La liberazione
della principessa Noemi
Il Generale
Poissoun era davanti alla
vetrata della base, sul pianeta Inferno.
Il tempo era come
sempre inclemente.
Era passato troppo
tempo dal rapimento
della principessa Noemi.
Quasi un anno,
incominciò a pensare
Poissoun, e ancora niente.
Le tempeste su quel
maledetto pianeta
duravano così tanto, che non si ricordava quando aveva visto
il sole sorgere su
quella landa rossa e piana.
Nessuno chiamava,
nessuno diceva,
nessuna sapeva.
Troppo tempo,
pensò, Troppo tempo e
nessuno che vuole spostare una sola pedina.
Makarre non
riusciva a far avanzare il
suo progetto di un millimetro.
Da quando
l’Imperatore si era accorto
degli stratagemmi impiegati dal Barone per arrivare al potere, aveva
messo in
atto troppe contromisure.
I burocrati non
venivano nominati, ma
venivano promossi i subalterni.
Tanta fatica. Il
Barone aveva cercato
una contromossa, ma più faceva, peggio gli andava.
E lui, Poissoun,
era bloccato su quel
maledetto pianeta a fare la guardia ad una ragazzina viziata.
La principessa
Noemi era impossibile:
alle volte sembrava che si divertiva a chiedere le cose.
Questo frutto no,
oggi: il giorno dopo
lo voleva.
Poissoun aveva
cercato di contattare il
Barone, ma le notizie che arrivavano non erano delle migliori.
Gloria era sparita
senza lasciare
traccia.
L’Imperatore
Touk scorrazzava per la
galassia come un pirata, attaccando navi e tagliando, alle volti per
giorni, i
rifornimenti a qualche pianeta ostile al Barone.
Ma la cosa durava
pochi giorno, poi
arrivava o la flotta dell’Imperatore o quella maledetta nave
della tana, e
bisognava ricominciare.
L’Imperatore
Touk aveva cercato di
spostare altre navi dalla sua galassia, per favorire il piano di
Makarre, ma i
suoi burocrati glielo avevano impedito. Troppe spese per un piano che
non
sembrava molto perfetto. Anzi.
Un allarme
improvviso risuonò nella
testa del generale.
Quando comprese
cosa stava succedendo,
distolse lo sguardo dalla vetrata e sentì dietro di lui voce
concitate.
Il suo aiutante lo
scrollo dal suo
torpore.
“Signore!
Siamo attaccati!” Gli urlò
nelle orecchie.
“State
calmi!” Urlò Poissoun, appena si
riprese. “Chi ci sta attaccando, prima di tutto!”
Urlò in faccia al suo
aiutante “E poi mettete in atto le contromisure. Siete degli
idioti, Tutte le
volte che lo avete fatto in esercitazione aspettate ancora che vi
pulisca il
sedere!… Muovetevi!”
L’aiutante
si allontanò dal generale,
distribuendo ordini a destra e a manca.
Il Rosso si
allontanò dalla sala, per
andare a prendere posto sulla sua nave di battaglia, per attaccare il
nemico.
La nave pirata, che
era ormai passata a
tutti gli effetti sotto il comando del generale Poissoun, era comandata
da un
giovane comandante, un certo Koilun.
Le due navi
uscirono nella tempesta,
dirette verso gli assalitori, che si trovavano sulla linea
dell’orizzonte.
Le bordate dei
cannoni dei nemici si
abbatterono sulla sala comando come un spada sul capo del condannato.
La sala fu
completamente distrutta da un
colpo.
Le persone
presente, compreso il
generale e il suo aiutante, sparirono nel nulla.
La tempestava non
permetteva di vedere
chi stava attaccando, ma doveva essere grosso.
Sulle console nella
sala comando
dell’Erstalm, il Rosso poté vedere la forma
dell’attaccante.
Quel maledetto
Invincible.
Il Rosso
ordinò alle due navi gemelle di
sparare in contemporanea sul punto dove Invincible risultava dalla
console: le
coordinate furono passate in millesimi di secondo alle cannoniera, che
fecero
fuoco in meno di un secondo.
Ma la
velocità non basto alle due navi.
I loro colpi
colpirono il terreno,
mentre Invincible si spostava verso l’alto.
Quando la nave fu a
distanza di
sicurezza, Black diede ordine di far fuoco.
Il gorilla stava
manovrando, da solo, i
tre cannoni laser posti nelle teste degli animali.
I colpi che
partirono fecero sussultare
la nave, e carbonizzò il Rosso, il comandante Koilun,
l’Erstalm e l’Excellent.
