La sua armatura dorata era sporca, consumata, e i passi
cominciavano a diventare pesanti. Si ritrovò proprio in quel luogo, tornato tra
i cadaveri sibilanti di quelle creature così immense, così immortali. Aveva giurato che mai più avrebbe messo piede tra quelle
rocce, ma forse era una promessa di un’altra vita, di un’altra era, di un altro…
ciclo. Alzò lo sguardo senza cedere al peso dell’elmo e finalmente vide la
traccia che stava cercando da troppo tempo: una statua, un’enorme
raffigurazione del tutto simile a quella che il suo Re, il Primo Signore, aveva
distrutto in preda alla rabbia. Erano ricordi confusi, come se a vivere quei
giorni fosse stato un altro guerriero, un altro cavaliere, forse forte
abbastanza da completare quell’ultimo compito. Ornstein impugnò allora la sua
lancia, fidata compagna di ogni battaglia e unica gloria che gli era rimasta.
Vide arrivare verso di sé due creature armate di Shotel e ormai stanco di quel
cammino nel tempo, li distrusse volteggiando tra fulmini e saette. L’ultimo lo
trafisse frontalmente, senza riuscire a godere di quella vittoria mentre la
lama della lancia perforava la sua pelle, per l’ultima volta. Erano serpenti,
draghi imperfetti, esseri che non meritavano nemmeno la gloria di chi almeno aveva
un tempo governato, eppure non vi era onore in quella uccisione. Proseguì,
senza più voltarsi indietro, senza osservare i monti lontani da cui era
fuggito, dimenticando le grida e le suppliche disperate di chi si era lasciato
alle spalle. Poi finalmente comparve un’ombra nel cielo e il cavaliere del
leone cedette in ginocchio. Un feroce grido riecheggiò tra le rocce della rupe
e l’aria sembrò infiammarsi improvvisamente. Quello non era un semplice
avvertimento, era la chiara risposta a chi stava per presentarsi al cospetto
del Re delle Tempeste. Ornstein ne ero certo, quel grido così roboante e fiero
e quell’ombra maestosa dominare i cieli, erano ciò che caratterizzavano colui
che era sopravvissuto a ogni guerra.
«Ti prego!» gridò il cavaliere pronto a perdere ormai tutto. Si rialzò
dolorante e si avvicinò a un cancello aperto che dava su un’enorme piazza
disseminata di statue. Quelle opere lo soffocavano, gli intimavano di tornare
sui suoi passi ma fu in quella coltre di nebbia carica di elettricità, che il
guerriero dorato venne avanti, ignorando gli avvertimenti, e poggiando la sua Ammazzadraghi all’entrata. Non voleva
combattere, non era tornato per vendicarsi o per porre fine alla sua esistenza
da eroe. Era lì per compiere all’ultima missione che per lui aveva davvero
importanza, per rivedere un’ultima volta colui che l’aveva fatto diventare un
vero cavaliere.
Si tolse anche l’elmo, esausto, respirando così quell’aria infuocata e
minacciosa.
Portò ancora una gamba avanti, poi l’altra, ma cadde al suolo inesorabilmente,
ormai allo stremo. Strinse i denti provando a resistere a quelle lacrime
minacciose e si rialzò ancora una volta sfibiandosi l’armatura dorata e i
pesanti gambali del leone.
«Adesso sono come te. Non ho più un nome, non ho più la mia forza. Se però hai
ancora il tuo onore, ti prego di mostrarti a me un’ultima volta». Non ci volle
molto affinché il vento ululasse al volo della creatura delle tempeste. Un
discendente dei draghi, a loro più vicino di quanto Ornstein potesse pensasse.
Batté le sue quattro ali piumate e si posò al suolo elegantemente, alzando la
polvere e caricando il cielo della forza del sole. Ornstein si inchinò
abbassando il capo e la creatura stese un’ala, permettendo a chi la cavalcasse
di scendere e mostrarsi agli occhi nudi del suo primo cavaliere.
Arrivò davanti a lui, poggiando al suolo la gigantesca spada-lancia con cui
aveva ucciso centinaia di draghi.
«Io… io ti ho cercato, io ero pronto a un’altra guerra, ero pronto a morire pur
di trovarti. Non sono qui per il Re, né per chiunque altro. Non ho fatto tutta
questa strada perché Anor Londo è ormai consumata. È finita, siamo stati
distrutti, Gwyndolin ha perso, Nito e Izalith sono stati sconfitti e il fuoco
sta per spegnersi… Aldrich ha sommerso tutto e io ne sono consapevole».
Il drago delle tempeste soffiava le sue fiamme al cielo e il cavaliere con l’armature
a scaglie di drago osservava l’ormai consumato Ornstein, senza espressione.
«Perché… sei qui?» disse a quel punto.
«Io volevo solo scappare, ma forse… è stato il viaggio che mi ha fatto capire»
disse Ornstein.
«Capire?»
«Che io sono sempre stato fedele a te… l’unico vero Re del sole».
Il cavaliere a scaglie di drago mosse la sua lancia e la puntò alla gola del
guerriero consumato: «Perché sei qui?»
«Perché la storia dovrà ricordare chi è l’erede dei fulmini… Gwynsen,
primogenito del sole».
Il suo nome, cancellato dalla storia e dalle memorie era stato
nuovamente nominato, ma era ciò che legava il Primogenito, il cavaliere del Re
delle tempeste, a ciò che aveva rinnegato.
«Io sono un Re, un Re senza nome, e tu fai parte di un passato
che non esiste più».
Il Re delle tempeste tuonò e il cielo accompagnò il suo volo
facendo tremare le nubi. Il Re senza nome si allontanò e lasciò che il suo
compagno si cibasse dell’ultimo Ammazzadraghi.
Il nome del Primogenito di Gwyn fu così nuovamente
dimenticato, ma la storia dell’erede del sole alleato dei draghi era ormai
eredità della storia, insieme alla sua vera identità.