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Autore: _ale18e    28/05/2016    1 recensioni
Questa è la storia di una ragazza che si è appena trasferita a Londra con la madre; una ragazza che vuole crearsi una nuova vita e dimenticare il suo passato.
Questa è la mia storia.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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Pioveva. Era una piovosa giornata di settembre, ed io ero seduta lì, sotto quella grande tettoia. Su una banchina di ferro arrugginita dall'acqua. Mi fissavo i piedi, lo stomaco che ribolliva di tensione. I lunghi capelli castani erano umidi, e mi ricadevano sulle spalle disordinatamente, come filo spinato. Ero arrivata lì di mattina, tanta era la paura di fare tardi il mio primo giorno di scuola. Eppure, quella stessa mattina, con mia madre, ero sembrata così sicura di me stessa. 
- Robin, sicura che vada tutto bene? Non vuoi che ti accompagni? - mi chiese. Non volevo stressarla troppo con i miei problemi, quindi le dissi che non c'era problema. Lei aveva tentato di insistere, ma dopo un po' aveva ceduto. Era abbastanza testarda, ma non poteva reggere il confronto con me. Le dissi che sarebbe andata bene, che non avrei combinato casini, e che me la sarei cavata alla grande. E giuro che lo pensavo veramente quando lo dicevo. 
E allora cos'era, quella sensazione, quel magone che mi bloccava?
I ricordi da quando ero uscita fino ad allora erano molto sfocati, come avessi avuto un blackout, o se non sapessi quello che stavo facendo. Ricordavo solo che un attimo prima ero alla fermata dell'autobus, sola e con un impermeabile rosso addosso per proteggermi dalla fine pioggerella che scendeva, e un attimo dopo ero lì, sotto quella tettoia. A malapena avevo sentito il rumore stridulo della campanella e la massa di studenti che si dirigeva nelle classi. Avrei potuto farlo anche io. Mi sarebbe bastato chiedere a qualcuno in che classe ero e chiedere indicazioni a qualche studente. Magari avremmo scambiato qualche parola, saremmo diventati amici. E invece tutti i piani che avevo fatto per quel giorno erano sfumati.
Feci un respiro profondo, tremando. Capii che stavo per piangere, così strizzai gli occhi e deglutii per trattenermi. Mi alzai in piedi, impiegando qualche secondo per trovare stabilità sulle gambe. Osservai il grande portone di vetro, aperto, che si faceva più grande man mano che mi avvicinavo. Intravidi varie locandine colorate di qualche progetto scolastico, ma non mi ci soffermai troppo. Appena entrai un'ondata d'aria calda mi travolse, infilandosi piacevolmente sotto i vestiti e riscaldandomi le braccia. Mi diressi a passo spedito verso la portineria, dove sedeva un uomo mingherlino intento a digitare qualcosa su un PC. - Mi scusi - la mia voce era abbastanza decisa.
- Mi chiamo Robin Clark, e vorrei sapere in che classe sono - chiesi. Lui si limitò a lanciarmi una breve occhiata senza interrompere il suo lavoro e a chiedermi se avevo il mio libretto delle assenze con me. Aveva un voce molto bassa e roca, il che mi stupì abbastanza. Dopo qualche ricerca lo tirai fuori e glielo porsi. Lui lo afferrò al volo sorridendomi leggermente. Aprì il libretto, e dopo un paio di mosse risolute, mi rispose:- 3°C, sali al primo piano poi guarda i cartelli - mi porse nuovamente il libretto blu, e io lo rimisi velocemente nella tasca aperta dello zaino. Sussurrai debolmente qualche parola di ringraziamento e mi diressi spedita verso le scale. Guardai l'ora sul display del cellulare: le 8. Sperai che i professori fossero più in ritardo di me.
