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Autore: artemideluce    25/05/2016    2 recensioni
Posai i miei occhi per l'ultima volta su quel quadro che mi ritraeva, così altera e regale in quella veste dorata, come una dea dell'Olimpo scesa a esibire ai mortali la propria bellezza e magnificenza. Quel quadro che lui aveva dipinto per me, che proseguiva sempre dopo aver fatto l'amore con me, seduto su uno sgabello traballante in quello studio buio e polveroso che era il nostro covo. Tutto di quel quadro mi ricordava i momenti di estasi trascorsi con lui, il mio Gustav, il mio Gustav Klimt.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Threesome | Contesto: Novecento/Dittature
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Sedici agosto 1882 

La sera del compleanno di mio marito organizzammo una cena di gala invitando tutte le maggiori personalità intellettuali e altolocate della società viennese. Tutti gli invitati erano acconciati come fossero alla corte di un re o al cospetto di un imperatore. Per l'occasione Ferdinand si comprò un nuovo completo alla moda, con un panciotto bianco splendente e un farfallino bordeaux, che sotto il suo importante mento sembrava un uccellino appena uscito dal nido. Mi fece una sorpresa e regalò anche a me un abito, uno di quelli alla moda e freschi di sartoria. Anche quell'abito era di un rosso scuro ricamato con fili d'oro che intrecciati davano vita a dei magnifici fiori. Con quell'abito addosso mi sentivo una dea, potevo starmene ore ad osservarmi allo specchio fingendo danze o riverenze. Ero lì, nella mia stanza, accanto alla finestra che dava sulla via principale che fumavo una sigaretta osservando il mondo scorrere attraverso il vetro, quando sobbalzai al tocco di mio marito sul fianco. 

"Cara, finirai con il bruciare il tuo nuovo abito con la cenere, non vorrai doverti presentare in abito da notte spero!" Si vedeva che era in agitazione, la fronte imperlata già di sudore e le mani tremanti; era tipico di lui, si eccitava per ogni nonnulla.  

"Ferdinand, tu davvero vorresti mostrare la tua mogliettina in camicia di seta alla più alta borghesia di Vienna? Su, non temere per il mio abito nuovo, temi piuttosto per i miei nervi che privati di questo fumo inebriante rovinerebbero questa bella serata." Amavo mio marito, mi faceva sentire la donna più bella d'Austria, il suo gioiello più raro, il suo quadro più bello. Eravamo sposati da qualche anno, un matrimonio combinato. Inizialmente mi rifiutai di diventare moglie di un uomo più vecchio di me, di una stazza decisamente troppo avida, goffo, dai baffi pungenti e dalla parlantina accelerata. Eravamo due opposti: io ingorda di letteratura classica, di filosofia, in gioventù mi ribellai alla legge che non permetteva alle donne di fare l'università intrufolandomi con abiti maschili ad un corso di filosofia greca. Lui morigerato proprietario di molte fabbriche di zucchero in Austria e nella Cecoslovacchia, da dove proveniva, era un ricco dotto rampollo di società quando a 35 anni mi prese in sposa. Amava l'arte, passione ereditata dalla giovane madre, e forse fu questo il mio unico appiglio nella vita coniugale, ciò che mi teneva a galla legata a lui, questo mi fece pian piano tenere a lui, con quella tenerezza che si prova davanti ad un bambino di strada o ad un piccolo gattino miagolante. 

Fece un piccolo sbuffo, il suo solito modo di darmi ragione senza bisogno di una discussione, lui le odiava; le guance rosee in un secondo si riempirono d'aria che lascò tutta d'un colpo facendo tremare le labbra. "Che sia mai, mio fiore di primavera. Io volevo solamente.." Fece una lunga pausa e tolse la mano dal mio fianco, con timidezza. Mi girai e spensi la sigaretta nel posacenere di madreperla poggiato sul balcone. Lui aveva abbassato il viso, teneva lo sguardo fisso su una scatoletta di velluto nera, rettangolare, che aveva tra le mani. "Volevo solamente chiederti se.. Se ti andasse di portare il collier di mia madre." La sua voce tremava almeno quanto le sue mani, e non osava alzare gli occhi per paura di un mio rifiuto. Non ero mai stata legata con la sua famiglia, sua madre era sottomessa al marito che l'aveva relegata a ricamare e bere the in casa fino alla fine dei suoi giorni. Presi il suo volto tra le mani e lo alzai e vidi che aveva gli occhi gonfi di lacrime pronti a scoppiare. Capì che ci teneva davvero tanto, così gli dissi che l'avrei indossato per quella sera. Quando aprì quel piccolo cofanetto mi stupii di una così fine manifattura: non mi aspettavo uno splendido girocollo di diamanti incastonati su una maglia d'oro, intervallati da zaffiri del colore del mare, al centro un grosso rubino coronato da piccoli diamanti trasparenti. 

