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Autore: Mokochan    27/05/2016    1 recensioni
Sette flashfic che raccontano qualcosa di Miles e Isabelle, personaggi che non hanno ancora una vera e propria storia, e di cui vengono raccontati solo piccoli episodi. Nulla più, nulla meno.
Cit/: «Non vieni per parlare con mio fratello e mi aspetti quando torno dal lavoro. Inoltre ti rifiuti di entrare in casa, quindi… sì, deve esserci un motivo.»
Plic.
Passandosi una mano sul retro del collo, Miles borbottò: «Mi piace sentirti parlare, va bene?»
• Le flashfic di questa raccolta hanno partecipato alla “Corsa delle 48 ore” indetta dal forum Torre di Carta.
• Ringrazio Emmevì per aver betato queste flashfic.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cominciò tutto in quel giorno di pioggia


『#1. Cominciò tutto in quel giorno di pioggia 』


Miles era seduto sugli scalini del portico coi gomiti poggiati sulle ginocchia e gli occhi puntati sulla strada, in attesa. Isabelle lo vide quasi subito, avvertendo una stretta all’altezza dello stomaco che cercò di ignorare.
Levandosi i capelli dalla faccia con una smorfia, corse sotto la pioggia fino a raggiungerlo, avvampando quando incontrò il suo sguardo divertito.
Lui le percorse il corpo con gli occhi per un paio di secondi, prima di parlare. «Una doccia così non l’augurerei a nessuno.»
«Ma non mi dire» brontolò lei, tirando su col naso. «Stai aspettando Thomas?»
Miles scosse il capo, una scintilla d’impazienza sul volto sicuro. «Perché mi chiedi la stessa cosa tutti i giorni?»
«Perché tu vieni qui tutti i giorni?» lo rimbeccò Isabelle, guardandolo dall’alto in basso.
«Per caso è successo qualcosa? Mi sembri vagamente nervosa» Miles le fece un sorrisetto. «Ma giusto un po’.»
«Sono bagnata fradicia e ho freddo, scusa se sono vagamente nervosa.» Isabelle lanciò un’occhiata alla porta, poi tornò a fissarlo. «Vado a cambiarmi e torno. Tanto non hai nessuna intenzione di entrare, vero?»
Miles annuì.
Isabelle corse dentro e ci mise un quarto dora per cambiarsi e asciugare un poco i capelli. Quando tornò sul portico, trovò Miles intento a contemplare una pozzanghera, quasi fosse la cose più interessante del mondo.
«Bella vista?»
Lui sussultò e si voltò a guardarla, facendole segno con la mano di sedersi. «Non direi. Allora, oggi cos’è successo?»
Ogni giorno, da circa sette giorni, Miles l’aspettava sotto il portico quando tornava dal lavoro. Le chiedeva come avesse passato la giornata, come fosse andata al negozio, come se la passasse a scuola – domande innocue, dette con un sorrisetto malizioso e a volte con espressione meditabonda. Isabelle parlava tanto, più di quanto facesse di solito, e raccontava qualsiasi cosa le passasse per la testa.  Le brutte persone, i piccoli incidenti, i litigi, le gioie, le brutture e le delusioni – ogni aspetto delle sue giornate si trasformava in uno sfogo che Miles accoglieva con qualche battuta o in perfetto silenzio, senza lasciarsi sfuggire una parola.
Una parte di Isabelle amava tutto ciò.
«Quindi è per questo che sei arrivata bagnata fradicia? Ti hanno rubato l’ombrello al bar?» Miles scoppiò a ridere e alzò una mano per impedire a Isabelle di prenderlo a schiaffi. «Scusa, scusa! Non riderò più.»
«Bravo!» Isabelle incrociò le braccia al petto e guardò la pioggia che cadeva di fronte a loro. Un brivido le percorse la schiena. «Non mi hai ancora spiegato perché vieni qui.»
Miles sbuffò. «Ci deve essere un motivo?»
«Non vieni per parlare con mio fratello e mi aspetti quando torno dal lavoro. Inoltre ti rifiuti di entrare in casa, quindi… sì, deve esserci un motivo.»
Plic.
Passandosi una mano sul retro del collo, Miles borbottò: «Mi piace sentirti parlare, va bene?»
Isabelle spalancò gli occhi. «Tutto qui?»
Con un sospiro, lui le fece un sorriso teso e annuì. «Più o meno. Ma non ho voglia di parlarne. Sono qui per sentire te.»
Uno sguardo significativo, poi nient’altro.
Così Isabelle – guance in fiamme e brividi che nulla avevano a che vedere col freddo della sera – riprese a parlare.
Dei propri pensieri, dei propri sentimenti.
Ancora per un altro giorno.




