo pensiero suona troppo stupido da pronunciare ad alta voce, perciò Max si limita ad appoggiarsi per un solo attimo, familiarmente, al petto di Ivan.

«Immagino che tu abbia ragione» ammette malvolentieri (e lo ammette solo perché i bambini sono uno dei rarissimi campi in cui Ivan possa vantare una maggiore conoscenza, tanto teorica quanto pratica, della sua, insieme alle barche e poco altro).

Per tutta risposta, Ivan scoppia di nuovo a ridere. «Aye, sicuro che ho ragione, Maxie. Fidati, conosco mia figlia.»

Ovviamente questo Max non lo riconoscerà mai, forse neppure di fronte a se stesso, ma in fin dei conti è rassicurante sentire nel petto di Ivan tutta questa certezza.


Max ha la certezza che sta per accadere qualcosa di sgradevole quando, per la prima volta non solo dall'inizio della loro convivenza, che non ha di certo una durata degna d'esser presa in considerazione, ma addirittura dalla prima volta che sono andati a letto insieme, Ivan (già perfettamente vestito nonostante sia sabato mattina) lo sveglia passandogli due dita sulla guancia; e non perché Ivan, abitualmente, dorma sino a chissà quale ora tarda, o perché non lo abbia mai svegliato prima d'ora; ma perché vederlo alzato prima del tempo ha sempre voluto dire, solitamente, vederlo sgusciare via dal suo letto prima dell'alba, il che andava bene, al tempo della loro inimicizia, oppure sesso mattutino, il che è sempre andato bene in qualunque circostanza. Ma stamattina Max è abbastanza certo che non possa verificarsi nessuna delle due cose, ragion per cui, con la consapevolezza dell'infarto che sta sicuramente per arrivargli, egli balza a sedere sul letto e domanda: «Che vuoi?»

«Ehi. Guarda che stavo cercando di svegliarti dolcemente» ribatte Ivan, che non sembra essersela presa particolarmente, comunque, dato che conclude la frase, allontanandosi dal letto, con un disinvolto «O una roba del genere, insomma.»

«Preferisco il vecchio metodo, grazie» ribatte Max, senza specificare quale vecchio metodo, prima di guardare l'orologio. Sono le sette e quarantacinque. «Che diamine ci fai alzato così presto?»

Chinandosi ad allacciare le scarpe con l'aria di uno che stia spudoratamente evitando di guardarlo, Ivan risponde con tutta la simulata noncuranza di cui è capace (cioè pochissima): «Lavoro.»

No, no, no, no. Questo assolutamente non era nei patti. «Che cosa?»

«Oh, andiamo, Max... solo un paio d'ore» garantisce Ivan, nel tono più serio che riesce a produrre; ma per quanto egli si sforzi, la sua voce continua a vibrare incontrollabilmente di divertimento, ed egli continua a evitare di guardarlo direttamente. «Alan mi ha chiesto di dargli una mano con un paio di scartoffie che ci siamo dimenticati di compilare. Lo sai com'è con la burocrazia.»

In una situazione normale, Max pondererebbe con la massima cura ciò che sta per dire in questo momento, per evitare di suonare come una ragazzina isterica in preda al panico.

Il problema è che Max è in preda al panico.

«Non puoi lasciarmi solo in casa con tua figlia!»

«E perché? Sono assolutamente certo che non mangi carne umana.»

Forse lei no, ma io mangerò la tua se continui a divertirti alle mie spalle. «Non la conosco neppure, Ivan! Che cosa pensi che dovrei dirle?»

«Max, non è che ci sia tanto da conoscere. Ha sette anni. Non ha ancora deciso neppure se il suo colore preferito è il giallo oppure il rosso!»

Finalmente, Ivan si decide a voltarsi e a guardarlo negli occhi. Ma se Max ha coltivato finora la speranza di vederlo dispiaciuto, o come minimo serio, per una volta nella sua vita, a questo punto non può fare nient'altro che rimproverarsi da solo della sua ingenuità. Questo bastardo si sta divertendo come mai prima d'ora. «A proposito, è abituata a svegliarsi da sola, ma se per le nove non si fosse ancora alzata dovresti andare a darle un'occhiatina. Per colazione prende del latte col cacao e i biscotti al cioccolato che abbiamo comprato ieri. Le piace tanto quel cartone animato con una bambina che vive con un Ursaring, e ha il permesso di guardarlo dopo le undici se prima ha fatto i compiti. A proposito, come te la cavi con le divisioni a due cifre?»

