Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Ricorda la storia  |      
Autore: Irina_89    12/04/2009    4 recensioni
Aprirono gli occhi lentamente, tutti e due confusi e con un gran mal di testa.
Si guardarono spaesati attorno. Notarono solo una stanza illuminata e i due amici seduti accanto a loro che li guardavano minacciosamente.
Solo dopo qualche istante si accorsero che erano anche loro seduti su delle sedie. Ed inoltre, legati.
“Cosa cazzo significa?” chiese stizzito Tom, cercando di liberarsi.
“Sono misure di sicurezza.” Ripose Georg, con un paio di grosse e violacee occhiaie sotto gli occhi.
Tom lo guardò perplesso. “E perché, scusa?”
“Perché? Perché!” si alzò di scatto, caricando un pugno, che se non fosse stato per Gustav, sarebbe arrivato pieno sul viso del rasta, che deglutì rumorosamente.
“Ma avete idea di cosa avete combinato stanotte?” fece notare il biondino.
Genere: Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cose tra Kaulitz

Cose tra Kaulitz

 

 

“TOM!” un urlo risuonò per tutto l’edificio. “Ti uccido!”

Da dietro una porta sbucò un’esile figura dai capelli corvini, che definire incazzata era un eufemismo.

“Coglione che non sei altro! Dove cazzo ti sei nascosto?” sbraitò, agitando una boccetta di lacca per capelli a mezz’aria.

“Bill! Cuciti la bocca!” gli urlò in risposta un ragazzo, aprendo la porta della sua stanza e minacciandolo con una sveglia. Dal suo aspetto ancora mezzo intontito si poteva chiaramente capire il motivo di tale scelta.

“Tom!” continuò a ruggire il moro, noncurante delle proteste del suo compagno, iniziando a correre per il corridoio, diretto verso la stanza della sua vittima.

“Brutto idiota! Fai meno chiasso! Sono solo le tre di pomeriggio!” gridò ancora Georg, uscendo dalla stanza e mettendo sotto il naso di Bill la povera sveglia, che finì scaraventata a terra in nemmeno mezzo secondo.

Georg si allontanò intimorito. Avrebbe giurato di vedere uscire fumo dalle orecchie del moro, aspettandosi anche che sputasse fuoco da un momento all’altro. Ma si diede due schiaffi per il ridicolo pensiero e tornò barcollando in camera sua, imprecando a denti stretti sul dannato motivo per cui i gemelli dovessero fare tutto questo casino per qualunque cosa.

“Tom!” continuò imperterrito Bill, avanzando a passi sempre più pesanti verso la camera del fratello.

Arrivato davanti alla porta iniziò a battere la boccetta di lacca contro il legno. “Tom! Apri immediatamente la porta o ti uccido sul serio!”

“Perché? Anche se ti aprisse lo risparmieresti?” gli fece notare una voce calma alle sue spalle.

“Gustav, se ci metti bocca – e soprattutto se lo difendi come l’ultima volta – uccido anche te!” lo minacciò, trasformando i suoi occhi in due fessure. Il suo sguardo sembrava uccidere sul serio.

“L’altra volta gli ho dato ragione solo perché non era colpa sua se tu non ricordavi dove avevi messo la piastra…” spiegò tranquillo.

“Chetati.” sibilò il moro.

“Ok, ma tu calmati. Che ne dici? Una camomilla la sera, no?” scherzò il ragazzo.

Questa volta Bill non rispose, si limitò soltanto a lanciargli contro la boccetta di lacca. Gustav si rinchiuse in camera sua appena in tempo per evitare un trauma cerebrale. Era molto… troppo pericoloso affrontare un Bill incazzato, soprattutto se qualcuno lo contraddiceva.

Subito il cantante tornò a battere sulla porta del fratello, ma nessuno gli rispose, se non Georg con altre imprecazioni.

Dopo un innumerevole numero di manate contro l’ormai martoriato legno, Bill si dovette rassegnare al fatto che Tom non fosse in camera sua. Tornò, quindi, nella propria con un diavolo per capello.

 

***

 

Era stata una giornata pesante ed estremamente faticosa. Troppo faticosa.

Era andato tutto il giorno a divertirsi con Andreas in alcuni locali della città, riuscendo a trovare anche qualche ragazza decisamente interessante.

Per questo aveva fatto tardi. Non sapeva esattamente che ore fossero, sapeva solo che era notte fonda e, quindi, al momento non aveva voglia di fare nient’altro che dormire. Sì, dormire. Buttarsi su quel morbido materasso e dormire. Non aveva nemmeno le forze per spogliarsi. Sarebbe andato a letto con quei vestiti che indossava, tanto la mattina successiva si sarebbe fatto la doccia, per poi cambiare i vestiti.