『 #2. Lei sa che gli dispiacerebbe 』


«Sai che si gela, piove a dirotto e rischio di prendermi un raffreddore?»
Quando gli si fermò di fronte, Isabelle lanciò un’occhiataccia a Miles, seduto ad aspettarla nello stesso posto come faceva ormai da due settimane – in quale modo riuscisse a starsene lì al freddo come se nulla fosse era un mistero.
Lui si pizzicò il naso con due dita, poi scrollò le spalle. «Io non sento niente, ma se hai freddo puoi vestirti un po’ di più,» la squadrò attentamente, «anche se quella camicetta è proprio carina.»
Avvampando, Isabelle scosse il capo e cominciò a salire i gradini. «Farò finta di non aver sentito. Aspettami qui» aggiunse poi, entrando in casa. Infilò le chiavi in uno dei ganci sulla parete nell’angolo e corse a mettersi un maglione, poi decise di andare in cucina.Alcuni minuti dopo raggiunse Miles con due tazze in mano e la netta sensazione che si sarebbe presto pentita di quel piccolo gesto cortese.
Meravigliato, Miles prese la tazza che Isabelle gli porgeva e studiò il suo contenuto. «Wow, grazie.»
«Perché quella faccia sorpresa?»
«Se ci pensi bene, tu praticamente mi odi» spiegò lui, sollevando le sopracciglia scure. «La cioccolata calda è l’ultima cosa che mi sarei aspettato da te. A meno che non ci sia del veleno dentro. Ma la berrò sulla fiducia» aggiunse veloce, schivando uno schiaffo – l’ennesimo.
Isabelle strinse la propria tazza fra le mani con un moto di irritazione, assorbendo il calore che sprigionava, e osservò il fumo che si levava verso l’alto; il profumo amaro della cioccolata le colpì le narici, facendole venire lacquolina in bocca.
«Per caso hai perso la lingua?» la punzecchiò Miles dopo qualche minuto. «Non che mi dispiaccia...»
«Cretino» borbottò Isabelle, bevendo un sorso di cioccolata. «Cavolo, che buona! E comunque so che ti dispiacerebbe, dato che vieni qui solo per sentire quello che dico. O sbaglio?»
Lui ridacchiò, assaggiò la propria cioccolata e alla fine le sussurrò un debole: «Touché.»



『#3. Pessimi gusti in fatto di donne 』


«Un giorno mi spiegherai perché non vuoi entrare in casa?»
Miles tese le braccia all’indietro posando le mani sul pavimento del portico e inspirò profondamente. «Direi proprio di no.»
«Quando sei con Thomas entri sempre» gli fece notare Isabelle, soffiando via una ciocca bionda che le era finita sulle labbra mentre parlava. «Non ti fai di certo pregare.»
«Con lui è diverso.»
«Non ne vedo il motivo.»
Miles alzò una mano e cominciò a pungolarle la spalla con un dito.  «Tu non lo vedi, ma io sì e tanto basta.»
Isabelle spalancò la bocca per ribattere, ma la richiuse quando notò l’antenna che spuntava dalla borsa del ragazzo, abbandonata su uno degli scalini sotto di loro. «Cos’hai lì dentro?»
Visibilmente perplesso, Miles seguì il suo sguardo.  «Suppongo sia una radio portatile.»
«“Supponi”?»
«Sai che certe volte sei un pochino irritante?»
«Solo quando sono obbligata a parlare con te» sibilò Isabelle sulla difensiva, le guance improvvisamente calde – lui la fissava con quel suo maledetto sorrisetto e gli occhi azzurri appena sollevati al cielo, simulando un fastidio che in realtà non provava affatto. Per sfuggire a quello sguardo, Isabelle si alzò e andò dritta verso la sua borsa prima che potesse fermarla; l’aprì e prese la radio fra le mani, notando che era accesa e col volume totalmente abbassato.
«Belle, rimettila a posto» le ordinò Miles, nella voce un avvertimento che annunciava ritorsioni.
«Andiamo, è solo una radio. A meno che qualcuno qui non ascolti roba mortalmente imbarazzante. Ascolti roba mortalmente imbarazzante?»
«Quando Thomas dice che sei alquanto ficcanaso…» grugnì Miles, mettendosi in piedi senza alcuna difficoltà,  «forse non ha tutti i torti.»
«Sì, ascolti musica mortalmente imbarazzante.»
E prima che Isabelle potesse alzare il volume, Miles le tolse dalle mani la radio e la spense, borbottando sottovoce di bambine dispettose e pessimi gusti in fatto di donne.
Tutte cose che Isabelle, per fortuna, non sentì.



