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Autore: Hermione Weasley    30/05/2016    3 recensioni
2025. Sono passati quasi dieci dalla conclusione della guerra civile che ha visto la sconfitta dello schieramento di Steve Rogers. Natasha, alle dipendenze del nuovo SHIELD, cede ad una vecchia, familiare tentazione e rintraccia Clint, obbligato alla clandestinità dalla fine del conflitto. Ma forse i rapporti sono irrimediabilmente compromessi...
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Lo stomaco si strinse e, per quella che doveva essere almeno la ventesima volta da quando era partita da Washington, pensò che era stato tutto un madornale errore di valutazione da parte sua. Che credeva di fare esattamente? Presentarsi dopo quasi dieci anni e chiedere un favore come se niente fosse successo?
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[Clint x Natasha] [non segue il canon MCU] [non contiene spoilers per Civil War] [4 di 4] [Completa]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(Primavera)

 

*

 

 

Si era pentita della scelta non appena aveva messo piede al Riverside Park. In qualche modo, aveva ignorato l'avvento della primavera fino a quel momento e adesso, che si ritrovava circondata da sprazzi di verde e rosa stagliati contro il cielo di un azzurro intenso, ne aveva dovuto prendere atto, seppur con una certa riluttanza.

Perché aveva imparato a detestare il bel tempo. Il disgelo prima e la fioritura poi non facevano che rammentarle che di rinascite, per lei, non ce ne sarebbero state. Solo il solito, squallido tran tran quotidiano che aveva improvvisamente cambiato fondale – uno, che per l'appunto, stonava tremendamente col suo perenne stato d'animo.

Mai come in quegli ultimi anni aveva provato nostalgia per la Russia, il suo freddo, la sua neve impietosa, il gelo che scende fin nelle ossa e blandisce con la sua promessa di un sereno, eterno riposo. Sapeva che i suoi ricordi non combaciavano con la realtà, che anche in Russia si avvicendavano le stagioni, eppure immaginarsi sulle distese ghiacciate, che aveva percorso troppe volte perché potesse contarle, l'aiutava a mantenersi stabile, a sopportare il verde con cui New York la schiaffeggiava ogni anno alla fine dell'inverno.

«Se continui a fissare gli alberi in quel modo, penseranno che li vuoi uccidere.» Una voce, la stessa che l'aveva perseguitata in quegli ultimi mesi (ma mentiva a se stessa: erano anni, piuttosto), la costrinse a lasciar perdere la fioritura.

Clint le si sedette di fianco, abbandonandosi senza troppi complimenti contro lo schienale della panchina. Aveva ancora la barba lunga, ma aveva scambiato il giaccone pesante e la sciarpa con cui l'aveva visto l'ultima volta con un giubbotto di jeans dall'aria pericolosamente vissuta.

La stretta allo stomaco tornò a farsi sentire, puntuale e sferzante, ma non poteva proprio dire di esserci abituata. Non ancora, almeno.

«Non dovresti starmi così vicino», gli disse, distogliendo lo sguardo.

L'istinto le suggeriva che la cosa migliore era fingere di essere due perfetti estranei trovatisi per caso in un parco qualunque di New York. La passeggiata non era esattamente affollata, ma non voleva comunque correre il rischio che qualcuno – in bicicletta, a piedi o su degli improbabili roller blades – li riconoscesse.

«Perché? Sei contagiosa?» le chiese senza nascondere il sarcasmo del proprio tono.

«Barton», esalò, ostinandosi a fissare un punto qualunque.

«È pieno di panchine vuote», le spiegò più o meno pazientemente, «non ha senso che mi sia seduto proprio qui se non ti conosco. Non mi va di fare la parte del maniaco dei parchi».

Capì subito che non aveva voglia di perdersi in inutili stronzate o precauzioni; capì anche che lo stava facendo apposta, probabilmente per farle sapere che l'unico responsabile della sua incolumità era lui e nessun altro. Che non era affar suo se voleva correre rischi inutili, che aveva – anzi – il sacrosanto diritto di farlo.