Intanto una nave
più piccola, con a
bordo Samuel, Angel ed Evane, atterrò nella base nemica.
Dei robot, guidati
da alcuni componenti
della tana delle tigri, fecero da scudo all’arrivo della nave
spaziale
nell’astroporto,all’interno della montagna.
La resistenza degli
ultimi uomini del
generale fu strenua, ma inutile.
Gli uomini della
nave scesero sparando
su tutto ciò che si muoveva e si introdussero nella base.
La ricerca di Noemi
durò parecchio.
Alcuni fedeli del
generale l’avevano
prelevata dalla sua dolce prigione e l’aveva allontanata, ma
sempre all’interno
della base.
All’improvviso,
decisero di dirigersi
con la prigioniera in una delle grotte della montagna, fuori dalla base.
Idea buona: nessuno
li avrebbe cercati
fuori dalla base.
Ma la grotta, lunga
e stretta, era
abitata da alcuni carnivori del pianeta.
Erano animali
lunghi, bassi, con zampe
piccole e delle tenaglie al posto delle mani.
Non erano molti,
solo due, ma i più di
venti uomini che avevano trascinati via la principessa furono attacchi
e per
poco non perivano tutti.
I quattro rimasti
cercarono di riportare
la principessa alla base, ma furono attaccati da Angel ed Evane, che
gli
uccisero senza molti complimenti.
Evane dovette poi
lottare con uno dei
due animali, che aveva rincorso i fuggitivi e non voleva saperne di
andarsene
senza avere un'altra pinta di carne.
Evane gli sparo con
un fucile laser,
tagliandolo in due.
L’altro
animale, che era rimasto
leggermente indietro, ritornò sui suoi passi, tenendo due
dei malcapitati
uccisi dalle donne tra le sue fauci.
Noemi stava
piangendo disperata, ma
quando vide il volto di Evane si tranquillizzò.
La battaglia
all’interno della base
militare durò ancora per alcune ore.
Parecchi militari,
non sapendo la fine
del loro comandante, lottarono strenuamente.
I prigionieri
furono solo venticinque,
sui cinquemila militari presenti nella base.
Il numero di
militari presenti nella
base fu rilevato da Black da un computer, salvatosi non si sa come in
qualche
anfratto della base.
Black cercava nomi,
dati, fatti.
Ma non
trovò nulla nei computer che si
erano salvati.
“Avete
avuto troppo premura
nell’attacco!” Borbottò Evane.
“E cosa
dovevamo fare ” Gli rinfacciò
Samuel.
“Oh..
smettetela. Non abbiamo notizie
noi, ma non ne avrà neanche Touk e Makarre. Se giochiamo
bene le nostre carte
non se ne accorgeranno per un po’. Così potremo
cacciare Touk nella nostra
galassia, mettere sotto pressione Makarre e i burocrati ed avere
finalmente
delle risposte.” Disse Black.
“Quali
risposte?” Disse Angel, con
sufficienza.
“Tu che
dici, Evane?” Black si avvicinò
ad Evane, che stava giocherellando distrattamente con un cappello
bruciacchiato.
“Cosa?”
Disse lei, lasciando cadere il
cappello per terra, in mezzo alla cenere presente nella sala comando,
riprendendosi dai suoi pensieri pindarici.
“Cosa ci
dici di quello che ha combinato
tuo fratello?” Incalzò Black.
“Cosa ha
combinato mio fratello?” Disse
Evane, sempre distrattamente.
“Non fare
finta di niente. Sappiamo
tutto!” Disse Angel, avvicinandosi ad Evane e prendendola per
i capelli,
tirandoglieli.
Evane
tirò indietro la testa, urlando.
Samuel prese la
mano di Angel e gli fece
mollare la presa.
“Non so
niente!” Urlò Evane. “Non ho
idea di cosa voglia fare.” Incominciò a
singhiozzare, mentre le lacrime le
scendevano dagli occhi. “è
da
tempo che medita vendetta sui burocrati e sull’Imperatore
Touk, ma cosa abbia
in mente non lo so!”
Evane si sedette su
quello che rimaneva
di una sedia di qualche console, nascose la faccia nella mani e
incominciò a
piangere.
I presenti rimasero
in silenzio a
guardare quella scena.
Noemi si
avvicinò alla zia e le accarezzò
la testa, dolcemente. Poi guardò gli altri con uno sguardo
di rimprovero.
Black diede un
calcio a qualcosa per
terra, infuriato.
Samuel lo
guardò, sorridendo, più per il
calcio mancato che per il momento.