«Credevo che avessi detto che starai fuori solo due ore» obietta Max, che non ha alcuna intenzione di farsi distrarre dal problema principale.

È evidente che Ivan si sente colto in fallo.

«Aye, certo, certo, Maxie! Te lo dicevo così, per dire. E poi, se sei in dubbio, puoi sempre chiamarmi. Lascio il telefono acceso, okay?»

A questo punto della conversazione, Ivan è ormai perfettamente vestito e pronto per uscire. Sta cercando di svincolarsi dalla conversazione per potersene finalmente andare abbandonandolo al suo destino, e Max sa di non aver più molto tempo a disposizione per fare la sua ultima mossa.

«Ivan» riprende con voce bassa e distinta, molto lentamente, e scandisce le parole con la massima serietà. «Io ti ucciderò se varcherai quella soglia.»

Per tutta risposta, Ivan si protende sul letto e lo bacia sonoramente sulla bocca. Max rimane così stupefatto che per un po', effettivamente, non gli viene in mente nessuna osservazione valida con cui controbattere.

Al contrario, Ivan è perfettamente padrone di sé. Tornando a tirarsi su per allontanarsi dal letto, con l'aria compiaciuta e gongolante di qualcuno che abbia appena trovato un'argomentazione semplicemente inattaccabile e non si aspetti repliche, recupera la sua giacca e lo guarda soddisfatto. Max rimane stupidamente immobile.

«Oh, Max, ti ricordi? Avevamo vent'anni la prima volta che hai minacciato di uccidermi. Quanta passione che c'era, eh?»

Dopodiché, senza attendere risposta, Ivan esce tranquillamente dalla camera, canticchiando allegramente a bassa voce qualcosa a proposito di un ragazzo su di un Lapras.


Come Ivan aveva predetto, Hyra fa la sua apparizione in cucina attorno alle otto e venticinque, con addosso un delizioso pigiamino con su disegnato uno Skitty e gli occhi ancora piccoli di sonno che girano pigramente sulla stanza.

Più la guarda, e più Max non riesce a non pensare a quanto dannatamente questa bambina somigli a Ivan.

«Buongiorno, piccoletta.»

Collo sguardo ancora assonnato e l'aria assente di qualcuno che non sia del tutto convinto di essere sveglio, Hyra lo guarda per un po' e poi risponde cautamente: «Ciao. Papà non c'è?»

Quello stronzo ci ha abbandonati a noi stessi. Reprimendo a fatica l'impulso omicida che lo sta animando in questo momento, Max si sforza di suonare rilassato e rassicurante quando risponde: «È dovuto andare a sistemare un paio di cose al lavoro, ma tornerà sicuramente per pranzo.» Altrimenti farà meglio a non tornare affatto, ma quest'ultimo pensiero, incidentalmente, rimane non detto.

«Okay» risponde Hyra a bassa voce, ancora un po' perplessa, ed esita sulla porta.

«Ti ho preparato la colazione» annuncia Max un po' troppo precipitosamente, per evitare che i primi minuti della loro vera conoscenza sprofondino in una sorta di silenzio imbarazzato. È lui l'adulto della situazione, dopotutto. Attirarla in cucina col cibo come una preda, almeno sulla carta, sembra una buona idea. «Ti vuoi sedere?»

«Grazie» borbotta Hyra con aria un po' impacciata, e forse un tantino più sveglia rispetto a pochi minuti fa, prima di decidersi a inerpicarsi una buona volta sulla sedia.

Nonostante gli sforzi di Max, ma forse a causa della sua pressoché inesistente disinvoltura coi bambini, i primi minuti della sua colazione trascorrono avvolti da una cappa di mortale silenzio. Per ingannare l'attesa, ed evitare di farla sentire troppo osservata, Max si sforza d'inventarsi qualcosa da fare o da pulire o da riordinare attorno al piano cottura, in silenzio, e aspetta.

