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Autore: shezza_demon221    24/05/2016    2 recensioni
Tutto quello che so è una porta sul buio.
(Seamus Heaney)
L'arrivo inaspettato della misteriosa Lily porterà nuove vicissitudini al 211b di Baker Street.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Ebbene, questo è il primo capitolo della mia prima fan fiction in assoluto! Spero che la scrittura e la narrativa siano abbastanza scorrevoli, devo prenderci un po’ la mano. La storia a grandi linee è definita e ci metterò tutto l’impegno possibile per renderla interessante!
Grazie a chi si fermerà a dare un’occhiata e a chi lascerà opinioni e critiche costruttive.
A presto!

Shezza_demon

 

Capitolo 1

Bianco


 

Aprendo gli occhi, Lily vedeva solo bianco e tanta luce. Forse era in Paradiso. Ma se lo immaginava meno doloroso e con una luce decisamente meno fastidiosa attraverso i suoi occhi chiusi. In quel momento si era accorta del taglio sul labbro, del gonfiore sotto l’occhio e del dolore generale che pervadeva tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi.
Sentiva voci sommesse, odore di disinfettante. Non avrebbe aperto gli occhi, in quel momento era paralizzata dalla paura. Non capiva cosa stava succedendo e questo la stava mandando nel panico.

“Quanto ci metterà a riprendere conoscenza?” chiedeva una voce femminile, preoccupata e sommessa.

“Le ferite sono abbastanza gravi, considerando anche il trauma cranico e il sanguinamento della milza. E’ una fortuna che sia ancora viva, dopo quello che le hanno fatto”. Voce maschile, profonda, impostata e professionale.

Cosa doveva fare? Aprire gli occhi? Continuare a dormire? Dove si trovava e cosa era successo? I ricordi che aveva erano annebbiati, sentiva solo il dolore alla testa, il pulsare del sangue nelle tempie. Aveva anche sete, la gola le bruciava come se fosse aggredita da un esercito di formiche rosse.

Avrebbe aperto un poco gli occhi, per sbirciare e cercare di capire dove diavolo si trovasse.
Attraverso le palpebre socchiuse, vedeva un letto con le sbarre, una flebo al suo braccio destro e un bip sommesso e intermittente. Era in ospedale. Cosa ci faceva lì, perché era attaccata a una flebo?
Alla sua sinistra c’erano tre persone. Un dottore con un camice bianco con davanti una donna, capelli mossi e biondi, con l’aria preoccupata. Accanto a lei, con aria seria e cupa c’era un uomo biondo, basso e con gli occhi di un colore che Lily non riusciva a inquadrare attraverso le palpebre socchiuse. Teneva una mano su un fianco e con l’altra circondava la vita della donna.

“Sembrano persone per bene” pensò Lily “ma chi sono?”

Un’improvviso sapore amaro le si era presentato in bocca, costringendola a tossire. Macchiò di sangue il suo camice, soffocando tra i colpi di tosse.
Le tre persone si erano voltate di colpo verso di lei e il dottore si era precipitato verso il suo letto.
All’improvviso infermiere e dottori erano intorno a lei e Lily aveva sentito una puntura al braccio.

Poi più niente.

Si era risvegliata a notte fonda, stesso scenario. Aveva tentato di muovere almeno le braccia per cercare di tirarsi su sui cuscini per dare sollievo alla schiena immobilizzata e dolorante. Aveva stretto i denti e gli occhi per lo sforzo e il dolore. All’improvviso una mano dietro le spalle l’aveva sostenuta e la stessa voce femminile e sommessa di poche ore fa aveva sussurrato:

“Ti aiuto io, tranquilla. Cerca di non muoverti troppo, non sei ancora in grado di alzarti”.

Aveva sistemato alcuni cuscini dietro la sua schiena, permettendole di avere una visuale della stanza più ampia. Non che ci fosse molto da vedere, ma almeno non avrebbe continuato a fissare il soffitto.

“Per fortuna ti sei svegliata. Ci siamo parecchio preoccupati” la donna le aveva sorriso, rassicurante. Aveva gli occhi verdi, e le sorridevano tranquilli.

Lily non riusciva a parlare, anche perché ancora ignorava il motivo per cui si trovava lì.

“Oh certo vorrai sapere almeno il mio nome” aveva detto sollevando le mani in imbarazzo “io mi chiamo Mary. Mary Morstan”.

Lily continuava a fissarla, ammutolita. Non sapeva neanche se era in grado di parlare ancora, visto la gola secca e dolorante; cosa le avrebbe detto comunque?

“Tu come ti chiami?” aveva chiesto sommessamente Mary, inclinando la testa da una parte, con fare complice.