“Non
capisco. Ero certo che sapevi
qualcosa. Doc continua a dire di fidarmi di te.” Black
guardò Evane, che aveva
ancora la faccia nella mani e piangeva. “E tu non sai niente!
Non dice niente.
Anzi, mi piangi pure!”
Black se ne
andò dalla sala, seguito da
alcuni militari e da alcuni membri della tana.
Altri militari si
infilarono in un
cunicolo dietro ad alcuni armadi, nella ricerca di qualcosa di utile
alla
ricerca della verità. Se mai si fosse trovata la
verità.
Samuel prese per la
mani Evane, la
costrinse ad alzarsi e, prendendola sotto braccio, la
accompagnò fuori dalla
sala, verso la sua nave spaziale.
Angel
abbracciò Noemi e seguì Samuel.
Quando entrarono
nello spazioporto della
base militare, Invincible si stava alzando in volo.
La tormenta che
aveva flagellato quella
zona del pianeta era improvvisamente cessata.
Altri navi militari
dell’Impero
incominciarono a levarsi in volo, abbandonando quel luogo, pieno di
morte e
distruzione.
Mentre Samuel,
Evane, Angel e Noemi
salivano sulla nave, seguiti da alcuni uomini
dell’equipaggio, videro dei militari
correre fuori da numerose grotte presenti nello spazioporto.
Correvano a
più non posso, alcuni
urlando.
Si incominciarono a
sentire esplosioni,
prima lontane poi sempre più vicine.
La nave militare si
alzò da terra a gran
velocità, alzando nuvole di polvere rossa tutto intorno.
La piccola nave di
Samuel per poco non
veniva ribaltata.
Samuel fece mettere
subito in moto i
motori e la nave partì.
Le esplosioni si
avvicinavano sempre di
più.
Quando la nave di
Samuel fu sopra la
montagna, le esplosioni si susseguirono come castagnole.
Lo spostamento
d’aria fece sobbalzare la
nave e i suoi occupanti.
Il pilota ebbe il
suo bel da fare per
tenere in assetto la nave.
Quando si furono
allontanati dalla
montagna, Samuel vide la montagna esplodere completamente in una nuvola
atomica.
Samuel
capì perché Black voleva risposte
alle sue domande da Evane.
Anche
perché le domande, se mai ce ne
fossero, erano sparite nel nulla.
Il pilota chiese
dove dirigersi e Samuel
gli rispose: “A Palazzo Imperiale!”
La nave di Samuel
ci impiegò più del
previsto per arrivare al pianeta dell’Imperatore.
Le navi imperiali
di Touk gli davano la
caccia, dopo che avevano saputo quello che era successo sul pianeta
Inferno.
Invincible,
anziché difenderli, li aveva
abbandonati, per non si sa quale missione.
Samuel
cercò di convincere Black della
necessità di scortarlo, ma lui aveva altro da fare. Doveva
fare ciò che Samuel
non aveva fatto.
Samuel non era
riuscito a limitare le
manovre di Makarre: primo perché Makarre era scappato,
secondo perché Gloria
era finita nella mani di Hoiul, e le informazioni erano sparite con
lei, nei
meandri delle prigioni di chissà quale pianeta.
Samuel
riuscì a portare Evane e Noemi
dall’Imperatore comunque, con la nave mezza distrutta dalle
battaglie, quasi
dodici, combattute nel viaggio.
Quando la nave
atterrò, il fumo usciva
dal motore di destra e riempi l’hangar dove erano atterrati.
Gli addetti agli
incendi corsero con
schiumogeni e spensero l’incendio che scoppiò
nella zona motori.
Tutto
l’equipaggio e i passeggeri
scesero di corsa dalla nave.
Gli ultimi a
scendere, non curanti di
quello che gli capitava intorno, furono Samuel ed Angel.
Quella nave ne
aveva viste troppe,
dentro e fuori di essa: ad Angel piangeva il cuore di doverla perdere.
Era
stata più di una casa, un vero alcova. Ma si sa, nulla
è eterno, men che meno
una nave.
Ad aspettarli sulla
banchina vi era
l’Imperatore e l’Imperatrice, ben contenti di
abbracciare la loro figlia Noemi.
Quella sera il
palazzo Imperiale si
risvegliò dal suo torpore e tutti festeggiarono il ritorno
di Noemi.
La guerra privata
di Invincible
Invincible
lasciò la base militare del
generale Poussion appena distrutta, in modo alquanto rumoroso.
Samuel ebbe da
ridire sul modo di
trattare la cosa da Black, ma ormai Invincible era fuori
dall’atmosfera e di
tornare indietro Black non ne volle sapere.