Natasha, dal canto suo, si ritrovò a stringere i pugni nelle tasche del trench leggero. Sentiva, vivissimo, il disperato bisogno di ristabilire le distanze: una parte di lei non smetteva di farle notare che chiunque avrebbe potuto sorprenderli, riconoscerli, denunciarli. Non aveva lavorato con il governo per dieci, interminabili anni solo per vedere tutti i suoi sforzi andare in fumo durante una disgustosa mattinata di primavera.

Combatté contro quell'improbabile atto di ribellione in silenzio e a lungo, finché la presenza di Clint non finì per avere la meglio sui suoi nervi. Quali che fossero le sue intenzioni, lei era lì per un motivo ben preciso e non c'era tempo da perdere in inutili chiacchiere.

«Sei rimasto a New York per tutto questo tempo?» domandò, voltandosi verso di lui con una mezza idea di rimproverarlo finché le orecchie non avessero preso a sanguinargli.

Era stato uno dei suoi vecchi contatti – di quelli che risalivano a molto prima della Guerra Civile – ad informarla che c'era una vaga possibilità che Clint fosse ancora in città. Inizialmente non ci aveva creduto, perché aveva dato per scontato che fosse ripartito alla volta del Nevada il giorno stesso in cui l'aveva riportato alla stazione dei pullman.

Ma non aveva sentito il bisogno – non aveva avuto il coraggio – di indagare oltre per averne una conferma. Le parole di lui le si erano conficcate nel cervello, incastrate in un costante replay che si era sforzata di ignorare con tutte le sue forze. Sono così stanco di dirti addio, Natasha.

Era rimasto. Forse col preciso intento di disobbedire al suo ordine e rinfacciarle tutto quel ridicolo buon senso solo per dimostrarle che poteva fare come più gli aggradava. Non doveva rendere conto a nessuno, tanto meno a lei.

«L'idea ti ha tenuto sveglia la notte?» le domandò, grattandosi distrattamente la barba. «Mille e più pericoli per il povero Clint Barton. Riuscirà a sopravvivere nella tremenda e temibile New York?»

«Non è divertente», lo redarguì.

«Sì che lo è. In modo un po' deprimente, ma lo è.» Si voltò per guardarla dritto negli occhi, obbligandola a sostenere il suo sguardo e a fingere che fosse tutto a posto. Niente di più normale che sedergli accanto su una panchina in un giorno di primavera qualsiasi.

Riuscì a trattenersi ancora per qualche attimo, ma poi l'impellente bisogno di fargli capire che era un gioco troppo rischioso tornò a farsi sentire. Insopportabile.

«New York non è sicura», disse infine.

Clint sbuffò una risata e scosse il capo, quasi non avesse aspettato altro che quello: di vedere quanto avrebbe resistito prima di fargli la paternale. Non molto, a quanto pareva.

«Dimmi qualcosa che non so.»

«Se prendessi questa cosa un po' più seriamente-»

«Più seriamente di dieci anni nascosto nel bosco?» rilanciò, visibilmente seccato. «Mi hai chiamato solo per questo?»

«Credevo fossi tornato in Nevada. Certo che ti ho chiamato per questo», ribatté prima di poterselo impedire. Se ne pentì un attimo dopo perché l'aveva detto apposta per farlo rimanere male e magari punirlo di tutta quell'inutile sfacciataggine.

«Non sono tornato in Nevada. Evidentemente», sottolineò, sorvolando sulla tentata provocazione.

«Perché?»

«Perché non mi andava», rispose soltanto.

«Non puoi seriamente pensare che correre il rischio di essere riconosciuto solo per dimostrare non so co-»

«Quello che voglio dimostrare si dimostra da sé: faccio quel che voglio. Corro i rischi che voglio. E tu non puoi fare niente per impedirmelo.»

«Sei un idiota.»

