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Autore: EnderScribble    25/05/2016    0 recensioni
/Versione Finale della serie ambientata durante "Le Origini"/
Jack Hiddenblade, un giovane Nephilim desideroso di mettersi alla prova, giunge a Londra, la sua casa, a seguito di strane voci di omicidi e di un simbolo che per quelli come lui ha un grande valore.
I Templari, ritenuti ormai tagliati fuori dal Mondo Invisibile stanno crescendo sempre più nell'Enclave.
Ma chi è il misterioso Magister che intendono sfruttare? E cosa sono i Congegni Infernali?
Solo il frutto della geniale mente di un mondano, o un tassello di un puzzle i cui pezzi furono sparpagliati migliaia di anni or sono per il mondo e che l'unica cosa che li accomuna tutti è un frutto? Un frutto dell'Eden.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Carstairs, Nuovo personaggio, Theresa Gray, Un po' tutti, William Herondale
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Il piroscafo Main avanzava spedito lungo il corso del fiume Tamigi. Camminando sulla passeggiata di prua, a Jack sembrava di poter annusare nell’aria l’odore delle mille opportunità che avevano spinto tutta quella gente a bordo della nave ad imbarcarsi da New York, anche se lui era salito mentre la nave faceva rifornimento in Francia, per cercare una nuova vita nella metropoli di Londra… oltre che ad un forte odore di pesce e acque inquinate.
Passeggiando, notò una giovane ragazza sui sedici anni appoggiata al bordo osservare Londra avvicinarsi sempre di più, si avvicinò e si appoggiò al bordo dando di schiena al fiume. –Magnifica giornata, non trovate?- Mentiva. Il cielo era grigio ed evidentemente in procinto di piovere nonostante fosse ormai maggio, e in più gli enormi camini delle fabbriche appena fuori Londra erano pienamente visibili da laggiù, e non la smettevano di mandare enormi colonne di fumo nero… la ragazza sembrò pensare la stessa cosa. Era carina: capelli marroni riccioluti e occhi grigi intensi e portava una graziosa collana a forma di angelo al collo, ma a Jack importava soltanto fare un po’ di conversazione per passare il tempo.
La ragazza osservò curiosa il suo interlocutore: Jack Hiddenblade poteva sembrare un ragazzo di diciannove anni come tanti; indossava pantaloni e stivali neri, una camicia bianca a maniche lunghe sotto un panciotto nero e una catenella d’argento agganciata alla vita che terminava in una tasca dei pantaloni e all’avambraccio destro teneva un lungo bracciale di cuoio nero con un lungo rettangolo metallico nella parte sotto, il viso era piuttosto rotondo, i capelli castani piuttosto luminosi che gli arrivavano quasi fino alle spalle e occhi anch’essi grigi scuri, il tutto unito con un sorriso che gli conferiva un aria piuttosto bonaria e sorridente, nonostante la bocca era tagliata a metà in diagonale da una cicatrice. In più si teneva un lungo cappotto bianco attaccato alla spalla con la mano destra.
Ma ciò che però attirò l’attenzione della ragazza erano le braccia: le maniche della camicia erano infatti tirate su fino ai gomiti mostrando una serie di tatuaggi neri simili a simboli curvilinei; staccò gli occhi da quegli strani tatuaggi e rispose. –Mmh… no…-
-Prima volta che venite a Londra?- la ragazza fece cenno di si. –Allora dovrete abituarvi! Perché questa…- e alzò il braccio sinistro al cielo -…è una tipica “bella giornata” londinese!-
-Se lo dite voi… io vengo da New York, li in questo periodo dell’anno c’è il sole almeno…- 
-Lo immagino... Oh!- sembrò essersi ricordato di una cosa. –ma dove sono i miei modi…- le porse la mano. –Mi chiamo Jack Hiddenblade, piacere di conoscervi, posso sapere il vostro nome?- la ragazza strinse la sua mano. –Theresa Gray, piacere mio…-
-Allora, Tessa… posso chiamarvi Tessa?- non aspettò neanche la risposta. –Cosa vi porta dalla “soleggiata” New York alla grigia e piovosa Londra?- Tessa sembrò incerta se dire o no dettagli della propria vita personale ad uno sconosciuto, ma la faccia di Jack le ispirava in qualche modo una certa fiducia in lui… un non so che di familiare e al tempo stesso aveva un mezzo sorriso un po’ folle, ma un folle in senso buono.