Il gorilla spense
la radio sul ponte di
comando, mentre Black infuriato faceva su e giù come un
leone in gabbia.
“Non
è possibile che non sappia niente.
E neanche che l’Imperatore non abbia fatto qualcosa
per… o forse sbagliamo
persona!” Black si era fermato. Si girò di scatto
verso il gorilla e lo guardò
con aria soddisfatta, come un gatto che trova il topo a cui ha dato la
caccia
per tanto tempo.
“Che hai
Black?” Chiese l’orso, che si era
alzato dalla sua cuccia e si avvicinò a Black.
“Il club
delle amiche ha fatto di tutto
per eliminare il Barone e l’Imperatore Touk e non
l’Imperatore. È stata
l’Imperatrice a muovere tutte le pedine. E quando si
è accorta che l’Imperatore
si muoveva troppo in fretta… ha eliminato tutte le prove che
la potevano
ricondurre a lei!” Disse Black, soddisfatto.
L’orso e
il gorilla si guardarono,
scotendo la testa, non capendo cosa Black volesse dire.
“Ma non
avete capito. Gloria lavorava
per l’Imperatrice, poi ha preferito Makarre
all’Imperatrice per amore. E
l’Imperatrice si è vendicata con Hoiul.
L’Imperatore, invece, pensava di
eliminare i burocrati a lui contrari, invece ha solo avvicinato Makarre
a Touk.
Così facendo, invece di eliminare i burocrati, si
è trovato il nemico in casa,
chiedendo l’aiuto della tana, anzi di Invincible.”
Black riprese a camminare su
e giù.
“Bravo. E
adesso noi cosa facciamo.
Liberiamo Gloria, cacciamo Makarre o eliminiamo l’Imperatore
Touk?” Chiese il
gorilla.
“Touk sta
scappando. Incominceremo con
lui. Lasceremo Makarre per ultimo. Gloria ormai è
spacciata.” Disse Black,
fermandosi davanti alla console e guardando la sala di controllo dalla
sua
postazione posta in alto.
Il gorilla diede
ordine di cercare le
navi dell’Imperatore Touk.
I sensori a lungo
raggio e i
satelliti-caccia, lanciati ormai da giorni, incominciarono a inviare
dati da
ogni parte della zona della galassia vicino al confine, verso la
galassia
governata da Touk.
Le navi
dell’Imperatore Touk furono
scovate una a una.
Quelle che si erano
inoltrate troppo
nella galassia furono distrutte dalle navi dell’Imperatore.
Quelle al confine,
ormai in fuga, furono
intercettate da Invincible.
La nave
dell’Imperatore Touk fu
intercettata da Invincible mentre si stava allontanando dalla galassia,
facendosi scudo di una nebulosa scura.
La battaglia che ne
seguì fu di una
ferocia inaudita.
Invincible si
trovò davanti, a difendere
la nave del loro Imperatore, ben cinquanta vascelli, ben armati e
disposti a
tutto.
Invincible dovette
correre parecchio,
per riuscire a smembrane la flotta e costringerli a disegnare nello
spazio
profondo una linea di navi lunga parecchi milioni di chilometri.
La flotta si era
allungata e curvava
verso la galassia, decisamente a sinistra.
Invincible
girò, torno sui suoi passi e
le affrontò una ad una, come una lunga fila di birilli.
Alcune dovettero
difendersi da sole da
Invincible, altre si raggrupparono nel tentativo di difendersi e di
cercare di
sconfiggere la nave di Black.
Ma i comandanti si
resero subito conto
della disparità tecnologica che esistevano tra le loro navi
e Invincible.
Le teste di
Invincible sparavano salve
di luce che distruggeva quasi immediatamente le navi.
E non la smetteva
di fare fuoco.
In una
comunicazioni radio, che il
gorilla intercettò, i comandanti speravano che i produttori
di quel fascio di
luce si surriscaldassero, esplodendo.
Il gorilla se la
rise. Sapeva benissimo
che se si scaldavano troppo i produttori di quella luce nella testa
degli
animali esplodeva, ma fino a che la nave riusciva a disperdere il
calore nello
spazio vuoto, non c’era problema.
Invincible continua
a muoversi a
velocità luce, e la flotta dell’Imperatore Touk fu
sbaragliata in alcuni
giorni.
Ma Invincible, di
quella battaglia, ne
risentì molto. E come lei, gli uomini e le donne della tana
delle tigri che vi
erano a bordo.
Non era previsto
che vi fossero tanti
morti.
