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Autore: scrittrice in canna    24/05/2016    1 recensioni
[Si può leggere la storia anche senza aver visto Sense8]
Otto ragazzi da tutto il mondo, con storie diverse ma complementari, si aiuteranno a vicenda in un viaggio alla scoperta di loro stessi quando si troveranno legati in maniera inesorabile da qualcosa che va oltre il DNA e il fato: l'empatia.
La loro vita verrà messa in pericolo da un nemico comune e solo lavorando insieme potranno avere una possibilità di sconfiggerlo, senza però dimenticare i problemi di tutti i giorni e i demoni che si portano dentro.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Finn/Rachel
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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2.

Il suono del campanello fece scattare Kurt sull’attenti, erano arrivati i suoi parenti e lui non aveva ancora il pasticcio nel forno e i soufflé non erano pronti, le patate erano dure. Sarebbe impazzito presto.
Finn aprì la porta e si trovò davanti i suoi genitori sorridenti, nessuno sapeva che sarebbe tornato. Carol si mise a piangere di gioia e lo abbracciò stretto, ogni giorno passato lontano da suo figlio era una tortura, rivederlo sano e salvo l’aveva resa emotiva e adesso stava bagnando tutta la maglietta di Finn che la stringeva mentre Burt gli dava una pacca sulla spalla, sorridente. Potevano non essere legati da un rapporto di sangue, non era suo padre biologico, ma gli voleva bene come se lo fosse, l’aveva cresciuto si da quando aveva solo cinque anni, proprio come Carol era stata una madre per Kurt.
“Ben tornato, ragazzo” gli disse, fiero.
“Dov’è tuo fratello?” chiese lei, quasi come se avesse letto nella mente di suo marito.
“A sgobbare!” urlò Kurt dalla cucina, esausto.
Carol lasciò la presa sul fianco del ragazzo per andare ad aiutare l’altro giovane in crisi esistenziale, in quella casa era l’unica capace di farlo.
Finn cominciò a sentire una voce dolce e melodiosa come non ne aveva mai sentite. Non conosceva la canzone, ma l’avrebbe ascoltata anche tutto il giorno.
“Papà, lo senti?”
Burt abbassò il volume della televisione e si concentrò sui rumori della stanza ma l’unica cosa che riusciva a percepire era un leggero ronzio proveniente dal bagno: “Cos’è? La caldaia? Ho già detto a Kurt che deve sostituire le tubature…” Mentre lui continuava a parlare d’idraulica e di come suo figlio fosse ‘semplicemente troppo giovane per vivere da solo’, Finn seguì la melodia fino alla camera per gli ospiti dove aveva lasciato i suoi bagagli per i giorni successivi, aperta la porta vide una ragazza decisamente più bassa di lui con gli occhi chiusi e le mani sul petto, era così concentrata che non si era nemmeno accorta di non essere più… ovunque fosse in quel momento, sempre che il suo posto non fosse nelle fantasie più remote di Finn, come sospettava lui.
La ragazza – Rachel, il suo nome era Rachel – finì di cantare l’ultima nota e aprì gli occhi solo per ritrovarsi nella stanza di un estraneo. Stava per urlare, ma si trattenne mettendo le mani davanti alla bocca per poi abbassarle lentamente e puntare il dito verso Finn mormorando: “Chi sei tu?”
“Credo tu sappia esattamente chi sono.” Non sapeva come o perché, ma la sua presenza lì accanto a lui… era come se tutta la terra si fosse raddrizzata, come se non ci fosse più niente di sbagliato e il suo posto fosse in quella stanza, in quell’istante collegato da sempre nei suoi ricordi, doveva solo viverlo per capirlo.
Lei stava sentando la stessa cosa, lo sapeva con la stessa chiarezza con cui conosceva il suo nome.
L’espressione di Rachel cambiò distintamente, rilassandosi, sembrava molto più a suo agio.
“Cosa ci sta succedendo, Finn?” gli chiese, come se avesse la certezza che lui avesse tutte le risposte del mondo.
“Non ne ho la più pallida idea.”
“Io sì!” esclamò Brittany da dietro le spalle del ragazzo che saltò in aria e perse la connessione con Rachel.