-Vedete… mia zia è venuta a mancare poco tempo fa, non ho soldi e così mio fratello Nathaniel mi ha offerto di venire a vivere da lui qui a Londra…- si osservò in torno e strinse la sua collana. –Voi invece? Di dove siete?-
-Beh! Vengo dal Giappone, ma sono nato a Damasco da genitori inglesi… o meglio, mio padre…- disse quella parola con un pizzico di disprezzo. -…era di origini irlandesi, e mia madre dello Yorkshire, ma ho vissuto fino ad undici anni qui- indicò la città sempre più vicina. –a Londra, poi sono andato in Asia, ho visitato l’India e la Cina, ma per gli ultimi sette anni sono rimasto in Giappone a “studiare”, se così si può dire…- 
Tessa rimase ad osservarlo. –Avete viaggiato molto quindi…-
-Si… abbastanza… ora però sono venuto qui a mettere in pratica quello che ho studiato in Giappone…-
-E che cosa avete studiato?
-E’, diciamo, un segreto… oh, eccoci quasi arrivati!- si voltò mentre il piroscafo si insinuava tra gli altri enormi vascelli e si preparava ad attraccare.
Una goccia di pioggia cadde sul naso di Jack. –Sembra che Londra vi stia dando il suo benvenuto…- disse Jack infilandoli il cappotto; un pesante soprabito bianco che gli arrivava fin quasi ai polpacci, aveva un colletto piuttosto alto e, cosa che Tessa notò allora, era munito di un cappuccio che, una volta indossato, gli copriva parzialmente il volto e schiacciando i capelli gli nascondeva quasi del tutto gli occhi.
Poco dopo, Jack era seduto sopra i suoi bagagli, un baule di legno scuro e due grosse valigie da viaggio, accanto a lui c’era Tessa. La ragazza gli aveva chiesto se poteva rimanere con lui finché non fosse arrivato suo fratello a prenderla, e lui aveva accettato.
Jack estrasse la catenella d’argento dalla tasca rivelando un piccolo orologio da taschino, anch’esso d’argento. –Sapete più o meno a che ora dovrebbe arrivare vostro fratello?- disse osservando l’orologio.
La ragazza si osservò intorno tra la folla di gente: persone che salivano, persone che scendevano, carrozze e scaricatori intenti a scaricare bagagli e carichi dalle barche attraccate ai moli. Stava per rispondere di no quando si parò davanti a loro un omone in cappotto e cappello a cilindro entrambi neri, gli occhi sporgenti e la pelle ruvida.
-Signorina Gray?- disse con voce profonda e gutturale. Tessa era decisamente a disagio. Un ragazzo che le rivolge la parola per fare conversazione è una cosa, ma un uomo così che per di più sapeva anche il suo nome era una cosa diversa. D'altronde, se sapeva il suo nome, voleva dire che conosceva suo fratello. Jack notò quello sguardo e rispose al posto suo. –Voi chi siete, signore…?-
-Mi manda il fratello della ragazza, Nathaniel Gray-
-E perché non è qui lui a prendermi?- domandò Tessa ansiosa.
-Il signor Gray è stato trattenuto in città per questioni di lavoro molto importanti, in fondo alla strada c’è una carrozza che ci sta aspettando…-
Tessa guardò Jack con insicurezza. Il ragazzo le rispose facendole cenno di fidarsi col suo solito mezzo sorriso e scese giù dal baule. –Beh, è stato un vero piacere per me incontrarvi miss Gray!- le prese la mano e le baciò il dorso di essa. –Spero che le nostre strade si incrocino di nuovo signor Hiddenblade… è stato un vero piacere!-
Detto ciò, l’uomo si avviò e Tessa lo seguì. Mentre si allontanavano li sentì discutere dei bagagli di Tessa e di come fossero già in viaggio verso la casa del fratello.
Jack rimase ad osservarli. Per un attimo, i suoi occhi grigi si illuminarono di un grigio più luminoso, quasi argenteo. Il suo sorriso si spense. –C’è qualcosa di sbagliato in lui…- si disse tra se e se.
Infilò l’orologio in tasca e si preparò a seguirli ma qualcuno gli afferrò il braccio sinistro.
-Scusate, siete voi il signor Hiddenblade?-
Jack si girò e squadrò il nuovo arrivato: un ragazzo più o meno della sua età, forse di due o tre anni più giovane, basso ma piuttosto robusto e con i capelli neri. –Voi dovete essere Thomas…- si girò ma l’omone era scomparso, e con lui Tessa.
-Ehm, si- continuò il ragazzo. –Sono venuto a portarvi all’Istituto, se volete seguirmi alla carrozza…- fece un gesto col braccia ed indicò il veicolo.
Jack rimase seduto dentro mentre Thomas caricava sul retro della carrozza i bagagli del suo passeggiero.