«Wow. Erano quasi dieci anni che non me lo dicevi. Adesso sì che ti riconosco», le fece notare, ma più che divertito le parve solo nervoso. «Quando arriva la parte in cui fingi di odiarmi e mi prendi a sassate per convincermi a fuggire per il mio bene?»

«Non sei un cane.»

«Purtroppo.»

«Devi andartene da qui,» si sforzò di sottolineare, «lo SHIELD ha occhi e orecchie e ovunque.»

«Non m'importa, Natasha.»

«Importa a me.» Come faceva a non capirlo?

«Davvero? T'importa così tanto che saresti disposta a relegarmi per altri dieci o venti anni sulle rive terrose di un lago del cazzo? Che razza di vita credi che abbia fatto fino ad oggi?» La postura era apparentemente rilassata, ma il grigio dei suoi occhi si era incupito ulteriormente. Era arrabbiato e stava cercando di trattenersi dall'urlarle contro.

Una parte di lei avrebbe voluto che non lo facesse, che le sputasse addosso tutto il veleno che doveva aver covato in quegli anni, ma anche quello era un desiderio del tutto egoistico. Forse vedersi punita l'avrebbe fatta sentire meglio.

«Se venissero a sapere che sei a New York...»

«Non lo verranno a sapere. Perché non mi stanno cercando, ricordi? Sei stata tu ad assicurarti che non lo facessero.»

«Non sono al corrente di tutto quello che fanno. Pensi che mi dicano ogni cosa?»

«Penso che hai i tuoi mezzi per scoprire quello che sanno. E se mi hai chiesto di incontrarci in questo posto piuttosto che spararmi un tranquillante in fronte e trascinarmi lontano da New York, allora il pericolo non è poi così pressante», disse tutto d'un fiato.

Aprì bocca per ribattere, ma realizzò con un certo orrore di non aver niente da obiettare. Sì, stava correndo un grosso rischio e sì, avrebbe dovuto allontanarsi dalla città il più rapidamente possibile; però non aveva avuto alcuna avvisaglia concreta dai suoi contatti al nuovo SHIELD.

«Sei diventata paranoica», l'accusò a voce più bassa e meno stizzita.

«Sono sempre stata paranoica», lo corresse.

«Sì, ma poi era quasi rinsavita... quasi.» Fece una breve pausa, smettendo finalmente di guardarla per far vagare lo sguardo sui passanti che sfilavano loro di fronte. «Non voglio neanche sapere quanto ci hai messo a scegliere questo posto.»

«Conosco i punti sicuri di questa città a memoria», stabilì, tecnicamente con l'intento di contraddirlo... in pratica rivelandogli fin dove la sua ossessione per le misure di sicurezza si fosse spinta.

«Dieci anni e non sei ancora riuscita a trovarti un passatempo non inquietante.»

«Dipende da cosa intendi per non inquietante

«Quello che ho detto.» Tornò a guardarla appoggiando un gomito sullo schienale della panchina. «Mi sono comprato un vocabolario. So tutte le parole. Prova a chiedermene una.»

«No, aspetta. Ti sei comprato un vocabolario?» Quella sì che era una notizia bomba.

«Le parole crociate hanno delle definizioni davvero assurde, a volte.»

«Hai comprato un vocabolario per fare le parole crociate?»

«Che altro credi ci sia da fare in Nevada?»

«Hai fatto parole crociate... per dieci anni.»

«No», scosse il capo e si passò una mano tra i capelli. Natasha sentì lo stomaco contorcersi al gesto, così familiare da far male e costringerla a guardare altrove per qualche attimo. «Dal Canada mi sono spostato in Alaska. Ero indeciso se passare in Russia, ma mi avrebbe causato troppi problemi.»

«Già, il tuo russo fa schifo», convenne prima di poterselo impedire.

«Grazie. Comunque sono sceso di nuovo negli Stati Uniti e mi sono fermato nel punto meno schifoso che ho trovato.»

«Non ti facevo un tipo da lago», ammise.