Presi la prima rampa di scale che mi ritrovai davanti, sperando che fosse quella giusta. Per un momento mi ritrovai a fantasticare su dove sarei potuta finire e su chi avrei potuto incontrare, ma ritornai subito alla realtà. Le pareti erano verniciate di un celeste saturo, probabilmente sbiadito dal tempo. In alcuni punti si intravedeva addirittura l'intonaco, mentre in altri c'erano crepe o scritte di tutti i tipi. Salii i gradini a due a due per fare più in fretta e mi ritrovai su quel grande pianerottolo. C'era un grande corridoio principale, dal quale ne partivano altri che chissà dove portavano.
All'inizio ebbi la sensazione che mi sarei persa appena avessi fatto un passo. Ricordai quello che mi aveva suggerito il bidello. Mi guardai intorno alla ricerca di qualche cartello, e li trovai quasi subito, appesi alla parete di fronte. Mi avvicinai con cautela, leggendoli uno per uno. Appena la trovai sentii di nuovo quella sensazione di ansia allo stomaco. Pensai di scappare, per un momento.
Pensai che avrei potuto fingermi malata, mamma avrebbe capito. Mi capiva sempre. Anzi, forse era diventata un po' troppo concessiva da quando ci eravamo trasferite. Lei sosteneva di non averlo fatto per me, ma per noi. Diceva di averne bisogno, di staccarsi definitivamente da papà e di cambiare vita. Ma ogni giorno non potevo fare a meno di pensare di essere io la causa di tutto. Iniziai a sudare e avvertii un groppo in gola, che mi fece tornare alla realtà. La freccia indicava la sinistra, così la seguii. Presi un corridoio secondario pieno di porte, alcune chiuse e altre aperte. C'erano alcuni ragazzi in corridoio che ridevano e si spintonavano tra di loro, alcune ragazze che si abbracciavano e ridevano, come se non si vedessero da un secolo. Passai in rassegna ogni scritta su ogni porta, finché, finalmente, non trovai il 3°C. Sospirai di sollievo quando notai che la porta era aperta. Sperai che non fosse arrivato nessuno ed entrai, tentando di ignorare l'ultimo richiamo disperato della mia mente, che mi implorava di tornarmene a casa. L'aula era molto grande, le pareti totalmente dipinte di bianco. Avrebbe avuto un aspetto molto austero, non fosse stato per le grandi finestre rettangolari che coprivano tutto il muro di fronte alla porta. Pregai che fosse rimasto un posto libero in quei banchi, ed evidentemente la fortuna era dalla mia quel giorno.
Non mi interessava se era il primo, mi diressi spedita a quel posto, senza pensarci sue volte. Posai il mio zaino bianco a terra e lo aprii, tirando fuori tutta il materiale che avevo. Tentavo di ignorare i bisbigli delle persone intorno a me. Non volevo nemmeno pensare a quello che sarebbe successo se li avessi ascoltati troppo. Mi guardai intorno, fingendo noncuranza. Eravamo molto numerosi , saremmo stati una trentina, circa. Alcuni continuavano a parlare tra di loro, alcuni in piedi e altri seduti sui banchi. Altri invece si erano accorti della mia presenza e si erano girati a fissarmi, parlottando incuriositi. Sentii la vena del collo iniziare a pulsare. Strinsi gli occhi, tentando di trattenermi e respirai profondamente, per rallentare le mie pulsazioni. Mi convinsi che andasse tutto bene. Ringraziai il cielo, che proprio in quel momento fece entrare il professore in classe. Vidi tutti sedersi ai propri posti, chiacchierando ancora a bassa voce fra di loro, e un ometto basso e grassottello, con una barba ispida nerissima dirigersi e posizionarsi dietro la cattedra. Mi accorsi in quel momento di essere seduta da sola. - Allora ragazzi, come sono andate le vacanze? - chiese lui. La sua voce era bassa e acuta, quasi sussurrasse, e parlava lentamente. Si sedette e fece segno agli altri di imitarlo. I ragazzi iniziarono a scherzare e a raccontare le loro avventure estive: alcuni dissero che non vedevano l'ora di tornare a scuola solo per rivederlo, altri che erano stanchi e che avrebbero voluto delle settimane in più. Io in tutto questo me ne stavo in disparte, ridendo ogni tanto per qualche battuta divertente e chiedendomi quando mi sarei presentata.
