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Autore: Snow_Elk    25/05/2016    0 recensioni
Fuori pioveva, la finestra aperta lasciava entrare qualche goccia d’acqua che si infrangeva silenziosa sul pavimento. Fuori pioveva, sentiva la sinfonia della pioggia, ma lei non provava freddo, si sentiva bruciare dentro. Quando riaprì gli occhi trovò nello specchio dinanzi a lei il riflesso di due rubini che la fissavano nel buio della stanza, uno sguardo che non aveva bisogno di descrizioni, uno sguardo che pretendeva una risposta silenziosa e il suo fiato corto, i brividi che la facevano tremare gliel'avevano appena data. Non aveva scampo, era diventata schiava di una passione insana di cui aveva assaporato solo il principio.
“ Sei mia… piccola Alice” un solo, unico sussurro e poi solo il buio.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: Lemon | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Sovrannaturale
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A Black Lotus as Night

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Episodio XII- Bugie e Tormenti

Il giorno dopo
 
Il cimitero era immerso in una quiete surreale, sembrava che qualunque suono venisse inghiottito dal vuoto, o forse era solo lei che non era molto abituata a quel genere di silenzio, non così profondo, non così’ lungo da costringerti ad ascoltare i tuoi stessi pensieri, e i suoi non le sussurravano niente di buono.
Odiava i cimiteri, le ricordavano la cupa archiettura di Bariura, delle sue immense città cupe, ricoperte di vetrate e statue, le davano un senso di impotenza e qualcosa di vagamente simile alla nausea.
Odiava i cimiteri perché sua madre era sepolta in uno di essi, ricordata da un nome scolpito sul marmo bianco, da una statua priva di calore, dai fiori che lei ed Elza le portavano ogni mese, perché suo padre non voleva vedere quella tomba senza voce, non voleva ricordare. Come poteva dimenticare?
 
Strinse i pugni e si limitò ad osservare il cielo:
era nuvoloso, qualche timido raggio di sole riusciva a oltreppassare quel manto grigiastro, perdendosi in lontanza tra gli edifici e le mura della capitale. Era quasi l’ora del tramonto, ma non c’era calore in quel cielo.
Sospirò, riprese la vanga e in silenzio continuò il lavoro senza troppi pensieri per la testa, dopotutto c’era solo lei in tutto il cimitero e la sua concentrazione era focalizzata sul lavoro, ogni distrazione riportava a galla qualche vecchio ricordo in mezzo a quella foresta di pietra e non le andava di ritrovarsi con un nodo alla gola.
Stava per finire quando si fermò: quel viso pallido sembrava ancora sorridere, un piccolo sorriso quasi impercettibile, non c’era più nessuna espressione sadica, niente sangue, nulla. Non sembrava nenche più lei.
 
- Era solo una ragazzina... – la voce di Kikuri alle sue spalle la fece trasalire e si voltò incontrando il suo sguardo: indossava il suo classico kimono, un kaleidoscopio di colori e forme, ma si vedevano ancora le bende che le ricoprivano parte del corpo. Non si era ancora ripresa dal terribile scontro all’ospedale,  e se doveva essere sincera con se stessa nemmeno lei, ma non tanto per le ferite fisiche, quelle erano il male minore.
Notò che lo sguardo della ballerina era un misto di emozioni indistinguibili, qualcosa che ben pochi sarebbero riusciti a tenere dentro, a mascherare con altro.
- Già – si limitò a rispondere, lanciando un cenno di saluto a Sefia che era accanto alla ballerina oscura: anche lei portava addosso i segni visibili dello scontro, ma la felicità del risveglio della sua amata era la cura a tutti i suoi mali, glielo leggeva negli occhi.
 