«Non lo sono.»

«Hai incontrato qualcuno?» gli chiese.

«Che c'entra?» le parve quasi allarmato dalla prospettiva.

«Se hai scelto il lago e non sei un tipo da lago, magari hai incontrato qualcuno che ti ha convinto a restare.»

Clint si voltò del tutto verso di lei, fissandole addosso i suoi occhi grigi come l'acciaio. Si era rifatto terribilmente serio; la tristezza a malapena arginata sul volto invecchiato.

Dopo aver dibattuto a lungo con se stesso per decidere come comportarsi, mormorò distrattamente: «Pensavo ti sarebbe piaciuto... il lago, intendo».

Provò un irrefrenabile bisogno di allungare una mano e toccarlo, e solo per un improbabile sforzo di volontà riuscì a trattenersi.

«Ti ho aspettata», aggiunse, mettendola in seria difficoltà adesso. «Ti ho-»

«Clint, sta' zitto», si lasciò sfuggire senza poter nascondere la disperazione nella propria voce.

Si rifiutò di guardarlo, persino di prendere atto della sua presenza. Chiunque disse che le parole feriscono più di una spada – pensò Natasha – doveva aver in mente una situazione del genere; perché quelle di Clint se le sentiva conficcate nel petto come veri e propri coltelli, più appuntiti e affilati che mai per scivolare più a fondo possibile.

Il cuore aveva ripreso a battere troppo rapidamente per i suoi gusti.

«Ti succede spesso?» le chiese, impercettibilmente più vicino. Suonava preoccupato.

«Non è niente di c-che», lo rassicurò, sperando di convincere anche se stessa a non dare di matto.

«Certo.» Non le credeva. «Andiamocene di qui.»

«Dove?»

«Non sei l'unica a conoscere tutti i luoghi sicuri di New York, Tasha.»

 

*

 

Il vapore risaliva pigramente dalla tazza di tè che Clint aveva appena preparato. Piuttosto che concentrarsi sulla probabilità (piuttosto scontata a dire il vero) che si fosse procurato del tè in vista di una sua possibile visita, decise di scandagliare l'appartamento, tanto piccolo da risultare un tantino claustrofobico.

C'era stata solo in sporadiche occasioni, ma lo ricordava diverso, forse perché l'aveva visto solo ammobiliato e adesso, d'arredamento, ce n'era ben poco. Giusto l'essenziale: un tavolo, qualche sedia, una cucina ridotta all'osso. Le era capitato più d'una volta di tornare in un luogo del passato e chiedersi se non si fosse ristretto quasi per magia, come quando sbagliava le impostazioni e la lavatrice le risputava indumenti rimpiccioliti di almeno un paio di taglie.

«Come hai fatto a convincerla?» domandò, allentandosi un poco il foulard che aveva dimenticato di togliere insieme al trench.

«Non l'ho dovuta convincere. Maria ha sempre avuto un debole per me», asserì, sedendosi al tavolo proprio di fronte lei. Ringraziò il fatto che il cucinotto-salotto di Maria Hill non assomigliasse per niente alla cucina sgangherata della casa sul lago di Clint; quella dello scorso autunno non era una conversazione che amava rievocare in alcun modo.

«Mi dispiace infrangere i tuoi sogni di gloria, ma Maria non ha mai avuto un debole per te.»

Sapeva che l'ex-braccio destro di Fury aveva messo a disposizione la sua casa sicura di New York nel caso qualcuno della vecchia guardia avesse avuto bisogno di un posto dove stare. Il nuovo SHIELD non ne era a conoscenza: secondo i file del municipio, quell'appartamento neanche esisteva.

«Avresti potuto lasciarmi crogiolare nel dubbio.»

«Non mentivi quando hai detto di esserti comprato un vocabolario», realizzò, vagamente divertita.

«La tua mala fede mi ferisce.»

