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Autore: Marilia__88    30/05/2016    2 recensioni
Una nuova storia che come "Ti brucerò il cuore" riparte dal presunto ritorno di Moriarty e dallo stesso momento. Un'altra versione della quarta stagione con nuove teorie e nuove congetture completamente diverse.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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                                           All the truth







… “No…” rispose Mycroft con un tono stanco “…è inutile, John…lo conosco, avrà fatto perdere le sue tracce…tornerà, ne sono sicuro…e mi troverà qui…” aggiunse, sospirando pesantemente.
Il medico non seppe cosa rispondere. Il tono di Mycroft era così sicuro e convincente, da scoraggiarlo completamente. Sospirò anche lui e si sedette rassegnato sulla sua poltrona, con la speranza che il suo migliore amico tornasse presto a casa, sano e salvo.



 
 
 
Greg stava inseguendo uno spacciatore insieme a due agenti di Scotland Yard. Una telefonata anonima, poche ore prima, lo aveva avvisato che c’era stata una colluttazione tra due uomini e che, il più giovane dei due, aveva ricevuto una coltellata in pieno stomaco. Il ferito era stato portato in ospedale, mentre il colpevole era scappato appena aveva sentito le sirene delle volanti della polizia.
Dopo un folle inseguimento, durato circa mezz’ora, Lestrade riuscì a catturare lo spacciatore e, con il fiato ancora corto dalla corsa, lo bloccò sull’asfalto, ammanettandolo velocemente. Poi si alzò da terra e consegnò l’uomo ai due agenti che erano con lui. Mentre se ne stava andando da quel vicolo disgustoso, qualcosa attirò la sua attenzione, o meglio qualcuno. Vide un uomo seduto a terra poco distante da lui. Considerando il posto dove si trovava, doveva trattarsi di un drogato, sicuramente strafatto. La cosa strana, però, era che aveva qualcosa di familiare.
“Scott, Stevenson…portate quest’uomo in centrale! Io devo controllare una cosa…” disse all’improvviso Greg, rivolgendosi ai due agenti.
“Cosa succede, signore?” chiese Scott curioso.
L’ispettore non rispose. Voltò lo sguardo verso l’uomo a terra, mantenendo un’espressione tirata.
“Ah, capisco…uno dei soliti drogati che frequentano questi posti!” esclamò Stevenson “…È sicuro che non le serve il nostro aiuto?” aggiunse serio.
“No…andate pure…” rispose distrattamente Greg, mantenendo lo sguardo fisso su quell’uomo.
Appena i due agenti si allontanarono, Lestrade si avvicinò lentamente all’individuo che giaceva a terra. Quei ricci, quel cappotto e quella camicia bianca erano così familiari da provocargli un brivido lungo la schiena. “Ma non può essere lui!” si disse confuso tra sé e sé. Il dubbio, però, si tramutò in puro terrore, quando fu abbastanza vicino da riuscire a vedere il suo viso. “Sherlock!” urlò, inginocchiandosi al suo fianco.
Il detective aveva gli occhi chiusi, la testa poggiata al muro e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Da una prima occhiata, sembrava svenuto.
“Sherlock…mi senti?” gridò l’ispettore, iniziando a scuoterlo con forza. Preso dal panico, afferrò il cellulare per chiamare un’ambulanza, ma una mano lo fermò all’improvviso. Alzò lo sguardo dal telefono e si accorse che Sherlock aveva aperto gli occhi e, con la mano, gli stringeva debolmente il braccio.
“Cristo Santo, Sherlock...mi hai fatto prendere un colpo!” esclamò Greg leggermente sollevato nel vederlo cosciente. Poi guardò il puntino rosso sulla sua pelle e tutto l’occorrente sparso a terra. “…Ma cosa diavolo hai combinato?” chiese disperato.
Il consulente investigativo non rispose. Sospirò pesantemente ed abbassò lo sguardo.
“Sherlock…per favore…vuoi dirmi che ti sta succedendo?” domandò Lestrade con voce tremante.
“Niente…non mi sta succedendo niente…” rispose Sherlock con un filo di voce. Poi piegò il busto di lato e poggiò una mano a terra ed una al muro, nel tentativo di mettersi in piedi.
