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Autore: Alicanto_R    26/05/2016    0 recensioni
"Gli Inferi erano un brutto posto per una serie di motivi che Ade avrebbe potuto recitare a memoria, sputando le parole con veleno e con disgusto ben dipinto in volto."
Un piccolo scorcio sulla condizione di Ade in assenza di Persefone.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ade
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli Inferi erano un brutto posto per una serie di motivi che Ade avrebbe potuto recitare a memoria, sputando le parole con veleno e con disgusto ben dipinto in volto. Poteva iniziare col dire che faceva freddo, un freddo dannato; un freddo così meschino da insinuarsi nel più piccolo anfratto del suo essere, fondendosi alle parole e ai gesti e ai pensieri.
Era un freddo che derivava dall'anima, che veniva rafforzato dal calore che ostinatamente cercava di propagarsi, come un essere vivente che non accetta la sua morte e si aggrappa alla più piccola scintilla per riuscire a riscaldare anche solo il più superficiale lembo di pelle.
Visto da fuori era uno spettacolo patetico: un essere che si lascia consumare fino alle ossa dal gelo, diventando esso stesso il gelo, che osserva quel mutamento con rabbia silenziosa, senza fare davvero nulla per salvarsi, senza alimentare mai quella scintilla. Un essere divino, poi. Visto da dentro lo spettacolo si faceva raccapricciante: era un avanzare del nulla più totale, dell'immobilità, di maschere congelate in sorrisi di sufficienza. Ogni centimetro ceduto sembrava piombare in un baratro infinito di azioni sempre uguali, di parole vuote e di un cuore che pompava sangue in un ritmo lento, che garantiva solo lo stretto indispensabile per quella vita gelida.

Ade poteva poi continuare con l'oscurità che era sempre presente. Poteva descrivere con chiarezza e facilità come essa ti si appiccicasse addosso come il peggiore dei peccati, seguendoti fedelmente ovunque tu andassi. Era come un cane affezionato al padrone: invece di scodinzolare ti soffocava con le sue spire fino a farti annaspare alla ricerca delle più miserabili luci. La sentivi che ti strisciava addosso, che si serrava alla tua gola e stringeva, stringeva, stringeva senza mai ammazzarti davvero, facendoti sperare che quello fosse l'ultimo dolore, l'ultimo respiro.
E potevi accendere quante luci volevi, niente la poteva scacciare via dai suoi domini. L'oscurità era il rimpianto più profondo, il dolore più vero che emerge quando tutte le luci interiori sono state spente dal gelo. La punizione ultima degli inferi, qualcosa che non può essere scacciata perché servirebbe la vita e la vita negli inferi non c'era. L'oscurità era la concentrazione della disperazione umana  nell'apprendere la morte, il fato ineluttabile. L'impossibilità di scappare.
Le anime dei morti erano l'oscurità, avevano ceduto completamente alla sua natura viscida e diabolica. "Perché continuare a combattere una battaglia persa in partenza? " era la domanda che precedeva sempre l'inabissarsi della scintilla, di quella scintilla stupida e masochista che teneva svegli tutti, che impediva loro di diventare le proprie ombre. Soccomberle è naturale ad un punto: smetti di cercare la luce, gli stupidi impulsi della vita vengono zitti - ma scalciano e graffiano e mordono disperati- e guardi l'oscurità dritta negli occhi, ammiri lo schifo viscido e compatto che ti si è formato intorno, come uno strato di sporcizia.
Alla fine smetti di respirare di tua volontà, cedi agli inferi e ti convinci di meritare la tua punizione.

Ade avrebbe potuto proseguire col dire che negli inferi la solitudine era l'unica compagnia e questo lo trovava sempre molto ironico. Una beffa molto cattiva delle moire, studiata a tavolino e congegnata nel più piccolo particolare per spingere l'anima degli esseri nel baratro più profondo.
Ma Ade non l'avrebbe mai detto. Le sue labbra si sarebbe schiuse appena, la voce avrebbe accennato ad un suono basso e pieno di dolore che neanche lui avrebbe saputo spiegarsi da dove aveva origine. Ma alla fine sarebbe rimasto in silenzio. Le labbra si sarebbero sigillate con silenziosa rassegnazione, in segno di sconfitta. Avrebbe portato un bicchiere di vino alle labbra e ne avrebbe osservato il liquido scarlatto per un minuto buono, in bilico su di un sottile filo fatto di promesse e disperazione.
Il vino gli sembrava ogni giorno più rosso e alcune volte aveva quasi l'impressione che esso si stesse tramutando pian piano nel dolce e fatale peccato in cui si era gettato. Gli veniva da ridere a quel pensiero, un riso che era metà disprezzo e metà angoscia, che faceva venire a lui stesso i brividi per quanto fosse distorto. Si rendeva conto che l'oscurità e il gelo lo stavano braccando come due segugi affamati, pronti a saltargli alla gola al minimo segnale di cedimento.
E questo era un supplizio peggiore di quello riservato alle anime dei morti: un lotta eterna, disperata, combattuta con le unghie e i denti fino a sanguinare, fino a ridursi allo stremo ogni notte. Il vino gli alleggeriva la mente, gli offuscava i pensieri quel tanto che bastava per avere una piccola e misera sosta, del tempo per rendersi conto di quanto terreno aveva ceduto o riconquistato.
Ma il tempo era crudele e lo sarebbe sempre stato. L'eternità era lunga, troppo lunga: protraeva i secondi come fossero ore e le ore come se fossero giorni. Le gocce di tempo si trasformavano in veri e propri oceani, dove Ade si sentiva trascinare dalle correnti più forti verso i fondali più scuri, senza possibilità di scampo. Era intrappolato nelle maglie di quel gioco sadico e vecchio come l'esistenza, senza possibilità di uscita. Ed ogni giorno ne era sempre più logorato, sentiva l'oscurità e il gelo sempre più presenti. Aveva paura. Aveva paura di cedere a quelle due belve, avrebbe preferito continuare quell'inseguimento così logorante che permettere al gelo e all'oscurità di estirpargli dal petto quella scintilla che ancora splendeva grazie ad una promessa.
E allora chiudeva gli occhi e mandava giù il vino.