Natasha lo guardò sorseggiare distrattamente il suo caffè; si stava sforzando di non osservarla troppo a lungo o intensamente, ma non ci riusciva granché bene, non adesso che non c'erano stimoli esterni a deviare l'attenzione.

«Mentivi quando hai detto che mi trovavi bene», aggiunse più pacatamente.

La tachicardia se n'era andata a metà strada tra il Riverside Park e l'appartamento di Maria; seguire metodicamente i punti ciechi nel sistema di telecamere di sicurezza della città le aveva concesso di concentrarsi su tutt'altro. Non si era neanche accorta che l'attacco di panico si era ritirato finché non aveva messo piede oltre la soglia della casa sicura e il cuore aveva smesso di battere all'impazzata.

«Sì e no», rispose Clint, apparentemente tutt'altro in difficoltà.

«Sì e no?»

«Non sei invecchiata per niente.»

«Non è vero», lo contraddisse, perché i segni che quei dieci anni le avevano impresso sul viso, sul fisico, li vedeva ogni giorno tutte le volte che aveva la malaugurata idea di sorprendersi davanti allo specchio.

«È vero», ribadì Clint in tono pragmatico. «Ma si vede che non stai bene.»

No, forse l'età non c'entrava. Forse se gli eventi non fossero precipitati come avevano fatto, allora sarebbe stato diverso.

«Sto bene», obiettò irrazionalmente. Negare sempre e comunque: l'istinto era sempre lo stesso.

«Parli con qualcuno?»

«Parlo con gente diversa tutti i giorni», defletté.

«Lo sai che intendo.»

Sì che lo sapeva. Aiuto professionale, di questo stava parlando.

«Ci ho provato,» ammise allora, «ma non ha funzionato».

Non che confessarsi a cuore aperto con lo psicologo del nuovo SHIELD fosse mai stata una seria possibilità; c'era andata con la speranza di farsi prescrivere qualche medicinale, poi rapidamente abbandonato perché l'ultima cosa che poteva permettersi era trascorrere le sue giornate con le idee annebbiate e confuse dagli psicofarmaci.

«E tu?» gli ritorse contro la domanda.

«Parlare con qualcuno? Non ci sono psicologi in Nevada.»

«Non suona plausibile.»

«Il tizio che spilla la birra al pub, Jerry. È lui il mio psicologo.»

Nascose il mezzo sorriso che premeva per incresparle le labbra nella tazza di tè; se ne concesse un lungo sorso, godendosi – per una volta tanto – il silenzio che li aveva avvolti, più familiare che scomodo. Il calore del tè le risalì piacevolmente su per la guance.

«Allora mi dispiace per Jerry», commentò mentre si sfilava il foulard leggero e lo sistemava insieme al trench sullo schienale della sedia.

«Su questo siamo d'accordo,» convenne, «ma cerco di rimediare con le mance».

Stavolta il sorriso non si preoccupò di cancellarlo; non tanto perché l'idea del barista arricchitosi grazie alle pene di Clint Barton fosse particolarmente divertente, ma – piuttosto – perché l'atmosfera si era fatta più leggera. Forse era colpa della primavera che continuava a ricordare la propria presenza oltre le tende che coprivano quasi del tutto l'unica finestra della stanza, o magari si stava semplicemente riabituando ad averlo davanti.

C'era un non so che di selvatico, in lui, che non si era concessa di notare fino a quel preciso istante. Probabilmente era per via della barba; la trasandatezza del vestiario, in fondo, gli era sempre appartenuta. Di diverso c'era che le sembrava più solido, non necessariamente nel fisico: come se potesse leggergli in faccia l'orgogliosa intenzione di restare ancorato al suo posto, come sfidando qualsiasi agente esterno a trascinarlo via dal punto che aveva scelto per se stesso.

Interruppe il flusso di pensieri, non troppo sicura di non star proiettando le sue esigenze su di lui. Sarebbe stato stupido credere che Clint avrebbe potuto risolvere tutti i suoi problemi, raddrizzare la sua esistenza così come si fa con un osso spezzato.

