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Autore: pandamito    28/05/2016    0 recensioni
Mentre da una parte nel mondo Andrea e Giuliano incontrarono Licia per caso, in un’altra parte sempre molto super random qualcuno mi chiese mi raccontare una storia. Sinceramente non ne avevo proprio voglia, però sapete com’è, non avevo niente di meglio da fare mentre il torrent finiva di scaricarsi e poi ho realizzato: quello era il mio momento. Il Destino, il Fato, un cavallo, qualcosa di mistico e onnipresente che governava le forze dell’universo mi stava dando l’opportunità che avevo sempre aspettato per risplendere ancor di più, per infangare ancora il nome di qualche persona e bearmi delle loro sventure.
E così una testolina riccia e nera trotterellava tranquilla per strada, intento nel tornare a casa da-
No, aspettate, non è così che inizia la storia.
Torniamo indietro. Rewind.

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Basically: gente molto random e scapestrata abita in un condominio dove succede di tutto e di più e fanno cose.
Ovvero chiamata "la storia che nessuno aveva bisogno che io scrivessi".
Genere: Commedia, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: Nonsense | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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Alcune piccole precisazioni prima di iniziare: questa storia è stata scritta per mia personale necessità, in quanto la userò molto come cavia per un mio progetto futuro, #whosalice per chi ne avesse già sentito parlare. Quindi ci tengo a dire che lo stile con cui verrà scritta la storia è molto sperimentale, di conseguenza probabilmente talvolta non avrà senso, la storia in sé non avrà un senso, tutti i comportamenti dei personaggi non avranno un senso e va benissimo così.
La storia è fatta un po' per ridere, un po' no, prendetela come vi pare, no one cares.
Bao.


 





Mentre da una parte nel mondo Andrea e Giuliano incontrarono Licia per caso, in un’altra parte sempre molto super random qualcuno mi chiese mi raccontare una storia. Sinceramente non ne avevo proprio voglia, però sapete com’è, non avevo niente di meglio da fare mentre il torrent finiva di scaricarsi e poi ho realizzato: quello era il mio momento. Il Destino, il Fato, un cavallo, qualcosa di mistico e onnipresente che governava le forze dell’universo mi stava dando l’opportunità che avevo sempre aspettato per risplendere ancor di più, per infangare ancora il nome di qualche persona e bearmi delle loro sventure.
 
E così una testolina riccia e nera trotterellava tranquilla per strada, intento nel tornare a casa da-
 
No, aspettate, non è così che inizia la storia.
Torniamo indietro. Rewind.
 
