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Autore: PandorasBox    30/05/2016    0 recensioni
#1 [Talia/Reyna]
#2 [Jason]
#3 [Nico/Will]
#4 [Luke/Talia]
#5 [Talia/Reyna]
#6 [Nico/Will]
#7 [Leo, Teen Wolf!au]
In quel momento, la sua già di suo triste e complicata vita, era diventata un film. Ma non un film bello, un film che somiglia più alle infinite telenovelas che vede tía Rosa in cui, ad una sfiga se ne aggiunge un’altra ed un’altra e poi un’altra ancora e arrivi a milleottocento puntate senza aver risolto nulla e con più morti di una guerra nucleare. Solo che i morti che vorresti tornassero non tornano e restano sottoterra
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'ho aspettata ed è arrivata: la Jason Week dello spingshower di CampMezzosangue mi è piombata tra capo e collo ed io, nel mio delirio da universitaria male organizzata ho fatto quel che ho potuto (ovvero: un casino). L'idea è nata dal prompt del lunedì + un prompt segnato da chissà dove (ma soprattutto chissà quando) sul mio quadernino dei prompt. Non c'è poi troppo da capire, come in ogni mia storia, perché io non so lasciare indizi ed il mio cervello ragiona in linea retta. 

(La canzone, come al solito, la offre Area765 )





 

"Il tempo che ho soltanto immaginato è quello che mi stringo nella tasca

 Lì dentro ce n'è quanto ne vuoi per mischiarlo con quello che mi resta"

 








Praticamente i problemi di Jason, a patto che possano essere chiamati problemi, hanno tutti un nome e cognome -o quanto meno un indirizzo- e questo li rende stupidamente veri e fastidiosamente consistenti.

I suddetti problemi sono tutti annotati in bella grafia -perché se scrivesse come si sente di scrivere, probabilmente sarebbe il primo a non capire- su quella lista che tiene attaccata al frigorifero con una calamita che sua sorella si è premurata di spedirgli da chissà dove («Percy, hai idea di dove sia Tallin?» «Non può esistere una città che si chiama Tallin!») e che osserva almeno una volta al giorno per essere sicuro di non mancarne neanche uno. Perché, nella sua testa, continuare a guardare quella lista farà arrivare il momento in cui, magari, cancellerà uno dei punti e risolverà uno dei problemi.

È fiducioso ed ha tempo.

Alcuni problemi sono del tutto ordinari, altri sono assurdi, altri ancora probabilmente non sono neanche problemi. Quella lista però è la sua ancora e lui deve fidarsi di quell’ancora altrimenti la corrente diventa troppo forte e fa la fine di sua madre. Talia gli ha fatto giurare di non fare la finire di sua madre, Hazel gli ha fatto giurare di trovare un’ancora.

Deve ricordarsi di chiamare Talia e di passare da Hazel dopo le lezioni, a proposito.

Perché ora il problema in cima alla lista lo ha scritto solo nella sua testa e lo ha anche sottolineato di colori sgargianti per non perderlo d’occhio ─ come se si potesse, poi.

 

«Se continui a pensare ti va a fuoco il cervello.» aveva detto Percy, senza staccare gli occhi dal libro che tiene sulle gambe e che cerca, con non poca fatica di decifrare: programma fatto a posto o meno, la dislessia lì è e lì resta però resta anche il college e quindi denti stretti e si va avanti.

Da qualche parte, al piano superiore, si sente un gran fracasso ed una valanga di oscenità in spagnolo. Percy ghigna e Jason si sente in dovere di alzare gli occhi al cielo: vive con due scaricatori di porto su una “barca” in mezzo alla tempesta e, paradossalmente, soffre di mal di mare.

 

«È la ragazza che ho conosciuto alla festa.» si costringe ad ammettere con un sospiro, sotto lo sguardo divertito dell’amico che chiude il libro, ormai disinteressato.

Percy caccia un fischio e la testa di Leo fa capolino dal soppalco solo per lanciare qualche altra blasfemia (ed ammette che c’è qualcosa di melodico e quasi affezionato nel modo in cui Leo si impegna a creare certe cose) e chiedere da quando in qua è lui ad essere chiamato con il fischio e non Mrs. O’Leary.

Lui e Percy alzano il dito medio quasi in contemporanea e Leo se ne va ghignando.


Il problema al momento in cima alla sua lista ha un nome e cognome (Piper McLean, l’ha sentita dirlo al telefono a chissà chi), un profumo buonissimo e due occhi che lo inchiodano agli armadietti e la voce più melodiosa che abbia mai ascoltato e «Madre de Díos Jason, sei imbarazzante!» e sì, sì, ora la smette.

Perché l’altro suo problema è il fatto che non si sia mai neanche avvicinato per sbaglio ad una ragazza ─ cioè, sì, c’è stata Reyna ma la loro era più una cosa da “ti ho intorno da quando siamo due marmocchi e sento di doverti star vicino, oh, aspetta, no ora è passato”, quelle cose da film scadenti per adolescenti che non sono assolutamente vere ed infatti ora Reyna se ne sta per fatti suoi e gli dispiace solo che sia finita senza iniziare.