Vedendo la sua difficoltà, Greg si alzò di scatto e lo afferrò dalla vita, aiutandolo a rimanere dritto. “Ce la fai a camminare?” chiese apprensivo.
Il detective, ignorando i forti capogiri, annuì cercando di essere convincente. Subito dopo, però, dovette poggiarsi con forza alle spalle dell’ispettore, che lo afferrò con maggior decisione e lo strascinò quasi di peso verso la sua macchina. Poi lo fece salire lentamente a bordo della volante ed andò a recuperare la giacca e il cappotto che erano rimasti a terra. Appena ritornò, salì nell’auto e si diresse di corsa verso Baker Street.
Durante il tragitto Sherlock restò con gli occhi chiusi e la testa poggiata al sedile. Greg, invece, inoltrò velocemente un messaggio per chiedere aiuto.
 

 
-John, torna subito a Baker Street. Si tratta di Sherlock. È urgente. GL
 


 
John e Mycroft erano ancora seduti sulle due poltrone nel soggiorno del 221B. Avevano entrambi lo sguardo perso nel vuoto e rimanevano in silenzio, persi nel loro pensieri. Dopo alcuni minuti, però, il medico si decise a parlare.
“Chi è Sherrinford?” chiese a bruciapelo.
Nel sentire quella domanda improvvisa, il cuore del politico perse un battito. Mantenne comunque la sua espressione, riuscendo come sempre a mascherare le proprie emozioni. “Dove hai sentito questo nome?” domandò a sua volta con freddezza.
“Sherlock ha avuto molti incubi ultimamente…ed ogni volta, mentre si lamentava nel sonno, non ha fatto altro che ripeterlo!” rispose John.
Mycroft sospirò pesantemente. Finalmente, l’improvvisata di suo fratello di quella mattina, aveva un senso.
“Ho provato a chiederlo a Sherlock, ma non ne vuole parlare…non posso aiutarlo se non capisco cosa lo sta tormentando…” aggiunse il medico.
Il politico pensò qualche istante sul da farsi. In fondo John aveva ragione. Non poteva aiutare Sherlock se non sapeva tutta la verità. Fece un profondo respiro e decise di raccontare tutto. “Sherrinford era il secondogenito della nostra famiglia…era nostro fratello…” disse serio.
“Era?” chiese subito il medico.
“Si...” rispose Mycroft, abbassando lo sguardo “…si è suicidato…aveva solo 16 anni…” aggiunse, pronunciando quelle parole con fatica.
John si portò una mano alla bocca dallo stupore. “Santo cielo!” esclamò sconvolto. “…Sherlock non mi ha mai parlato di lui…effettivamente non ha mai accennato a niente del suo passato…” aggiunse con tristezza. “…ma cos’è successo?” chiese poi curioso.  
“Per capire cos’è successo…devo partire dall’inizio…” disse Mycroft serio. “…Sherrinford è sempre stato un ragazzo particolare. Nonostante tra di noi ci fossero soltanto due anni di differenza, non siamo mai riusciti ad andare pienamente d’accordo. Lui era tipo sensibile, premuroso e sempre pronto ad aiutare gli altri. Io, invece, ero l’esatto opposto. Quando avevamo rispettivamente 7 e 5 anni, nacque Sherlock… Con il passare del tempo, mi resi conto che Sherlock iniziava ad assomigliare sempre di più a Sherrinford… Loro due, infatti, riuscirono ad instaurare un rapporto davvero speciale…un rapporto che quasi invidiavo…” aggiunse, sospirando pesantemente “…Comunque…ciò che li rendeva così simili era proprio il loro carattere: anche Sherlock, infatti, era un bambino sensibile e gentile, ma al contrario di Sherrinford aveva un problema…non riusciva a socializzare con i suoi coetanei. Il fatto che fosse dotato di un’intelligenza superiore alla media, lo faceva apparire strano agli occhi dei suoi compagni. Iniziarono, infatti, a prenderlo di mira…a schernirlo…e troppo spesso a picchiarlo. Per anni Sherlock non fece altro che andare avanti e indietro dall’ospedale a causa loro…. Provato da quella situazione, iniziò a chiudersi sempre di più in sé stesso, senza che noi riuscissimo ad impedirlo… Un giorno, però, Sherrinford ebbe un’idea: convinse i nostri genitori a regalargli un cane, convinto che avrebbe potuto aiutarlo ad aprirsi di più con gli altri. Il giorno del suo compleanno, quindi, ricevette un setter irlandese che, per la sua sfrenata passione per i pirati, decise di chiamare Barbarossa…” continuò, ma venne interrotto.