Aprì con la lentezza di un bradipo addormentato la porta della sua camera e si avvicinò al letto, trascinando i suoi piedi come se fossero qualcosa che gli era stato attaccato al resto del corpo accidentalmente.

Si buttò sul letto, afferrando un cuscino e posizionandoselo sotto la testa. Stare così era la cosa più bella del mondo.

Ci pensò un attimo. No. Lui aveva almeno un paio di altre cose che riteneva migliori di stare steso in quel modo, anche se una di queste aveva sempre una connessione con il letto – ma non necessariamente.

I suoi pensieri poi si soffermarono sull’altra cosa che amava fare incondizionatamente. L’indecisione era forte. Dormire o stringerla tra le mani?

Rimuginò su questo dilemma almeno cinque minuti, visto che le sue attività cerebrali avevano già annunciato al resto del suo corpo la buonanotte.

Alla fine decise. Lei. Solo dieci minuti, ma lei.

Si alzò, già nostalgico del letto, e si addentrò nei meandri della stanza buia, inciampando più volte contro qualcosa di non ben identificato. Quando arrivò a destinazione aveva perso il conto delle imprecazioni che aveva lanciato contro il fratello, per il suo terribile vizio di mettere ogni cosa a soqquadro.

Si ricordò, poi, che quella camera era solo per lui, quindi dovette ricredersi e ammettere che tutto il casino, contro cui era inciampato, non fosse altro che opera sua.

Alla fine, imprecando anche sul perché non aveva potuto accendere la luce, invece di fare tutto a tentoni, evitando così anche diverse collisioni, si accorse di un evento catastrofico.

Non c’era.

Lei non era più al suo posto.

Non ci pensò due volte e andò ad accendere la luce, anche questa volta scontrandosi con indeterminati oggetti che giacevano caoticamente sul pavimento della stanza.

Arrivato all’interruttore, lo premette e tornò correndo sul luogo del delitto.

Era proprio sparita.

Eppure era proprio sicuro di averla lasciata in quel preciso punto della stanza. Si guardò intorno. Forse l’aveva spostata senza rendersene conto, ma niente. Non c’era traccia della sua amata Gibson.

C’era di tutto: pacchetti di patatine vuoti, una felpa attaccata alla finestra, una scarpa vicino alla porta, e l’altra in un luogo non ancora identificato, riviste di ogni tipo un po’ ovunque, e molte altre cose che forse non sapeva nemmeno di avere. Ma la sua amata Gibson era sparita. Non ce n’era più traccia.

Subito uscì di camera, iniziando a bussare impetuosamente alle porte delle altre stanze. Doveva pur essere da qualche parte!

“Cosa cazzo stai facendo a quest’ora?” lo minacciò un Georg addormentato, prima di aprire la porta. Se se lo fosse trovato davanti, avrebbe potuto mettergli le mani intorno al collo.

“La mia Gibson!” urlò disperato Tom. “Abbiamo subìto un furto!” si disperò, continuando a battere sulla porta.

L’amico emise un lamento tanto disperato quanto quello di Tom.

“Anche a te hanno rubato qualcosa?” Si informò piagnucolante.

“No, cretino.” Ruggì rassegnato Georg, aprendo la porta e fulminandolo con lo sguardo. “Sei ubriaco, eh?”

Tom lo guardò confuso – e triste. “Forse…”

“Vai a piangere da tuo fratello.” Sospirò. “Io voglio dormire.” E lo spinse lontano dalla sua stanza, per poi lasciarlo in stato apatico nel corridoio. Chiuse la porta alle sue spalle e si sdraiò nuovamente sul suo letto.

Tom raggiunse così la camera di Bill e iniziò a bussare, dapprima come privato di ogni energia, depresso per la scoperta del furto, poi con vigore sempre crescente, visto che suo fratello non si degnava nemmeno di considerarlo.

“Chi è?” biascicò una voce addormentata dall’altra parte della porta.

“Sono io.” Gli rispose Tom, scocciato.

Il moro sgranò gli occhi. Aprì la porta e sorrise tirato al fratello – un sorriso deformato anche dall’essersi appena svegliato.

“Ehi! Ma che cazzo sorridi?” lo riprese il rasta.

“Niente. Sono felice di vederti.” Farfugliò.

Tom lo guardò torvo.

“Cosa c’è?” chiese innocente il cantante, leggermente spaventato.

“Tu cosa sai della mia Gibson?” chiese sospettoso, iniziando ad avanzare nella stanza del fratello.

