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Autore: martaparrilla    24/05/2016    6 recensioni
Henry ha 8 anni e non parla più da diciotto mesi. Sua madre, Regina, è convinta che quella sia la giusta condanna per non essere riuscita a proteggerlo dal dolore per la perdita del padre. Un giorno, le loro vite incrociano quelle di Emma che, cauta e silenziosa, riuscirà a conquistare la fiducia del piccolo Henry.
E forse, anche quella di sua madre.
Basterà questo a farlo parlare di nuovo? Henry odia davvero sua madre come essa afferma?
Anche stavolta ho dovuto alternare il punto di vista dell'una e dell'altra, è una cosa che non riesco a evitare per riuscire a spiegare al meglio le decisioni prese da entrambe e come queste influenzino positivamente la crescita del rapporto dei tre protagonisti.
La storia è puramente frutto della mia fantasia, nonostante si tocchino argomenti che troppo spesso le donne sono costrette ad affrontare da sole e in silenzio.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mary Margaret ha appena chiuso la porta alle sue spalle lasciando me e Henry da soli con Emma.

Ha con sé il suo zainetto, che stringe in modo morboso al petto, e fissa Emma come se fosse morta.

«Siamo solo noi tre ora Henry, puoi parlare, sono sicura che Emma ti senta.»

Dico per cercare di incoraggiarlo. Intanto mi siedo, stanca, sulla sedia su cui ormai può essere inciso il mio nome, accanto a lei, con la mia mano a sfiorare le sue dita.

«Ciao Emma... mi raccomando, ascolta bene.»

Sentire pronunciare una frase intera dalla sua bocca mi emoziona come non mai. Il cuore comincia a martellarmi dentro al petto, consapevole che forse, da oggi, il rapporto con mio figlio tornerà a essere quello di una volta. Oppure migliorerà. In testa vagano tutte le possibilità, ma nessuna sembra essere sufficientemente valida a giustificare questi due anni di silenzio e la necessità di avere Emma accanto per potermi parlare. Ma sono sicuramente felice che ci sia anche lei.

Mi guarda con occhi preoccupati, poi, dai piedi del letto di Emma, si avvicina a me. Poggia lo zainetto sul letto e ne estrae un quaderno con la copertina di pelle che mi... sembra...

NO.

No.

Non può essere QUEL diario.

Quel quaderno non può essere finito nelle mani di mio figlio.

Una sensazione di gelo percorre tutto il mio corpo. Seguita dalla vergogna e dal senso di colpa.

Non può averlo letto. Non deve averlo letto.

Ho svuotato la mia mente in quel quaderno. Ho trasformato in parole le lacrime che non potevo versare, le urla che ho dovuto trattenere, i lividi che ho dovuto nascondere... parole dolorose come sale su una ferita aperta. La parte più cupa di me è racchiusa tra quelle pagine, insieme ad avvenimenti accaduti che non potevo raccontare a nessuno. E ora è tra le mani di mio figlio che fissa me e quel quaderno, incerto sul da farsi.

«Mamma, questo è tuo.»

Alla fine me lo porge. Allungo lentamente le mie mani tremanti, afferrando quell'oggetto che per quasi tre anni era stata l'unica valvola di sfogo della mia vita. Lo giro solo per avere la conferma che fosse lo stesso che avevo lasciato nel mio cassetto il giorno del funerale di Robin e che non avevo più cercato. Non mi ero nemmeno accorta che fosse scomparso, semplicemente non avevo più sentito il bisogno di scrivere.

«Io volevo un maglione di papà, per sentire il suo odore. Ma tra le tue cose ho trovato questo. E ho iniziato a leggerlo. Leggerlo mi ricordava lui. Non volevo leggerlo mamma, davvero... prima dicevi cose belle, poi lui con te è diventato cattivo. Tanto. Troppo.»

«Henry, ti prego...»

Le lacrime arrivano in men che non si dica. Solo il fatto che lui mi parli è un validissimo motivo per piangere. Se a questo aggiungiamo che Emma è di fianco a me e che Henry ha davvero letto tutto... vorrei solo sparire. Rifugiarmi in una stanzetta buia e vuota per sempre.