“Barbarossa…” ripeté John all’improvviso. “…ha nominato anche lui…” continuò pensieroso. “…scusami, continua pure…” aggiunse mortificato.
“L’idea di Sherrinford si rivelò essere risolutiva. Nonostante continuassero i problemi a scuola, infatti, Sherlock iniziò ad aprirsi sempre di più e a ritornare il solito e allegro bambino di una volta. Iniziò, inoltre, ad attaccarsi a Barbarossa in modo quasi morboso: insieme facevano qualsiasi cosa e passavano gran parte delle giornate a giocare alle loro avventure. I problemi, però, nella nostra famiglia arrivarono alcuni anni dopo….  Sherrinford, nel corso degli anni, soffrì spesso di lievi forme di depressione, accompagnate da repentini sbalzi d’umore, causati soprattutto, dai periodi di maggiore stress. Erano episodi facilmente gestibili, che di solito passavano da soli nell’arco di alcuni giorni. All’età di 15 anni, però, ebbe una crisi depressiva decisamente più accentuata….  Sherlock fu l’unico ad accorgersi della gravità della cosa e provò più volte a parlare con me di quella strana situazione…io, però, non gli diedi ascolto…” disse sospirando con tristezza “…i nostri genitori erano sempre fuori casa…nostro padre per lavoro e nostra madre per motivi di studio, per cui spesso dovevamo badare a noi stessi anche per tutta la giornata…è naturale il fatto che neanche loro se ne fossero accorti!... In quel periodo, Sherrinford tentò il suicidio, tagliandosi i polsi con un coltello da cucina, in camera sua…fu Sherlock a trovarlo…e fu uno shock enorme per lui…!” aggiunse, abbassando lo sguardo. “…Pensando ad un modo per aiutare Sherrinford, convinsi i nostri genitori a mandarlo in un centro psichiatrico, per seguire una terapia di sei mesi. Anche allora Sherlock provò ad opporsi, affermando che questa soluzione avrebbe peggiorato lo stato mentale di nostro fratello…ma, ancora una volta, decisi di non ascoltarlo…! ...Sherlock ebbe ragione…di nuovo…dopo sei mesi, infatti, Sherrinford non solo non era guarito, ma era addirittura peggiorato. La sua depressione, infatti, si era aggravata e si era trasformata in una psicosi manico-depressiva…e tutto questo anche a causa di ciò che subì lì dentro…” aggiunse con voce tremante.
“…Che subì lì dentro?... Cosa gli hanno fatto?” chiese prontamente il medico.
“Subì maltrattamenti fisici e psicologici…. e molto spesso anche…abusi di natura sessuale da parte degli infermieri della struttura…” rispose con un filo di voce.
“Santo cielo!” esclamò John sconvolto.
“In ogni caso, vedendo la reazione di Sherlock alla sua mancanza, convinsi i nostri genitori a farlo ritornare a casa, anche contro il parere dei medici. In quel momento pensavo di fare la scelta più giusta per Sherlock e invece…ho sbagliato per l’ennesima volta. Sherrinford, infatti, iniziò a manifestare comportamenti strani e spesso aggressivi a cui, però, non diedi molto peso. Sherlock, accorgendosi della pericolosità dei suoi atteggiamenti, provò nuovamente a parlare con me, cercando di convincermi a farlo ritornare nel centro…per la terza volta, però, non lo ascoltai…” disse stringendo un pugno con rabbia “…un giorno Sherrinford, preso da uno scatto d’ira improvvisa…uccise Barbarossa, sgozzandolo brutalmente con un coltello…poi, resosi conto di ciò che aveva fatto, scrisse un biglietto di addio indirizzato a Sherlock, in cui gli spiegava cos’era successo e gli chiedeva scusa…subito dopo, si tolse la vita, sparandosi un colpo di pistola alla tempia…. È inutile raccontarti la reazione di Sherlock, quando ritornò da scuola e vide ciò che era successo…” aggiunse, sospirando pesantemente.
