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Autore: aschemia    27/05/2016    0 recensioni
Un uomo di mezz'età scopre di essere diverso da chi credeva di essere, realizza di aver vissuto nella menzogna e all'improvviso la sua vita cambia.
Adesso mi ritrovavo in una squallida camera di uno squallido motel, pregando che tutto ciò fosse solo un incubo. Dannazione, speravo davvero che potesse esserlo. Era questa la fine che avrei fatto? Abbandonato come merce scaduta, lasciato in pasto ai pregiudizi e alle malelingue? Era questa la vita che avrei avuto? Una vita senza speranza, una vita senza amore, una vita senza vita? Solo perché avevo deciso di fare un salto nel buio ed essere chi realmente sono?
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiusi la porta e sospirai profondamente. "Finalmente a casa" pensai, mentre posavo la valigetta sul tavolo della cucina. "Finalmente a casa" dissi come se ci fosse qualcuno ad aspettarmi, come per convincermi di essere al sicuro, al protetto tra le mura domestiche, come per ricordare a me stesso che potevo smettere di fingere. Ma non era vero, niente di tutto ciò lo era e io lo sapevo meglio di chiunque altro. Con passo stanco andai verso il bagno, incominciai a spogliarmi ed entrai dentro la doccia. L'acqua calda colpiva violentemente le mie spalle, portando via tutto il sudore e la stanchezza della giornata. Piano piano i pensieri si fecero più fitti, più pressanti; provai rabbia e frustrazione per me stesso, per ciò che ero e ciò che volevo. Urlai non potendo più sopportare quel peso che mi opprimeva il petto, urlai di nuovo e sentì le vene bruciare come se il sangue fosse diventato acido. Avevo provato a fermami, ma non bastava il desiderio di un cambiamento, non era così facile. Veloce asciugai le lacrime e uscì dal box. Passai la mano sul vetro appannato dello specchio e mi guardai negli occhi. Non erano più quelli di un tempo, non erano più quelli di un rispettabile avvocato, né quelli di un amato marito e padre e neanche quelli di un uomo di fede. I miei occhi erano diversi, erano gli occhi di una donna, seducenti e profondi. Come un bambino che ruba di nascosto le caramelle dalla borsa della madre, così mi abbassai per prendere la trousse che avevo comprato in una profumeria, ripetendo più volte alla commessa che "mia moglie l'avrebbe apprezzata moltissimo". Con il polpastrello della mano destra passai l'ombretto sopra alla palpebra degli occhi, poi con il fard cercai di nascondere le rughe e la barba ed infine decorai le labbra con un acceso e deciso rosso. "Io sono un uomo" dissi con voce così fragile che sembrava quasi potesse spezzarsi. "Io sono un uomo"  ripetetti  con più coraggio. Portai le mani alla testa e osservai con attenzione e, infine, la vidi: Lei, cioè me stessa, in tutta la sua bellezza. La riconobbi subito, aveva uno sguardo beato e gioioso, mi sorrideva. Tutti i pensieri e preoccupazioni di un tratto svanirono, rimanemmo solo noi due. Sorrisi anche io. Lei riusciva a calmarmi, a capirmi, a rassicurarmi. Aveva imparato ad ascoltarmi e volermi bene, forse più di quanto facessi io. Tutte le mie ansie e paure sparivano quando c'era lei e ogni volta che la guardavo non potevo fare a meno di chiedermi come facesse ad essere così forte, libera e coraggiosa. "Io sono.." presi un bel respiro e continuai "Io sono una donna". Il cuore incominciò a pompare sempre più rapidamente e un dolore mi colpì allo stomaco. Non ero mai riuscito a pronunciare quelle parole prima di questa volta e mi era sembrato così concreto e reale, per un secondo o poco più. Il dolore aumentava sempre di più e, mentre cercavo di prendere fiato, pensai che me lo meritavo. Questa era la giusta punizione per quelli come  me. Ero malato. Ero contro natura e dovevo pagare per i miei peccati. Il dolore mi strattonava, mi spezzava, mi soffocava, mi uccideva ma in fondo ne ero contento, lo accettavo, la mia era una masochistica gioia. 