Una volta finito, salì al posto di guida e con un forte colpo di redini la carrozza prese ad andare nelle grigie vie di Londra. Per tutto il viaggio, Jack non fece altro che pensare a quell’uomo. Nel momento in cui i suoi occhi avevano brillato, il mondo era cambiato, aveva assunto un aurea argentata e tutte le persone avevano preso a brillare di blu, la loro anima aveva cominciato a brillare! Ma quell’uomo no. In mezzo a tutte quelle anime, lui era rimasto spento, come se avesse osservato soltanto un oggetto inanimato… una carrozza, un muro, un mucchio di ingranaggi!
Jack represse un brivido al nuovo pensiero che si era insinuato nella sua mente. Un mucchio di ingranaggi che si muovevano e che parlavano da soli… ma quelle erano solo cose inventate! Si, cose inventate si ripeté… come il Nautilus e il centro della Terra delle storie preferite di Jack…
Anche la ragazza, Tessa, aveva un qualcosa di strano… purtroppo non l’aveva vista bene con l’occhio dell’angelo (così Jack chiamava quello strano modo di vedere il mondo) e non poteva esserne certo.
A ridestarlo da quei pensieri e da quelle fantasie fu il brusco frenare della carrozza. Thomas aprì la porta e fece uscire il suo passeggero. Jack corse dritto sotto il portico di un immensa chiesa gotica circondata da un piccolo giardino. Era immensa, eppure nessuno si fermava ad ammirarla… anzi. Nessuno sembrava nemmeno accorgersi della struttura!
Thomas portò i bagagli dentro la chiesa ma prima di addentrarsi si fermò accanto al cacciatore. –Il signor Edenkey vi sta aspettando…- indicò una poltrona davanti ad un grande camino acceso. Su un tavolo davanti alla poltrona era appoggiata una grossa cassa di legno e legato allo schienale della sedia un grosso fucile a leva con un lungo cilindro metallico sopra il mirino.
-Sei in ritardo.- dalla poltrona si alzò un ragazzone poco più alto di Jack. Aveva il volto squadrato, i capelli corti biondi e occhi gialli luminosi. Indossava un cappotto bianco simile a quello di Jack ma senza cappuccio, il quale era abbassato e spuntava da dietro la testa attaccato ad una giacchetta più leggera marroncina sotto al cappotto e aveva stivali da tiratore, pantaloni e guanti tutti marroni scuro. Infine, appese alla cintura, c’erano quattro fondine, due per fianco e ognuna era occupata da una grossa pistola a tamburo.
I due rimasero a fissarsi prima di scoppiare in una sonora risata.
-Come al solito!- urlò il ragazzone prima di abbracciare Jack, il quale rideva anche lui. –Dovevi aspettartelo, Jon!- i due si staccarono dopo diverse e sonore pacche sulla schiena.
-Quanto tempo è passato?- disse Jack. –Otto anni?-
-Si amico…- rispose Jon -…è bello che tu sia tornato! Oh! Ho un regalo per te…- si voltò e prese qualcosa dalla cassa. –Ti piacerà…- gli mostrò un’altra pistola, questa era di metallo scuro, il calcio le giunture di metallo nero con diversi ornamenti di metallo rosso e un simbolo sotto il calcio; la lama di una spada inscritta in un cerchio. –E’ stupenda…- mormorò il nephilim rigirandosi l’arma nella mano mentre l’amico gli porgeva una fondina di cuoio nero. –L’ho presa in una missione nel sud ovest degli Stati Uniti… dallo stesso fabbricante che mi ha venduto Whisper e le quattro pistole!- indicò il fucile a leva appeso alla poltrona, Jack notò che sulla canna dell’arma e sul calcio c’erano incisi diversi simboli, perlopiù sconosciuti. –Whisper? E poi pensavo che i marchi non funzionassero sulle armi da fuoco…-
-Quelli angelici! Il tipo che fabbricava armi era uno che aveva la Vista, conosceva un vecchio stregone indiano appassionato di armi mondane e ha creato una serie di marchi per le armi da fuoco! Guarda.- indicò l’arma. –I marchi sulla canna servono a rendere i colpi silenziosi, e questi qui- indico una fila di marchi che proseguivano sulla parte superiore. –Questi incantano il proiettile man mano che attraversa la canna; i marchi sul meccanismo di fuoco, invece, conferiscono potenza e gittata al proiettile! E per finire, semplici ed eleganti rune angeliche sul calcio per conferire comodità e stabilità! Geniale, no?-
-Decisamente… quindi… gli hai dato un nome?-
-Perché no? Diamo nomi alle spade angeliche, perché non anche ai fucili!?-
-Non sei cambiato affatto…- disse trattenendo una risata. In quel momento entrò una giovane cameriera dai capelli scuri, la pelle chiara e una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra.