John era senza parole. Aveva capito che c’era qualcosa di doloroso nel passato di Sherlock, ma non immaginava niente del genere. Mentre era immerso nei suoi pensieri, Mycroft riprese a parlare.
“Da quel giorno Sherlock cambiò radicalmente. Iniziò a chiudersi sempre di più in sé stesso e ad allontanare tutto e tutti dalla sua vita. Nostra madre, presa dal senso di colpa, decise di abbandonare gli studi e di dedicarsi soltanto alla famiglia…e a lui in modo particolare. Nonostante i suoi sforzi, però, Sherlock non migliorò, anzi peggiorò sempre di più: non parlava, spesso non mangiava, se ne stava sempre da solo e tutte le notti lo sentivo piangere e lamentarsi nel sonno, senza poter fare niente per aiutarlo…. Decisamente preoccupati, i nostri genitori lo portarono da numerosi psicologi e tutti si trovarono d’accordo nell’affermare una precisa diagnosi: Sherlock era affetto da una grave forma di sociopatia. Io, però, non ci ho mai creduto…lo conoscevo troppo bene e sapevo che, in realtà, quel comportamento non era altro che un modo per proteggersi da ciò che avrebbe potuto nuovamente ferirlo…!” disse con tristezza “…Dopo due anni dalla morte di Sherrinford e di Barbarossa, un giorno Sherlock scappò di casa. Dai documenti sparsi nella sua stanza, capii che per tutto quel tempo, aveva fatto delle ricerche sul centro psichiatrico dov’era stato ricoverato Sherrinford e, leggendo i suoi appunti, mi resi conto che aveva scoperto tutto…aveva scoperto ciò che subì nostro fratello lì dentro…!... Quel giorno lo cercammo ovunque…alla fine, dopo ore ed ore di ricerche, lo trovai in una piccola casetta abbandonata…. Era sdraiato a terra e si lamentava sommessamente…solo quando mi avvicinai, mi resi conto che aveva preso sicuramente qualcosa, ma il problema è che non sapevo cosa. Chiamai subito un’ambulanza e venne ricoverato d’urgenza in ospedale…. I medici ci informarono che era andato in overdose a causa di un cocktail di droghe e solo grazie all’immediato pronto intervento, erano riusciti ad identificare le sostanze in tempo per poterlo salvare…. Fu allora che gli feci promettere che, se mai gli fosse venuto in mente di rifare una cosa del genere, avrebbe dovuto fare una lista, indicando chiaramente cosa avesse preso…in cuor mio, però, speravo che quello fosse un caso isolato…non immaginavo che la sua potesse diventare realmente un’abitudine…!... Man mano iniziò ad aumentare sempre di più dosi e frequenza, fino a sviluppare una vera a propria dipendenza…non hai idea di quante volte l’ho ritrovato in vicoli o covi per drogati, completamente strafatto...!” aggiunse con rammarico “…Ciò che lo salvò da quella sua mania autodistruttiva, fu la passione che sviluppò per i crimini. Dapprima iniziò ad interessarsi ai casi di omicidio irrisolti, ricavando informazioni dai giornali e conducendo piccoli indagini per conto suo. Provò spesso a portare le sue teorie alla polizia, ma nessuno volle mai dargli ascolto. Anni dopo però, convinsi l’ispettore di Scotland Yard a dargli una possibilità. Quella, forse, fu l’unica cosa giusta che feci per mio fratello. Per Sherlock, infatti, conoscere l’ispettore Lestrade fu una vera e propria manna dal cielo e lentamente non solo si convinse a disintossicarsi, ma in breve tempo abbandonò quasi completamente quelle cattive abitudini…le scene del crimine e gli omicidi divennero la sua nuova droga e, per quanto trovassi sprecata la mente di mio fratello in quel campo, decisi di non oppormi…preferii vederlo sprecare la sua intelligenza nel fare il detective, pur di non dover assistere alla sua completa autodistruzione…” concluse, decisamente provato da tutto quel racconto.
John ci mise un po' a metabolizzare tutte quelle informazioni e, appena ci riuscì, sentì di nuovo il senso di colpa attanagliargli lo stomaco. Sherlock, dunque, sotto la sua corazza, aveva sempre avuto un animo fragile e sofferente e lui, non solo lo aveva nuovamente distrutto, ma lo aveva anche lasciato da solo ad affrontare i demoni spaventosi del suo passato. Stava per parlare, quando venne distratto dal suono del suo cellulare. Era un messaggio di Greg. Appena lo lesse il suo cuore perse un battito. Da quelle parole, infatti, capì che doveva essere successo qualcosa a Sherlock e, di qualsiasi cosa si trattasse, era di nuovo colpa sua.