Andai verso la camera da letto, mi rivestì e presi un paio di antidolorifici. Era difficile per me prendermi cura di me stesso da solo. Fin da quando ero bambino avevo avuto qualcuno che lo aveva fatto al posto mio. Mia madre, la mia insegnante ed infine mia moglie, o meglio dire ex-moglie. Ex-moglie, quella parola mi faceva venire i brividi, ex come se fosse facile possibile smettere di essere marito e moglie agli occhi di Dio, come se fosse un semplice aggettivo. Io credevo veramente nel vincolo del matrimonio, da bravo cristiano, ed ero profondamente convinto che avrei rispettato le mie promesse finché la morte non ci avrebbe separato. E forse in fondo è stato così. Il momento in cui ho realizzato di essere diverso da chi credevo di essere, ed in fondo anche dagli altri, è stato il giorno in cui sono morto e contemporaneamente è stato quello in cui sono nato, come una persona nuova, come donna. E' strano come succede, conduci la tua intera esistenza credendo di sapere chi sei e all'improvviso, tutto cambia. E' un istante e tutto si trasforma, il tempo di un bacio strappato e poi niente è più come prima. Basta un semplice bacio rubato nel parcheggio dell'ufficio e l'intero mondo crolla, un piccolo bacio e la tua vita viene spazzata via. Basta un innocente bacio e l'incantesimo si spezza e finalmente ci si risveglia dal sonno profondo. 
Il rumore del microonde interruppe la passeggiata nel viale dei ricordi e mi riportò al presente. Presi la ciotola di minestrone congelato e l'appoggiai sul tavolo. Era la quinta volta che lo mangiavo in quella settimana e non perché fossi vegetariano o, in generale, un amante di quella brodaglia insipida, ma perché ultimamente quella era l'unica cosa che potessi permettermi di comprare. Ero sempre stato un lavoratore ambizioso e un risparmiatore attento, avevo dedicato buona parte della mia vita a cercare di raggiungere sempre una posizione più elevata nella piramide sociale. Lentamente avevo raggiunto ogni mio obiettivo e mi ero costruito una carriera di tutto rispetto. Ma adesso tutto era svanito, evaporato come se non fosse mai esistito. Nessuno mi guardava più con rispetto, ogni volta che camminavo tra i corridoi dell'ufficio, tutti i colleghi iniziavano a bisbigliare, mi venivano affidati i casi più noiosi e complicati. Ero diventato non solo lo zimbello della compagnia ma, nonostante il mio brillante curriculum, era come se fossi tornato ad essere un piccolo ed invisibile tirocinante. Inizialmente mi ero illuso che ciò che stava avvenendo nella mia vita privata sarebbe rimasto tale, una situazione personale da lasciare fuori dal lavoro, ma poi mia moglie, ex moglie, venne a trovarmi in ufficio. Ricordo con amarezza quell'incontro e non credo che potrò mai dimenticare la sensazione di disagio, imbarazzo e vergogna che provai in quel momento. Quella fu tra l'altro l'ultima volta che parlai con mia moglie, ex moglie. Era arrivata furiosa nel mio ufficio, gridando con disprezzo e rabbia "Dov'è quel frocio di mio marito?". Il mio cuore aveva mancato qualche battito nell'udire quella frase e subito avevo cercato di farla calmare, la supplicai con tono pietoso di andare via o perlomeno di abbassare il tono della voce ma lei non mi voleva dare retta, voleva farmi sentire umiliato nello stesso modo in cui si era sentita umiliata lei quando le avevo rivelato il mio piccolo e sporco segreto. Era venuta per farmi firmare le carte del divorzio, poiché, come mi aveva rivelato lei stessa, non voleva rimanere legata a me neanche un secondo in più e, inoltre, mi disse che i suoi figli non avrebbero avuto bisogno di un padre