『#4. Quel vestito 』


La macchina di Katrina frenò di botto e Isabelle desiderò averne una tutta per sé come Thomas, perché un altro viaggio del genere le avrebbe fatto vomitare persino l’anima. Salutò la sua migliore amica con un sorriso tirato e scese dalla vettura, sistemandosi meglio la borsa a tracolla sulla spalla, la luce di un lampione che gettava ombre terrificanti sul marciapiede.
Si accorse di chi l’aspettava sotto al portico solo quando fu abbastanza vicina da incrociare quello sguardo, e un imbarazzo privo di senso le colorò le guance. Sperò che quel rossore non si vedesse al buio – per una sciocchezza del genere Miles sarebbe stato capace di prenderla in giro fino alla morte.
«Perché sei qui?» si limitò invece a domandare, schiarendosi la gola quando salì sull’unico gradino non invaso dal suo corpo.
Miles non le sorrise come al solito, ma si limitò a fissarla per un lungo istante, prima di rispondere. «Io e Thomas abbiamo finito di vedere un film qualcosa come un’ora fa. Tu però non eri ancora tornata, così sono rimasto qui fuori ad aspettarti» confessò.
«Oh.» Che risposta intelligente. «Non ce n’era bisogno.»
«Lo so.»
Isabelle si morse il labbro, notando la strana espressione dipinta sul volto del ragazzo. «Per caso è accaduto qualcosa mentre non c’ero? Fra te e Thomas?» azzardò, parlando lentamente.
«Io e Tom non litighiamo mai» le ricordò Miles, accennando un sorriso. «Piuttosto, Belle, quel vestito non è un po’ troppo… scollato?»
Colta di sorpresa, Isabelle si guardò rapidamente, non trovando niente di male in ciò che indossava. Forse la gonna era un pochino più corta rispetto a quelle che portava di solito – arrivava a malapena alle ginocchia – ma la scollatura a V nella parte superiore del vestito mostrava solo un accenno di curve, nulla di eccessivamente scandaloso.
«Non ha niente che non vada.»
«È minuscolo» brontolò Miles.
Isabelle non riuscì a trattenere una smorfia. «Cavolo, sembri Thomas quando fai così, ma senza l’aria di dover vomitare da un momento all’altro.»
Mormorando un’imprecazione, il migliore amico di suo fratello balzò in piedi e scese i gradini con le mani infilate nelle tasche del giubbotto e lo sguardo cautamente abbassato.
Quando le fu accanto, però, le scoccò un’occhiata e si fermò. «Sai, Isabelle, dovresti vederti con i miei occhi per comprendere perché non ho l’aria di voler vomitare. Capiresti molte cose.»
Poi se ne andò, lasciandola lì col cuore in subbuglio e la mente piena zeppa di pensieri.