-Non fissarle troppo la cicatrice…- gli sussurrò Jon. -…è piuttosto sensibile al riguardo!-
-Sensibile nel senso che piange o che mi colpirà alla testa col vassoio?-
-La seconda, signore…!- rispose la cameriera indignata. Jon si frappose fra i due e fece le presentazioni. –Signorina Collins, vi presento il signor Jack Hiddenblade! Jack, questa è la cameriera Sophie Collins!-
-Chiedo scusa, Sophie… è un piacere conoscervi!- disse Jack facendo un leggero inchino. –Piacere mio… ero solo venuta a informarvi che la cena è pronta, la signora Branwell vi attende insieme al resto degli abitanti dell’Istituto…- gettò uno sguardo alla cassa sul tavolo accanto ad un mucchio di vasetti pieni di lubrificanti e panni sporchi. –Devo per caso spostare quella roba sul tavolo?- Jon sii girò di scatto evidentemente imbarazzato. –Oh, no grazie, facciamo noi! Dammi una mano, Jack!-
Una volta usciti dall’armeria, i due si diressero verso la sala da pranzo. Un lungo salone con al centro un tavolo per venti persone e su un lato una lunga mensola di pietra con preziose porcellane, Jack si chiese chi fosse rimasto dopo tutti quegli anni lontano da casa… quando aveva dieci anni c’erano i direttori Fairchild e la loro figlia Charlotte di quindici anni, la mondana Agatha che cucinava cibi deliziosi, Jon e sua madre Marie Edenkey e i soliti Shadowhunter di passaggio…
Fu però con lieta sorpresa di scoprire che Charlotte era ormai sposata e dirigeva l’Istituto col marito Henry e, cosa ancora più lieta, Agatha era sempre in cucina.
La prima cosa che fece appena entrò fu sedersi e prendersi una generosa porzione di arrosto con purè di patate, anzi no. Fu la seconda cosa che fece. La prima fu ignorare Jon mentre lo presentava agli altri cacciatori. Aveva già spazzolato mezzo piatto quando Jon gli mollò un ceffone in faccia.
-Jack! Che modi sono questi?- lo rimproverò l’amico. –Avevo fame!...- si giustificò pulendosi le mani e la bocca. Poi sbuffando alzò lo sguardo sugli altri convitali: due ragazzi della stessa età; uno dall’aria malaticcia, i capelli egli occhi argentati, magro e dall’aria fragile, il secondo era proprio uno affascinante; capelli neri, occhi blu elettrico e una faccia proprio da schiaffi… tipica di certa gente scortese che ti verrebbe voglia di colpire senza sapere il perché. In disparte c’era una ragazza bionda. Aveva l’aria di provenire da una famiglia ricca, guardava tutti con aria di superiorità e arroganza… un’altra faccia da schiaffi. Incrociò lo sguardo della ragazza che gli rispose con una smorfia. Spostò lo sguardo su una faccia conosciuta. Charlotte non era cresciuta di molto in otto anni; era sempre minuta, nonostante riuscisse a mettere paura a chiunque col suo sguardo, come quando da piccoli aveva insegnato a Jack e a Jon a come combattere con una spada.
-Signori- cominciò Jon. –E’ per me un favore presentarvi il nostro ospite, Jack Hiddenblade!- il nephilim aveva già ripreso in mano la forchetta ma l’amico lo tirò in piedi di forza. –Jack, loro sono James Carstairs e William Herondale- indicò rispettivamente il ragazzo malato e quello sfrontato che risposero, il primo con un sorriso, il seconda con un sommesso “ciao”. –La signorina Jessamine Lovelace!-
-Siete una cacciatrice?- domandò Jack –Non vedo marchi sulla mano…- infatti tutti i Nephilim avevano il marchio della Vista sul dorso della mano sinistra. Tutti tranne lei. –Si…- rispose con aria di sufficienza. -…anche se vorrei non esserlo…!- disse a bassa voce. –Tu che ci fai qui?- domandò poi a Jon. Charlotte si alzò. –Jessie, sai che non voglio commenti sul signor Edenkey e il suo… problema…- poi si rivolse a Jack. –E’ davvero bello rivederti dopo tutti questi anni!- si alzò e abbracciò il Nephilim. –E’ un piacere anche per me!- si staccò da Charlotte. –Ho sentito he adesso sei la signoria Branwell… dov’è il signor Branwell?-
-Arrivo!-
Nella sala irruppe un giovane alto e dai lunghi capelli rossicci… troppo rossicci.