Lily aveva schiuso le labbra, respirando appena. I suoi occhi vagavano per la stanza, per soffermarsi sul tavolino vicino al letto dov’era posata una brocca d’acqua. La fissava con brama, come se non bevesse da un centinaio d’anni.
Mary aveva seguito con sguardo curioso quello di Lily, per poi sgranare gli occhi trattenendo un respiro.

“Oh santo cielo, avrai sete! Che sciocca! Ti prendo subito un bicchiere con una cannuccia”.

Aveva riempito il bicchiere e aveva avvicinato alla bocca di Lily una cannuccia rossa: “Bevi piano, non vorrei ti sentissi male”. 

Lily aveva bevuto a piccoli sorsi, sentendo la gola riprendere vita. Non era mai stata cosi felice di bere un bicchiere d’acqua in tutta la sua vita. Aveva accennato un sorriso, timido e riconoscente. Mary la guardava con un sorriso materno e soddisfatto. Avevo ripreso il bicchiere, poggiandolo piano sul tavolino accanto al letto. Poi si era girata verso di lei, e mettendosi le mani in grembo aveva esclamato: “Quindi! Me lo dirai mai il tuo nome?”.

I suoi occhi la scrutavano, un misto di curiosità e senso materno.

“Io…mi chiamo Lily” aveva sussurrato con voce roca e debole.

Mary le aveva scoccato uno sguardo divertito: “Che bel nome! Lily...e poi?”

Le sue mani avevano stretto il lenzuolo. Lily non ricordava perché era lì, non conosceva quella persona e in quel momento era confusa e anche impaurita. Chi era Mary, cosa voleva da lei? Era della Polizia, dei servizi sociali?

All’improvviso un lampo di luce le attraversò la mente.

Era per terra, e urlava dal dolore tempestata di calci e pugni e ricoperta di improperi e bestemmie.
Era Kaleb ed era arrabbiato con lei, non si ricordava neanche per cosa.

Kaleb. Doveva trovarlo, doveva sapere dov’era. Dove sarebbe andata sennò?
Aveva cominciato ad agitarsi, scostando le lenzuola e cercando di togliersi la flebo dal braccio.

“Io devo andare via da qui. Devo tornare, devo tornare da lui, sennò si arrabbierà”.

Le mani le tremavano, la voce era ridotta a un bisbiglio terrorizzato. Gli occhi spalancati e vitrei, il terrore dipinto sul volto che era diventato bianco come il lenzuolo che stringeva tra le mani nervose.

Mary la osservava spaventata ma la sua faccia e la sua voce erano diventate improvvisamente decisa e perentorie.

“No Lily, non puoi andare via da qui. Stai male e hai bisogno di cure. Chi ti ha ridotto così, chi era la persona che è scappata quando io e John siamo venuti in tuo aiuto?”

Lily ora ricordava. Le braccia intorno alla testa, per impedire i calci, le urla e gli schiaffi. Poi una voce maschile, delle urla di donna e i calci erano cessati e lei aveva fissato il cielo stellato riprendendo fiato e con un dolore lancinante alle costole, in quella notte fredda. Sentiva il sangue caldo che le usciva dal naso, il labbro che le si gonfiava. Poi dei discorsi concitati e quell’uomo biondo, quell’uomo che aveva visto prima chino su di lei e con le mani intono alle sue tempie. Vedeva la sua bocca muoversi, i suoi occhi spaventati e scuri, forse neri forse blu. Cercava di tenerla sveglia, finchè aveva sentito attraverso le orecchie ovattate dalle botte delle sirene, un lampeggiante blu e poi buio. Fino a quando si era risvegliata lì in mezzo a quel bianco accecante, senza ricordarsi nulla.

Era già con le gambe fuori dal letto, in preda al panico e urlava che doveva andare via a tutti i costi. Mary la teneva saldamente per le braccia, ripetendo che non poteva nelle sue condizioni. Cercava di tranquillizzarla, che avrebbe pensato lei a Lily, che non doveva avere più paura di niente perchè ora era la sicuro, lontano da chi le faceva del male.

Lily a quel punto si era immobilizzata. Forse doveva darle ascolto, forse quello era un
segno del destino. Un segno che l’avrebbe portata fuori da quella merda, fuori dall’incubo. Ma poi pensò a Kaleb e dove sarebbe potuto essere. Erano sue le mani che l’avevano ridotta così.

“Ci prenderemo cura di te, Lily. Devi stare tranquilla, è finita.” Gli occhi di Mary erano decisi e duri. Gli occhi di chi aveva già preso una decisione. Ma Lily aveva paura e in quel momento decise che il suo nome sarebbe stato l’unica cosa che avrebbero saputo di lei. Si sarebbe abbandonata agli eventi, ma nient’altro sarebbe uscito dalla sua bocca.

  
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