『#5. Non sono cose che mi riguardano 』


Miles non era da solo. Accanto a lui, seduto comodamente sui gradini con una lattina birra in una mano e una sigaretta nell’altra, c’era Thomas.
Isabelle si bloccò sul marciapiede sperando di non essere vista e rimase a fissarli per un po’, avvertendo nel petto una fitta di disagio che non aveva nulla a che vedere con suo fratello.
Il comportamento di Miles, la notte precedente, l’aveva colpita più di quanto fosse disposta ad ammettere. Il modo in cui si era soffermato a guardarla, la sua irritazione per il vestito che indossava, le parole che aveva pronunciato prima di abbandonarla su quel maledetto portico col cuore a mille e il fiato corto – era rimasta talmente turbata che quella notte i suoi sogni erano diventati un mescolarsi di occhi azzurri e sospiri trattenuti.
Quel ragazzo la faceva sentire strana.
Si guardò i piedi per alcuni secondi, raccogliendo timidamente i pensieri, e levò gli occhi verso il portico solo quando fu sicura di aver messo da parte ogni incertezza, incontrando lo sguardo azzurro di Miles.
Da quanto tempo se ne stava lì a fissarla?
Thomas non l’aveva notata, continuava a parlare con l’amico senza rendersi conto di aver perso tutta la sua attenzione e agitava la sua lattina con fare concitato, completamente preso dal proprio racconto.
Isabelle non seppe come interpretare quella reazione, ma giurò di aver visto un lampo di pentimento passare sul viso di Miles, prima che questi sollevasse di scatto una mano per salutarla e far capire a Thomas che non erano più soli.
Scacciando ogni pensiero su quello che era successo fra di loro, la ragazza si affrettò a raggiungerli, stampandosi in faccia un sorriso così finto che Miles inarcò un sopracciglio, dimostrando di aver colto quella messinscena.
«Ehi, sorellina!» Thomas si alzò e la stritolò fra le braccia come se non la vedesse da anni. «Com’è andata al negozio? Qualche gattino ti ha preso di nuovo di mira?»
Nessun gattino, solo il tizio che ti siede accanto. «No, direi che è stato un pomeriggio piuttosto noioso. E tu, invece? Non dovresti essere al campus?»
«Non oggi. Ho convenuto con Miles che una giornata priva di libri e caos universitari fosse un ottimo modo per ricaricare le batterie. E poi il nostro amico ha l’aria depressa.»
Per la prima volta da quando lo conosceva, Isabelle vide Miles in imbarazzo. «Non è vero.»
«Oh, sì invece» esclamò Thomas ridendo. «Quando sei apparso al campus col musone, stamattina, per poco non mi è preso un colpo! Secondo me ha un debole per una» aggiunse, lanciando un’occhiata d’intesa a Isabelle, che cercò di ricambiarla soffocando un moto di panico.
«Tu dici?»
Miles la fissò. «Non starlo a sentire.»
«Tanto non sono cose che mi riguardano» rispose lei, regalandogli un sorriso affettato. «Ora devo andare a studiare. Ci vediamo dopo.»
Non sono cose che mi riguardano.
Eppure, quando si chiuse la porta di casa alle spalle e vi si poggiò contro, Isabelle ebbe la sensazione che in realtà tutta quella faccenda la riguardasse eccome.



『#6. Ti desidero 』


Quel giorno Isabelle era tornata presto a casa, dato che il negozio di animali in cui lavorava era chiuso e il suo proprietario, il signor Stevenson, in viaggio verso la città natale della moglie
Quel cambio di programma aveva modificato la routine di un normalissimo giovedì, trasformandolo in una domenica come le altre in cui Miles era costretto a suonare alla porta, aspettandosi di trovare Thomas con lei.
Naturalmente non sarebbe andata così.
Dopo aver sistemato gli odiati compiti di geometria in un angolo della scrivania, Isabelle lanciò un’occhiata all'orologio appeso alla porta della propria stanza e si mordicchiò il labbro, conscia dell’imminente arrivo di Miles.
Avrebbe suonato alla porta? Isabelle lo aveva avvisato la sera precedente, prima che tornasse a casa – era stato difficile parlargliene, i suoi occhi azzurri non avevano fatto altro che studiarla per tutto il tempo – e lui non aveva detto nulla, si era limitato ad annuire e a voltarle le spalle.
«Vorrei sapere cosa gli passa per la testa» si disse preoccupata, alzandosi per andare al piano di sotto; ciabattò fino in cucina e scostò una delle tende sopra il lavandino per esaminare il portico.
Vuoto.
«E se non venisse?» un altro pensiero detto ad alta voce, una piccola paura interiore.
Si allontanò dalla finestra e prese del succo d’arancia dal frigorifero; se ne versò un po’ in un bicchiere e poi lo mandò giù lentamente, le dita della mano libera aggrappate ai bordi del tavolo e un desiderio folle che le cose non fossero così complicate.
Amava parlare con lui e trascorrere qualche ora senza doversi preoccupare di tutto il resto.
Se non si fosse fatto vivo, come si sarebbe dovuta comportare?
Fino a tre settimane prima, quando quelle visite erano iniziate, non avrebbe mai pensato di poterle desiderare o sentirne la mancanza. E non si trattava solo dell’occasione di sfogarsi e tirare fuori tutto ciò che normalmente non si sarebbe mai azzardata a confessare, no; si trattava di Miles, del modo in cui l’ascoltava senza mai darle l’impressione di volerla giudicare. Si trattava della sua compagnia, del suo esserci, del suo apprezzarla malgrado i difetti.
Posò il bicchiere vuoto sul tavolo e lo fissò con sguardo vacuo, prima che qualcuno si mettesse a suonare il campanello come un forsennato, riportandola bruscamente alla realtà.
Che diavolo...
Corse alla porta e la spalancò con uno strattone, giusto in tempo per vedere un mazzolino di fiori rossi abbandonato sul tappeto e Miles che correva via.
Isabelle urlò il suo nome senza riflettere e lui si bloccò con un sussulto; si voltò a guardarla e lei gli lesse negli occhi ciò che i fiori ai suoi piedi esclamavano in tutti i modi possibili.
“Mi dispiace per come mi sono comportato.”
Poi corse di nuovo via, levandole di dosso quegli occhi tristi.



