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Autore: adrasteia    25/05/2016    0 recensioni
«È passato un anno da quel giorno, Grace. Io sono andato avanti. Tu sei una cosa nuova, una storia nuova, diversa.» ammise con onestà. Perché Meredith era stata l'amore della sua vita, ossigeno puro. Grace era il veleno che l'avrebbe ucciso, [...] ma a lui non importava perché quella donna era per lui ormai vitale. Tanto vitale da non poter accettare di essere l'altro, l'ombra di un uomo morto. «Tu sei andata avanti?»
[Questa storia partecipa al contest Di Fluff/Au e Angst]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Sheperd, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Titolo: Shepherd's Anatomy
Nickname forum e EFP: viktoria - adrasteia
Fandom: Grey's Anatomy
Rating: Rosso
Genere: Angst, romantico
Avvertimenti: what if
Note: Pacchetto 1 Angst; amore contrastato.
 

Trovarlo di fronte a sé fu un colpo al cuore. L'ennesimo.

Grace non aveva mai creduto di poter provare di nuovo quelle sensazioni, non aveva mai creduto di poter essere felice, vivere, amare di nuovo dopo che suo marito era morto. Mark era stato il solo amore della sua vita. Lo aveva amato in un modo totalizzante, pieno, fiducioso. Lo aveva amato nonostante le sue assenze ed i suoi ritardi, lo aveva amato nei suoi silenzi e nei suoi colpi di testa e lui l'aveva amata con i suoi capricci e i suoi isterismi. Si erano amati profondamente per molto tempo, avevano costruito una vita insieme, una vita bella, appagante e gratificante. Quella casa che era la loro, quel cane che lui le aveva regalato quando ancora la loro storia non si reggeva neanche in piedi da sola, quel figlio che aveva i tratti di suo padre e gli occhi di sua madre. Ecco cosa era rimasto a Grace della sua storia con Mark.

Grace non era stata pronta a seppellire Mark, a lasciare andare il suo ricordo. Lei aveva ancora bisogno che lui ci fosse, aveva avuto bisogno di amarlo nonostante tutto perché quell'amore era capace di ricordarle i momenti più belli della sua vita ed era tutto ciò che le faceva tornare in mente di essere stata felice.

Un respiro profondo riempì i polmoni di entrambi ma se quello di Grace fu un sospiro appena percettibile quello di Derek parve un suono gutturale, come un animale ferito nel bosco.

Nessuno dei due disse alcunché, lei rimase in piedi accanto a quel letto asettico nel reparto di pediatria del Seattle Grace Mercy West Hospital. Teneva una mano posata sul petto di suo figlio che si abbassava e alzava ritmicamente con una fatica che sembrava poterne provocare la morte.

Il medico stringeva il suo tablet tra le mani, scorreva con il dito sullo schermo per controllare gli ultimi risultati post operatori appena arrivati e, in quella situazione, faceva di tutto pur di non incontrare gli occhi azzurri di quella donna dai capelli biondissimi che si trovava di fronte a lui, fasciata nel solito elegantissimo abito di sartoria che la faceva apparire degna erede di una qualche famiglia reale europea e che era sicuro avesse ancora lo sguardo carico di vergogna e risentimento. Contro se stessa e poi contro di lui.

«Direi che Michael sta bene.» fu tutto ciò che si limitò a comunicare prima di prendere la porta e lasciare quella stanza che gli risultò d'improvviso troppo stretta e quasi asfissiante.

Grace guardò per un attimo il figlio. Aveva solo tredici mesi, un neonato che in così poco tempo aveva già dovuto subire infinite torture e tre interventi. Era nato con mesi di anticipo in seguito all'incidente che Mark e Grace avevano avuto.

Un incidente che Grace non avrebbe mai potuto dimenticare.

Le lamiere delle auto accartocciate, il rumore dello schianto poco prima, il corpo di Mark che aveva fatto l'ultimo disperato tentativo di salvare sua moglie e suo figlio da una morte certa. E quel SUV che procedeva a velocità accelerata sulla corsia opposta. Ricordava ancora con estrema chiarezza le luci del veicolo che arriva ad alta velocità addosso a loro.