“È successo qualcosa a Sherlock?” domandò Mycroft, decifrando la sua espressione.
Il medico non rispose. Si alzò nervosamente dalla poltrona e gli mostrò il messaggio dell’ispettore. Poi si mise a camminare freneticamente per la stanza, sperando con tutto il cuore che Sherlock stesse bene.

 
Dopo alcuni minuti di attesa, qualcuno bussò al 221B. Si sentì un’esclamazione preoccupata della signora Hudson, seguita da alcuni passi lungo le scale. Alcuni secondi dopo la porta si aprì ed entrò Greg, che con un po' di fatica, sosteneva Sherlock dalla vita.
“Santo cielo, Sherlock!” gridò il medico, avvicinandosi a lui per aiutarlo.
“Ce la faccio anche da solo!” esclamò il detective, liberandosi dalla presa dei due. Poi un po' barcollante, si andò a sedere stancamente sul divano.
Lestrade lo guardò e sospirò rassegnato. “Vado a prendere le tue cose in macchina…” disse, precipitandosi di sotto.
Dopo alcuni istanti tornò con la giacca e il cappotto del detective e li appese al gancio dietro la porta. “Io purtroppo devo andare in centrale…” disse titubante.
“Vai tranquillo, Greg…ci pensiamo noi a lui…” rispose John “…grazie di averlo riportato a casa…” aggiunse, mettendogli una mano sulla spalla.
Lestrade annuì, accennando un lieve sorriso. Poi, dopo aver dato un’ultima occhiata a Sherlock, uscì dall’appartamento.
“Pensavo di averti detto di andartene da casa mia...” sputò il detective con acidità, rivolgendosi a suo fratello.
“Ed io pensavo di averti informato che ti avrei aspettato qui…” rispose Mycroft a tono.
Il medico rimase in silenzio. Si avvicinò lentamente a Sherlock ed iniziò ad osservarlo con attenzione, focalizzando il suo sguardo sul braccio con la manica alzata e sul segno lasciato dall’ago. “So perché ti stai facendo questo…” disse all’improvviso “…Mycroft mi ha raccontato di Sherrinford e di Barbarossa…” aggiunse, sorprendendo il detective.
Il consulente investigativo provò a rispondere, ma le parole sembravano non voler uscire. Aprì la bocca più volte, senza però riuscire ad emettere alcun suono. Poi respirò profondamente e guardò suo fratello con disprezzo. “Ti diverti sempre a spiattellare informazioni sulla mia vita, vero?” chiese, alzando il tono di voce.
Mycroft non rispose. Continuò a sostenere lo sguardo di Sherlock, mostrando un’espressione glaciale.
“Sherlock…” lo chiamò John, attirando la sua attenzione “…voglio solo aiutarti…ma non posso farlo se non ammetti di avere un problema…” aggiunse dolcemente.
Il detective si alzò di scatto dal divano, decisamente ripreso e sbuffò spazientito. “Ma non avete di meglio da fare, invece di angosciare la mia esistenza?” urlò irritato.
“Al momento sei la nostra priorità…” rispose il politico a tono.
“Oh, sono onorato…!” esclamò Sherlock, fingendo un’espressione commossa.
“Sherlock, tuo fratello ha ragione…siamo qui per te…per aiutarti ad uscirne…” incalzò prontamente il medico.
“Non ho bisogno di nessun aiuto…quindi potete tranquillamente ritornare alle vostre solite priorità…” rispose il detective con arroganza, sottolineando le ultime due parole.
John sospirò pesantemente. Vedendo di nuovo quell’espressione strafottente sul suo viso, gli venne un’irrefrenabile voglia di prenderlo a pugni. Cercò di mantenere il suo autocontrollo, convincendosi che buona parte di quell’acidità era dovuta anche alla droga che aveva assunto. “Sherlock…per favore…lasciati aiutare…” lo pregò disperato.