Gli dispiace anche non aver detto niente a quei due per un paio di mesi ma li conosce, li conosce troppo bene, finirebbero per rovinare qualsiasi cosa senza volerlo e solo respirando, perché loro le cose le fanno prima e ci pensano su dopo e mica tutti se lo possono permettere. Lui, Jason Grace, non può permetterselo perché altrimenti cosa le fa a fare le liste? Ha tempo, certo, ma mica ne ha da perdere!

Però Piper risponde al suo messaggio ed un mezzo spiraglio di luce lo vede ─ anche se gli sa di luce in fondo del tunnel e lui vede bene di non avvicinarcisi neanche per scherzo.

Si danno appuntamento di lì a quattro giorni e Percy e Leo ghignano perché sono stupidi ma sono i suoi migliori amici e lui può sentirsi quasi felice.

Praticamente il mondo gira per il verso giusto.





 

Praticamente Jason è morto.

È morto il giorno delle idi di marzo e le uniche coltellate gliele ha date la Vita, come se un paio non le avesse già sferrate e non potesse ritenersi più che soddisfatta.

Un attimo prima si stava versando il caffè ed un attimo dopo, BAM!, steso a terra e ciao ciao sogni di diventare qualsiasi cosa volesse diventare.

A nulla è servito lamentarsi che tra una manciata d’ore sarebbe dovuto finalmente uscire con Piper: un attimo prima respirava e rideva con i suoi coinquilini ed aspettava il buongiorno da parte della sua quasi ragazza, un attimo dopo non c’era più niente da aspettare.

Fine della storia.

Neanche il tempo di scriverle su Messenger che il loro appuntamento è rinviato a mai più.
Mesi passati ad inseguirsi e mezzo secondo per perdersi, che burlone il Fato! Di nuovo una storia che finiva senza cominciare, divertente!

 

 

Praticamente è stato un incidente di percorso, continua a ripetergli il piccoletto di fronte a lui (e quindi è stato quel soggetto a tagliare le gambe ai suoi progetti?) tra  una scusa e l’altra, legge e rilegge la lista da cima e fondo e poi trova l’inghippo e, Dio!, ora chi lo sente il Capo? Perché ha ucciso Jason Grace e non John Green e quello è un problema, chissà se la sua assicurazione copre sta cosa, insomma, lui ha una famiglia da mantenere, il lavoro non lo può perdere, tra l’altro è ancora in prova!

«Ma John Green lo scrittore…?» chiede Jason con una certa curiosità ed una tranquillità che non capisce ed il piccoletto annuisce distratto poi, di nuovo, si spalma una mano in faccia e comincia ad armeggiare con il telefonino.

Perché lui ci ha provato a dirgli che ormai il danno è fatto e lui vorrebbe solo togliersi da davanti alla porta e capire cosa deve fare della sua vita (ormai finita) però l’altro non sembra proprio starlo ad ascoltare e, d’accordo, se proprio non ha voglia di starlo a sentire che almeno lo rimandi nel suo corpo ché si sta freddando e non gli pare proprio il caso di lasciarlo così.

«Fanculo, il wifi prende sempre così male nell’Alto dei Cieli!» borbotta e Jason è perplesso.

«Non dovrebbe funzionare bene, insomma, il Paradiso…?»

«Senti, ragazzino, perché pensi che tutti vogliano andare all’Inferno? Il wifi funziona meglio, ecco perché! E c’è l’open bar ogni venerdì e sabato. L’unico problema è sopportarsi un po’ di gente, vedi Adolf e quel tizio...Josif?, ma pazienza.»

Il piccoletto prova di nuovo a chiamare e, mentre una voce chiaramente registrata gli ripete di lasciare un messaggio dopo il coro angelico, Jason si chiede se ci sia un’uscita di sicurezza, magari una porta sul retro, così se la svigna e magari si trova un paio di pantaloni. È morto in mutande e con un’improbabile maglietta della squadre di pallamano, diciamo che si aspettava il trapasso in abiti un po’ più decenti, se deve passare il giudizio divino vorrebbe farlo vestito, letteralmente solo vestito e non in mutande. Sembra uno dei suoi sogni ed invece è tutto mortalmente vero.

«Senti, cocco, facciamo che ti do la chiave e la stanza te la trovi da te, va bene? Tanto non sei né buono e né cattivo e mi sa che una decina centinaia di anni di Purgatorio te li fai, se sei bravo ti scontano la pena, vedi di non fare come quelli che inforchettano la mano della gente con le posate di plastica e tra diciassette massimo diciotto secoli stacchi il biglietto destinazione Paradiso. Fatti una buona tariffa dati, nel frattempo.»

E così com’era arrivato il piccoletto era sparito e Jason era rimasto come un cretino, in mutande e con addosso la maglietta della squadra di pallamano, solo e decisamente morto.

Guarda l’orologio che tiene sempre al polso, anche quando dorme, e vede che ormai non funziona più, fermo sull’orario, un triste promemoria del fatto che non vedrà mai Piper tra qualche ora.

Nero su arancione il suo orologio constata che è martedì 15 marzo.

Si sente un po’ Giulio Cesare, che gioco del destino morire alle idi di marzo!, e si ricorda perché non ha mai amato il martedì.

Giulio Cesare gli era anche abbastanza simpatico ma se lo incontra, lo giura, un pugno sul naso non glielo risparmia nessuno. Con qualcuno dovrà pur riprendersela, no?
   
 
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