-Henry…- lo avvertì Charlotte -…ti vanno a fuoco i capelli…-
Il marito sembrò accorgersi solo in quel momento della fiammella attaccata ai capelli. Will si alzò e versò il proprio contenuto del bicchiere in testa ad Henry. L’uomo non fece altro che poi che sedersi accanto alla moglie e cominciarono a mangiare.
Per il resto della cena non fecero altro che parlare degli ultimi otto anni, di cosa fosse successo, di come fossero arrivati anche Jem, Will e Jessie all’Istituto dopo la sua partenza. Degli anni di Jack in Giappone per migliorare le proprie abilità ed Henry cominciò a parlare di come inventasse cose più o meno utili e ancora più esplosive.
A fine serata, Jack e Jon si sistemarono in poltrona nella sala comune davanti al camino mentre Sophie gli portava un vassoio pieno di the e dolcetti alla fragola.
Una volta che la cameriera ebbe lasciato la stanza, Jon si alzò e chiuse a chiave la porta. Tornò a sedersi e cominciò a bere il suo the. Finito di bere, poggiò il bicchiere e si lasciò sprofondare nella poltrona. –Jack, è un piacere che tu sia tornato, ma ora dobbiamo parlare di affari…- l’amico posò finì il dolcetto che stava mangiando e si pulì la bocca. –Si, so perché il Mentore mi ha mandato qui…- la sua voce era calma ma piena di ansia. Jon sembrò percepirla. –E’ per caso successo qualcosa con tuo nonno?-
-No, lui non c’entra…- disse agitando la mano infastidito. –Non sarai per caso passato a Damasco lungo la strada…?- domandò sporgendosi dalla poltrona, ma Jack puntò lo sguardo sul fuoco e non rispose. –Sei passato a Damasco…- concluse. –Senti!- Jack balzò in piedi irritato. –Non ho voglia di parlare di LUI!...- sospirò e cadde sulla poltrona. –Parlami invece di quelle strane sparizioni…- disse riempiendosi la bocca con un secondo dolcetto.
Jon sospirò e  si risistemò sulla poltrona. –E va bene…- sospirò. -…ultimamente si stanno verificando strane sparizioni di mondani in giro per la città… soprattutto bambini e ragazzi, maschi e femmine, nessuno escluso! Ieri, Will e Jem hanno trovato una ragazza di quattordici anni morta in un vicolo… accanto al corpo hanno trovato questo.-
Da una tasca interna del cappotto prese un fazzoletto sporco di sangue, dentro c’era una daga dalla lama sottile e il simbolo di due serpenti che si mordevano a vicenda la coda.
-Una misericordia…- analizzò Jack. -…e quel simbolo!- alzò lo sguardo sul suo amico. –Lo stesso che i Templari dell’Ombra usavano anni fa all’apice del loro potere…- 
-Pensi che si stiano riorganizzando qui a Londra? Sono ormai dieci anni che i Frye hanno sradicato la minaccia Templare mondana da Londra, e trenta anni che la loro controparte del Mondo Invisibile è stata eliminata!-
-Eppure…- Jon indicò il coltello. -…questo è il loro simbolo…-
-Potrebbe averlo preso chiunque… un parente all’oscuro dei piani della propria famiglia e finito nei guai, un ladro, uno che lo ha trovato in giro…- ipotizzò Jack, ma non era tanto sicuro. Jon scosse lentamente la testa con un mezzo sorriso. –Bene…- Jack piantò il coltello nel tavolo. -…da dove cominciamo le indagini?-
Jon si alzò e prese il pugnale. –I Templari, come noi, avevano bisogno di soldi… avevano un giro di bordelli, sale di gioco e raduni in cui lasciavano ai Nascosti fare ciò che volevano con i mondani… sai, usarli in spettacoli di pubblica tortura, distributori di sangue fresco, roba così…- Jon tendeva sempre a ironizzare sui Nascosti, proprio lui…
-Si, ricordo… il Pandemonium Club…-
-Alcuni locali sono ancora aperti… e altri utilizzano delle carrozze con quel simbolo…- si girò verso Jack. –Siamo ormai pronti, Jack… la nostra prima missione da soli…- mise una mano sulla spalla dell’amico. –E’ il nostro grande momento!-
-Puoi dirlo forte…- entrambi si misero la mano stretta a pugno sul cuore e insieme dissero:
-Nulla è reale, tutto è lecito…!-
   
 
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