«Derek.» lei non aveva avuto il controllo del suo corpo. Gli era andata incontro con la consueta semplicità con cui erano abituati ad attrarsi l'un l'altro, con la tenerezza con cui si erano sempre cercati anche tra milioni di individui.

La sua voce era velata da un tono quasi disperato, un tono basso e compito che risuonò comunque nell'affollato corridoio di quel reparto che era ormai divenuto come una seconda casa per lei. Derek si fermò. Le mani ancora dentro le tasche del camice bianco, le spalle leggermente curve e in volto la rassegnazione di chi è ormai stanco di lottare. Si voltò alzando le mani in segno di resa.

«Non voglio più sentire una sola parola, Grace. Ti prego.» la fermò senza tuttavia aspettare più di un secondo. Proseguì la sua marcia verso gli ascensori che l'avrebbero portato al terzo piano, al suo reparto, ai suoi casi, alla serenità che solo con la lontananza da quella donna riusciva a raggiungere. Perché per lui lei era tossica.

Era cianuro, un veleno tanto potente quanto potente è l'ossigeno.

«Volevo scusarmi.» la voce della donna lo raggiunse ugualmente mentre le sue dita premevano convulsamente i tasti dell'ascensore e, quella voce bella come una melodia al pianoforte, gli bloccò il respiro in gola.

Scusarsi.

Ricordava ancora con chiarezza il litigio che avevano avuto solo pochi giorni prima. L'ultimo di una lunga serie. Lei sembrava essere una grande amante del dramma; non perdeva occasione per litigare, per dargli addosso, per ricordargli le sue mancanze e per rendere molesto anche il gesto più affettuoso. Eppure quel tentativo lo costrinse a fermarsi in mezzo a quel corridoio. Lo costrinse a fermarsi per ascoltare ciò che lei aveva da dire perché, in fin dei conti, sperava ancora che quell'amore malato fosse anche l'amore giusto.

Si voltò verso di lei, i suoi occhi azzurri erano fissi contro quelli della donna che gli stava di fronte. Era bella, di una bellezza drammatica e sconvolgente. Di una bellezza dolorosa.

«Per cosa? Per avermi accusato di essere l'assassino di tuo marito? Oppure per aver insinuato che io avessi intenzione di prendere il suo posto nella vostra vita neanche fossi un...» non si era trattenuto da riversarle addosso tutto il suo disappunto; non aveva fatto nulla per nascondere il suo fastidio e la sua delusione e lei non aveva fatto nulla per fermare quel flusso di parole. Fu lui stesso ad interrompersi prima di poter dire qualcosa di cui si sarebbe amaramente pentito.

Interruppe la frase a metà e incrociò le braccia al petto. Una difesa, una difesa contro quel veleno che a tratti sembrava anche la sua medicina.

«Mi dispiace. Per tutto.»

In quel tutto lei aveva messo ogni cosa. Ogni dramma vissuto, ogni litigio avuto, ogni frase pronunciata, ogni insulto. C'era la semplicità e l'innocenza di un bambino nel suo sguardo, c'era la sincerità di un cuore spezzato nella sua voce, c'era tutto in quelle poche parole.

E Derek abbassò le sue difese. Il suo sguardo si rilassò, le spalle si abbassarono, il petto si svuotò dell'aria che aveva trattenuto inconsciamente ed i suoi occhi divennero tanto benevoli quanto profondamente innamorati.

«Grace...» pronunciò il suo nome come una supplica quando lei fece un passo verso di lui. Grace abbassò lo sguardo ed i capelli lunghi le ricaddero sul petto, di fronte al viso. Lasciò che le accarezzassero la guancia e li scostò catturandoli tra l'indice ed il medio portandoli dietro l'orecchio.

«Lo so, Derek. Lo so che ho esagerato, okay? Sono stata inopportuna...»

«Per usare un eufemismo.»

«...e cattiva.»

«Già è meglio.»

Entrambi, si ritrovarono quasi a sorridere di quello scambio di battute. Le labbra di Derek si sollevarono in una smorfietta che non illuminò a pieno il suo sguardo e quelle di Grace si atteggiarono ad un sorriso che si spense immediatamente in sole tre parole. «Ti prego, scusami.»