Supponiamo di immaginarci un tizio, un po’ stempiato, un po’ acciaccato, un po’ –ato insomma. Beh, supponiamo anche che questo tizio anni e anni prima avesse avuto la poco brillante idea di aprire una fumetteria nella zona più sfigata e malfamata della città. Che genio, insomma, ma non è questo l’importante. In effetti – e stranamente, dobbiamo dire – la sua attività andava alla grande, cioè wow, chi se lo sarebbe mai aspettato, complimenti, magari riuscissi io a portare avanti un lavoro per guadagnarmi da vivere invece di fare il parassita a scrocco a casa di altra gente. AHAHAHAHAH ma chi prendiamo in giro, tutti vorremmo vivere gratis a scrocco e discapito di qualcun altro.
Così abbiamo detto che il Signor-Proprietario-Della-Fumetteria stava messo abbastanza bene col lavoro e teneva anche un fucile sotto il bancone per le evenienze; sapete, non si sa mai. Ma quindi cos’è che ha di tanto importante in questa storia da collegarlo al Tizio Trotterello di cui parlavamo prima?
Si dà il caso che il Signor-Proprietario-Della-Fumetteria non solo aveva, appunto, una fumetteria, con dei veri fumetti all’interno, ma aveva anche un ragazzo che gli lavorava lì perché lui non ne aveva più voglia e, ancor più importante e sconvolgente, aveva anche dei clienti. Davvero, davvero sconvolgente.
Uno di questi clienti un giorno arrivò con addosso un paio di occhiali da sole. Perché? Perché fuori c’era il sole.
In quello stesso momento il Ragazzo-Che-Lavorava-Nella-Fumetteria-Per-Il-Signor-Proprietario-Della-Fumetteria stava leggendo un fumetto mentre si trovava dietro il bancone della cassa. E sempre il Destino/Fato/cavallo decise proprio che in quel momento un raggio di sole avrebbe picchiato ardentemente attraverso le vetrate del negozio, battendo contro gli occhiali da sole del misterioso Signor-Cliente-Con-Gli-Occhiali-Da-Sole e producendo un’angolazione tale che il riflesso andò ad appiccare fuoco al fumetto del Ragazzo-Che-Lavorava-Nella-Fumetteria-Per-Il-Signor-Proprietario-Della-Fumetteria e lui stesso prese fuoco e iniziò a dimenarsi, a correre in giro, uscire dal negozio e rotolarsi per terra.
Andò in ospedale e di questo siamo certi perché un’ambulanza venne a prenderlo e si vocifera sia morto in quell’occasione, ma di questo non ci interessa.
Il Sigor-Proprietario-Della-Fumetteria fortunatamente non aveva perso la sua merce nel quasi incendio, ma aveva comunque perso uno schiavo sottopagato e a lui non era ritornata la voglia di lavorare; quindi come fare?
Ecco che per l’appunto passò il nostro ricciolino trottolino amoroso dudu dadada. Chi era codesta angelica figura benedetta mandata dal cielo?
Philip Orwell era la persona dall’anima più bella che sia mai esistita e non lo dico mica per via dei biscotti che mi ha sempre dato, no, la mia è un’opinione oggettiva.
Aveva ventidue anni, un cespuglio di ricci neri e due occhi azzurri da cucciolo; studiava Beni Culturali e proprio in quel momento, armato di maglioncino con le renne e zainetto in spalla, stava tornando a casa tutto sorridente, quando il Signor-Proprietario-Della-Fumetteria lo fermò.
«Ehi, tu!» lo chiamò a gran voce, avanzando ad ampie falcate verso di lui.
Philip si fermò e strabuzzò gli occhi, perplesso. Lo conosceva solo di vista, ma gli sorrise lo stesso.
«Vuoi guadagnare pochi soldi?»
 