Bill assunse un’espressione pensierosa. “Che è la tua chitarra?” ridacchiò nervoso.

Tom iniziò a respirare profondamente per mantenere il controllo.

“Bill…?” si avvicinò a lui minacciosamente.

“Cosa?” chiese il fratello, sempre più impaurito.

“Lo sai cosa.”

Il moro tentò di allontanarsi dal fratello, camminando all’indietro, ma ad ogni passo con cui arretrava, l’altro avanzava.

“La mia Gibson. Dove è?” lo minacciò con gli occhi furenti.

Bill iniziò a sudare freddo. “Boh…” sussurrò strozzato.

Tom aggrottò ancora di più la fronte, rendendo esplicito il suo pensiero omicida nei confronti del fratello.

Bill cominciò a tremare. Aveva paura di suo fratello quando faceva così. Gli occhi gli divennero sempre più lucidi e sentì il bisogno di tirare su con il naso.

“Hai la coda di paglia?” lo mise alle strette il rasta, prendendolo per le spalle.

“Tomi…” farfugliò Bill, tentando di nascondere la testa tra le scheletriche spalle.

“Cosa?” lo assecondò lui, sorridendo maligno.

“Ma tu mi vuoi bene?” chiese, balbettando. Era la sua ultima carta.

“Certo che ti voglio bene!” rispose con troppo entusiasmo il fratello. Così tanto entusiasmo da farlo sembrare ancora più finto.

“Anche quando il tuo adorato fratellino fa delle cazzate immense?” sorrise tirato, le gambe che tremavano palesemente.

Soprattutto quando fa qualche cazzata.” Lo corresse Tom, malefico.

“Allora…” deglutì il moro. “Allora, se ti dicessi che ho fatto una cazzata, non ti arrabbieresti, vero?”

“Bill,” il tono del rasta sembrò addolcirsi. Si allontanò e raccattò da terra il cuscino che trovò ai suoi piedi. “Certo che .” gli urlò sul viso, colpendolo con la sua arma.

Il moro iniziò ad urlare tentando di pararsi dal cuscino, accovacciandosi per terra. Alla fine riuscì – dopo aver incassato qualche colpo – a sfuggire all’ira di suo fratello, passandogli da sotto le gambe divaricate. Corse verso il corridoio ed iniziò a sbattere violentemente contro la porta più vicina alla sua.

“Apri! Ti prego, apri! Sto rischiando la vita!” urlava con gli occhi paurosamente sgranati.

Tom uscì dalla sua camera, sempre armato del cuscino, che stava già perdendo qualche piuma.

Bill, nel vederlo, iniziò a saltellare isterico, continuando a battere contro la porta.

“Apri!” gridò, lavorando di diaframma.

E la porta finalmente si aprì. Bill sgattaiolo velocemente all’interno e sbatté la porta alle sue spalle, appena in tempo perché Tom non lo colpisse nuovamente con il cuscino.

“Bill!” urlò il proprietario della stanza. “Cosa diavolo sta succedendo?” lo minacciò.

“BILL!” ruggì Tom da oltre la porta.

“Perché siete tutti così cattivi con me?” piagnucolò, la schiena sempre contro la porta, come per evitare che potesse essere aperta.

“Non hai risposto.” Fece Gustav, indicandolo con un dito alla distanza di pochi centimetri dal suo naso.

“BILL! ESCI!” e iniziò a battere sul legno violentemente.

Il moro deglutì. “Mio fratello mi vuole uccidere.” Balbettò.

Il biondino sospirò. “E ti pareva. Sarà la terza volta in una settimana.” Si portò una mano sul viso esasperato.

“Ma questa volta mi vuole uccidere sul serio!” gridò il ragazzo.

“Anche le altre due, Bill.” Gli ricordò.

“BILL!”

“Ma questa volta – è vero! – sul serio, sul serio!” cercò di convincerlo.

“Ascolta, non so cosa abbiate combinato, questa volta, ma non è possibile che ogni volta dobbiate farci perdere una nottata di sonno!” si arrabbiò Gustav. “Ora,” e lo prese per le spalle. “Esci fuori,” lo allontanò dalla porta e appoggiò una mano sulla maniglia, mentre Bill tentava di opporre resistenza con i piedi. “E vi chiarite da soli.”

“No, ti prego!” lo supplicò il moro, riuscendo a liberarsi dalla sua presa e a nascondersi dietro di lui. “Non puoi tradirmi!”

“E tu non puoi rompermi i coglioni ogni volta!” replicò Gustav. Ed aprì la porta.