Fu una bella serata, una piccola orchestra suonava in un angolo, c'erano le più alte cariche del governo, attori, scrittori, professori universitari, filosofi e pittori. Stavo conversando con Alma Mahler della sua relazione con il pittore espressionista Oskar Kokoschka quando sentii la sensazione di essere osservata. Iniziai a guardarmi attorno, cercando con lo sguardo tra parenti e amici non so chi che mi faceva questo effetto. E poi lo vidi: lui, quel giovane pittore incontrato al Museo, vestito con una semplice camicia bianca mal stirata, il colletto per metà alzato e un papillon scoordinato dal resto del completo. Restai ferma, incredula, di aver rivisto colui che aveva imprigionato la mia mente tra le setole del suo pennello. Lui era qui, nella mia magione, nel mio palazzo, di fronte a me. Ci separavano molti piedi e molte persone, ma all'improvviso tutto scomparì dalla mia vista, tutto si immobilizzò, la mia vista diventò sfocata, la musica sempre più lontana. Tutto ciò che vedevo era quel ragazzo che dal fondo della stanza mi osservava silenzioso. 

Mi risvegliai nella sala da the, Alma e Ferdinand accanto al mio letto e non appena aprii gli occhi i due sobbalzarono. "Oh cara, stavamo per chiamare il dottore!" disse mio marito, con la voce mozzata dallo spavento. "Su, Ferdinand, lo sai che le donne devono sopportare corpetti e pesanti gonne giorno e notte per voi uomini? E' stato solo una ventata di calore, ora resta qui un poco, ti faremo portare del the dalla cameriera." Alma scacciò mio marito, lo rimandò alla sua festa. 

"Grazie, non mi era mai accaduto. Il vestito è nuovo, la sarta avrà sbagliato le misure del corpetto, domani vado a farlo sistemare.." Ero ancora un po' confusa e stordita, ma mi sentivo meglio con il corpetto slacciato e un po' aperto sul davanti. Alma era seduta sulla lettiga accanto a me e mi parlava dolcemente. "Ho visto che lo guardavi." 

"Come? Chi? Io?" La testa tornò a sobbalzare e mi riappoggiai al cuscino di seta verde. 

"Sì, tu, Adele. Tutti ne parlano alla gilda dei pittori, si dice sia un visionario." Mi rispose, guardandomi negli occhi con quel suo sorriso beffardo. 

"L'ho incontrato al Kunsthistorisches mentre dipingeva il cortile. Mi ha stregata." Dissi l'ultima frase con un lieve imbarazzoSono stata una donna ribelle, ma mai avrei creduto di pensare ad un altro uomo oltre a mio marito, mi sentivo come Didone dopo aver incontrato l'eroe troiano. "Agnosco veteris vestigia flammae..*" Riconosco I segni dell'antica fiammaconfessava la regina di Cartagine alla sorella, un po' come stavo confessando la mia attrazione per quel giovane ad Alma.
"Vero, la tua passione per le tragedie greche. - Si interruppe di colpo e si alzò di scatto- Oh. Vi lascio soli" E se ne andò dalla stanza con la sua tipica camminata ancheggiante che l'aveva resa amata dagli intellettuali viennesi e con il suo sorriso malizioso impresso sul volto. Mi alzai di scatto, pensando fosse la servitrice con il the. Invece fui sorpresa a vedere proprio lui, quel giovane pittore, di fronte a me, ma a distanza di rispetto.
 

"Chiedo scusa, non voglio creare disturbo. Volevo solo sapere come stavate, signora Bloch-Bauer." Teneva le mani aggrovigliate all'altezza dell'ombelico, ancora sporche di vernice, e lo sguardo basso.  

Cercai di coprirmi il più possibile l'apertura del vestito con un lembo della gonna. "Sono io a chiederti scusa.Ciò che è accaduto non si addice ad una signora in presenza dei suoi ospiti. E mi scuso di essere indisposta in questo momento.- Feci una breve pausa. I nostri occhi non si staccarono nemmeno per un secondo. Tra di noi una scossa elettrica, un'attrazione quasi carnale. - Vieni, siediti." Si accomodò sulla poltrona accanto a me. 

Non ricordo bene come, ma dopo indeterminati secondi di silenzio, tutto d'un tratto le nostre labbra erano si sfioravano, le sue mani tra i miei capelli, le mie sulle sue spalle. Sentivo il calore della sua pelle da sotto la camicia e il suo cuore andare veloce come un treno, la mia mente era in estasi e il mio corpo ribolliva d'una sensazione che avevo dimenticato. Con una mano scostò la mia pudicizia e con un dito toccò lievemente una mia clavicola, e a quel contatto un'altra scarica di brividi percorse tutte le mie membra. Le nostre bocce si trovavano e perdevano in una danza di sensi e di respiri, si prendevano e comprendevano come due giovani amanti, colte dal timore di essere scoperti. Così come iniziammo, finimmo il nostro amplesso fatto di baci, e lui tornò a sedersi nella sua poltrona, risistemandosi la camicia malconcia. Dalla tasca estrasse un carboncino arrotolato in un foglio, prese un libro dal tavolino lì accanto e ci appoggiò sopra i suoi strumenti. Non avevo mai visto un pittore all'opera così da vicino. Mi guardò attentamente e mi parve che mi scrutasse l'anima da quanto i suoi occhi erano penetranti, e si mise a disegnare. 

"Sono venuto qui per questo, Adele. Per cogliere la tua anima e tenerne un pezzo con me."

   
 
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