Alice riprese a ricoprire il corpo senza vita della mezza demone, con l’amaro in bocca: proprio perché era solo una ragazzina non riusciva a concepire quelle sue azioni, così come non accettava che fosse morta, ma quella situazione aveva richiesto una vita ed era stata sacrificata la sua. Era questo il potere folle dell’amore? Lo stesso che l’aveva condotta a fare il doppio gioco? No, nessun doppio gioco, era stato Zebra e la sua ingannevole influenza a farle fare certe cose, a farle desiderare quelle perversioni senz’anima. Se in tutta quella storia c’era un colpevole, beh, era lui.
- Perché? Perché siamo dovuti arrivare a questo? – si chiese, conficcando la vanga nel terreno e trattenendo a stento la rabbia, una rabbia che non riusciva a comprendere.
- Lico era stata soggiogata, il collare che portava al collo ne era la prova inconfutabile, nonché lo strumento con cui Zebra la controllava a suo piacimento, proprio come una marionetta senz’anima – rispose Kikuri e Alice si limitò ad ascoltare, tenendo lo sguardo basso – ma i suoi sentimenti erano veri, non c’era nulla di corrotto, cercava solo qualcuno che l’amasse, che non la facesse più sentire sola e abbandonata a se stessa. Tutto ciò che ha fatto, Alice, lo ha fatto per amore – proseguì.
 
- Come puoi definire questa follia amore?! – esclamò Alice voltandosi verso di lei.
- Morire per compiacere un pazzo? Uccidere e violentare per ingraziarsi uno psicopatico dalla mente perversa?  - aveva letteralmente urlato quelle domande e si morse le labbra per non fare di peggio.
- Se credi che l’amore sia solo felicità e passione significa che non hai capito nulla, Loto Nero – il tono di Kikuri si era fatto terribilmente serio – Io ho quasi ucciso Sefia perché non riuscivo ad accettare di starle lontano, di non poterla amare perché di due diverse fazioni, tu stai avendo una vera e propria crisi perché il tuo cuore, che tu lo voglia ammettere o meno, è diviso tra due uomini, per quanto uno di loro sia solo una maschera indossata da Zebra. E Lico, lei ha dato se stessa alla persona che amava ed era disposta a tutto pur di avere una piccola chance di essere ricambiata. Davvero non capisci? – l’aria si era fatta improvvisamente pesante, pesante come le parole della ballerina oscura che sembravano tanti piccoli aghi pronti a conficcarsi in tutto il suo corpo.
 
- Tutto ciò non ha senso...- sussurò, ridendo sommesamente, ridendo di se stessa e di quanto era stata sciocca. Sefia voleva avvicinarsi per tranquillizzarla ma Kikuri la bloccò allungando un braccio. – No –
- Possiamo essere eroi, deì e demoni, ma saremo sempre influenzati dalle emozioni e talvolta ne saremo anche schiavi. Non vi è scampo, in tutti questi anni tu sei fuggita, ma era una situazione temporanea, hai solo posticipato qualcosa di inevitabile. E questa tua fuga hai visto a cosa ha portato – Kikuri parlava con una tranquillità inumana, non la stava criticando,  nè giudicando, eppure lei si sentiva chiamata in giudizio come davanti ad un tribunale ancestrale: non le era mai capitato di ritrovarsi in una situazione dove il “nemico” veniva perdonato e la vera colpevole alla fine era lei. Non aveva senso, e se ce l’aveva non voleva accettarlo, non riusciva a concepirlo.
Era ferma lì a cercare di accettare quella verità, se così si poteva definire, che si vide oltrepassare da Kikuri. La ballerina oscura si avvicinò alla tomba e con estrema grazia incise il nome della mezza demone sul marmo bianco usando uno dei suoi kunai, dopodiché si inginocchiò e posò una rosa nera sul cumulo di terra chinando il capo per alcuni secondi.
Quello era un ultimo saluto ad una donna, ai suoi sentimenti e anche alla sua follia d’amore, Kikuri stava offrendo un omaggio funebre alla ragazza che aveva tentato di assasinarla mentre era ancora in coma, le stava offrendo le sue scuse per non aver capito prima che la prima a soffrire era stata proprio lei.
 
Alice si vergognò per come si era comportata pochi minuti prima e rimase in silenzio, qualsiasi parola sarebbe svanita nel nulla, sospinta via dal vento.
Sentì la mano leggera di Sefia che le stringeva la spalla e sorrise, la dama bianca aveva capito come si sentiva e quel gesto era un modo semplice per tranquillizzarla. Kikuri si rialzò e le ripassò accanto ma prima che potesse aprir bocca fu lei a parlare:
- So cosa ti aspetti da me, sapevo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato – quella sfumatura di serietà era svanita, quelle parole lasciavano un retrogusto dolciastro – e non mi tirerò indietro, è un mio dovere. Vediamoci alla locanda “Stella del Nord” tra due ore, mi troverai al tavolo in fondo alla sala – concluse  e senza aggiungere altro proseguì verso l’uscita del cimitero e Sefia si limitò a seguirla.
Alice si ritrovò di nuovo da sola in mezzo al dannato cimitero e lanciò uno sguardo alla tomba della peccatrice:
- Sarai l’ultima vittima di questa follia o farò anch’io la tua stessa fine? – chiese pur sapendo che non avrebbe ricevuto alcuna risposta e dopo alcuni minuti abbandonò quel luogo e tutti i ricordi che tratteneva nei suoi rovi.
 