Lui mi guarda negli occhi senza mai abbassare lo sguardo o sbattere le palpebre. L'unica cosa che mi conferma il suo nervosismo è il suo continuo aprire e chiudere la cerniera dello zainetto.

«No mamma, aspetta. Io ti ho dato la colpa di tutto. Ma la colpa non era la tua. Io ero arrabbiato con me stesso... perché avevo detto che ti odiavo e poi ho scoperto le cose del diario... e mi sono arrabbiato con lui. Per questo andavo al cimitero. Perché gli chiedevo il motivo. Perché ti trattava così se non voleva stare con te? Perché se l'è presa col mio fratellino?»

Si interrompe improvvisamente, le parole spezzate dalla voce arrabbiata.

«Non riuscivo a parlarti perché parlare con te era difficile. Io stavo male perché era morto mio padre. E tu lo avevi sopportato per tutto quel tempo... io sono stato cattivo con te.»

Eccole. Iniziano a scendere, inarrestabili, dolorose. Liberatorie.

«No Henry, aspetta. Tu non c'entri nulla. Tu non potevi sapere ed era giusto che fossi arrabbiato con me!» riesco comunque a dire con voce rotta dal pianto.

«No mamma, non era giusto perché tu mi hai sempre protetto. Quando ne ho parlato con Emma lei mi ha fatto capire molte cose... tu non mi hai mai permesso di odiarlo. Non hai mai detto una sola parola cattiva su di lui, mai una.»

E come potevo? Lui lo adorava. Era il padre senza difetti. Perfetto e inattaccabile.

«Io... mi dispiace per averlo letto... ma sono contento di averlo fatto. E sono contento di avere incontrato Emma. E anche se lei sta così... sono contento che ti abbia salvata. Mary Margaret mi ha raccontato come sono andate le cose. Lei è fatta così, aiuta sempre tutti... e tu con lei stai bene».

Sposta il suo sguardo su Emma, e sorride un poco, pieno di gratitudine.

«Da quando c'è lei tu sorridi un po' di nuovo. E so che avete litigato e vi siete allontanate ma lei ti vuole bene mamma, davvero. Non ti farebbe mai quello che... ti faceva... papà...»

«Ok Henry, basta, vieni qui, abbracciami per favore.»

I suoi piedini, dal fondo del letto di Emma, si spostano fino a me e lo stringo in un abbraccio. L'ennesimo di questi giorni. Sì, perché oltre a chiamarmi mamma o a dire sì e no, abbiamo passato la maggior parte del tempo abbracciati, senza dire nulla. La sera successiva all'incidente con Emma, lui si è sistemato nel mio letto, dalla mia parte e ha aspettato me per addormentarsi, dopo avergli preso le mani e dato un bacio sulla fronte.

«Mamma...»

Mi dice improvvisamente, irrigidendosi.

«Dimmi tesoro...»

«Mamma, Emma mi ha stretto la mano, me la sta stringendo, è normale?»

Nel trambusto di senso di colpa, tristezza e felicità, non mi sono accorta che Henry ha allungato la sua manina verso quella di Emma, per cercare conforto e coraggio.

A quelle parole mi irrigidisco anche io e scosto il corpo di mio figlio per osservare con i miei occhi quello che non voglio credere a parole. Le sue dita stringono quelle di Henry. I tendini della sua mano, magra, sono visibili così come l'immane sforzo che di certo sta compiendo per quel piccolo gesto. Mi avvicino al suo viso, cercando un dettaglio che mi dica che si sta svegliando.

«Emma ci sei? Emma...»

Le sue palpebre si muovono e le labbra si irrigidiscono lievemente. L'arteria sulla sua tempia sinistra inizia a pulsare e un secondo dopo, una lacrima scivola verso il cuscino.

«Emma, stai piangendo...»

Asciugo il suo viso col palmo della mia mano. Lei c'è, è con noi, ci sente. Afferro mio figlio con un braccio e lo stringo a me.

«Henry, la stai facendo tornare da noi... la stai salvando».