“Cristo, Brittany!” urlò Finn portandosi una mano alla fronte: “Mi hai spaventato!”
Lei non sembrò curarsi della reazione esagerata e si sedette sul letto con le gambe incrociate, pronta a cominciare la sua spiegazione: “Siamo una cerchia.”
“Cosa?” Finn si sedette accanto a lei, le mani che si tormentavano a vicenda.
“Siamo tutti collegati, è come se… se la nostra empatia ci avesse resi una persona sola. Sentiamo tutto quello che sentono gli altri sette.”
Il ragazzo era estremamente confuso, non sapeva neanche se Brittany era un frammento della sua immaginazione, come faceva a crederle? Eppure il calore del suo corpo era così reale, come il suo profumo alla vaniglia che gli dava fastidio al naso perché era anche troppo forte.
Un secondo dopo si ritrovò seduto su di una panchina al sole, il mare alle spalle e una miriade di persone che gli passavano davanti, Brittany era ancora accanto a lui nel suo vestito floreale.
“Non dovrebbe fare freddo in Australia?”
Brittany fece spallucce: “Qui non fa mai veramente freddo.”
Finn rimase imbambolato a guardarsi intorno per qualche secondo, prima di ritornare in sé e riprendere la parte più importante del discorso: “Aspetta, hai detto altri sette?”
L’altra annuì: “Sì, sette… be’, sei. Siamo otto in tutto.”
“E tu come fai a saperlo?”
“Lo so e basta, credo che dovrai fidarti di me” affermò convinta e sorridente.
Per qualche strano motivo, le credeva, non comprendeva esattamente il perché ma Finn credeva alla strana ragazza Australiana, come non poteva quando sentiva dentro tutta l’eccitazione di Kurt, la sicurezza di Rachel e la calma di quella stessa persona che era contemporaneamente sul suo letto e su di un sedile nelle strade di Sidney? Così lui sorrise, poggiò una mano sulla gamba di Brittany e le confidò: “Mi fido di te.”

Rachel era scossa, aveva provato coì tante emozioni in quella stanza di Dublino che non sapeva cosa fosse vero e cosa solo uno scherzo della sua mente stanca da tutte le prove, ma non poteva fare altro, la sua Fanny doveva essere più che perfetta per onorare Barbra.
Di una cosa era certe, però, non avrebbe mai più cantato “My Man” senza pensare a Finn, quel ragazzo dall’accento strano che l’aveva ascoltata con aria così rapita da togliere il fiato, si sentiva profondamente connessa a lui e non sapeva neanche perché. Cercò di tornare alle prove, fare finta di non essersi appena esibita in una casa oltreoceano le sembrò un po’ più difficile di quanto non avesse immaginato.
Ricominciò dall’inizio, aveva il teatro tutto per sé per altri quaranta minuti, avrebbe avuto tutto il tempo di provare e riprovare.

Jessie stava dirigendosi al teatro per recuperare il cellulare che aveva dimenticato poco prima, si era sentito un idiota quando aveva realizzato di non poter parlare con nessuno, ma qualche ora lontana dal ‘beep’ continuo del telefono lo avevano calmato e si sentiva pronto ad affrontare un’altra giornata di casting.
Doveva essere fin troppo pronto, perché sentì qualcuno – una ragazza – cantare “I’m The Greatest Star” da Funny Girl in maniera impeccabile e se il suo cervello aveva deciso di fargli un altro scherzo tanto valeva goderselo, così si sedette in una poltrona in penombra e ascoltò, timoroso che se la sua fantasia l’avesse visto sarebbe scappata come il ragazzo di quella mattina, il suo Matthew fantasma.
Al contrario dell’ultima volta, la ragazza non scomparve dopo aver finito il che incoraggiò Jessie a battere le mani per vedere la sua reazione stupita.
Rachel non si aspettate di avere un pubblico, fortunatamente era soltanto un ragazzo – forse di due anni più grande di lei – con un sorriso sghembo, quasi soddisfatto, che applaudiva lentamente avvicinandosi al palco.
“Brava, davvero brava!” la complimentò. Poteva anche essere solo un tipo qualunque ma sembrava avere buon gusto e un orecchio funzionante, Rachel era sempre felice di ricevere dei complimenti, fece un piccolo inchino e sorrise soddisfatta.
