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Autore: endif    12/04/2009    6 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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EDIT: Capitolo revisionato e corretto.


CAP. 8

LA DURA REALTA’

BELLA

«Si accomodi, prego.» Disse una voce femminile, ma con solo la parvenza di un tono gentile.

Mi avvicinai ad una poltroncina vicino ad una lunga scrivania di legno cercando di avere un passo sicuro e mi lasciai cadere su di essa. La situazione era molto peggio di quanto mi aspettassi.

Dinnanzi a me c’erano non uno, ma tre visi che scrutavano con distrazione dei fogli dinnanzi a loro. Erano due uomini ed una donna. Mi guardai in giro nervosa: la stanza non era affatto accogliente. Ma come poteva esserlo un posto dove si concentravano le angosce, gli intimi problemi e le paure delle persone? Notai distrattamente un lungo specchio riflesso in uno dei vetri dei tanti diplomi incorniciati affissi dinnanzi a me. Sembrava che stessimo per prepararci ad un interrogatorio più che ad una seduta di terapia d’analisi e che quelli fossero giudici in attesa di emettere un verdetto, piuttosto che medici aperti ad accogliere e districare le reali ed immaginarie difficoltà dei loro pazienti.

Mi riscossi dal corso dei miei pensieri quando l’uomo alla destra della dottoressa si schiarì la voce e disse «Signorina Swan, io sono il dottor Grange, lui è il dottor Peterson, e lei la dottoressa Oliva. Io e la dottoressa Oliva siamo psicologi, e siamo molto contenti che a questa seduta sia riuscito ad intervenire anche il collega Peterson, che vanta una lunghissima esperienza in questo campo … »
Osservai l’esperto. Era anziano, basso e tarchiato. Sembrava annoiato da sotto gli occhialini cerchiati d’oro. Al momento lo ritenni inoffensivo, senza neanche immaginare che a breve si sarebbe rivelata una valutazione clamorosamente sbagliata.


«Allora signorina Swan, ci parli un po’ della sua vita a Forks.» Mi incoraggiò la dottoressa.

Inspirai e cominciai a descrivere a grandi linee una mia giornata tipo. Ogni tanto il dottore che mi aveva parlato per primo e la dottoressa mi interrompevano per chiarire qualche passaggio, ma mi stupii di riuscire a parlare così fluidamente. Mi complimentai con me stessa. Stavo andando alla grande. Ero la tipica adolescente in crisi per la separazione dei suoi genitori, non adattatasi al recente trasloco, che aveva fatto un colpo di testa per la fine della sua storia con il suo ex-ragazzo.

Presi coraggio e continuai ancora più spedita.

Mi stavo lamentando della perenne umidità di Forks, con aria veramente afflitta, quando il dottor Peterson che era rimasto in silenzio fino a quel momento parlò:

«Allora Bella, la pioggia non ti piace?» Il suo commento mi spiazzò. Mi riportò alla mente l’aula di biologia, lo sguardo del mio compagno di banco su di me, l’oro caldo dei suoi occhi fissi nei miei …

«No, direi di no.» Risposi automaticamente e la voce mi si fece d’un tratto un sussurro.

«Avrei detto il contrario, vista la tua passeggiata notturna dell’altra sera.» Continuò imperterrito il dottore.

«Sì, beh avevo bisogno di un po’ d’aria …» Mi concentrai con attenzione sulla “versione ufficiale” che avevo maldestramente fornito a Charlie in veste da lavoro.

«Capisco.» Disse lui ed ero certa che le sue parole stessero nascondendo qualcosa.

Continuava a fissarmi da dietro gli occhialini con sguardo determinato. Non era assolutamente predisposto a farsi rifilare la mia interpretazione da attricetta di terza serie e sotto l’aspetto compito mi sembrava provare disprezzo nei miei confronti. Arrossii fino alla punta dei capelli. Quell’uomo non mi conosceva, eppure aveva già deciso che fossi da condannare … non avevo bisogno anche del suo sguardo sprezzante, mi bastava quello che ogni giorno mi lanciavo allo specchio da sola a farmi sentire ripugnante.