«Davvero, mamma?» Il suo viso, sorpreso, passa a quello di Emma. La fissa estasiato, e aspetta come me, che gli occhi di Emma possano tornare a brillare.

«Assolutamente sì. Sei stato bravissimo.»

Rimaniamo in religioso silenzio. Controllo i parametri ogni minuto, riportandoli diligentemente sulla sua cartella, mentre Henry torna a sedersi sulla sedia di fianco al letto, sempre con la mano stretta attorno a quella di Emma, o meglio il contrario.

Passa un'ora, ma i suoi occhi rimangono chiusi e il battito torna lento e regolare. Non è più con noi, non in quel momento almeno. La delusione negli occhi di Henry è il riflesso della mia. Ho bisogno di parlarle, ho così tante cose da dirle!

Mi siedo anche io.

«Mamma, oggi Emma non si sveglierà, vero?»

«No tesoro, non lo farà. Ma credo che non ci vorrà molto.»

Un piccolo sorriso increspa le sue labbra, a imitazione del mio.

Poso un bacio sulla fronte di Emma, per salutarla. Poi, afferrata la mano di mio figlio, esco dalla stanza.

Il mio turno è finito, possiamo rientrare a casa.

 

Oggi è il 20 settembre.

Henry ha iniziato la scuola da qualche giorno ormai e le maestre sono molto contente di risentire la sua voce. Il rapporto con i compagni è migliorato e la piccola Sarah lo saluta sempre con un bacio sulla guancia e ogni volta che rivedo la scena, una piccola fitta di gelosia invade il mio stomaco.

Sono passati sette giorni dalla sua confessione nella camera di Emma. Ancora non siamo sciolti e disinvolti nelle conversazioni, ma facciamo dei piccoli passi avanti. Uno di questi è stato quello di bruciare insieme il mio diario, e insieme a lui tutto quello che in quei due anni ci aveva ferito e diviso.

Vorrei tanto avere Emma con me in questa nuova situazione con Henry. Mi servono i suoi consigli e il suo conforto. La sua comprensione, il suo calore e il suo sorriso incoraggiante.

Invece è qui, distesa su un letto d'ospedale, con idratazione e nutrimento attaccati alle sue esili braccia (è dimagrita parecchio in questo periodo) e il solito bip a riempire il silenzio della camera.

«Ciao Emma, sono io» le sfioro la fronte mentre pronuncio queste parole, poi adagio il palmo della mano sul suo petto. Il battito è forte oggi, sorrido.

«Oggi ci sei di nuovo... gli ultimi due giorni il tuo battito era regolare ma debole, ho capito che non eri con me, che non mi sentivi. Oggi sei con me, il tuo cuore batte forte.»

Avvicino la solita sedia e mi sistemo il camice, avendo cura di non sgualcirlo troppo.

«Con Henry va molto bene... lui è voluto tornare dallo psicologo. Non quello da cui l'avevo già mandato ma uno nuovo, che non sapeva nulla di lui. Così poteva essere davvero se stesso, ha detto.»

Ridacchio al pensiero della sua richiesta. Era stato così impacciato e imbarazzato che avrei voluto filmarlo solo per poi poterlo fare vedere a Emma che si sarebbe sbellicata dalle risate. Ma la sua richiesta era più che lecita, doveva riniziare da zero, e solo con qualcuno che non conosceva la nostra storia avrebbe potuto farlo.

Le afferro la mano con le mie e prontamente stringe forte.

«È bello risentire la tua stretta...»

Sorrido ancora ripensando alla prima volta che l'ho invitata a cena a casa e lei mi strinse la mano, impedendomi di piangere.

«Sai Emma, in queste settimane ho avuto modo di pensare e pensare e pensare. A Henry, a te, a me... a noi. Prima che tu piombassi nelle nostre vite una malinconia aveva invaso tutto il mio essere. Il mio cuore era nero, la mia anima era nera... i miei pensieri erano assolutamente neri. La cosa peggiore è che ciò che avevo intorno, la vita degli altri che vedevo scorrere, mi sorprendeva e mi inquietava. E soprattutto mi opprimeva quella sensazione che ai miei occhi tutto era estraneo, e tutta quella estraneità mi stava uccidendo. Lentamente. Inevitabilmente.»