Sherlock si avvicinò al suo migliore amico, scrutandolo con attenzione. “Ah, ho capito…cerchi di aiutarmi per lenire il tuo senso di colpa!” esclamò compiaciuto “…Ti do un consiglio…fai finta di niente e ritorna da tua moglie e da tua figlia!” aggiunse con disprezzo.
In quel momento il medico non riuscì più a controllarsi. Alzò velocemente il braccio e, con tutta la forza che aveva, gli sferrò un pungo in pieno viso. Nonostante la rabbia, comunque, questa volta fece molta attenzione ad evitare di colpire il naso. Il colpo, in ogni caso, fu così violento da mandare il detective al tappeto. “Mi dispiace, Sherlock…” disse subito dopo.
“Prima mi prendi a pugni e poi ti scusi…molto coerente da parte tua!” esclamò Sherlock con sarcasmo, alzandosi e massaggiandosi la guancia.
John lo guardò intensamente per qualche istante, poi con le lacrime agli occhi, si fiondò su di lui e lo abbracciò con forza.
Il consulente investigativo rimase sorpreso da quel gesto. “John…” riuscì a dire soltanto con un filo di voce.
“Mi dispiace, Sherlock...” ripeté il medico con voce tremante, continuando a stringere il suo migliore amico.
“Si…lo hai già detto…” rispose Sherlock confuso.
John si staccò da lui e lo guardò dritto negli occhi. “Mi dispiace…per tutto…mi dispiace di non averti capito…e, soprattutto, mi dispiace di non essere stato qui, tutte le volte che avevi bisogno di me…” disse serio “…ma ora sono qui…e non ho intenzione di andare da nessuna parte…” aggiunse con un mezzo sorriso.
Il detective stava per rispondere, ma venne bloccato da qualcosa. Iniziò a sentire di nuovo la voce di Jim rimbombare nella sua testa. “Ma che scena patetica…!... Credi davvero alle loro parole, Sherlock?... Rimarrai da solo…come sempre…”. Dopo quelle frasi, si mise le dita sulle tempie e chiuse gli occhi. Aveva di nuovo il battito accelerato e il respiro corto. “Stai zitto…” sibilò a denti stretti.
“Sherlock…che succede?” chiese prontamente John, notando il suo pallore improvviso. Poi lo afferrò dolcemente da un braccio per attirare la sua attenzione.
“Lasciami!” urlò all’improvviso Sherlock, liberandosi dalla presa.
Mycroft, che fino a quel momento era stato in silenzio, si alzò di scatto dalla poltrona e si avvicinò a lui. “Devi calmarti!” esclamò preoccupato.
“No…io devo pensare…devo riflettere…” rispose il detective, ansimando sempre più pesantemente.
“Sherlock, stai avendo un attacco di panico…devi fare respiri lenti e profondi…” disse John, con fare professionale.
“No…non riesco a toglierla dalla mia testa!” esclamò Sherlock, continuando a massaggiarsi le tempie ed iniziando a sudare freddo.
“Cosa?” chiese il politico confuso.
“La sua voce…” rispose il detective sofferente.
“Sherlock, non riusciamo a capirti…la voce di chi?” domandò John anche lui confuso.
“Di…Moriarty…” riuscì a dire soltanto Sherlock. Poi la vista gli si offuscò all’improvviso e crollò svenuto tra le loro braccia.







Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il decimo capitolo! Come dice anche il titolo, è il capitolo in cui si svela tutta la verità sul passato di Sherlock. Tutti i ricordi dei capitoli scorsi sono stati messi insieme e grazie a Mycroft sono diventati una vera e propria storia. So che parte del capitolo è prettamente discorsivo con questo racconto, ma John aveva bisogno di sapere e in più volevo fornire un racconto più preciso e logico, rispetto ai soli pezzetti di ricordi che vi avevo dato.
Alla fine del capitolo troviamo il confronto Sherlock/John/Mycroft... e vediamo come il nostro medico sia pentito di ciò che ha fatto a Sherlock, tanto da far rimanere anche lui sorpreso con il suo comportamento. 

Che dire di Greg? E' sempre presente al momento giusto e soprattutto è sempre disposto ad aiutare il nostro caro detective. 

Moran naturalmente non è sparito, ma sta architettando un bel piano..che vedrete già nel prossimo capitolo!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto...Grazie a chi continua a seguire la storia e a chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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