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Autore: Crateide    23/05/2016    6 recensioni
"La Esmeralda si avvicinò cauta e scoprì il capo, immergendosi in un raggio di Sole che penetrava delle ampie finestre. Rimase immobile alle spalle del campanaro, in attesa che concludesse il concerto, che potesse finalmente volgersi e vedere che, sì, stava bene e che era tornata da lui."
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: La Esmeralda, Quasimodo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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There’s hope for everyone

‘cause every heart’s the same...

- No bitter end, Tarja Turunen -

 

 

La Esmeralda si coprì il viso più che poté, mentre passava accanto all’ennesima pattuglia di guardie.

Era trascorso un mese da quando era fuggita, da quando sua madre l’aveva messa in salvo a costo della propria vita.

Sembrava che tutti i parigini si fossero dimenticati di quella povera zingarella che altro no era se non una vittima innocente, ma che ognuno di loro aveva desiderato vedere sul patibolo.

Passando accanto a donne e vecchie comari, udiva solo novelli pettegolezzi e accenni impauriti riguardo spaventose vicissitudini verificatesi nei pressi di Notre-Dame. Ogni volta che la Esmeralda sentiva pronunciare il nome di quel luogo, il suo esile corpo veniva attraversato da un brivido di paura, mentre il cuore le si riempiva al contempo di infinita tenerezza. Infatti, l’immagine demoniaca del prete e quella grottesca eppure così angelica di Quasimodo lottavano fra loro, si sovrapponevano fino a svanire l’una nell’altra.

“Oh Quasimodo, mio caro e unico amico!” sospirò la zingarella, sollevando gli occhi languidi e speranzosi verso il campanile di Notre-Dame, “se sono qui oggi, è solo grazie a te!”.

La fanciulla affrettò il passo e s’infilò lestamente nei vicoli di Parigi, passando di ombra in ombra, e cercando di non dare nell’occhio.

Dopo tanto rimuginare, si era infine decisa a rischiare la propria vita solo per poter rivedere il deforme campanaro, l’unico che le avesse davvero dimostrato affetto. Sentiva, infatti, il bisogno di parlargli e soprattutto di ringraziarlo per averla protetta per tutto quel tempo.

Quasimodo si era ribellato al malefico prete per lei, per salvarla da quelle orribili grinfie che, nel buio di una notte senza Luna, avevano tentato di violarla. Nonostante la costernazione che aveva dimostrato poi, non le era parso per nulla pentito. Anzi, era certa che se Claude l’avesse vista e importunata ancora, il campanaro l’avrebbe difesa e salvata di nuovo.

La Esmeralda tremò, nonostante il Sole splendesse nel cielo terso. Il ricordo degli occhi del prete non l’avevano mai abbandonata e ogni notte tornavano vivi nei suoi incubi. La rincorrevano, la incalzavano, la scrutavano famelici come degli avvoltoi che osservano un animale agonizzante. Sua! Il prete voleva che lei fosse sua! Ma la fanciulla aveva preferito la morte, piuttosto che appartenere ad un mostro simile!

Giunta finalmente sul piazzale antistante Notre-Dame, quei pensieri l’abbandonarono in un istante. Si guardò smarrita intorno, rannicchiandosi ancora di più sotto la mantella, quasi a volerci sparire dentro, mentre il suo sguardo notava chiazze rossastre macchiare la strada, là dove la maggior parte del popolo della Corte dei Miracoli aveva trovato la morte.

La Esmeralda mosse un passo e poi un altro ancora e a piedi nudi camminò fra detriti, pezzi di legno e qualche ferraglia arrugginita (forse ciò che restava di un’armatura?) sparsa qui e là. Uno stormo di colombe si alzò in volo poco distante da lei e il frullo d’ali riempì il silenzio che avvolgeva la piazza.

La zingarella si fece coraggio e, preso un profondo respiro, annullò la distanza che la separava dal sagrato della chiesa e si accostò al portone. Ne spinse la pesante anta, che cigolò sinistramente, e in un passo fu dentro.

L’immensità della navata centrale quasi la schiacciò, con le immense volte a crociera e le imponenti colonne che sorreggevano il soffitto. L’aria era quasi fredda e solo un timido raggio di Sole tagliava in due le ombre che incombevano in ogni angolo, donando alla cattedrale una sembianza quasi spettrale.

Il silenzio era un rombo assordante.

Un’ombra improvvisa si proiettò fra le colonne, gigantesca e lugubre, facendola sobbalzare dallo spavento.

“Il prete! Oh Dio!”.

La Esmeralda si attorcigliò il mantello intorno al corpo e corse via, là dove sapeva avrebbe trovato una porticina ben nascosta e che nessuno – a parte il campanaro, unica vera anima di quel luogo – conosceva. La aprì con urgenza e vi sgusciò all’interno, alzando subito gli occhi sulla gradinata a chiocciola che conduceva in alto e pareva sparire nell’ombra.
- Quasimodo?

“Che sciocca!” si disse subito, battendosi una mano sulla fronte pallida, “è sordo, non può sentirmi! Se solo avessi ancora con me il suo fischietto!”.

La zingarella gettò uno sguardo tutt’intorno e, raccolto il coraggio a due mani, prese a salire. Ad ogni passo, un tragico ricordo le tornava alla mente e le faceva battere forte il cuore. Si ritrovò a rabbrividire, senza sapere se a causa degli spifferi che le mordevano la pelle o per le mille emozioni che le si agitavano nel petto.