«Allora, cosa hai escogitato per la prossima volta? Taglio delle vene? Avvelenamento da sonniferi?» La sua voce era di ghiaccio. I suoi colleghi lo fissavano allibiti, io avevo aperto la bocca per ribattere, ma l’avevo richiusa immediatamente. Quel Peterson pensava che avessi tentato di suicidarmi. Compresi d’un tratto la delicatezza della situazione in cui mi trovavo. Quegli individui dinnanzi a me dovevano decidere della mia salute mentale e la situazione aveva preso una piega pericolosa.

«Niente di tutto ciò, dottore, le assicuro che non intendo affatto togliermi la vita.» Sfoderai un tono che voleva essere sicuro, convincente, ma che alle mie stesse orecchie suonò implorante.

«Volete seguirmi nella stanza affianco colleghi?» Il dottor Peterson si rivolse agli altri due, senza staccare gli occhi da me. Io avevo abbassato i miei, incapace di reggere l’accusa nei suoi.

Si alzarono e uscirono dicendomi di attendere lì per qualche minuto.

Quando udii chiudersi la porta, mi appoggiai stanca allo schienale della poltrona e chiusi gli occhi. Mi abbandonai allo sconforto. Avevo voglia di fuggire da tutti e, invece, mi sentivo in trappola. Sospirai ed aprii gli occhi. Avevo bisogno di muovermi. Mi diressi alla finestra che dava sulla strada e guardai le auto scorrere veloci. Chissà cosa si stavano dicendo, cosa dicevano di me in quel momento, cosa avrebbero detto a Charlie.

Non mi importava nulla del loro giudizio, ma mi dispiaceva che mio padre potesse soffrire per me. Era solo per lui che stavo affrontando tutto questo, per tranquill … Mi bloccai rigida e sbarrai gli occhi.

Li sbattei un paio di volte per mettere a fuoco e, poi, con entrambi i palmi sul vetro mormorai debole il nome della persona che avevo riconosciuto uscire da un noto atelier di moda

«Alice».


CHARLIE

Mi ero alzato in piedi non appena i tre dottori erano emersi dalla stanza. Bella era rimasta lì dentro per un bel pezzo, ma non uscì con loro. Li guardai in preda all’ansia, ma la donna mi sorrise con fare rassicurante e mi fece cenno di aspettare che mi chiamassero. Poi, si chiusero in una stanzetta attigua. Ritornai a sedermi e guardai Jacob. Sembrava che stesse seduto sui carboni ardenti. Quel ragazzo era davvero un cuor d’oro, si stava facendo in quattro per Bella, niente di nemmeno paragonabile a quell’altro, quell’Edward …

Sentii crescere in me la rabbia, un lusso a cui quelli che facevano il mio mestiere non potevano abbandonarsi neanche un attimo, e la soffocai. Era l’ennesima volta che Bella aveva rischiato la vita in circostanze a dir poco ambigue, circostanze che vedevano più o meno direttamente coinvolto anche Cullen. Il ragazzo apparteneva ad una famiglia di tutto rispetto, si era comportato sempre in modo irreprensibile, con fare compito, educato … quasi un gentiluomo d’altri tempi! Ma, poi, l’aveva abbandonata e Bella era come morta. Lei non ne aveva fatto mai parola con me ed io avevo rispettato il suo dolore senza forzarla ad alcuna confidenza. Non ne aveva voluto sapere di ritornare da sua madre a Jacksonville e non l’avevo obbligata in alcun modo, ma adesso la situazione mi stava sfuggendo di mano. Bella era diventata un pericolo per se stessa, aveva bisogno di aiuto.

La porta della stanza in cui i tre medici si erano riuniti si aprì e fui invitato ad entrare.

Avevo un’orribile sensazione, ma mi alzai lanciando uno sguardo eloquente a Jacob indicando la porta della stanza in cui si trovava ancora Bella. Il ragazzo annuì appena con un cenno del capo.