Dopo un po', Hyra sembra finalmente essersi acclimatata alla sua presenza abbastanza da domandare con voce squillante: «Dove hai detto che è andato papà?»

Tutto sommato, non è un brutto modo per iniziare una conversazione. Max si volta con calma verso di lei, per non dare l'impressione di non aver atteso altro che qualche sua parola. «Al lavoro, piccoletta. Il suo amico Alan aveva bisogno di una mano.»

«Oh» commenta Hyra, pescando un biscotto dal pacchetto e valutandone con occhio attento la quantità di gocce di cioccolato. «Anche tu lavori con lui?»

«Beh, no. Io... lavoro in casa, per il momento.»

Hyra non perde un colpo. «Anche mia zia lavora in casa, sai? Lo zio lavora in un negozio e lei sta a casa e cucina e lava i vestiti e fa la spesa e fa un sacco di altre cose. Anche tu?»

La brusca presa di coscienza che sì, è esattamente questo che sta facendo nella sua vita – la casalinga che se ne sta a casa a lavare i panni mentre il suo uomo lavora – lo coglie alla sprovvista a tal punto da lasciarlo senza fiato. Fortunatamente, Max riesce a riprendersi abbastanza in fretta da rispondere: «Non esattamente.»

«Oh... e quindi che cosa fai?»

Come si fa a spiegare a una bambina di sette anni in cosa consista – o consistesse – la sua principle occupazione? Nonostante non sia esattamente sicuro di aver trovato una metafora adatta, Max decide comunque di fare un cauto tentativo. «Ecco, hai presente i cattivi dei videogiochi?»

«Quelli che buttano per terra gli ingredienti delle torte?» chiede Hyra aggrottando la fronte.

Ma con che razza di videogiochi giocano i bambini di oggi?

«Volevo dire che sono uno scienziato» conclude in fretta Max, vedendosi costretto a una brusca inversione di tendenza, e questo lascia lui un po' più imbarazzato e Hyra un po' più confusa di prima.

Certo, non che si tratti di una confusione tale che non si possa affogarla in una sorso di latte e in qualche nuovo biscotto, a quanto pare. Approfittando di questa pausa nella loro farraginosa conversazione, Max torna ad alzarsi e ad affaccendarsi attorno al niente della loro cucina, domandandosi con una certa parte della sua mente se quella bambina sia in grado di smettere da sola di mangiare o se continuerà per un indefinibile numero di biscotti. Nel dubbio, tuttavia, ritiene più saggio non pronunciarsi al riguardo.

Per buona fortuna, Hyra trova assai presto un nuovo problema su cui soffermarsi mentre mangia.

«Comunque la mamma aveva detto che papà doveva aiutarmi a fare i compiti» borbotta a un tratto, rivolgendo al biscotto al cioccolato che tiene in mano uno sguardo molto, molto contrariato, prima di inzupparlo meticolosamente per tre quarti nel latte.

«Posso aiutarti io, sai» risponde Max, cercando di mostrarsi il più gentile e, per quanto ne è in grado, entusiastico possibile. Non gli sembra un buon modo di instaurare un rapporto con la figlia del suo ragazzo, quello di mostrarsi alquanto restio nei suoi confronti. «Me la cavo bene. Hai molti compiti da fare?»

Tutto quello che è stato detto pochissimi minuti fa sull'essere uno scenziato dev'esserle entrato da un orecchio per poi uscire dall'altro. Hyra gli rivolge uno sguardo scettico, che non deve lasciargli alcun dubbio su quanto poco sia convinta delle sue capacità.

«La maestra ci ha dato delle divisioni difficili» spiega in tono di grande importanza, come a volergli tacitamente suggerire, senza tuttavia dirglielo direttamente, che un comune mortale come lui non può di certo ambire a simili vette di erudizione. «A due cifre.»

«Già, posso immaginarmelo. Ma sono certo di poterti aiutare, se mi fai vedere il quaderno.»

Dopo un lungo momento d'incertezza, Hyra beve lentamente un sorso di latte, si asciuga la bocca col dorso della mano, e infine borbotta pensierosamente, senza guardarlo dritto negli occhi: «Non potrei aspettare papà, così mi aiuta lui?»