come me. Ricordo che provai a replicare che quelli erano anche i miei figli ma lei immediatamente mi bloccò e mi rispose che la persona che si trovava davanti non era neanche lontanamente simile al suo adorato marito e che stava agendo così per proteggere i suoi bambini, facendomi sentire come una specie di mostro, uno di quelli usciti direttamente dalle fiabe che ero solito leggere ai miei piccoli prima augurargli la buonanotte. Appena mia moglie, ex moglie, andò via, tutti incominciarono a mormorare, a ridere e a guardarmi e dal qual momento in poi non avrebbero più smesso. Non potevo più sopportalo ancora, non riuscivo a ignorarli, a fare finta di nulla. Passavo le giornate da solo, sempre e soltanto in compagnia di me stesso e non ricordavo più quando era stata l'ultima volta in cui ero stato felice, che avevo sorriso o semplicemente respirato. Ecco, io volevo solamente respirare a pieni polmoni, prendere un'ultima boccata d'aria pulita, non desideravo altro. Soltanto un secondo di pace, un secondo per riprendermi ma non mi era più concesso, non dopo quello che mi era capitato. Non dopo il divorzio, non dopo che i miei figli mi erano stati strappati via, non dopo aver visto cosi tante porte sbattute in faccia. Adesso mi ritrovavo in una squallida camera di uno squallido motel, pregando che tutto ciò fosse solo un incubo. Dannazione, speravo davvero che potesse esserlo. Era questa la fine che mi sarebbe spettata? Abbandonato come merce scaduta, lasciato in pasto ai pregiudizi e alle malelingue? Era questa la vita che avrei avuto? Una vita senza speranza, una vita senza amore, una vita senza vita? Solo perché avevo deciso di fare un salto nel buio ed essere chi realmente sono? In preda a tutte queste domande a cui non sapevo e non volevo trovare risposta, presi la bottiglia di whisky dal comodino e la bevvi come se fosse acqua nel deserto, come se avessi bisogno di dissetarmi. Lentamente poggiai la testa pesante sul cuscino, distesi tutto il corpo su quel freddo letto, diedi un ultimo sguardo alla fotografia dei miei preziosi figli, come per augurargli la buonanotte anche da lontano ed infine chiusi gli occhi.
Prima di abbandonarmi definitivamente tra le braccia di Morfeo, lasciai che la mente viaggiasse in posti più felici, immaginando un futuro che sapevo non avrei mai potuto avere, sognando una vita migliore in un luogo molto molto lontano nella quale mi sarei potuto sposare con quell'uomo che tanto amavo e che mi aveva salvato da me stesso; nel qualche i miei cari genitori avrebbero accettato ma, soprattutto, capito la mia decisione e magari avrebbero potuto anche conoscere la nuova me; nella quale avrei potuto dire "Io sono una donna" senza dovermi nascondere; nella quale avrei potuto comprare e indossare gli abiti che più mi piacciono; nella quale avrei potuto camminare per le strade della mia città a testa alta, dove  la parola "transessuale" non sarebbe stato una specie di insulto né un sinonimo di strano o sbagliato; nella quale sarei potuto andare a prendere i miei bambini a scuola e non dover sentire gli altri genitori dire ai proprio figli "non guardarlo, amore mio, stai lontano dalle persone come lui" come se fossi una brutta persone o avessi mai fatto del male a qualcuno; nella quale mia moglie, ex moglie, mi sarebbe stata accanto e non mi avrebbe proposto di andare in uno di quei ridicoli centri di recupero, come se dovessi essere curato. Mi lasciai cullare dalla fantasia e trasportare in un mondo più puro e buono dove avrei potuto dire: "Finalmente a casa" e pensarlo davvero. 
   
 
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