Le mie labbra si posano sul dorso della sua mano e le macchine impazziscono, il suo cuore impazzisce, come ogni volta che mi avvicino a lei.

Questo è il momento giusto per parlare, forse sarei riuscita a trascinarla via da quel tunnel nero in cui è entrata.

«Poi ho guardato i tuoi occhi quando ti occupavi di Henry. E lì ho iniziato a desiderare di volerti accanto. All'inizio era qualcosa di altalenante, poi si è trasformata in disperazione quasi abissale, perché quel vuoto che mi ero creata intorno lo stavi riempendo tu. Per questo quel giorno ti ho baciata... per questo ho voluto fare l'amore con te. E guardarti nuda, guardarti volermi così, era per me come un regalo, un regalo che scarti e sorridi perché hai tra le mani finalmente quello che vuoi. In queste settimane ho parlato tanto per tenerti desta. Ma quando ti guardavo avevo solo il desiderio di ascoltare il tuo respiro. Mi facevi venire voglia di vivere, e per questo dovevo ridarti i giorni che stai perdendo in questo letto. Pensavo di non avere più un cuore, ma ce l'ho. Solo che era difficile da raggiungere. E tu ci sei arrivata così in fretta che mi hai spaventata. Mi spaventi. Ma non voglio più avere paura Emma... non con te. Non di te. Tu hai detto che mi ami... prima di addormentarti quel giorno... dicevi davvero? Mi ami davvero o lo hai detto solo perché non sapevi se saresti sopravvissuta?»

L'ultima volta che avevo confessato i miei sentimenti a qualcuno, ero poi rimasta incinta e mi sono sposata. Ho creduto di amare in modo folle, mentre la follia è stata solo credere che anche lui mi amasse allo stesso modo. E la paura che in questo momento mi attanaglia, mi impedisce quasi di respirare. Ho provato molte volte a dirglielo ma le parole si sono sempre fermate lì, nel precipizio tra “voglio farlo” e “non ci riesco”.

Voglio buttarmi dalla parte giusta. Per una volta voglio fare la cosa giusta anche per me.

«Perché se mi ami davvero allora devo confessarti una cosa. Mi sono innamorata di te.»

Il cuore di Emma impazzisce, e il mio con lei. Ma è il momento di continuare, non posso fermarmi ora, devo forzare la mano adesso.

«Ti amo e non perché mi hai salvata da quei proiettili. Non perché hai riportato Henry da me. Dopo due anni mi hai ridato speranza. Mi hai tolto la paura... o meglio, mi hai dato il coraggio di sconfiggere quella paura, di superarla. Mi hai insegnato a cambiare, a rendere magico anche qualcosa di orribile. Mi hai fatto uccidere quello che mi stava uccidendo... la vecchia me mi stava uccidendo... e io voglio farti vedere com'è questa nuova me per cui, per favore... apri gli occhi Emma, vivi per me, per favore.»

La mia voce diventa roca e di nuovo anche Emma piange.

Poi afferro il mio telefono e la cerco.

Qualche settimana prima, mentre andavo a lavoro, alla radio ho sentito una canzone. Una canzone che inevitabilmente mi ha fatto pensare a me e Emma. Ho tentato di ricordare alcune parole e con quelle in mente, una volta arrivata in ospedale, avevo iniziato a spolliciare sul cellulare, cercando di ritrovare quelle note, quelle strofe che parlavano di me e lei.

Cerco sulla mia play list, poggio il cellulare sul suo cuscino e clicco play.

 

A fire burns,
Water comes,
You cool me down.
When I'm cold inside
You are warm and bright
You know you are so good for me.
With your child's eyes
You are more than you seem
You see into space
I see in your face
The places you've been
The things you have learned
They sit with you so beautifully.

You know there's no need to hide away
You know I tell the truth
We are just the same.
I can feel everything you do
Hear everything you say
Even when you're miles away
Cause I am me, the universe and you.