Davanti a lui un Tom incazzato fino al midollo stava scrutando all’interno della stanza, per poi identificare suo fratello dietro l’amico, che intanto stava cercando di staccarselo di dosso.

“Bill!” gli urlò. “Spiegami cosa ne hai fatto della mia Gibson!” lo minacciò per l’ennesima volta.

“Bill!” urlò anche Gustav. “Esci immediatamente da camera mia!” e riuscì ad imprigionarlo in una morsa che lo costrinse ad allontanarsi dalla sua fortezza – quale era Gustav – facendolo trovare faccia a faccia con il suo nemico.

“Bene.” Sorrise superiore Tom. “Ora mi spiegherai tutto.”

A Bill, l’unica cosa che rimase da fare, fu urlare. E non urlare come aveva fatto finora, ma urlare con tutto se stesso, proprio come se qualcuno lo stesse aggredendo, o addirittura scuoiando vivo.

Improvvisamente un’ombra scura apparve silenziosamente alle spalle del rasta e in pochi secondi entrambi i fratelli Kaulitz si accasciarono a terra.

 

***

 

Aprirono gli occhi lentamente, tutti e due confusi e con un gran mal di testa.

Si guardarono spaesati attorno. Notarono solo una stanza illuminata e i due amici seduti accanto a loro che li guardavano minacciosamente.

Solo dopo qualche istante si accorsero che erano anche loro seduti su delle sedie. Ed inoltre, legati.

“Cosa cazzo significa?” chiese stizzito Tom, cercando di liberarsi.

“Sono misure di sicurezza.” Ripose Georg, con un paio di grosse e violacee occhiaie sotto gli occhi.

Tom lo guardò perplesso. “E perché, scusa?”

Perché? Perché!” si alzò di scatto, caricando un pugno, che se non fosse stato per Gustav, sarebbe arrivato pieno sul viso del rasta, che deglutì rumorosamente.

“Ma avete la più pallida idea di cosa avete combinato stanotte?” fece notare il biondino.

A quel punto Tom si ricordò. “Bill!” ringhiò.

Il fratello lo guardò impaurito.

“Tranquillo,” sospirò Gustav. “È legato.” E Bill sospirò sollevato.

“Allora,” iniziò Georg. “Ora spiegateci il motivo della vostra cazzata notturna.”

“È colpa sua!” si accusarono i gemelli all’unisono.

“E ti pareva?” roteò gli occhi Gustav.

“Ad ogni modo,” riprese Georg. “Chiaritevi, altrimenti non so che vi faccio. Per colpa vostra ho perso un’altra notte di sonno.”

“Dai,” si lamentò Bill con gli occhi lucidi. “Non potete tenerci legati come salami! Mi è venuto pure mal di testa.”

“Quello è dovuto alla scarpata che ti ho tirato stanotte.” Spiegò Georg spazientito. “Ora parlate, sennò ve ne tirò un’altra a tutti e due!”

Parlate un cazzo!” replicò Tom. “È Bill che deve parlare! Mi ha fatto sparire la mia Gibson!”

Tre paia di occhi, quindi, si girarono verso di lui minacciosamente, che sorrise tirato, con una voglia immensa di piangere e sparire dalla loro vista.

“Bill…” ringhiarono tutti e tre.

Il moro, alla fine, sospirò. “Ok, però voi non arrabbiatevi.” Piagnucolò.

Nessuno rispose.

“La tua Gibson è dentro una busta in camera mia.” Ammise Bill crucciato, abbassando la testa.

“Cosa?” Fece Tom, scandalizzato. “Si rovina così, pezzo di cretino!” lo accusò. “Come se non te l’avessi mai detto!”

“Perché l’hai fatto?” lo interrogò Gustav.

“Perché lui mi hai rubato il portatile.”

Tom sgranò gli occhi incredulo. “Io ti ho rubato cosa?”

“Sì, mi hai rubato il portatile!” rincarò Bill.

“Parola alla difesa.” Annunciò Gustav, un modo come un altro per evitare di rompere la testa ad uno di quei due cretini.

“Ma non è vero! Non so nemmeno dove sia il tuo portatile!” fece lui stizzito.

“Infatti ora è in camera mia!”

“E allora che vuoi, scusa?” berciò Tom, tentando di alzarsi dalla sedia.

Bill lo guardò impaurito.

“Tranquillo, è legato.” Ripeté Gustav.

“Sono dovuto entrare in camera tua per riprendermelo!” continuò, allora Bill, sostenuto dal fatto che suo fratello non avrebbe potuto mettergli le mani al collo.

“E già che c’eri hai voluto prendermi la chitarra?” ruggì l’altro.