“Grazie mille! La mia prima è tra poco” lo informò come faceva con tutti da due settimane, più persone sapevano meglio era.
Lui s’illuminò, come se avesse capito una battuta divertentissima e la indicò con l’indice: “Rachel Berry!”
“In carne ed ossa” rispose lei, sempre più onorata. Addirittura un fan? Doveva seguire la sua pagina su My-Space.
Lui s’indicò a sua volta e si presentò porgendole l’altra mano: “Jessie St. James, abbiamo un incontro programmato?”
Oh, Dio. Il ragazzo con cui Puck l’aveva incastrata. Ovviamente Rachel non poteva fare altro che fingere di essere effettivamente felice di vederlo: “Ma certo! Che piacere! Il copione è geniale!” Bugia. Non aveva idea di cosa parlasse, non l’aveva neanche sbirciato. Non voleva il ruolo, ma avrebbe voluto comunque fare l’audizione per fare un favore al suo agente, tutto ciò Jessie St. James non doveva necessariamente saperlo.
L’unico problema era che lui sentiva che qualcosa non andava bene in ciò che Rachel gli aveva appena detto, era un sesto senso.
“Non ha neanche visto il titolo del mio progetto, vero?” le chiese, le mani in tasca e quel sorriso ancora fisso sul volto, come se sapesse tutti i suoi segreti. Rachel si sentiva scoperta accanto a lui, vulnerabile, la cosa non le piaceva per niente.
“Co- certo che l’ho visto!”
“E qual è?”
“Ok, non lo so” ammise sconfitta guardando verso il basso.
Jessie rise e Rachel pensò che stesse ridendo di lei, invece lo stava facendo perché la trovava semplicemente adorabile. Lei si allontanò per dirigersi al piano a sistemare gli spartiti, giusto per allontanarsi da lui.
“Se t’interessa ancora il ruolo” le disse Jessie mentre tornava al tavolo dove era stato seduto fino a un’ora prima per recuperare il telefono che aveva causato tutto quel casino: “Quello che ho visto mi è piaciuto molto, mi piacerebbe lavorare con lei” finì. Era sulle scale che portavano fuori, si sbatteva leggermente il retro del cellulare sul polso: era nervoso.
Rachel pensava fosse molto arrogante, ma non aveva neppure letto il copione, come poteva rifiutare il lavoro? E dopo Fanny avrebbe sicuramente avuto bisogno di un cuscino di salvataggio, giusto per evitare brutte sorprese.
“Ci penserò.”
“Non volevo sentire altro.”

La sala era vuota, le lezioni non sarebbero cominciate per un paio d’ore e Santana aveva tempo di riscaldarsi per la prossima classe, avevano lo spettacolo di fine anno quella sera e non avrebbe permesso a nessuno di sbagliare anche solo un passo.
Dopo aver visto quelle ragazze il giorno prima non le era più capitato di avere visite di nessun tipo e ne era grata, poteva tornare a far finta che non stesse succedendo nulla di strano, era una persona sana, lucida e-
“Merda.”
Non conosceva quella voce, nessuno dei suoi alunni aveva un tono così acuto, si girò e si ritrovò davanti un ragazzo in preda al panico, nella sua cucina. Com’era finita nella cucina di un gay depresso? – perché non poteva vestirsi in quel modo ed essere etero.
"Che problema c’è, porcellana?” Santana sapeva, in qualche modo, che il suo nome era Kurt, ma ‘porcellana’ gli stava meglio, s’intonava con la sua carnagione chiara che si era leggermente arrossata per colpa del nervosismo.
“Perfetto” mugugnò raccogliendo un vassoio da terra: “Adesso m’immagino anche i bulletti delle superiori.”
Santana si sentì leggermente offesa: non era un’immaginazione e non aveva bullizato nessuno alle superiori, anche se era sempre stata un po’ una stronza. “Mi stai dicendo che sei capace d’immaginarti anche le ragazze?” Ok, era ancora una stronza, ma il ragazzo l’aveva offesa.