Riabbassò lo sguardo; il tè le rimandò il confuso riflesso del suo viso.

«Ce l'hai ancora», lo sentì sussurrare, sollevando di nuovo il capo per incrociare i suoi occhi. La rilassatezza di qualche attimo prima se n'era andata, sostituita da un improvviso turbamento.

«Di che parli?» Qualsiasi fosse il motivo, Clint si era incupito, ma non c'era traccia di rabbia o frustrazione, adesso – soltanto tristezza.

Non le rispose. Si limitò a toccarsi casualmente la base del collo per farle capire a che si riferisse. Natasha imitò meccanicamente il suo gesto, ritrovandosi a sfiorare la catenina sottile e il ciondolo a forma di freccia che aveva indossato ogni giorno da quando il nuovo SHIELD le aveva concesso di ritornare a Washington, a patto che fosse disposta a lavorare per loro.

La consapevolezza le balenò davanti agli occhi con bizzarra lentezza. Era talmente abituata a quel minuscolo accessorio, da aver completamente dimenticato di levarlo prima di incontrare Clint al Riverside Park. O almeno: col senno di poi, dopo essere stata tanto banalmente scoperta, avrebbe preferito essersene ricordata; eppure non era sicura che, nonostante la voglia improvvisa di strapparsela di dosso, avrebbe deciso di sbarazzarsene se ne avesse avuto l'opportunità.

Sapeva di dover dire qualcosa – qualsiasi cosa, ma non fece in tempo a pensare niente che Clint si era alzato dal suo posto, lasciando perdere il caffè.

«Clint», si sentì sussurrare, perché in fondo sapeva già cos'aveva intenzione di fare e voleva fermarlo. No, doveva fermarlo. Ma la protesta le rimase bloccata in gola, e tutto quello che riuscì a dire fu il suo nome, una, due, tre volte finché Clint non si fu chinato su di lei zittendola con un bacio.

Le sue labbra sulle proprie, il prurito della barba sulle guance, la mano che le aveva fatto scivolare sul collo per spingerla a sollevare il capo... furono le ultime cose che riuscì a registrare prima che buon senso e razionalità andassero a farsi benedire. Forse era stato il tremito della mano di Clint a convincerla, in un insensato bisogno di rassicurarlo, o forse – molto più probabile, anche se non era pronta ad ammetterlo – l'avrebbe baciato ovunque, comunque, quale che fosse stata la situazione. Perché la bocca di Clint era calda e le sue labbra morbide, e l'odore del suo corpo così invitante e familiare da cancellare qualsiasi ridicola forma di resistenza.

Ricambiò il bacio, allora, lo ricambiò inconsapevolmente per tutte le volte che non l'aveva fatto in quei dieci anni.

Lo baciò, lasciandosi rimettere in piedi per facilitargli le cose, per incastrarsi alla perfezione contro di lui e ritrovare il posto che era stato suo, una volta.

Lo baciò e, mentre l'avvolgeva tra le sue braccia e affondava una mano tra i suoi capelli, mandò al diavolo tutti i suoi stupidi ragionamenti.

Lo baciò e lo spogliò e si lasciò spogliare a sua volta e, nonostante fosse fin troppo consapevole di quel madornale errore, decise che non le importava.

Era a casa.

 

*

 

«Come hai fatto a rimediare più cicatrici sul lago Tahoe che in tanti anni di onorato servizio allo SHIELD?» chiese, fermando l'indice appena sopra l'ombelico.

Di tutte le cose che si era immaginata fantasticando di rincontrare Clint, la curiosità per i cambiamenti del suo corpo non l'aveva neppure sfiorata. Eppure non appena il respiro si era fatto meno affannoso e i postumi dell'orgasmo si erano acquietati, permettendole di recuperare la lucidità persa, la prima cosa che aveva sentito il bisogno di fare era stata studiarlo. Palmo a palmo, centimetro per centimetro. Per cercare di capire quanto e cosa fosse mutato dall'ultima volta che l'aveva visto; per farsi un'idea, insomma, di quanto si era persa per strada in quegli ultimi dieci anni.