“No, ecco…” iniziò a farfugliare. “A dir la verità ci sono caduto sopra e…” il suo sguardo stava attentamente fissando le unghie dei suoi piedi nudi, mentre il respiro di Tom si faceva sempre più violento.

“Ci sei caduto sopra?” scandì parola per parola il rasta.

Bill annuì imbarazzato. “Non avevo acceso la luce e -”

“Mi hai rotto la chitarra e ora l’hai messa in una busta come se fosse un cadavere di cui disfarsi?”

“Bè, tecnicamente non è un cadavere, ma…” azzardò Bill per difendersi.

“Tecnicamente io potrei anche ucciderti non appena questi due mi slegano!” ruggì Tom, infuriato come pochi.

“Ma Tomi…” piagnucolò Bill, guardandolo con i suoi lacrimoni pronti a sgorgare dagli occhi. “Si è solo rotta una corda…” precisò.

Tom parve rassicurarsi e sospirò di sollievo.

A quel punto, Georg si sentì in dovere di dire un particolare che doveva essere sfuggito ad entrambi, così si schiarì la voce. “Bill,” Iniziò. “Sei a conoscenza del fatto che il portatile in camera di tuo fratello ce l’hai portato tu ieri mattina?”

Entrambi i gemelli sgranarono gli occhi. “Cosa?” mormorarono insieme.

Georg e Gustav annuirono rassegnati.

“Io ti -” ma la minaccia di Tom venne interrotta dalla saggia voce del biondino.

“Tom, ascolta, se la chitarra ha solo una corda rotta, basta sostituirla, no?”

Il rasta ci pensò su un attimo. Non aveva tutti i torti.

“Quindi, ora è ora di tornare a letto.” Concluse il bassista, stiracchiandosi, mentre Gustav andò a liberare i due idioti. Tom a quel punto tentò di incenerire suo fratello con lo sguardo, ma la visione di Georg che caricava la scarpa, pronto per lanciargliela di nuovo contro, lo fece calmare.

Il chitarrista, quindi, sospirò e si alzò, seguito da Bill. Poi, tutti e quattro i ragazzi si diressero verso la stanza di Bill ad esaminare la vittima di tutto quel casino notturno, ed appurato che il moro aveva detto la verità, restituirono a Tom la sua amata Gibson per poi tornare ognuno in camera propria, sperando di poter recuperare le ore di sonno perso.

 

***

 

“Bill, questa volta me la paghi.” Aprì lentamente la porta della camera del fratello ed entrò furtivamente. Chiuse, infine, la porta dietro di sé ed accese la luce.

Iniziò a frugare un po’ ovunque. Cazzo! I suoi spartiti dovevano pure essere da qualche parte! Possibile che non riuscisse a trovarli?

Non li trovava più da quando suo fratello era entrato in camera sua perché si sentiva troppo solo per stare da solo.

Cazzi suoi! No doveva vedere quel dannato film horror!

Guardò gli ultimi cassetti dell’armadio nella stanza, ma dovette arrendersi all’evidenza. Non c’erano. Che li avesse distrutti? No, Bill non poteva arrivare a tanto!

Cercò di pensare a cosa avessero fatto il giorno dopo per avere almeno una vaga idea di dove il moro aveva potuto nasconderli.

Ok, si erano alzati. Avevano fatto colazione. Interviste varie…

E poi ricordò.

Erano andati nella sala di registrazione per delle prove – deglutì imbarazzato – e gli spartiti erano rimasti là.

Il ragazzo si diede una sonora patta sulla fronte.

Che cazzo! Non era stato Bill! Che idiota! Stava per commettere la stessa cazzata che aveva fatto suo fratello qualche sera fa!

Così, si girò e si diresse verso la porta. Ma proprio mentre tutto sembrava finito, il suo piede scalzo si incastrò in qualcosa. Il rasta, quindi, senza pensare troppo, diede uno strattone e subito sentì uno schianto, con un tonfo a seguire.

Si paralizzò all’istante, per poi voltarsi lentamente.

Un oggetto, identificato successivamente come una piastra per capelli, era divisa in due sul pavimento.

 

***

 

Un tuono.

“TOM!”

_______________________________________

One-shot che ho ripreso in mano dopo averla iniziata ormai non so nemmeno più quanto tempo fa. Spero vi abbia allietato il pomeriggio! xD

Un grazie particolare lo devo fare alla mia adorata kit2007. Cavolo! Cosa farei senza di te??? Un bacione!^^

E ora vi saluto!

Lasciate pure dei commentini, se volete, eh! =P

Ps: Buona Pasqua!!!!!

_irina_

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: Irina_89