“Certo, chiamami anche ‘checca’ e abbiamo completato la lista di ricordi deprimenti.” Si sentiva stupido a parlare da solo, ma doveva pur sfogarsi con qualcuno, no?
“Ehi. Respira, compagno unicorno. Volevo solo sapere cosa ti stesse facendo dare di matto.”
Kurt fermò il suo movimento spasmodico, appoggiò le mani sul bancone da cucina e prese un respiro profondo. C’erano così tante cose che non andavano: prima di tutto suo fratello era un marine che stava per andare in guerra, suo padre era appena uscito dall’ospedale dopo un infarto, non aveva un piano per il futuro, l’unica cosa che aveva era un appartamento e un lavoro in un bar schifoso e non riusciva neanche a preparare una colazione decente per Finn.
Fece un altro respiro cercando di non mettersi a piangere e si girò verso il frigo, avrebbe ricominciato tutto, partendo dall’impasto dei pancakes che si erano bruciati e finendo col pulire il vassoio sporco che gli era caduto a terra prima.
Finn lo vide fare su e giù per la stanza dalla sua posizione appoggiata allo stipite della porta e gli chiese: “Ti è successo di nuovo, vero?”
Kurt si bloccò fissando suo fratello: “Successo cosa, Finn?” Aveva l’aria stanca.
L’altro si sedette al tavolo facendogli cenno di fare la stessa cosa e Kurt obbedì anche se era un po’ riluttante.
“Ieri sera, prima che arrivassero i nostri genitori, hai fatto visita a qualcuno, vero?”
Kurt strinse gli occhi, non capiva una parola di quello che stesse dicendo Finn.
“Ti sei trovato all’improvviso in un altro posto, senza motivo?”
Ripensò alla pioggia che gli bagnava i vestivi, a quello che era così chiaramente un funerale, al ragazzo triste e bagnato e si trovò a fermarsi sul modo in cui le gocce d’acqua gli evidenziassero le ciglia lunghe, al cappotto lungo che indossava. Era davvero caduto in basso, stava inventando qualcuno su cui rilasciare le sue frustrazioni.
Chiuse gli occhi, stanco di quella conversazione che era appena iniziata.
“Non sono veramente andato da qualche parte, era solo-“ provò a spiegare, come se stesse parlando con un bambino piccolo.
“Cosa? Un sogno ad occhi aperti?” finì Finn per lui.
“Sì!” rispose Kurt esasperato, quella spiegazione gli bastava.
“Che mi dici della pioggia allora?” Sorrise, consapevole di averlo messo in difficoltà: “Siamo in otto, tutti collegati, è una cerchia di persone da tutto il mondo, possiamo farci visita e toccarci, ma solo noi sappiamo cosa sta accadendo perché è tutto un fatto di empatia.”
Kurt rimase in silenzio per qualche secondo, poi chiese, scettico: “E chi ti avrebbe detto questa cosa?”
“Brittany. Una ragazza della nostra cerchia, dovresti conoscerla!” 
“Certo, sicuro. Smetti di farti, Finn.” Lo attaccò alzandosi e andando a prendere una giacca e un cappello. Era davvero esausto, stanco di tutto e di tutti.
“Dove vai?” urlò Finn seguendolo fino all’uscio.
“A farmi una passeggiata per cercare di ‘connettermi’ con qualcuno!” lo prese in giro prima di sbattersi la porta alle spalle.


 
Scrittirce in canna's corner
Ed ecco il secondo capitolo! 
D'ora in poi le scene saranno tutte così: un po' di meno, ma molto più lunghe. 
Inoltre, scrivendo e scrivendo, mi sono accorta che almeno per i prossimi tre capitoli, ad aprire saranno sempre le Brittana o Kurt, il che forse non è proprio l'ideale, ma la linea temporale non mi lascia scelta. Giuro che non l'ho fatto apposta!
Vedo che - nonostante lo show sia finito e EFP stia lentamente cadendo nel baratro dei dimenticati - la storia è stata discretamente aprezzata e ve ne sono grata! 
Non ho altro con cui assilarvi, ci vediamo nel finesettimana/all'inizio della rpossiam settimana con il terzo capitolo.
Vostra, 
Scrittrice In Canna.
   
 
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