Quasi come mi avesse letto nel pensiero, il prof si girò verso di me. Inizialmente strabuzzò gli occhi e si mise una mano sulla fronte; forse tentava di ricordarsi il mio nome, convinto di avermi vista prima. - Oddio, che stupido - sussurrò poi. - Ragazzi lei è... - abbassò lo sguardo e passò la mano sull'elenco, cercando il mio nome. - Robin Clark - dissi, più a lui che alla classe. Sorrisi, tentando di risultare allegra. Lui ricambiò, incitandomi con lo sguardo a presentarmi alla classe. - Mi sono trasferita da poco - iniziai. - Vivo qua vicino, anche se non mi so ancora orientare bene. Mi piace scrivere, leggere, disegnare e ascoltare la musica. Non ho un genere preferito, di solito ascolto qualsiasi tipo di canzone. Però ho un sacco di gruppi che mi piacciono, e un paio che... -. - Va bene, basta così - mi interruppe il professore, tra gli sghignazzi di qualcuno. Ero talmente presa dalla foga che non mi ero accorta di aver iniziato a parlare a raffica. Ridacchiai anch'io imbarazzata. - Mi piace chiacchierare - aggiunsi grattandomi il braccio sinistro. Quella situazione lasciò il tempo che trovò: cinque minuti dopo, tutti si erano probabilmente scordati di me ed erano intenti ad ascoltare la lezione. Quel professore insegnava letteratura inglese, e mi aveva fatto una prima impressione più che buona. Anche se sapevo bene che le prime impressioni non contavano molto, e io lo sapevo bene.
Ero intenta a seguire la lezione, quando una mano mi picchiettò sulla spalla destra. Mi girai sobbalzando, e mi ritrovai davanti ad una ragazza bionda e dai capelli corti che le arrivavano un po' più sotto rispetto alle orecchie, e due fantastici occhi color nocciola. Il suo braccio mingherlino era allungato verso di me, e mi porgeva un piccolo foglietto a righe, piegato su se stesso più volte. lo afferrai incuriosita e lo aprii, sperando di trovare un qualunque messaggio carino. "Ehi :) hai una penna da prestarmi?" inarcai le sopracciglia e risi nervosamente, non sapendo bene come reagire. Avvicinai a me il mio astuccio grigio, e afferrai la prima penna che mi capitò sotto mano e gliela porsi distrattamente, per poi tornare alla lezione. Sentii i due ragazzi dietro di me litigare a bassa voce, sussurrando parole incomprensibili. Li guardai con la coda dell'occhio, tentando di ignorarli più possibile. Poi sentii un'altra volta una mano toccarmi la spalla; un altro biglietto. Lo aprii stranita e lessi:"Io sono Emily" accompagnato da un'altra faccina felice e da una grande freccia blu che diceva di girare il foglio. La seguii e continuai:"Ti piace la letteratura?" notai solo allora quanto fosse elegante la sua scrittura. Piccola, fine e ordinata. Risposi di sì, che mi piaceva leggere ogni tanto, e le chiesi se anche per lei era lo stesso. La risposta non tardò ad arrivare. A differenza mia lei amava la lettura: amava scrivere e leggere libri molto più impegnativi, come saggi o libri storici. A me non avevano mai entusiasmato, e la mia cultura in fatto di libri si fermava ai libri per ragazzi e qualche horror. Mi sentii un po' inferiore all'inizio, devo ammetterlo. Ma col passare delle settimane questa sensazione andò scemando. L'ora passò in fretta, e prima che me ne accorgessi la campanella suonò. Il professore finì di dire le ultime cose, mentre si avvicinava alla cattedra per radunare le cose e spostarsi in un'altra aula. Io mi girai, sorridendo speranzosa. La salutai e lei ricambiò ridendo. Mi presentò il suo compagno di banco, Cameron. Era un tipo alto e ossuto, la faccia ovale e i lineamenti del volto abbastanza morbidi. Indossava un paio di grandi occhiali con una montatura nera. Gli davano un'aria simpatica, a dire il vero.