Philip salì le scale fino al quinto piano e girò le chiavi nella serratura dell’appartamento numero dodici, ma quelle si bloccarono. Provò a estrarle, ma si erano incastrate; tentò di nuovo di girarle, ma gli si spezzarono in mano e i denti rimasero nella serratura. Sbatté le palpebre, incredulo e, indeciso sul da farsi, bussò alla porta.
Sentì dei passi avanzare dall’altra parte.
«Che diavolo fai?» domandò una voce che riconobbe come quella di suo fratello Robin. Sicuro lo stava osservando dall’occhiello.
Alzò la mano con la metà chiave per mostrarla. «Mi si è spezzata nella serratura.»
«Che cosa?» disse la voce, che diventava più acuta a nervosa.
Sentì che qualcuno stava tentando di forzare la maniglia dall’altro lato, ma la porta non si mosse.
«Che succede?» domandò una voce dietro di lui.
Philip si voltò e notò Peggy che stava salendo le scale. Era di un paio d’anni più grande di lui, i capelli neri e mossi erano stati un po’ cotonati quel giorno, i grandi occhi azzurri circondati dal pesante trucco; indossava solo una canotta scollata quasi trasparente, una minigonna attillata e un paio di zeppe, mentre teneva in una mano smaltata rosa fluo la sua borsa e nell’altra il suo cellulare.
«Si è bloccata la porta» spiegò, sincero e innocentemente.
Detto questo improvvisamente un’ascia sfondò la porta e Peggy lanciò un grido, mentre l’arma affondava ancora un paio di volte nella porta seguita da qualche calcio che la buttò definitivamente giù.
Mentre Peggy si era artigliata al fratello minore, terrorizzata, dall’altra parte ne emerse Wade, il maggiore, che fece rimbombare la sua risata.
Wade poteva avere pure trentaquattro anni, una carriera nel marketing già avviata, i folti capelli mossi e neri tipici degli Orwell, tagliati non molto corti, e anche gli stessi occhi azzurri che aveva tutto il resto della sua famiglia, un accenno di barba che faceva intendere che era più grande di quel che sembrava, ma nonostante ciò di certo gli mancava il buon senso.
«Te l’avevo detto che avrei vinto» disse a Robin, che guardava orripilante la scena dietro di lui.
Robin invece aveva ventinove anni, i capelli ricci di un putto e sempre neri, con i tipici occhi azzurri, ma spesso gonfi e un po’ infossati, e schifava quasi tutto della vita.
Peggy ribollì di rabbia, uscì impetuosa dal suo nascondiglio e come una furia prese l’ascia e la lanciò contro il maggiore.
Wade si scagliò di lato per evitare il colpo e cadde a terra, mentre Philip tentava di tenere stretta sua sorella per evitare che riempisse di calci l’altro. L’ascia, però, andò a finire contro una delle gambe del tavolo da pranzo, che cedette.
«Perfetto, ora non abbiamo neanche un tavolo» si lamentò Robin, «dovremmo mangiare tipo i giapponesi.»
Philip gonfiò le guance. «Che cos’hai contro i giapponesi?»
Robin roteò gli occhi. «Non ho niente contro i giapponesi, era un modo di dire.»
«Sei impazzito?!» gridò isterica Peggy. «E perché diavolo abbiamo un’ascia nell’appartamento?»
«Per casi come questo!» si giustificò Wade, cercando di rotolare via dalla vista della minore.
«È proprio per questo che non sto mai a casa!» continuò a sbraitare quella.
«Io comunque ho trovato un lavoro» annunciò Philip.
Improvvisamente il silenzio scese nella sala e tutti gli occhi furono puntati su di lui.
«Cosa?» qualcuno disse, quasi impercettibile distinguere chi.
«Soldi!» scoppiò Wade, volenteroso di andare ad abbracciare il fratello, ma ricordandosi che non sarebbe stato più a distanza di sicurezza da Peggy.
A quella magica parola, qualcuno uscì da dietro la tenda che separava la stanza dalla zona con i letti a castello: una figura mingherlina di circa quindici anni, dai corti e lisci capelli neri e gli occhi azzurri.
«Questo vuol dire che ora possiamo abbonarci a Netflix?» chiese.
Una risata fece voltare tutti verso la figura che fino a quel momento era passata inosservata e che giaceva a gambe incrociate sul divano, col computer in grembo, una chitarra accanto e le cuffie attorno al collo, trentun anni di capelli neri e ricci raggruppati in una crocchia disordinata, barba incolta e grandi occhi azzurri puntati fissi sullo schermo.
«Hanno appena sfondato la porta e abbattuto il tavolo, tesoro, mi sa che Netflix viene al prossimo giro» commentò aspramente.
«E allora dammi il computer» protestò il minore.
«Scordatelo, devo finire di montare il video per Alexandre.»
«Non frega a nessuno del tuo ragazzo, io mi annoio.»
«Non frega a nessuno della tua esistenza, smamma
Peggy alzò gli occhi al cielo e con essi anche le mani. «Io non ce la faccio, me ne vado» sbottò, uscendo di nuovo.
Robin tentò di spostare la porta o perlomeno accostarla, ma senza successo, mentre Wade andò ad aprire la credenza per prendere una tazza per il caffè. Improvvisamente qualcosa gli morse una gamba e, prima che potesse accorgersi che non era nient’altro che Ragnarock, il gatto nero e dai grandi occhi verdi che aiutava a rendere la loro vita ancor più un inferno e che in quel momento reclamava cibo, la tazza gli scivolò dalle mani, andandosi a rompere in mille frammenti sul pavimento.
Tutti si ammutolirono, per poi posare lentamente lo sguardo su Philip.
La tazza, quando era ancora intatta, era lunga e stretta, con sopra dipinto a mano un prato fiorito con un’ape che volava sbarazzina nel cielo azzurro. Era la sua preferita.
Philip scoppiò a piangere.
 