Ed è in questo preciso momento che Max si rende conto di non aver mai veramente avuto l'intenzione di aiutarla a fare i compiti... fino a ora. In fin dei conti, Hyra non è sua figlia, e Max, francamente, aveva in mente modi d'instaurare un rapporto con lei assai migliori che obbligarla a fare i compiti (beh, in ogni caso è certo che qualcosa gli sarebbe venuto in mente), per non parlare del fatto che Ivan gli ha letteralmente scaricato addosso la patata bollente – ma questa è un'altra storia. Perciò, nei suoi piani, tutto il suo dovere in questo senso consisteva nel cercare delicatamente di convincerla, nel prendere atto del fallimento di ogni sua strategia, e nel permetterle infine di guardare i cartoni fino al ritorno di Ivan. Il quale avrebbe poi dovuto vedersela da pari a pari con le divisioni a due cifre o con qualunque genere di esercizio assegnino alle elementari.

Il problema è che Hyra ha appena commesso l' ingenuo errore di sfidarlo.


Quando Ivan torna a casa, la bellezza di due ore dopo – e Max non manca di appuntarsi mentalmente anche questo ritardo nella lista delle cose che deve far scontare col sangue al suo uomo – tutti i compiti sono miracolosamente stati fatti e Hyra, che si sta godendo un meritato riposo davanti alla televisione e al suo cartone animato con l'Ursaring e la bambina bionda, si precipita ad accoglierlo strillando per farsi prendere in braccio. Al contrario, Max deve trattenersi quasi fisicamente per impedire a se stesso di andare ad accoglierlo sulla porta con l'intento di ucciderlo, e restare invece lì davanti al tavolo, sminuzzando qualcosa con un coltello che, francamente, preferirebbe tanto piantare da qualche altra parte. Ma non vuole sconvolgere Hyra subito dopo i compiti, per oggi.

Quando Ivan entra finalmente in cucina, presumibilmente dopo aver scaricato di nuovo la bambina davanti alla televisione, con l'aria compiaciuta e rilassata di qualcuno che decisamente non abbia trascorso l'intera mattinata a ripetere le tabelline (e anche a scrivere uno stupido racconto su uno Skitty che dorme in cucina, e che egli le ha proposto sarcasticamente di intitolare Una storia al cardiopalma, prima di ricordarsi che Hyra è un po' troppo piccola per comprendere al volo il sarcasmo), non c'è neppure bisogno di fare grandi scenate per mettere le cose in chiaro. Max si limita a brandire il coltello, con tutta la calma di questo mondo, e ad affermare serenamente: «Dovrei ucciderti, lo sai?»

«Oh, andiamo... dillo che ti sei divertito» ribatte Ivan, scrutandolo con l'aria fintamente sorpresa che ha sempre quando sa di aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, e ne sia ugualmente troppo compiaciuto per riuscire ad ammetterlo. Max lo sta odiando. Tanto – e del suo odio Ivan sembra consapevole, dato che compie un movimento istintivo per avvicinarsi a lui, come fa sempre quando torna a casa, ma poi inspiegabilmente sembra considerare un'opzione molto più valida quella di rimanere a una prudente distanza da lui e dal suo coltello. «Hyra si è trovata bene con te. Quando l'ho presa in braccio mi ha detto nell'orecchio che sei molto bravo con le divisioni.»

«Era ovvio che l'avrebbe detto» risponde Max senza scomporsi, né tantomeno concedere al suo nemico d'intenerirlo con questi mezzi meschini. «Dopotutto, suppongo che il suo metro di paragone fossi tu. Non era poi una grossa sfida.»

Ma forse qualcosa nel suo contegno dev'essersi ammorbidito comunque, senza che egli se ne accorgesse né tantomeno ne avesse l'intenzione, perché Ivan si decide infine ad avvicinarsi, rinunciando al confortante riparo del tavolo frapposto come un ostacolo tra di loro, e lo circonda da dietro con le braccia per dargli un morso – giocoso ma neppure tanto – sul collo. Max si ritrova costretto a posare il coltello per un attimo per evitare di deconcentrarsi troppo, mentre Ivan appoggia il mento sulla sua spalla e rimane lì per un po'.

«Che cosa ne pensi, Max?»