- Visto Cam, l'idea della penna ha funzionato - disse Emily con un'espressione trionfante sul volto. - Sicuro guarda, se non ci fossi stato io sarebbe andato tutto a rotoli - replicò lui. Gli chiesi di cosa stessero parlando; Emily fece per rispondermi, ma Cameron la precedette, facendola indispettire. - All'inizio volevamo solo trovare un modo per conoscerti - disse inclinando la testa e guardando qualcosa sul banco. - Mi dispiaceva vederti così sola - gli fece eco Emily. Una vampata di calore mi salii lungo il petto. Le ero davvero sembrata così triste e sola? - Ma poi siamo caduti nelle abitudini - Emily sospirò, rassegnata. - Abbiamo scommesso che sarebbe riuscita ad avvicinarti con la scusa della penna - Cameron ridacchiò di gusto. - Ci sarei riuscita se non mi avessi interrotto - lo fulminò lei. Non mi soffermai troppo a pensare all'utilità di quella scommessa. - Fate spesso queste cose? - gli chiesi, divertita. - Non così tanto - alzò le spalle. - Quando ci capita - continuò poi. Non le chiesi perchè lo facevano, anche se mi interessava. Sembravano simpatici, e speravo veramente che fossero diventati i miei migliori amici.
Delle voci mi riportarono alla realtà. - Oh ragazzi, è arrivato Dylan! - si sentirono varie urla e risate. Mi voltai per capire cosa stava succedendo: un ragazzo era appena entrato in classe; sarà stato alto poco più di me. i capelli castani e mossi erano divisi da una riga laterale, che li faceva ricadere in un morbido ciuffo. Aveva un sorriso smagliante stampato in faccia. - Ehi Dyl, hai fatto sega? - lo canzonarono. Un foglio di carta appallottolato partì da chissà dove e lo colpì sul collo, finendo poi a terra. Lui lo raccolse e al volo e lo scagliò, senza badare a dove potesse finire. - Piantatela - li rimproverò lui ridendo di gusto. Mi accorsi in quel momento, mentre si avvicinava a me, che l'unico posto libero in quella classe era quello vicino a me. Non mi dispiacque: quel ragazzo mi sembrava molto simpatico. - Posso? - mi chiese sorridendo. Annuii con vigore, ma mi accorsi dopo che si era già posizionato. - Sei nuova? - chiese lui mentre sistemava meticolosamente l'astuccio e il diario sul banco. Aveva un tono di voce molto pacato ed educato; mi trasmetteva sicurezza. - Sì, mi chiamo Robin - sorrisi, osservando il modo in cui stava posizionando le penne sul tavolo.