Le immagini di quella tragica notte la fecero piangere, tanto che dovette fermarsi per asciugarsi gli occhi e riprendere fiato. Se ripensava all’impegno e alla furia con cui Quasimodo l’aveva difesa, non poteva che perdonarlo per aver ucciso i suoi compagni della Corte dei Miracoli. In fondo, quel povero diavolo, non poteva sapere né capire che Clopin e gli altri erano lì per liberarla!

All’improvviso, le campane iniziarono a suonare.

I loro strepiti fecero tremare le scale di legno e le pareti stesse. Le riecheggiarono nelle orecchie, la stordirono e l’emozionarono al tempo stesso.

La Esmeralda sollevò di nuovo il capo e finalmente seppe dove doveva andare, dove di certo avrebbe trovato il suo caro amico.

Salì i gradini due a due, con il fiato corto che le raschiava il petto e il sudore che le imperlava la fronte. Giunse in cima alla torre ansando e barcollando, restando immobile ad ammirare la danza delle campane, che si muovevano all’unisono, alternandosi nel ciondolare a destra e a sinistra. Nonostante il frastuono, era uno spettacolo di mirabile bellezza.

E, infine, lo vide. Quasimodo, deforme e mesto, dirigeva quel concerto con maestria e dedizione, al pari del più abile direttore d’orchestra. Si muoveva con forza, i suoi muscoli si gonfiavano, il suo corpo si tendeva e assecondava il moto agile e possente delle campane, quasi suonasse con loro.

La Esmeralda si avvicinò cauta e scoprì il capo, immergendosi in un raggio di Sole che penetrava delle ampie finestre. Rimase immobile alle spalle del campanaro, in attesa che concludesse il concerto, che potesse finalmente volgersi e vedere che, sì, stava bene e che era tornata da lui. Rimase lì, immersa nella luce, con i capelli corvini che rilucevano di infiniti riflessi bluastri, con la pelle d’ambra che pareva aver riacquistato lo splendore di un tempo.

Pian piano le campane tacquero e si arrestarono l’una dopo l’altra, maestose e venerande, facendo tremare nell’aria il loro ultimo canto.

E alla fine, anche Quasimodo si arrestò e si volse, balzando all’indietro con il terrore riflesso nell’unico occhio che aveva.
- Un fantasma! – esclamò – è forse giunta la mia ora?

La Esmeralda scosse il capo e avanzò verso di lui, ricacciando indietro il disgusto che provava per il suo aspetto e guardandolo con la stessa dolcezza con cui si guarda il più dolce degli amici.
- No, non sono un fantasma né è giunta la tua ora – scandì lentamente, affinché lui potesse capirla.

A quel punto, Quasimodo cadde sulle ginocchia sbilenche e scoppiò il lacrime. Il suo volto divenne paonazzo e le mani corsero a strapparsi i pochi ciuffi di capelli che aveva sul capo.
- Tu sei morta! Ti ho vista mentre ti impiccavano! – piangeva disperato – no, no! Questa è un’illusione, un sogno...! Il mio Padrone si sta vendicando per il suo assassinio!

La zingarella trasalì e il suo animo venne pervaso da un fremito di gioia. Il prete era morto? Non riusciva a crederci! Il suo incubo era davvero finito? Non aveva più nulla da temere?

S’inginocchiò davanti al campanaro e gli strinse una mano fra le sue, portandosela sulla guancia di pesca. Si guardarono negli occhi e lei gli sorrise ancora una volta.
- Vedi? – gli disse – sono viva quanto te! Quella che hai visto morire non ero io, ma la mia mamma appena ritrovata...
- Tua madre?
- Sì. Si è fatta impiccare al posto mio solo per salvarmi!
- Ma io credevo che...

La Esmeralda allungò una mano e gli carezzò la parte di viso che più era deforme, con delicatezza. Quasimodo socchiuse l’occhio e si beò di quel contatto tanto insperato.
- Hai ucciso il prete malvagio per me? – gli chiese infine, quando la guardò di nuovo.
- Sì – le rispose – mentre vedeva la figura bianca morire, lui rideva! Rideva della tua morte! E allora io l’ho spinto di sotto e l’ho ucciso!
- Grazie, dolce amico – e lo baciò sulle labbra dischiuse, timidamente – grazie di tutto.

Quasimodo mosse le mani verso di lei, ma non la sfiorò. Il suo occhio riprese a piangere.
- Sarò sempre tuo amico – le disse e dalla tasca delle brache estrasse il fischietto che le aveva donato un tempo e glielo porse come se fosse un tesoro prezioso – portalo con te, così se avrai bisogno di me potrò udirti. Giuro che ti difenderò sempre, mia bella fanciulla. Permettimi di essere il tuo servo!

La zingarella prese l’oggetto e se lo strinse al petto, sorridendo.
- Non un servo – rispose – ma un amico, Quasimodo. Un caro e amato amico...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’autrice:

Ciao a tutti!

È la prima volta che scrivo in questo fandom e spero che come “esordio” non lasci troppo a desiderare.

Che dire? Ho immaginato un finale alternativo per Notre-Dame de Paris. Un finale in cui Esmeralda si salva grazie al sacrificio di sua madre e in cui torna dall’unica persona che davvero l’ha amata: Quasimodo.

Non sono assolutamente all’altezza di Hugo, ma spero che abbiate apprezzato ugualmente la mia piccola e senza pretese one-shot.

 

Elly

 

 

 

   
 
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