«Ad un certo punto mi sono reso conto che per vivere dovevo anche guadagnare dei soldi», la informò, riaprendo un occhio per sbirciare le sue mosse.

«E quindi...»

«E quindi mi sono messo a fare qualche lavoretto.»

«Tipo?»

«Riparare cose. Motori, all'inizio. Poi ci ho preso la mano.»

«Non si direbbe», gli fece notare, alludendo alle nuove cicatrici con un mezzo sorriso di scherno.

«Ho detto poi», precisò stropicciandosi il viso con una mano. «Ho scoperto che ci sono un sacco di modi per farsi male anche in una vita normale.»

«Lo vedo.»

«Appunto. Smettila di guardarmi», la rimbrottò, afferrandole un polso per convincerla a rimettersi distesa accanto a lui. L'ex appartamento di Maria era dotato di un unico materasso ad una piazza e mezzo, decisamente non il massimo della comodità.

«No, voglio guardarti», si ritrasse con finto dispetto, restandogli seduta vicino.

«Non voglio che mi guardi», protestò, ma con leggerezza: più che preoccupato o infastidito sembrava vergognarsi di qualcosa.

«Perché?»

«Perché l'ultima volta che ci siamo visti ero un aitante Avenger con bicipiti straripanti e-»

«Bicipiti straripanti», ripeté per assicurarsi di aver capito bene.

«Bicipiti straripanti», confermò sfacciatamente.

«I tuoi bicipiti sono ancora lì», obiettò. «E anche il resto, ho controllato.»

«Smettila di guardarmi lo stesso», stabilì, sollevandosi col busto per acchiapparla e ributtarla giù con sé.

Natasha non fece proprio niente per impedirglielo. Il tepore delle lenzuola era fin troppo piacevole, la presenza di Clint invitante e la luce primaverile del pomeriggio illuminava l'angusta camera da letto per quel poco che era necessario.

Gli cinse il collo con entrambe le braccia, lasciando che Clint l'attirasse a sé per il fondoschiena e sistemasse entrambi in modo che potessero fronteggiarsi pur rimanendo distesi.

«Dovresti tagliarti i capelli», mormorò, giocherellando coi ciuffi troppo lunghi sulla nuca, mentre Clint aveva ripreso a baciarla delicatamente sul mento e sul collo.

«Avevo una mezza idea di farli crescere.»

«No.»

«Perché no?» interruppe quello che stava facendo solo per lanciarle un'occhiata indignata. «Credevo non ti importasse niente del mio aspetto esteriore.»

«Non m'importa infatti», ribadì. «Ma i capelli lunghi non sono un'opzione.»

«Va bene», accettò dopo un lungo secondo di divertito silenzio. «Ho qualche voce in capitolo sui tuoi, di capelli?»

«Non c'è niente che non va nei miei capelli.» Gli aveva già spiegato di averli tinti per ragioni tutt'altro che estetiche.

«Il castano non è il tuo colore.»

«Tutti i colori sono il mio colore.»

«Bionda staresti meglio.»

«Il biondo dà troppo nell'occhio.»

«Tasha, non sono i capelli la parte di te che dà nell'occhio», le fece notare, guadagnandosi una tirata di barba. «Mi hai fatto male.»

«Nessuno mi riconosce più per la strada. Funziona», lo contraddisse, senza degnar di un parola la sua protesta.

«Non è per i capelli.»

«Per cosa, allora?»

«È l'espressione con cui te ne vai in giro.» Le passò il pollice sulla fronte, scendendo lentamente sul naso e sulle labbra per cancellare le tracce di qualsiasi fosse l'espressione di cui andava parlando. «Anche tu hai delle nuove cicatrici», le ritorse contro, scendendo ad accarezzarle una coscia, «credevo lavorassi in ufficio».