                                                                [...]
 
Due ore dopo
 
Aveva raggiunto la locanda “Stella del Nord” senza troppi problemi e si presentava come una versione più “elegante” e meno caotica del Picchiere Nero, il che le andava più che bene dato che non era una grande amante dei luoghi “nuovi”.
Il sole stava iniziando a tramontare e la sua luce rossastra entrava dalle finestre e rischiarava l’intera sala, creando una strana sinfonia di luci con le candele e le lanterne sparse per l’immensa stanza.
Kikuri era seduta al tavolo in fondo alla sala proprio come aveva detto, accanto ad una grande finestra che dava direttamente sul vuoto e sulla parte bassa della capitale offrendo un piccolo spettacolo per gli occhi.
Sul tavolo c’era una bottiglia mezza vuota di animanera e la ballerina oscura stava tirando giù l’ennesimo bicchiere come se fosse acqua.
- Non dovresti bere a quel modo, non dopo tutto quel tempo passato in coma – la ammonì accomodandosi di fronte a lei con un mezzo sorriso stampato sulle labbra.
- Dopo quello cho ho passato tra La Veda, il coma e il resto berresti anche tu come sto facendo io- rispose la donna versandole da bere  e rimpiendo nuovamente il suo bicchiere appena svuotato.
- Touché, ammetto di aver alzato un pò il gomito dalla fine di quella dannata battaglia, non che mi dispiaccia, ma tavolta non riesco davvero a fermarmi – Alice afferrò il bicchiere con decisione e dopo aver osservato i riflessi ambrati del suo liquore preferito lo tirò giù con gusto, rabbrividendo leggermente mentre la sensazione di tepore l’avvolgeva come un lungo abbraccio.
- Sai c’è stata una volta che...-  stava per raccontare una vecchia figura magra al Picchiere Nero ma fu interrotta.
- Alice – Kikuri aveva poggiato il bicchiere semivuoto.
- Cosa? –
- Che cosa ti turba? -  sì sentì fulminare dallo sguardo della ballerina. Capì che non era andata lì per chiacchierare e scherzare come ai vecchi tempi e di punto in bianco sentì l’ansia e l’angoscia che fino a poco prima di entrare l’avevano accompagnata come due guardie silenziose. Deglutì e buttò giù un altro bicchiere:
- Non so come spiegarlo, ma da qualche tempo ho degli strani mal di testa, o meglio delle fitte di dolore ogni volta che penso a mia sorella Elza... ma non è questo il vero problema – non riusciva a trovare le parole adatte a descrivere quello che sentiva, quello che aveva passato.
- E allora cosa? –
- Un paio di giorni fa ho avuto una sorta di “visione” allo specchio... ho visto me, qualcun’altro e una scena che mi ha terrorizzata, che mi ha... – si fermò, vedendo che le mani le tremavano nel ricordare quel momento, ma doveva farsi forza, non poteva farsi bloccare a quel modo.
- Prima ho visto cambiare il mio stesso volto, per metà ero io, mentre l’altra parte raffigurava qualcun’altro, qualcuno che non sono riuscito a ricordare eppure era così... familiare – Kikuri s’incupì di colpo ma non aprì bocca, continuando ad ascoltarla e al tempo stesso a sorseggiare il liquore.
- Poi la scena è cambiata, c’era una tomba, c’era Mifune, c’eri tu e molti altri volti familiari e su quella tomba c’era il mio nome, Kikuri, il mio nome! – sentì che la voce le tremava e cercò di calmarsi, l’eco delle emozioni che le aveva scatenato quella visione si era fatto sentire in lontananza. Kikuri continuò a tacere.
 