- Io sono Dylan - disse lui, finalmente voltandosi e guardandomi negli occhi. Aveva due grandi occhi color ambra e due sopracciglia molto fine. - Ma bentornato Dyl! - Cameron interruppe quel momento, accogliendo il mio nuovo compagno di banco con uno schiaffo sulla nuca. Lui cacciò un urlo di dolore e si massaggiò la nuca con la mano destra. - Ma che diavolo fai, Cam? - chiese lui, visibilmente arrabbiato. Lui incrociò le braccia al petto e si appoggiò allo schienale con un'espressione soddisfatta sul viso:- È da tre anni che sogno di farlo -. Lui alzò gli occhi al cielo, tentando di controllarsi la nuca. Poi mi diede le spalle e mi chiese se si era arrossato. Annuii ridacchiando imbarazzata. - Prima della fine della giornata ti farai male - tornò a rivolgersi a Cameron. Lo disse, ma sembrava più divertito che arrabbiato. Non pareva tipo da fare del male a qualcun altro. - Te lo sei meritato - l'altro si tirò su gli occhiali. - Sei sparito per tutto Agosto, si può sapere dove sei stato? -. Lui fece spallucce. - Fuori città - si limitò a dire. L'altro aggrottò le sopracciglia, sospettoso. Avrebbe continuato a fare domande se Emily non l'avesse interrotto. - Mi sono convertita al Taoismo quest'estate - Cameron cacciò un verso disperato e si passò entrambe le mani tra i capelli. - Non voglio più sentir parlare di qualsiasi tipo di religione per i prossimi tre anni - urlò esasperato. - Grazie a te sono diventato ateo - le puntò un dito contro. Iniziarono a discutere animatamente. Sembravano fossero migliori amici da tanto tempo ormai, e mi chiesi se fossi mai stata in grado di unirmi pienamente a loro. Mi sentivo di troppo, inizialmente. Non conoscevo nulla di loro, e non volevo che loro sapessero qualcosa di quello che avevo passato prima di trasferirmi. Speravo solo di dimenticare. In quel momento entrò una donna di mezza età, i capelli rossicci raccolti in una crocchia. Insegnava storia, e si mise a spiegare il programma che avremmo seguito quest'anno. Riuscii a stare attenta solo per qualche istante, poi la mia mente iniziò a vagare.
Osservai un po' e nuove persone che avevo conosciuto. Cameron se ne stava continuamente con il telefono, senza nemmeno provare a seguire. Mi chiesi a cosa stesse giocando, e se gli piacessero i videogiochi. Emily scriveva qualcosa su un quaderno rosso, e sembrava molto assorta. Dylan invece seguiva con interesse e seguiva la professoressa, che si muoveva come un inquisitore per la classe, con lo sguardo. Iniziai a fissarlo, analizzando ogni dettaglio del suo volto. Il suo naso era leggermente a patata, le narici piccole; le labbra secche e abbastanza sottili erano socchiuse, e lasciavano intravedere la dentatura. Gli zigomi erano poco sporgenti e tondeggianti. Proprio in quel momento,sentendosi osservato, girò lo sguardo e mi guardò con la coda dell'occhio. Mi voltai velocemente verso la lavagna fingendo di ascoltare, mentre sentivo il sangue fluire alle guance. Lo sentii ridacchiare divertito. Inclinò il corpo verso di me e mi sussurrò:- Questa professoressa ha sempre chiacchierato un casino -. Iniziò ad elencare degli episodi divertenti che erano accaduti con lei. Mi disse che una volta aveva fatto piangere talmente tanto un suo compagno di classe da fargli cambiare scuola. Non ci credetti all'inizio, e in effetti dopo venni a sapere che aveva gonfiato tanto la notizia. Ma anche se sul momento, non conoscendo la verità, capii comunque che il suo intento era quello di farmi ridere un po'. E ci riuscii alla grande. Fu in grado di farmi acquistare fiducia in me stessa, dopo tanto tempo. Sperai, una volta per tutte, di dimenticare il mio passato, e di costruire una vita nuova, lì a Londra. La giornata passò più velocemente di quanto mi aspettassi, grazie a loro. Dopo tanto tempo, finalmente, ridevo.
Quando mia madre tornò, quella sera, la prima cosa che mi chiese fu come era andata la giornata. Di solito le mentivo: faceva la chirurga, e sapevo quando fosse estenuante il suo lavoro. Rientrava spesso tardi, ma per me non era mai stato un grosso problema. Il tempo che trascorrevamo insieme mi bastava. Ma quella sera, quando mi fece quella domanda, per la prima volta dopo anni le risposi sinceramente. Era andata bene.

Nda: ciao a tutti _m_ spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto ^^
È la prima volta che scrivo un racconto del genere e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate e se avete qualche consiglio o critica fatemelo sapere :3
   
 
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