Ma per Derek era difficile dimenticare quanto fosse successo. Era difficile cancellare con un colpo di spugna ogni parola, ogni cattiveria ed ogni dolore che lei, come una bambina capricciosa, gli aveva inflitto. Come se fosse solo lei a soffrire, come se lui non fosse profondamente provato da quanto era successo ad entrambi. Come se fosse solo lei ad aver perso la persona che amava.

«In quell'incidente non è morto solo tuo marito, Grace.» le ricordò lui senza esitazioni, con una traccia di durezza nel tono che lei non poteva ignorare. Grace sapeva che ogni sua parola, da quel momento, sarebbe stata pronunciata con l'intento di ferirla, con l'intento di ricordarle quell'evento che le aveva cambiato la vita distruggendola. «Meredith era l'amore della mia vita, era la madre dei miei figli e aspettava una bambina. Non sono l'assassino di tuo marito perché se lo fossi allora sarei anche l'assassino di mia moglie.»

Quel Suv che si schiantò contro la loro automobile era quello dei coniugi Shepherd.

Meredith e Derek erano su quell'auto; lui, alla guida, aveva perso il controllo; un attimo, una sola distrazione e poi lo schianto. Lui era stato il solo ad uscire dalle lamiere quasi indenne, qualche escoriazione, qualche ferita e nulla di più.

Aveva soccorso immediatamente la moglie. Meredith sembrava star bene, non lamentava disturbi, non lamentava nulla ed entrambi non avevano aspettato un secondo prima di aiutare la coppia nell'auto ridotta a brandelli che gli stava di fronte.

Mark Johnson, 38 anni, era al posto di guida. Il suo corpo era riverso su quello della moglie privo di vita.

Accanto a lui Grace Solarin, 24 anni, priva di conoscenza e in stato di gravidanza avanzato. «Meredith era per me ciò che Mark era per te. Ho provato a starti vicino come un amico, come un fratello. Ti sono stato vicino non perché mi sentissi in colpa ma perché ho creduto che...» la sua voce adesso scorreva addosso a Grace come acqua mentre riviveva quei terribili momenti.

La corsa in ambulanza, Meredith era seduta accanto a lei e cercava di parlarle. Lei avvertiva solo un terribile dolore al ventre, un dolore lancinante che sembrava poterla uccidere. Quando parlò le sue prime parole chiedevano del figlio. Poi il buio.

Quando aveva riaperto gli occhi non le era servito molto tempo per scoprire che Mark era morto, che suo figlio era nato dopo una gestazione di appena sei mesi, che era molto piccolo ed in terapia intensiva lottava tra la vita e la morte. Quando aveva riaperto gli occhi Meredith non c'era più e, al suo posto, sedeva un uomo dal viso sconvolto e provato che non ricordava di conoscere. Fu lui a raccontarle tutto: di suo marito, di suo figlio e della dottoressa che le aveva salvato la vita. Era morta anche lei, come il suo Mark.

«Ho creduto che starti vicino potesse aiutarti. Che potesse aiutare anche me.» aveva ragione.

Da allora Derek Shepherd, come scoprì chiamarsi quell'uomo, non aveva più abbandonato il suo fianco. Nel bene e nel male. E lei non aveva fatto nulla per fargli del bene.

Lo aveva messo in croce, lo aveva accusato di ogni cosa, della morte di suo marito, di sua moglie, della vita di suo figlio in pericolo. Lo aveva accusato per la sua depressione, lo aveva accusato di averla sedotta, lo aveva accusato di essere un insensibile e di non aver mai amato sua moglie.

E dopo ogni accusa non era passato molto tempo prima che lo baciasse di nuovo, che facesse l'amore con lui, che lo amasse con una tenerezza quasi infantile.

Dopo ogni litigio venivano le scuse.

Si era innamorata di lui con una semplicità che le aveva fatto paura. Aveva amato Zola e Bailey con un trasporto tale da farle quasi pensare che non avrebbe mai voluto più bene a Michael di quanto ne volesse anche a quei bambini. Li aveva considerati figli suoi, aveva fatto di tutto perché anche loro non la considerassero un'estranea.

Derek l'aveva amata anche per questo.