Entrai nella stanza dei medici.

La stanza era in penombra e loro erano in piedi vicino a quello che avevo riconosciuto essere un finto specchio, di quelli che si usano in alcuni distretti per osservare il comportamento degli indiziati sottoposti ad interrogatorio. E loro stavano osservando mia figlia. Mi venne la nausea al pensiero che la mia bambina fosse all’oscuro di tutto e trovai la cosa una terribile violazione della sua privacy.

«Ma è proprio necessario?» Ed indicai il vetro con un cenno del capo.

«Si tranquillizzi, Sig. Swan, siamo medici, non guardoni. E questo si rivela a volte un utile strumento diagnostico.» Aveva parlato un individuo bassino, doveva essere il pezzo da novanta di cui mi erano state decantate le lodi in centrale.

Annuii e attesi. Con un cenno mi fecero segno di avvicinarmi.

«Dunque, Sig. Swan, sua figlia è in discrete condizioni psichiche. Ha mantenuto una buona capacità di ragionamento e lucidità durante tutto il colloquio, e non ha evidenziato gravi disturbi emotivi, tuttavia, …» la dottoressa che stava parlando con tono che pareva rassicurante, tentennò lanciando uno sguardo a quello bassino. «Tuttavia la lunga esperienza del dottor Peterson nel campo adolescenziale e psichiatrico, ci suggerisce di essere molto cauti nella valutazione di una giovane che ha vissuto traumi ravvicinati.» Terminò più convinta.

Il dottor Peterson mi guardò dritto negli occhi e sembrò avere mille anni. «Le suggeriamo un ricovero preventivo in una struttura adeguata dove potrò io stesso seguire la ragazza con una terapia di sostegno psicologica ed eventualmente farmacologica.» Disse senza mezzi termini.

Volevano ricoverare Bella? Mi girai a guardarla interdetto. Si era avvicinata alla finestra distratta e guardava la strada. La mia bambina in un manicomio?

«So cosa pensa, Sig. Swan, ma mi creda non è quello che immagina. Le strutture di cui le parlo non sono quelle in cui venivano abbandonati i pazienti decenni addietro. Sono strutture moderne, con personale qualificato che sa far fronte alle situazioni di emergenza. Sua figlia soffre di un disturbo di personalità, direi che si tratta di un soggetto bipolare, alterna, cioè fasi positive con fasi depressive.» Il dottor Peterson mi guardava condiscendente, con compassione. Nei suoi occhi passò un’ombra, ma poi si girò fissando Bella attentamente.

«Sig. Swan, so cosa prova. Ho avuto una figlia nelle stesse condizioni di Bella, solo che a quel tempo non c’erano tutte le tecniche attuali e non è stato possibile salvarla da se stessa. Sarà in ottime mani, mi creda, noi …» si bloccò, i suoi occhi divennero due fessure.

«MALEDIZIONE, PRESTO!!» e si precipitò nell’altra stanza. Lo osservai con perplessità, ma, poi, guardai Bella e capii.

Singhiozzava agitata e tentava di aprire istericamente le ante della finestra del sesto piano di quel palazzo.



NOTA DELL'AUTRICE:

cloe cullen: Benvenuta nel nostro club di piccole disperate!! Spero che non ti abbia ispirato una storia troppo triste, la mia in fondo è piena di amore… Baci

elenapg: purtroppo Bella è destinata ad altre dure prove… non mi picchiare! E hai ragione, Alice e Jasper sono una forza, io li adoro.

keska: la penso proprio come te. Non era possibile che due persone che si amano tanto non abbiano un legame oltre il tempo e lo spazio … Grazie per la tua recensione, non sei obbligata a commentare sempre, ma mi fa piacerissimo quando leggo le vostre opinioni! Baci

goten: su, non fare così…! Per la legge di Murphy se qualcosa deve andare storto, andrà storto di sicuro! Baci

   
 
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