In fin dei conti lo sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Come se fosse una domanda facile poi, questa. Che altro si può dire che non siano banalità? Che è una bambina intelligente, certo, e poi? Che è simpatica, è dolce, d'accordo, e poi? Ma come si fa a parlare di una bambina?

Alla ricerca di qualcosa che possa suonare un tantino meno banale del resto, Max ci pensa un po' e poi risponde: «Ti somiglia un sacco, sai?»

Colla faccia affondata nella curva del suo collo, e la schiena che combacia con la sua schiena, Ivan ride sommessamente. «Aye, lo dicono tutti. Gli occhi li ha presi da me, eh?»

«Non è solo questo.» O meglio sì, ma quella strana somiglianza dei suoi occhi, per quanto sia la cosa più palese di quella bambina, Max non è ancora riuscito a inquadrarla perfettamente. «È anche un tipetto... vivace.» Sembra sicuramente un modo gentile di dire che quella bambina è sufficiente da sola a far casino per una classe intera.

Ma per quanto a lungo egli possa parlar d'altro, girare intorno alla questione e fingere di credere che sia questo che Ivan vuole sentirsi dire da lui, Max lo sa che qui non si sta parlando degli occhi di Hyra o della sua voce o della sua vivacità. Ivan gli sta chiedendo che cosa ne pensa lui.

«Beh, mi piace. Dobbiamo conoscerci meglio, ma... sì. Penso che andremo d'accordo, io e lei. Anche se io non sarò mai molto portato per i bambini.»

Per tutta risposta, Ivan lo stritola – letteralmente! - stringendolo a tal punto che Max non riesce davvero più a respirare per qualche istante, e lo morde di nuovo, questa volta decisamente forte, peraltro – e basta, non ha bisogno di dire nulla. Max lo sa, lo sente che gli è grato, e in parte è anche questo a togliergli il respiro, perché vorrebbe che Ivan non lo fosse. Ma sa anche che parole per dire tutto questo non esistono, perciò tanto vale spezzare in altro modo la tensione.

«Ehi, Ivan... senti.»

«Mh?»

«Non ti sei inventato di avere da fare al lavoro solo per lasciarmi apposta da solo con tua figlia, vero?»

«Ehm. Che si mangia a pranzo?»


Questa domenica, eccezionalmente, Ivan deve riportare Hyra a Ciclamipoli già nel primo pomeriggio, dato che un compagno di scuola ha organizzato una festa di compleanno intorno alle quattro.

Ragion per cui, subito dopo pranzo, Ivan si è tirato su le maniche, ha aiutato Hyra a lavar via dalle mani e dalla faccia i postumi di un week end di scarabocchi coi pennarelli, ha sorvegliato attentamente l'operazione di vestizione di un vestitino blu con le balze bianche – fino a quel momento nascosto, religiosamente incellophanato, nella piccola valigia della bambina – e infine, con una serie di sbuffi e imprecazioni che i suoi occhi esprimevano molto bene anche senza bisogno di ricorrere alla voce, e una non indifferente serie di tentativi, le ha pettinato i capelli in due trecce un po' meno pietose di quanto fosse lecito aspettarsi da lui, e sorprendentemente simmetriche.

Ma al termine di questa lunga e, a quanto pare, estenuante cerimonia, Ivan non accenna neppure ad andarsi a cambiare, per presentarsi alla festa in modo un po' meno informale che in jeans e T-shirt bianca. Quando Max tenta di farglielo cautamente notare, Ivan si limita a stringersi nelle spalle e a argomentare: «Perché dovrei cambiarmi? La mamma del bambino ha preso degli animatori per la festa, perciò non c'è bisogno che restiamo a sorvegliare i bambini mentre giocano. E poi le altre mamme mi fissano sempre» aggiunge in tono di grande disappunto. «Non voglio mica dargli la soddisfazione di pensare che mi sono messo in tiro per loro.»

«Non credo che ti guardino per il tuo abbigliamento, Ivan, sai» risponde Max aggrottando la fronte, ma Ivan non fa in tempo a chiedergli a che cosa si riferisca. Proprio in quel momento, Hyra si precipita fuori dalla sua cameretta in un tripudio di balze e di pizzo, portando in modo un po' instabile un delizioso pacchetto regalo dall'aria molto colorata, ed esclama: «Papà, andiamo! Siamo in ritardo.»