Ma ogni volta tornavano a litigare, lei tornava a gridare, a piangere e voltandogli le spalle andava via. E lui non poteva accettare ancora una volta che lei lo facesse. Non poteva accettare di essere abbandonato ancora e ancora.

«Sei stata la migliore medicina che potesse capitarmi. Tu, Michael e la nostra assurda, ridicola e traballante storia. Questo non vuol dire che io voglia essere per te quello che era Mark perché tu non sei Meredith.» lui la guardò e nel suo sguardo c'era odio, rancore, amore, comprensione, passione, desiderio, rabbia, tristezza. C'era ogni cosa in quello sguardo che le sembrò potesse divorarla. Anche lei strinse le braccia al petto. Le strinse come se si stesse abbracciando, come se stesse cercando di tenere insieme i pezzi e per un attimo Derek vacillò. Avrebbe voluto essere lui a tenere insieme i suoi pezzi perché nello stringere lei stringeva anche se stesso. E si tenevano insieme a vicenda. Ammorbidì lo sguardo e la voce e in quell'istante mise tutta la dedizione e l'amore che provava per lei. «È passato un anno da quel giorno, Grace. Io sono andato avanti. Tu sei una cosa nuova, una storia nuova, diversa.» ammise con onestà. Perché Meredith era stata l'amore della sua vita, ossigeno puro. Grace era il veleno che l'avrebbe ucciso, la droga che l'avrebbe mangiato dentro giorno dopo giorno fino a lasciarne l'ombra di quello che era prima del suo arrivo. Ma a lui non importava perché quella donna era per lui ormai vitale. Tanto vitale da non poter accettare di essere l'altro, l'ombra di un morto. «Tu sei andata avanti?»

Entrambi tacquero. Grace fece un solo passo verso di lui, un passo che colmò la distanza che c'era tra i loro corpi. Desiderò di averlo nudo, tra le braccia. Desiderò di baciare le sue labbra, di affondare le dita tra i suoi capelli. Desiderò di sentire il suo respiro affannoso contro l'orecchio mentre facevano l'amore, mentre sentiva il suo corpo aderire perfettamente al proprio, mentre lo sentiva dentro di sé con il solito impeto, con quella passione che arrivava dopo ogni chiarimento, dopo ogni “Scusami” che usciva dalle labbra di lei. Desiderò di essere a casa, di poterlo spogliare e di poter assaporare sulle labbra ogni parte del suo corpo, di guardare i suoi occhi che la imploravano mentre gli dava piacere.

Lo sguardo limpido di Grace si annebbiò velocemente di desiderio e, per un solo istante, rivide nel viso di Derek quello di Mark. Rivide nel chirurgo che aveva di fronte l'imprenditore che aveva amato per anni, che era stato la sua ossessione e che l'aveva spinta alla follia. Guardò gli occhi chiarissimi del suo salvatore e vi vide quelli scuri dell'uomo che l'aveva torturata mentalmente e che, nonostante questo, l'aveva tenuta legata a sé per tutta la vita e che, alla fine dei giochi, la vita gliel'aveva anche salvata.

Doveva molte cose a Mark. Lui l'aveva fatta crescere, le aveva insegnato a vivere, ad amare e ad essere amata. Era stato il suo primo bacio, la sua prima volta, il suo primo amore. Era stato crudele fino al limite di ogni immaginazione e allo stesso tempo di una bontà disarmante. E lei lo aveva amato tanto da rinunciare ad ogni altra cosa: alla sua famiglia, ai suoi amici, ad una vita che andasse all'infuori di lui.

Rivide tutte le volte che si erano amati, di notte fino alla mattina seguente. Tutto il sesso, l'amore, i gemiti, i sospiri.

Era stato un anno che le aveva insegnato ad andare avanti, a vivere anche senza quell'uomo intorno cui aveva gravitato la sua esistenza. Era stato un anno che le aveva insegnato il significato di amore e di famiglia. Un anno meraviglioso.

Grace amava sinceramente, teneramente e profondamente Derek Shepherd.

Tuttavia, anche da morto, Mark rimaneva lì a torturarla, ad allontanarla da tutto ciò che potesse salvarla da se stessa e da quell'amore malato; quindi, semplicemente, scosse la testa e, per l'ennesima volta, gli voltò le spalle.

 

 

 

 

  
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