Just like stars burning bright
Making holes in the night
We are building bridges.

You know there's no need to hide away
You know I tell the truth
We are just the same.
I can feel everything you do
Hear everything you say

Even when you're miles away
Cause I am me, the universe and you.

When you're on your own
I'll send you a sign
Just so you know
I am me, the universe and you


 

Abbasso la testa e i capelli scivolano di fianco al mio viso, creando una barriera tra me e il resto. Non vedo nulla, sento solo la canzone e non posso fare a meno di piangere. Mi sento sola come non mai. Asciugo le lacrime col dorso di una mano e mi accorgo che la canzone è finita.

Poi un fruscio di capelli.

Leggero come... i suoi capelli sul mio cuscino.

Me lo ricordo bene quel rumore.

Alzo la testa, e il suo viso oscilla a destra e sinistra, mentre gli occhi tentano di aprirsi.

«Emma...?»

Scatto in piedi e allineo il mio viso col suo. Le accarezzo la guancia con le dita, stavolta non la lascerò andare. No.

I suoi occhi si aprono.

Fanali verdi improvvisamente riprendono luce, calore. Le pupille ritrovano vita quando incontrano le mie. Afferro con entrambe le mani il suo viso proprio nel momento in cui lei cerca di aprire bocca e pronunciare qualcosa.

«C...e...»

«Emma, o mio...Emma?»

Mi guarda e sbatte le palpebre come per mettermi a fuoco. Lei è tornata da me. La felicità del mio cuore è incontenibile. Le labbra non possono fare a meno di toccare il suo viso.

«Emma, sai chi sono?»

Le chiedo tra le lacrime.

Socchiude leggermente le labbra, e gli occhi, di nuovo. Osserva ciò che ha di fronte come se conosca la risposta ma non ricordi il nome. Deglutisce e un'espressione di dolore si dipinge sul viso. Probabilmente ha molto bruciore alla gola per via del tubo della respirazione artificiale e anche perché non si idrata per via orale da un bel pezzo. Poi raccoglie tutte le energie, fa un profondo respiro e apre la bocca.

«Certo... che… so chi sei... Re... gina».

La voce è rauca, molto diversa da prima. Però parla.

Parla e sa chi sono.

Sorrido tra le lacrime e la bacio.

La bacio e piango e lei sorride e mi abbraccia. Le sue braccia arrivano con difficoltà fino al mio collo e lo stringono.

«Quanto mi sei mancata Emma...»

Lo dico più a me stessa che a lei.

«Va tutto bene, Regina.»

Una flebile voce sussurra al mio orecchio. Mi sposto di nuovo sul suo viso, che, spaesato, si guarda intorno cercando di capire dove si trovi.

«Emma sei in ospedale, ricordi cosa è successo?»

Lei annuisce, decisa.

«Sei stata in coma per un po'» le dico continuando a fissarla negli occhi.

La guardo e l'unica cosa che riesco a pensare è che sono felice. Non l'ho uccisa, lei è ancora con me e le cose potranno sistemarsi. Potremo parlare, potrò raccontarle di Henry, potrò dirle delle lunghe chiacchierate fatte con sua madre e di quanto Neal faccia bene a Henry. Vorrei dirle ora tutte queste cose ma non riesco. Le parole muoiono lì, sulle labbra, come le infinite lacrime che scendono alla vista dei suoi occhi che debolmente mi sorridono.

«Sono... in... paradiso?» ha la voce roca ma si sforza di parlare. Una debole risatina echeggia nella stanza, riesce anche a scherzare.

«No Emma, per ora il paradiso può aspettare... sei solo con me».

«È per... ché ci sei tu che pen... savo di essere in pa... ra... diso...» la sua mano, fredda e magra, si posa debolmente sulla mia guancia e io d'istinto la bacio.

«Sei sempre la solita» le dico «vuoi un po' d'acqua?» chiedo poi, sicuramente ha la gola molto secca. Annuisce di nuovo e dal comodino accanto a lei afferro un bicchiere con una cannuccia. Avvicino quest'ultima tra le sue labbra e prende due piccoli sorsi.

