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Autore: Budo    29/05/2016    5 recensioni
una bettola alla buona, uno staff un po' fuori di testa, clienti strani e animali fuori dal comune. questo è lo sfondo alle avventure di Mattia, cameriere poco esperto a La Bettola. Tutte le situazioni qui narrate sono fatti VERI, per quanto assurdi possano sembrare.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Prologo
Lo staff
 
La titolare de La Bettola era una bettola di donna, alta poco più di un metro e trenta, sgraziata e zoppa. Aveva portato per troppi anni i capelli lunghi legati malamente e perennemente in una treccia, con una tinta giallo smorta che faceva di rado. Ultimamente, sulla soglia dei cinquant’anni, aveva deciso di darci un taglio. Era venuta un pomeriggio, al locale, con un corto sbarazzino, quasi troppo da ragazzina, ma che riusciva in qualche strano modo a farla apparire più donna. Il suo corpo era stato modellato da anni ed anni di pasti alle ore più assurde del giorno, mangiando quando poteva, cosa poteva e quanto poteva. Il risultato era una pancetta non eccessiva ma ben formata, che stonava un poco con le gambe magre e vagamente muscolose, e col sedere a mandolino alto e sodo, del quale andava molto fiera. Non si sarebbe mai detto di lei che fosse una ballerina. Molti, troppi anni addietro. La titolare si chiamava Angelica Di Stato. Mai nome fu meno azzeccato di quello.
 
La signora Angelica mi disse che il mio primo giorno di lavoro sarebbe stato un sabato sera. Me lo disse in un messaggio whatsapp, perché si proclamava contro gli sms. Adorava le faccine e il non doversi sprecare troppo a scrivere cose eccessivamente lunghe. O semplicemente perché non pagava. Non lo so.
La giornata sarebbe cominciata alle cinque di pomeriggio e sarebbe finita a chiusura. Cioè molto tardi, mi disse. Ma non mi importava. Dovevo lavorare, ne avevo bisogno. E per quanto fosse una Bettola, era comunque il miglior locale che c’era dalle mie parti. Lo dico per esperienza.
Quando entrai nel La Bettola, la prima cosa che vidi fu la signora Angelica seduta dietro la cassa, con i capelli bagnati da una doccia frettolosa e pettinati indietro come se una mucca le avesse assaggiato il capo pochi secondi prima. Aveva il viso acciaccato di chi non dormiva da una vita e mezzo, e un pantalone di tuta viola con una camicia a piccoli fiori gialli e arancioni di chi desidera a tutti i costi irritare gli occhi del mondo intero; ai piedi, un delizioso paio di infradito nere con un’enorme stella marina applicata. Inutile dirlo, la amavo già, con l’amore sconfinato di chi ha appena trovato il suo nuovo idolo.
Le sorrisi. Mi sorrise.
“allora, bellezza, nascondi zaino e felpa dietro la cassa, prendi una di quelle tovaglie vecchi e lucida i coltelli con l’aceto, mentre controlli che le posate sia venute bene. Se ne trovi qualcuna che fa schifo al cazzo, rimettila a lavare, che nessuno vuole cenare con la cena di quello prima di lui. Poi ti faccio vedere come sistemare i bicchieri e l’apparecchiatura. Ma alla fine, fai un po’ come ti pare. Torno a fare i conti”. E sparì dietro un mucchio di ricevute alte poco più della sua testa.
Sorrisi e posai le cose dove mi aveva detto. Poi mi affacciai in cucina per salutare i miei nuovi colleghi e prendere il cestello con le posate e l’aceto.
Fabrizia era la cuoca, sorella della signora Angelica, e condivideva con lei gli occhi azzurri, l’aletta e il fisico rettangolare. Aveva i capelli biondi, ancora naturali, tirati in una coda bassa e stretti in una retina, che le dava molto l’aria della signora della mensa. Grigliava delle melanzane con poca voglia di vivere. Glielo si leggeva negli occhi spenti e nella mano sul fianco, sul cui dorso aveva tatuato un indice alzato.
La salutai e grugnì come risposta. Ma mi piaceva.
Mentre andavo a prendere il cestello delle posate, sistemato su uno dei banconi, venni travolto da Giulietta. Portava in equilibrio almeno sei pentole sporche una dentro l’altra. Era un’ambientalista vegana femminista, e aveva un’idea chiara su qualunque cosa. In pratica era una rompi palle di professione, oltre che una brava lavapiatti. Aveva i capelli grigio topo a chiazze nere, perché era contro la tintura per capelli; non aveva il telefono perché era contro la schiavitù della tecnologia; e aveva il corpo ricoperto di peli perché era contro gli stereotipi della donna col fisico perfetto e perfettamente depilato.
Mi chiese scusa un’infinità di volte per la botta al petto, prima di urlarmi di stare più attento io. Mi piaceva.
All’angolo delle pizze c’era Alfredo, l’unico uomo dello staff, a parte me. Era un bell’uomo di mezz’età che si manteneva giovane andando in palestra e a correre quasi ogni giorno. Era fissato per l’arte e il monopoli, e in una discussione era quello che doveva sempre avere l’idea contraria, anche se non la condivideva, per “creare il dibattito”. Sembrava una versione più umana di Derek Shepherd.
"benvenuto in questo covo di pazzi!" mi gridò dalla sua postazione, continuando a fare le palline di pasta. Lo ringraziai e tornai in sala con tutto ciò che mi serviva. Mi piaceva anche lui.
In sala trovai Carlo, il marito di Angelica. La prima volta che lo vidi pensai che fosse un uomo di un coraggio immenso, per aver accettato di sposare una come la signora Angelica. Poi lo conobbi, e capii che quei due si erano proprio trovati. Due elementi in un mondo di gente quasi normale. Carlo era un uomo dall’aspetto anonimo: occhialetti tondi, camicia a quadri e pantaloni corti. Ai piedi un paio di sandali con calzini bianchi. Era cordiale e piacevole. Lavorava come informatico da qualche parte che non ho mai capito, ma stava sempre a bighellonare a La Bettola, aprendo e bevendo un po’ di vino e parlando con i clienti. Aveva una storia per qualunque cosa.
Carlo e Angelica avevano la casa piena di animali. Quel giorno conobbi Zampotto e Psico. Il primo era un gatto senza una zampa che avevano trovato mezzo morto qualche anno prima davanti la porta del locale. Il cuore tenero di Angelica batteva forte per lui, che considerava come il figlio che non aveva mai avuto. Psico era un cane psicopatico, che io amavo nonostante non fossi mai riuscito ad accarezzarlo. Mi ringhiava sempre.
 
Sorridevo contento, mentre cominciavo a lucidare le posate. I miei anni in quel ristorante si prospettavano quantomeno interessanti. Non avrei mai pensato che quel posto e quella gente avrebbero segnato la mia vita in un modo tanto profondo. E non solo la mia. 



Angolo dell'autore:
ciao a tutti. questa è la prima storia che scrivo, ed è nata proprio a fine serata lavorativa, alle 2:30 del mattino. in questa introduzione ho voluto far una panoramica generale del La Bettola con il suo staff, nient'altro. mancano alcuni personaggi che entreranno a far parte in seguito e manca, ancora, del tutto la tematica romantica. ma ci arriveremo. spero che vi abbia almeno un poco stuzzicato l'idea e che decidiate di leggere anche il seguito, che pubblicherò appena possibile a causa della sessione estiva. spero di non avervi fatto perdere tempo con questa lettura. buona giornata :)
   
 
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