Poteva avere, che so, tipo sui ventisette anni o qualcosa del genere, i capelli biondicci tirati indietro, gli occhi azzurri segnati da un’espressione crucciata, in quel momento più del solito. Era in piedi di fronte l’uscio dove fino a poco tempo prima c’era una porta reale e fissava quello spazio vuoto, apriva la bocca talvolta come per dire qualcosa, ma poi la richiudeva subito, rimangiandosi tutte le parole che avrebbe voluto dire. Non sapeva se doveva alzare il braccio e bussare– ma bussare dove?
Dall’altra parte l’uomo con la crocchia disordinata si sciolse i capelli e continuò a fissarlo, prendendo un altro sorso di caffè.
«Alexandre, lo sai che posso vederti, sì?» gli fece notare, rompendo il silenzio.
Il biondo irrigidì ancor di più la mandibola. «È proprio questo particolare che sto cercando di capire.»
Il moro gli andò in contro e gli prese una mano per condurlo sul divano, facendolo sedere, mentre il biondo era ancora visibilmente spaesato. Alexandre rubò la tazza di caffè dalle mani del suo ragazzo, quello se la riprese velocemente e lui gliela strappò di nuovo con forza, prendendo un sorso. Il caffè non gli faceva granché bene, così l’altro gliela sfilò dalle mani per l’ennesima volta e la poggiò a terra.
Alexandre sentì qualcosa attorcigliarsi attorno a lui e stringerlo in un abbraccio, mentre lui continuava a fissare la porta abbattuta senza muovere un muscolo, soffermandosi sui segni d’ascia. Poi spostò lo sguardo e, accovacciato sopra un mobile, notò un gatto bianco a pelo corto e degli enormi occhi a palla che lo fissavano, spauriti.
«Tony» lo chiamò il biondo.
L’interessato mugugnò qualcosa d’incomprensibile e nascose la testa nell’incavo del collo dell’altro, facendo cadere entrambi di peso sul divano.
Il minore ridacchiò ma poi tornò serio l’attimo dopo. «No, serio Tony, il tuo gatto mi odia e continua a fissarmi.»
«Quel gatto odia tutti» commentò assonnato, chiudendo gli occhi. «E poi non ti odia. Anzi, sei l’unico essere vivente di cui abbia paura, è un miracolo. Se ti odiasse, avrebbe rotto lo specchio nel bel mezzo della notte solo per cercare di tagliarti la gola, com’è successo a Wade» spiegò.
C’è da dire che la meravigliosa creatura di cui stiamo parlando aveva il nome di Ferale Magnus e la sua sempre meravigliosa esistenza consisteva nel rendere la vita di tutti un inferno, titolo che per ora sosteneva indiscusso senza rivali.
L’altro rimase senza parole, incerto su cosa dovesse pensare. «Ed è un bene?»
«Se l’alternativa è morire, direi proprio di sì.»
Alexandre si rigirò per ritrovarsi faccia a faccia con l’altro ed entrambi chiusero gli occhi per addormentarsi.
Stettero così per un po’ fino a quando Tony non ruppe il silenzio: «E comunque sono tutti usciti…»
Il problema del condominio dove vivevano gli Orwell era proprio la privacy: ogni appartamento aveva solo una stanza e gli Orwell si erano dovuti arrangiare a inserire piano cucina, sala da pranzo e salotto in un unico spazio, tanto che era praticamente impossibile distinguere dove iniziasse l’uno e dove l’altro; ma una parte della stanza era divisa da delle tende che nascondevano i numerosi letti a castello tutti addossati dove dormivano. Quindi ci rendiamo conto che era altamente difficile stare un momento da soli in quella casa.
Alexandre corrugò la fronte e lanciò uno sguardo accusatorio all’altro. «Non faremo un bel niente con la porta aperta, Tony.»
Il maggiore sbuffò e nascose la testa nella maglia del biondo, che gli accarezzò i capelli, sospirando come una mamma chioccia.
«Uhm, ti è…» iniziò il maggiore, un po’ titubante, «ti è piaciuta la cover che ti ho mandato?»
«Tanto» confessò l’interpellato, notando che però il suo ragazzo aveva praticamente iniziato a tremare, così gli sfregò una mano contro la schiena.
«Uhm» fece di nuovo il moro.
«Non uhmmarmi
Tony ringraziò tutti gli dei perché nessuno potesse vedere il sorriso idiota che gli si era stampato in faccia e accorse subito a cambiare discorso in una zona che potesse ritenere sicura.
«Penso che Satana» - precisiamo che è così che veniva spesso chiamato il Ferale Magnus - «ti tema perché non aveva mai trovato un altro gatto dominante prima d’ora.»
«E chi sarebbe il gatto dominante?» domandò il biondo, noncurante.
«Ovviamente tu.»
«Cosa? No! Io non sono per niente il gatto dominante!» protestò.
Tony ghignò. «Sì che lo sei. Guarda.» Gli punzecchiò una guancia per infastidirlo e Alexandre cercò di nascondere il volto mentre lasciò andare un mugugno irritato. «Solo i gatti fanno così. Oh, ora non offenderti» accorse subito a dire, «ho il gelato, ma ciò non cambia che sei il gatto dominante.»
Alexandre gli si attorcigliò contro ancor di più, fingendo delle fusa per scherzare e per cercare di dargli fastidio, al che Tony non poté far a meno di ridere ancor di più e abbracciarlo.
Si addormentarono così, mentre presero a canticchiare qualcosa come and we keep living anyway.