«Mi fa male la gola» aggiunge poi portandosi una mano sul collo.

«Sì Emma, lo so, è normale, passerà» le accarezzo i capelli.

«Regina, grazie...»

«Per cosa?» chiedo io stupita.

«Sentivo la tua voce, ogni tanto» dà qualche colpo di tosse prima di riprendere a parlare «c'era buio, ma quando parla... vi tu non mi sentivo sola» piega un po' la testa. Sorride e compare una piccola fossetta su un lato delle labbra.

Lei mi ha sentita parlare, forse ha sentito anche le ultime parole che le ho detto, forse ha sentito anche che la amo. Voglio saperlo?

Sì.

No.

«Cosa hai sentito precisamente?» il mio cuore batte all'impazzata. Forse non avrei dovuto ripetere tutto il discorso, forse quello sforzo è davvero servito a qualcosa.

«Non ricor... do cosa ma ricordo che... mi parlavi, spesso.»

Non so se essere felice o triste di questo fatto, ma il fatto che mi parli è un motivo sufficiente per inserire questa giornata nella lista delle memorabili.

«Oddio devo avvertire tua madre!» esclamo improvvisamente e rimproverandomi per non averci pensato prima.

Afferro il cellulare e quasi mi scivola dalle mani tanta è l'agitazione. Pochi squilli, solo tre parole.

«Emma è sveglia.»

Mezz'ora dopo Mary Margaret, David, Neal e anche Henry, riabbracciano Emma.

Osservo da lontano il riavvicinamento di quella famiglia che ho quasi distrutto. Henry, dopo averla salutata, si avvicina a me, come se anche lui si sentisse estraneo a quel momento. Decido di uscire dalla stanza insieme a lui.

«Te l'avevo detto che si sarebbe svegliata presto, Henry.»

Dico appena chiudo la porta alle nostre spalle.

«Non vedo l'ora di poter riandare a portare i cani a spasso insieme a lei... a proposito, possiamo prendere un cane?»

I suoi occhioni grandi e pieni di gratitudine mi fissano speranzosi.

«Certo che possiamo prendere un cane... magari quando Emma si sarà ristabilita potrete andare voi due.»

Gli accarezzo la guancia prima di posare un bacio sulla sua fronte e allungare il suo visino verso il mio.

«Oppure tutti e tre insieme» dice facendo poi spallucce.

«Sì Henry, oppure tutti e tre insieme, sarebbe un'ottima idea.»

Tutti i pezzi del puzzle si stanno sistemando.

Aver confessato a Emma i miei sentimenti mi ha liberata da un enorme peso. Ora non so se lei ricordi quel che ho detto, la cosa che per me ha importanza ora è che le mie parole l'abbiano riportata indietro.

Se lei è viva posso ripetergliele quante volte voglio.

L'unico particolare su cui non ho controllo è la gamba di Emma. Avrebbe dovuto fare parecchia fisioterapia prima di tornare come prima e spero tanto che quella possa bastare e che il trauma subìto non lasci alcun tipo di segno sul suo corpo. Non me lo perdonerei mai. Ma anche per quello avrei sfruttato tutte le mie conoscenze per garantirle un servizio eccellente.

Chi riesce a dare il meglio di se stessa merita il meglio. E glielo avrei trovato.

 

 

Note dell'autrice: Buongiorno a tutti! :)

Questo capitolo non aggiunge nulla di nuovo al precedente, a parte il risveglio di Emma visto dagli occhi dell'innamoratissima Regina. Come pensate che succederà ora che Emma è sveglia, parla e può interagire con chi vuole? Credete che le cose si sistemeranno subito e definiranno il loro rapporto?

Devo darvi una triste notizia: la settimana prossima sarò impegnatissima col lavoro per tutta la settimana e non avrò tempo materiale per pubblicare, per cui devo rimandare la pubblicazione del capitolo 19 nonché terzultimo, a martedì 7 giugno! Non disperate, sarò puntuale come al solito!

Grazie a Nadia e Susan per le correzioni.

A presto :)

  
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