«Il più delle volte.»

«Saresti una specie di... nuovo Nick Fury. Con una sola differenza...»

«Che Nick non era un burattino in mano alla burocrazia?»

«… che Nick era sexy e pieno di fascino», la smentì, beccandosi un pugno sulla spalla. «Ahi!»

«Non sei diventato meno stupido. Leggere il vocabolario non è servito a niente.»

«Adesso sono uno stupido acculturato

«Come no», scosse il capo perché le veniva da ridere.

«Fallo di nuovo.»

«Cosa?»

«Ridere.»

«Non posso ridere a comando.»

«Sappiamo entrambi che puoi.»

«Non spontaneamente», protestò divertita.

«Va bene», ammise, rilasciando il fiato. «Ti va di ricominciare o hai bisogno di altri dieci minuti?»

«Sta' zitto, Barton. Potevo ricominciare dieci minuti fa.»

«Meno male che non hai detto nulla.»

Lo baciò per impedirgli di aggiungere altro.

 

*

 

Finì di sciacquarsi il viso prima di richiudere il rubinetto e rialzò il capo per osservarsi nello specchio del mobiletto dei medicinali. Fece una smorfia nel ritrovarsi sempre uguale; sapeva che era stato stupido anche solo aspettarsi un qualsivoglia cambiamento, ma sentì comunque il sapore amarognolo della delusione in fondo alla gola.

Si affrettò ad asciugarsi con alcune salviette di carta e uscì dal bagno, curandosi di spegnere la luce.

La camera da letto era avvolta in un buio pressoché totale non fosse stato per il tenue bagliore dei lampioni che filtrava dalla finestra semiaperta.

Mancavano pochi minuti a mezzanotte e all'ufficiale esaurirsi del suo giorno libero. Ancora una manciata d'ore e sarebbe partita per l'Afghanistan dove avrebbe supervisionato alcune operazioni del nuovo SHIELD in collaborazione con l'esercito.

Non ne aveva alcuna voglia, ma neanche aveva alternative. Era già abbastanza preoccupata di dover spiegare perché era stata irraggiungibile per quasi un giorno intero.

Mentre si infilava gli stivaletti bassi e il trench, tentò di scacciare la preoccupazione e di non guardare troppo insistentemente verso Clint, profondamente addormentato in un gran caos di lenzuola, cuscini e coperte.

Sapeva che avrebbe dovuto svegliarlo, ma un po' per codardia – perché svegliarlo avrebbe significato affrontarlo – un po' perché era sicura avesse bisogno di una sana dormita, non lo fece. Si limitò a raccogliere le sue cose come una maledetta ladra che sparisce nel bel mezzo della notte cercando di far il minor rumore possibile.

Avrebbe voluto restare. Infilarsi nel letto e fingere che il mondo non esistesse ancora per un po'. Ma aveva delle responsabilità e non poteva esimersi dal prendersele, non importava che lo stomaco le si fosse accartocciato in un groviglio doloroso e insopportabile – non importava e basta.

Aveva già osato troppo e non poteva permettersi nient'altro.

Solo quando non le rimase che andarsene, si decise ad avvicinare il letto con passi felpati, a chinarsi su Clint, riverso a pancia in giù sul materasso, il volto affondato nel cuscino. Nonostante la penombra, le parve meno corrucciato, più simile al Clint del passato.

Sollevò una mano, tentata di sfiorargli una guancia, ma si trattenne all'ultimo secondo. Il cuore aveva ripreso a battere un po' troppo rapidamente per i suoi gusti e rimanere lì a lasciarsi dilaniare dai dubbi non l'avrebbe di certo aiutata a calmarsi.

«Mi dispiace», bisbigliò a voce bassissima, sperando ardentemente di non essere ascoltata.

Sparì un attimo prima che le sue difese finissero per polverizzarsi una volta per tutte.






Note: grazie a chi legge & commenta e alla beta Eli! Al prossimo e ultimo capitolo (:
  
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