Le aveva lasciato dei gelsomini rossi.
Isabelle amava i fiori e lui lo sapeva: una volta si era dilungata a spiegare il significato di ognuno di essi, elencando persino le differenze fra un colore e l’altro.  Miles aveva assorbito quelle piccole informazioni come faceva con il resto, deciso a non dimenticarle.
Per questo aveva scelto i gelsomini rossi. Non voleva solo chiederle scusa, ma dirle “ti desidero”.
Perché i suoi non erano i sentimenti di un amico e ne era pienamente consapevole.



『#7. Il significato di quei fiori 』


Una volta tanto sarebbe stata Isabelle ad aspettare Miles.
E lui non si fece attendere.
«I ruoli si sono invertiti» fu la prima cosa che disse avvicinandosi al portico, una mano in tasca e l’altra abbandonata lungo il fianco, inerte. «Quindi il negozio è chiuso anche oggi?»
Isabelle annuì – un gesto tipico di Miles – e gli fece cenno con la mano di sedersi accanto a lei, indicando poi la lattina che teneva in grembo da qualche minuto.
Miles fece come gli era stato detto e le si sedette accanto, evitando però di guardarla negli occhi.
Ora le loro gambe si sfioravano.
«Grazie per i fiori» disse Isabelle, porgendogli la bibita. «Devo dire che è stato molto… romantico da parte tua.»
Forse era stato più che romantico, ma Isabelle si trattenne dall’aggiungerlo.
Scrollando le spalle, Miles afferrò la lattina e se la rigirò tra le mani. «Una lattina di Pepsi? Se è la tua risposta ai fiori, devo dirti che in quanto a fantasia non ci siamo proprio.»
«Non mi sto scusando con la lattina, santo cielo!» Isabelle abbassò il capo per un secondo, poi si sistemò i capelli dietro le orecchie e lo sollevò di nuovo per tornare a guardarlo, sperando di non diventare rossa. «Era solo un modo per rompere il ghiaccio.»
«Oh, beh» fece lui, «direi che è servita allo scopo. Però la prossima volta offrimi una Coca-Cola, la Pepsi è un po’ di serie b...»  Isabelle gli diede una gomitata. «Ahi! Andiamo, Belle, scherzavo!»
Certe cose non sarebbero cambiate mai.
«I fiori» disse Miles aprendo la lattina, «non li ho presi proprio a caso, spero tu lo abbia capito.»
Allora non se lo era solo immaginato.
«Io credo di… di averlo capito, sì,» le uscì un balbettio indistinto che la mise a disagio, «ti sei ricordato della mia ossessione per i fiori.»
«Quella lezione è stata utile. Mi sono ricordato persino dei significati.»
«Nei sei sicuro?»
«Di cosa?»
Isabelle si agitò. «Di ricordarli. I significati, intendo.»
Miles posò la Pepsi a terra dopo aver dato una lunga sorsata e allungò una mano per afferrarle una ciocca di capelli; se l’attorcigliò attorno a un dito puntandole i suoi intensi occhi azzurri addosso, infine gliela lasciò ricadere dolcemente sulla spalla.
Isabelle si rese conto di aver smesso di respirare, quando lui alla fine rispose.
«Direi proprio di sì, Belle.»  





Note dell’autrice:
Dato che non aveva senso lasciare questa storia come una raccolta, ho deciso di radunare tutte le flashfic dell'iniziativa da cui sono nate e ripubblicarle in un unico capitolo. Si conclude tutto così? Per il momento sì. Ho un seguito in mente (una long vera e propria) e probabilmente racconterò tutto nei minimi dettagli lì, accennando anche agli episodi di questa raccolta. Fino a quel momento, queste resteranno così, l'inizio di un qualcosa, di qualunque cosa si tratti. Grazie per aver letto, anche se non è nulla di così originale o ben scritto. Un bacione,

Mokochan

   
 
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