- Che cosa significa quella visione? Perché ho visto quelle cose? Perché mi sembrava così familiare? Era come se riuscissi a sentire la pioggia, il freddo, la tristezza di tutte quelle persone accanto alla tomba. Sto forse impazzendo? E’ un altro dei sortilegi di Zebra? – la brama di risposte la stava divorando dall’interno.
- No – Kikuri abbassò lo sguardò e finì di svuotare la bottiglia di liquore.
- E allora cosa potre.... aspetta! C’era una ragazza che piangeva accanto alla tomba, quando ho cercato di capire chi fosse non ci sono riuscita, ho avuto di nuovo quelle fitte e...-
- Quella ragazza eri tu – Kikuri pronunciò quella frase con estrema lentezza e Alice si bloccò di colpo come se trafitta da una lancia ghiacciata.
- Cosa?! Ma non ha senso, io che piango davanti alla mia stessa tomba? Neanche la mente più perversa potrebbe mai immaginare una scemenza simile – le sembrava di aver balbettato ogni singola parola, ma non vi diede peso.
- Non hai capito, quella ragazza eri tu e stavi piangendo davanti alla tomba di Alice...- la ballerina oscura continuava a tenere lo sguardo basso.
- Ma io sono Alice! – rispose lei come se si stesse difendendo da qualche accusa.
- Quella non era una visione... quello era un ricordo –
- Ma cosa vai blaterando? Avanti Kikuri, l’animanera deve averti dato alla testa e...-
- Alice è morta! Tua sorella è morta!- esclamò la ballerina sbattendo i pugni sul tavolo e alzando lo sguardo: aveva le guance rigate dalle lacrime.
 
Sì sentì mancare e rimase bloccata, come pietrificata, ma al tempo stesso stava tremando, tremare a causa della paura.
- Alice, il Loto Nero, è caduta ufficialmente nella battaglia di La Veda, è stata uccisa da Atro... non dimenticherò mai quel giorno. Sapevamo che ci sarebbero state delle vittime, io stessa pensavo che la mia vita sarebbe finita, ma nessuno avrebbe mai immaginato che quel giorno la Dea Falce sarebbe caduta. Tua sorella...-
- Basta! – urlò scagliando il bicchiere contro il muro e mandandolo in frantumi, i pochi clienti presenti oltre a loro lanciarono qualche occhiata fugace per poi tornare alle loro attività. Nessuno voleva intromettersi in quella discussione.
- Elza...-
- Io mi chiamo Alice! Sono la figlia dell’Imperatore di Bariura, comandante dei Loto Nero, conosciuta come la Dea Falce e mia sorella...- si bloccò di colpo, non ebbe alcuna fitta di dolore, ma solo il vuoto, un tremendo e opprimente vuoto.
- Non ricordi nulla, vero? E’ come se i ricordi ti fossero stati cancellati, non è così? – Kikuri tentava di mantenere un tono pacato. Si sentì morire dentro ma fu costretta ad annuire.
- Quel giorno sei corsa in soccorso di Alice, hai combattuto ed ucciso Atro, ma ormai era troppo tardi: Alice era in fin di vita  e la battaglia infuriava in tutta la città, nessuno poteva fare niente per salvarla, ma tu non riuscivi ad accettarlo. Non ti sei mai ripresa da quel giorno... – ognuna di quelle parole era una pugnalata, frase dopo frase l’intera concezione che aveva di se stessa stava andando in frantumi e con gli occhi sgranati fissava Kikuri incredula.
- Io...sono... Alice. Io sono....- continuava a ripetere quella frase per se stessa o per gli altri??
- Non ricordi nulla perché quando Alice è morta hai deciso di prendere il suo posto. Non potevi accettare che la tua sorellina non ci fosse più e hai deciso di sacrificare la tua vita per lei. Nessuno ha voluto obiettare, eri distrutta emotivamente, e Shida ha accettato di eseguire il rituale. In quel giorno di pioggia tu hai smesso di essere Elza e Alice è tornata a vivere... fino ad oggi- sussurrò indicando uno specchio alle sue spalle e quando il suo sguardo incontrò il riflesso ne rimase scioccata:
non c’era Alice seduta a quel tavolo di fronte a Kikuri, no, c’era Elza, c’era lei, e stava piangendo.
   
 
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