Il primo sorso era sempre quello peggiore.
A contatto con la lingua generava mille scintille che balzavano da una parte all'altra. Arrivavano fino al cervello e lì sembravano esplodere in colori così vivi da far male. Ma non poteva chiudere gli occhi per ripararsi, era impossibile. Allora sforzava se stesso nel buttare tutto giù, senza perdere una goccia di quel liquido sanguigno. Scendeva veloce in gola, bruciava tutto ciò che incontrava come una colata di fuoco liquido. Sembrava corrompere e disgregare tutto ciò che incontrava per il suo cammino, senza pietà. Arrivava nello stomaco troppo presto, faceva male fisicamente ancora prima di entrare in circolo. Faceva male perché bruciava senza sosta così come bruciava senza pietà il rimpianto immediato di essere ricorso di nuovo ad esso.
La consapevolezza di essersi ridotto ad un'immagine sbiadita di sé faceva infuriare Ade, lo costringeva a confrontarsi con quelle forze che gli si agitavano dentro, a controllare quel conflitto sanguinoso che avrebbe decretato cosa sarebbe stato di lui. Quel primo sorso gli dava la consapevolezza di essere anche lui una delle tante vittime degli Inferi. Una vittima più ostinata e potente, forse, ma con le stesse paure e con gli stessi supplizi. Avrebbe dovuto essere il signore di quel carcere spietato ma alla fine si era lasciato sopraffare dai suoi sentimenti, dalle sue paure più inconsce fino a diventare solo una delle tante anime rinchiuse in quel luogo.
Il primo sorso gli ricordava questo. Detestabile.

Il secondo sorso era sempre quello migliore.
Più delicato rispetto al primo, si ritrovava la strada già spianata verso il rimpianto. Scivolava giù delicatamente come la carezza di un'amante dalla doppia faccia. Cullava Ade verso quello stato di semi ebrezza che annullava il calore distruttivo del primo sorso, si faceva strada fino al cuore, filtrando nelle fibre delle emozioni, annullandole.
Tremendo, il secondo sorso era quello più devastante: arrivava lì dove il primo non riusciva e distruggeva tutte le ultime difese dell'animo. Le facevi a pezzi così minuscoli che diventava sempre più difficile ricostruirle il giorno dopo, sempre più faticoso. E Ade aveva sempre meno voglia di rituffarsi nello schifo che era diventata la sua anima per mettere a posto il disastro che lui stesso combinava senza un briciolo di amor proprio. Inconsciamente, beveva quel secondo sorso con la speranza che fosse l'ultimo. Che bastasse quello per mettere fine al suo bilico interiore, a decretare quale delle due parti fosse la vincitrice.
Ma non succedeva mai: il secondo sorso apriva solamente le danze ad una infinita marea di altri sorsi. E allora il buio si faceva denso. Allungava le dita sottili verso quell'ammasso nero di peccati e disperazione e quasi percepiva il gelo sulla sua pelle. Vedeva quelle lingue buie stringersi ai polsi, strattonandoli con violenza, e non c'era volontà incrollabile che gli resisteva, ma solo un'altrettanta disperata voglia di vedere il mattino seguente.

Ma la cosa realmente ironica era ciò che lo faceva andare avanti, quello che lo spingeva ogni secondo a combattere con tutto il suo essere: quel sentimento puro ma allo stesso tempo sporco che celava nel suo petto era stato la sua condanna, ma nell'eterna punizione degli inferi si era dimostrato l'unica luce capace di tenerlo ancorato nella sanità.
La fiamma, nella distanza e nel supplizio, si era trasformata in un incendio, bruciava tutto quello che tentava di spegnerlo. Bruciava lo stesso Ade, fino alle profondità della sua anima. Bruciava, bruciava ma non faceva male, non riduceva il suo essere in un pugno di cenere annerita. Non era come il gelo che tentava di renderlo una maschera vuota, ne come l'oscurità che voleva attorcigliare le sue spire su tutto ciò che ancora respirava negli inferi. Era un incendio violento generato dal sentimento proibito che Ade covava nel petto, generato quasi per caso da un semplice sguardo.
Quel sentimento che era destinato da essere represso, per amore di una legge imposta dagli stessi dei, ma che si era ritrovato a bruciare più ardente che mai continuava a salvarlo notte dopo notte. Ade aveva paura che quel sentimento potesse inghiottirlo tra le fiamme scarlatte, ma sapeva che sarebbe stato meglio finire consumato da esse che dal gelo e dall'oscurità.

Era una promessa di ritorno a tenere in vita Ade; una promessa che, nella sua fragile natura, rischiarava le tenebre che lo circondava e lo faceva respirare.

   
 
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