Già una
base militare, con tutti quei
uomini: ora, una flotta di navi con cinquantamila uomini era stati
distrutti.
Black si sentiva le
mani lorde di
sangue.
La nave
dell’Imperatore Touk riuscì a
scappare con il resto della flotta, circa venti navi.
Black non se la
sentì di fare un’altra
strage e li lasciò andare.
Doc raggiunse Black
su Invincible, dopo
alcuni giorni.
“Cosa ti
è venuto in mente di dire certe
cose ad Evane? Come hai fatto? Io non ti capisco!” Doc era
furioso con Black.
“Senti.
È inutile arrabbiarsi. Lo sai
benissimo cosa sta succedendo…”
“Non
è un tuo problema! Tu devi
interessarti solo di Invincible! Non ti devi preoccupare del resto! Non
è
compito tuo. L’Imperatore se ne è risentito.
Samuel ed Angel hanno dovuto dire
che la battaglia è stata talmente dura che tu eri troppo
eccitato per capire
quello che dicevi. Adesso è tutto da
sistemare…”
“Ma,
Doc…”
“Smettila!
Tu devi pensare solo ad
Invincible! Il resto non è tuo compito. Metti a testa a
posto!” Così dicendo,
Doc con una mano prese la testa di Black e la scrollò.
Black si
lamentò, ma aveva poco da dire:
gli errori alla tana delle tigri si pagavano caro. Molto caro.
“Adesso
per colpa tua sarà difficile che
Gloria sia lasciata libera. Idiota, sei solo un idiota!” Doc
non capiva, e
continuava a scrollare la testa.
Black non ebbe il
coraggio di dire
niente.
La stanza dove
avevano discusso così
animatamente era nel ventre di Invincible, nel disco di centro della
nave.
Era una stanza
piena di contenitori
ermetici, insonorizzata, lontana da orecchi indiscrete.
“Speriamo
che l’Imperatrice sia
clemente. Dopotutto …” Doc era pensieroso.
“Ci penso
io.” Continuò. “Tu cerca
Makarre. Ormai non serve più a nessuno. Almeno vivo. Mano
male che l’Imperatore
ha mandato Louk e Rachel a sistemare il marito di Haras.”
Black apparve
sbigottito.
“Già,
mio caro Black. L’uomo che i
burocrati volevano realmente mettere sul trono era lui, non Makarre.
Adesso
vado. E non combinarmi altri guai.” Così dicendo,
Doc gli fece un buffetto
sulla guancia, alquanto doloroso. Black si lamentò e Doc
rise, divertito.
Almeno qualcuno si
diverte, pensò Black
massaggiandosi la guancia.
La fuga di Gloria
Houil aveva portata
Gloria in una stanza
delle segrete del Palazzo Imperiale, per poterla interrogare con calma,
molta
calma.
Non
l’aveva portata nei soliti uffici
dei servizi segreti o sul pianeta prigione di Asol, solo
perché non si fidava
dei carcerieri.
Erano corruttibili
e qualche burocrato,
pur di far sparire le prove di un suo eventuale coinvolgimento, era
disposto ad
uccidere o a far uccidere Gloria.
La stanza in cui
Gloria era tenuta era
spoglia e poco illuminata.
Un letto di metallo
con un materasso duro
come un sasso, una sedia e un tavolo erano gli unici arredi: per paura
che i
prigionieri li usassero come armi, gli oggetti era cementati nel
pavimento.
Gloria era seduta
sul letto,
abbracciando le gambe raccolte contro il corpo.
I duri giorni di
prigionia l’avevano
provata.
I suoi capelli
erano in disordine,
spettinati. Il viso era segnato dalle lacrime che gli scendevano
copiose.
Il corpo era pieno
di cicatrici: Hoiul
non aveva avuto molto ritegno nei suoi confronti.
Gloria meditava sul
da fare.
Hoiul voleva sapere
tutto. Ma già lui
sapeva e Gloria non poteva dirgli altro.
E allora
perché continuarla a
torturarla? Gloria se lo chiedeva ogni giorno che passava, ogni momento
che
Hoiul si divertiva con il suo corpo.
E stranamente Hoiul
non usava le buone maniere.
Era come se volesse vendicarsi del Barone sul corpo di Gloria.
Su quel bel corpo
che non era stato di
nessuno, nemmeno del Barone e men che meno di Houil.
Tutti i tentativi
che Hoiul aveva fatto
per sottomettere Gloria alla sua volontà erano falliti e lui
aveva lasciato sul
corpo della ragazza dei segni indelebili della sua ferocia.
Quel giorno Hoiul
era in ritardo.