Ivan deve avere una sorta di curioso presentimento riguardo alla sorte del regalo e alla vivacità dell'impazienza di Hyra, perché con grande discrezione, e senza neppure aver l'aria di essere preoccupato, le sfila il pacco dalle mani e le sistema le trecce.

«Aye, in marcia allora! Ma prima non vuoi salutare Max?»

«Sì, però poi andiamo» ci tiene a ribadire Hyra, assumendo un certo tono serioso e ammonitore come a dire se non ci fossi io a pensare a tutto, chissà che cosa combineresti. Dopodiché, e senza che la cosa paia costarle il benché minimo sforzo di volontà o di riflessione, né la minima affettazione, Hyra gli si avvicina, lo abbraccia familiarmente alla vita e domanda con voce squillante: «Ciao, Max. Sei qui anche il prossimo week-end?»

C'è qualcosa in quell'abbraccio affettuoso e puerile, così dannatamente privo di secondi fini, che inspiegabilmente pare soffocarlo, togliergli il respiro molto più e più bruscamente di quando Ivan lo ha stritolato il mattino precedente. Sotto lo sguardo irridente e derisorio e profondamente compiaciuto di quel maledetto, Max si ritrova a boccheggiare e a cercare alla rinfusa nella sua mente spiazzata qualcosa di sensato da risponderle. «Sicuro. Anche la prossima settimana, certo.»

Finalmente, dopo questi due giorni di inferno, Ivan deve essere riuscito a concepire nella propria mente almeno una briciola di pietà per la sua precaria situazione, perché per una volta si decide a venirgli in aiuto. «Max da adesso vivrà sempre con papà, tesoro. Io e la mamma te l'abbiamo già spiegato. Ti ricordi?»

«Allora facciamo i compiti insieme anche sabato prossimo» conclude Hyra allegramente, come se questa fosse l'unica deduzione logica che le viene in mente al riguardo. Per il momento, Max ritiene che sia più saggio non soffermarsi a chiedersi se sia un bene che, nella sua mente, quella sia la massima conseguenza notevole del fatto che suo padre conviva con un uomo. Con ogni probabilità, lo scoprirà col tempo. Per il momento, egli le concede di sbilanciarsi tanto da darle una sorta di rapida carezza, o pacca, o per meglio dire un minuscolo colpetto sulla spalla, e da accennare a fatica un sorriso.

«Certo, piccoletta. A venerdì.»

Il che, per lei, dev'essere una garanzia sufficiente. Staccandosi allegramente da lui, Hyra se ne torna saltellando da suo padre con l'espressione seria e coscienziosa di qualcuno che abbia compiuto debitamente il proprio dovere, ed esclama: «Papà, andiamo! È tardi.»

Quando alza lo sguardo su Ivan, appoggiato a braccia incrociate contro lo stipite della porta già aperta, Max si ritrova a pensare di non averlo mai visto tanto felice come oggi.

«Grazie» mormora Ivan quasi senza voce, mentre sospinge delicatamente Hyra verso l'auto sul vialetto.

Pochi minuti dopo, quando la voce eccitata di Hyra e il rombo dell'automobile si sono spenti in lontananza, e Max si ritrova completamente solo per la prima volta da quando è iniziato quell'infernale week-end, si stupisce un po' di scoprire la casa un tantino più silenziosa e forse più solitaria di quanto sia abituato a percepirla, il che è strano, per lui che trascorre la maggior parte delle sue giornate da solo mentre il suo compagno è al lavoro. Ma è meglio non soffermarsi a riflettere su questo strano senso angoscioso di vuoto e solitudine e di estraneità che lo assale. Al momento, Max si arrangia a cercare per l'ennesima volta qualcosa con cui tenersi impegnato, nel vano tentativo di reprimere almeno per qualche ora il desolante pensiero che per quanto egli possa impegnarsi, e lottare, e riuscire persino a far felice Ivan da qui all'eternità per ogni singolo giorno della sua vita, nulla di tutto questo potrà mai fare di lui una persona migliore e cancellare tutto quello che ha fatto.

   
 
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