 



a n d a bitch.
Non pubblicavo da sei mesi esatti. Forse non scrivevo da sei mesi esatti.
Mi era mancato, l'ho fatto un po' per necessità, ma so che pagherò a caro prezzo questa cosa e fa tutto molto schifo, but who cares.
Quindi altre precisazioni: aggiornerò quando mi pare, scriverò molto come mi pare, verranno introdotti molti altri personaggi nel corso della storia ed è tutto molto come mi gira in quel momento, quindi ripeto che niente deve avere un senso ed è tutto molto sperimentale ma ci piace così. Anche perché dobbiamo abbattere questa convinzione popolare che il trash non è bello. Viva il trash! Viva l'aesthetic trash! Viva me! REVOLUTION!!1!1ONE
Quindi per chi volesse contattarmi/seguirmi ripeto che sono Come una bestemmia. su facebook e pinterest, mentre sono pandamito su tumblr, twitter, ask, 8tracks, praticamente qualsiasi altro social che ti venga in mente, tua nonna, il Ferale Magnus e poi boh.
Ovviamente il Ferale Magnus è un riferimento ai Libri dell'Inizio nonché miglior personaggio esistente al mondo *coff coff* quindi se non sapete di cosa io stia parlando siete proprio degli indegni.
Ah, un piesse enorme è che volevo fare il capitolo molto più corto perché mi ero prefissata di scrivere capitoli minuscoli tipo raccolta di flash-fic, invece mi è scappata la mano, che schifo.
Che la forza delle scaloppine sia con voi.
Bao e panda, Mito.
   
 
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