Gloria contava le
ore, i minuti, i
secondi che mancavano all’arrivo di Hoiul, ma quel giorno era
in ritardo.
Strano, non lo era mai.
Da oltre due mesi
Hoiul arrivava,
costringeva Gloria a giochi sadici, cercava di sottometterla in tutti i
modi, e
lei si ribellava. E il corpo della ragazza veniva segnato, con ferocia,
da cicatrici.
Quel giorno Gloria
aveva deciso di non
essere vittima, ma di trasformarsi in carnefice.
Ma la cosa non le
fu possibile.
Aveva nascosto un
cucchiaio di latta,
che gli davano per mangiare il cibo che gli portavano. Se mai cibo si
poteva
chiamare quella specie di brodaglia che gli portavano.
Si era tenuto un
cucchiaio. Non poteva
usarlo certo come un’arma, ma se il coraggio non
l’avesse abbandonata, il
manico avrebbe potuto infilarlo nella gola del suo carnefice.
Ma quando al porta
si aprì, non entro Hoiul.
Nella penombra,
Gloria vide una figura
decisamente femminile entrare.
E sì,
era una donna. Una strana donna.
La riconobbe: era
Freddy.
“Freddy?!”
Disse tra lo stupore e la
gioia.
“Presto.
Devi scappare.” Le disse
Freddy, entrando guardinga nella stanza.
“Perché
” Chiese disperata Gloria.
“Il tuo
lavoro è finito. È meglio se te
ne vai.”
“Ma il
Barone?”
“Lo sai
che per lui non c’è più niente
da fare. L’Imperatore lo vuole morto. Vieni, ti
farò portare via, lontano.”
“No!
Stavolta non ci sto! L’Imperatrice
mi deve delle riposte.” La voce di Gloria rimbombò
nella stanza.
Gloria si era
alzata, con il cucchiaio
in mano, nel tentativo di ribellarsi a quest’ultima azione di
forza nei suoi
confronti, ma Gloria era sfinita dalla prigionia e dalla torture e
Freddy
riuscì a disarmarle, prima di farla svenire con un colpo ben
assestato sulla
nuca.
Gloria svenne nelle
braccia di Freddy.
Altri passi nel
corridoio e altre
persone entrarono nella stanza.
Gloria venne
portata via da braccia
muscolose.
La stanza non
rimase vuota a lungo.
Hoiul
arrivò poco dopo: era stato
trattenuto da un soldato sulle scale per questioni di poca importanza.
Ma il tempo perso
fu fatale: la stanza
era vuota e Gloria sparita.
Hoiul
imprecò quando si rese conto della
fuga di Gloria, ma non poté fare diversamente che sedersi
sulla sedia e
constatare che per terra c’era il cucchiaio che Gloria voleva
usare contro di
lui.
Hoiul
guardò il cucchiaio: non era
riuscito a piegare la volontà di Gloria e qualcuno aveva
deciso che la ragazza
aveva anche fin troppo sofferto per una parte che non era la sua.
L’Imperatrice
aveva deciso di ridarle la libertà e Hoiul non poteva
opporsi al suo volere.
Hoiul
uscì dalla stanza senza chiudere
dietro di se la porta della stanza.
Qualcuno sulle
scale lo vide uscire,
indifeso.
Hoiul vide la
fiocca luce del corridoio
spegnersi di colpo, per sempre.
Gloria si
risvegliò in un letto caldo,
comodo, con lenzuola di seta.
Era a casa.
Il Barone, con la
sua mole, la
sovrastava.
Intorno al letto vi
erano altri
personaggi, completamente sconosciuti a Gloria.
“Bentornata
, cara. Come sta?” Le chiese
gentilmente il Barone.
“Come ci
sono arrivata qui?” Gloria non
capiva cosa ci facesse lì. Il suo corpo era stato
sicuramente curato, ma alcune
cicatrici non erano andate via. Gloria lo constatò alzando
le coperte: sotto
era nuda e segni profondi coprivano alcune parti del suo corpo.
“Non lo
so cara. Ti abbiamo trovato su
una scialuppa alla deriva. L’importante è che sei
qui e che stai bene.” Le
disse il Barone.
Le altre persone
presenti nella stanza
sorrisero e, ad un cenno del Barone, uscirono dalla stanza.
“Non ho
parlato!” Disse Gloria al
Barone, appena furono soli. “Non ho detto a Hoiul, quel
traditore!”
“Non ti
preoccupare, cara. Non tradirà
più nessuno. Comunque il nostro progetto è quasi
naufragato. Quasi. C’è ancora
una speranza: il marito di Haras. Speriamo che lui riesca nel suo
intento.”
Disse il Barone. “Anche se non so cosa potrà fare.
L’Imperatore Touk ha deciso
di abbandonarci. I suoi burocrati ci hanno voltato le spalle. E i
nostri si
sono ritrovati isolati da tutti.”
Il Barone Makarre
era preoccupato.
Gloria cerco di
consolarlo. Si sedette
sul letto, mostrando il petto nudo e prese la testa del Barone,
ponendola sul
suo caldo seno.
Il Barone,
sorpreso, si lasciò consolare
da Gloria.
Tutto il resto
svanì, sia per il Barone
che per Gloria.
Fuori, il tempo
aveva deciso di
contrastare anche lui i progetti del Barone: la pioggia e la grandine
si
susseguivano interrottamente, lasciando dietro a loro, su quella parte
del
pianeta, morte e distruzione.
La consegna della
giara della verità
Il pianeta Lokijn,
governato dal cugino
dell’Imperatore, il Duca Strozzen, era posizionato dentro ad
uno dei bracci
della galassia. Per dentro si intendente che era al centro del braccio,
in una
zona densa di soli e pianeti, più o meno evoluti.
Quelli meno
evoluti, ove non vi era vita
umane, umanoide o almeno con una parvenza di intelligenza,
così come la
intendevano gli scienziati, erano usati come zone di caccia e di
passatempo
dall’Imperatore e dalla sua corte, compresi alcuni vassalli
che governavano le
zone limitrofe del pianeta Lokijn.
A Strozzen
ciò non dispiaceva.
Tipo strano
Strozzen. Alto, biondo,
occhi azzurri, con una pelle chiara, con un tic all’occhio
destro. Aveva
sposato una dama di compagnia dell’Imperatrice, una ragazza
chiamata Alfonsine,
di bell’aspetto, ma insignificante, figlia di una dama di
corte e di un alto
burocrate dell’Impero, uno di quelli che aveva deciso di
tradire l’Imperatore.
Ma a Strozzen non
gli era dispiaciuto
sposare quella donna, ne tanto meno avere dei figli da lei.
La cosa strana di
Strozzen era che
passava più tempo a studiare, leggere, scoprire cose che non
il tempo dedicato
a governare la sua zona.
Che poi cosa doveva
comandare, si
chiedeva sempre. Sembrava più che facesse il guardiano alla
zona di caccia
privata dell’Imperatore che cercare di migliorare la vita dei
suoi sudditi,
perché c’era ben poco da migliorare.
Era sicuramente una
della zone
dell’Impero e dell’intera galassia dove la gente
viveva meglio. Proprio perché
riserva di caccia, sui pianeti da lui amministrati e su quelli usati
come
passatempo dalla corte, la vita trascorreva tranquilla.
Anche se
l’Imperatore viveva sul braccio
della galassia opposto al suo, Strozzen era quasi considerato un
Imperatore. E
i suoi sudditi erano alle stessa stregua considerati come i sudditi del
pianeta
dell’Imperatore. Cosa volere di più.
La malavita
organizzata non esisteva,
come non esisteva in tutto l’Impero. I ladri, costretti
più dalla fame o
dall’ignoranza a rubare, venivano condotti in prigioni dove
erano costretti a
lavorare e a guadagnarsi da mangiare e da vivere. Chi non riusciva a
studiare,
veniva arruolato a forza ed entrava a far parte della fanteria di terra
o dello
spazio.
Praticamente, non
vi era abitante di
quella zona della galassia che non lavorasse. Se tutti lavoravano,
tutti
stavano bene, avevano soldi da spendere per comprare l’utile
e il futile. E non
disturbavano i sogni dolci e innocenti di Strozzen. Così
credeva lui.
Ma il solo fatto
che suo suocero si era
messo contro l’Imperatore, lo aveva messo sotto pressione e
lo aveva
preoccupato.
Ma
l’Imperatore, e men che meno
l’Imperatrice, gliene fecero una colpa. Anzi. Avevano fatto
di tutto perché non
si sentisse lasciato da parte, o peggio, non si sentisse abbandonato.
L’Imperatore,
in quel periodo, si fece
spesso sentire da Strozzen, con documenti, lettere o video chiamate.
Come l’Imperatrice
con sua moglie Alfonsine.
Chi non capiva era
sua figlia Fionij. Il
suo nonno, tanto amato, abbandonato dalla sua famiglia.
Ma la madre gli
fece subito capire il
perché non potevano mettersi contro l’Imperatore.
E tanto meno contro
l’Imperatrice.
La figlia non
capì, ma accettò: forse
era meglio un nonno in meno che una famiglia sterminata dalla furia
dell’Imperatore.
Quel giorno
autunnale iniziò nei
migliori dei modi.
Era un giorno
infrasettimanale e,
stranamente, non era previsto nessun impegno per il Duca e la moglie.
E nemmeno per le
figlie.
Sembrava quasi una
giornata inutile.
Il Duca e la
consorte stavano facendo
colazione all’esterno, sulla veranda della loro casa, con
davanti a loro un
giardino con piante basse e fontane con giochi d’acqua.
Le figlie, Fionij e
Glocial, giunsero
poco dopo. La temperatura era mite ed era piacevole essere
lì fuori, mentre un
bel sole bianco sorgeva da dietro le montagne, che circondavano quella
bellissima vallata.
Mentre allegramente
la famiglia faceva
colazione, una enorme nave oscurò il cielo.
Strozzen
guardò in alto e vide
Invincible avanzare, passando sopra il palazzo e dirigendosi verso le
montagne.
L’astroporto
più vicino dove poteva
atterrare quella nave era alla base militare posta a oltre seimila
chilometri
dalla capitale.
Strozzen
capì che qualcosa stava
accadendo e si alzò, senza parlare.
La moglie e le
figlie lo guardarono
allontanarsi, spaventate, mentre alcuni burocrati e dei generali erano
arrivati
di corsa al palazzo..
Fionji
guardò Invincible sparire
all’orizzonte e, quando si voltò anche suo padre
era sparito.
“Vieni,
cara. Ci dobbiamo preparare.”
Alfonsine prese la mano di Fionji e la tirò a se.
“Per cosa
ci dobbiamo preparare, madre?”
Chiese Fionji
“Non ti
preoccupare. È venuto il tuo
tempo. L’Impero ha bisogno di te.”
Alfonsine e Fionji
si diressero verso il
palazzo, mentre Glocial, troppo giovane per capire, continuò
tranquillamente a
far colazione.
Invincible
atterrò nell’astroporto
militare con un gran rumore.
Dalla nave scesero
Doc e alcuni uomini
della tana con vestiti da cerimonia.
I loro mantelli
erano di color rosso,
con bordi dorati.
La testa della
tigri rispendeva in color
platino sulla loro schiena.
Insieme a loro
c’erano Black, Samuel,
Angel, l’orso e la tigre.
La gira della
verità era portata da
Elstam ed Elsam.
La giara era di
color argilla, con bande
di vari colori orizzontale.
Elstam ed Elsam
portavano la giara su
una specie di portantina di legno.
La processione,
silenziosamente, si
diresse verso un grosso veicolo nero, che li aspettava.
Il veicolo, oltre
che grosso, non aveva
ruote. Viaggiava su un cuscino provocato da un magnete e viaggiava su
una
rotaia.
Il mezzo si mise in
moto lentamente,
mentre tutti i passeggeri si sedevano, allacciando le cinture di
sicurezza.
Il veicolo si
infilò in un tunnel, che
lo inghiottì nel buio delle viscere del pianeta.
La
velocità che raggiunse il veicolo nel
tunnel fu elevata.
Un tachimetro con i
display luminoso
indicava la velocità di settecentocinquanta chilometri orari.
Il vuoto provocato
nel tunnel consentiva
al veicolo di viaggiare così veloce.
Ci vollero alcune
ore per giungere alla
capitale.
Elstam ed Elsam
mangiarono qualcosa,
affamate dal lungo viaggio, interrotto da Doc in prossimità
della capitale
dell’Impero.
Non erano le figlie
dell’Imperatore le
destinatarie della giara.
Ma a loro nessuno
lo aveva detto. Ed
Elstam ed Elsam avevano girato la galassia, per non farsi scoprire e
consegnare
la giara della verità al destinatario.
Ora, anche se non
capivano il perché,
era su quel pianeta a compiere il loro dovere.
Il mezzo, quando
raggiunse la capitale
del pianeta, uscì dalle viscere della terra e viaggio in un
tubo trasparente, e
così i passeggeri poterono rimirare la bellezza del pianeta.
Vicino alla
capitale un lago, pieno di
acqua azzurra, quieta, lambiva le periferia della capitale, fatta di
casette
piccole e basse, tutte uguali.
La voce
dell’arrivo della strana
comitiva si era già spersa per la capitale. A darne la
comunicazione era stata
la radio e il videogiornale planetario.
La gente si era
precipitata in strada,
avviandosi verso il palazzo del Duca, per vedere e capire cosa stava
succedendo.
La capitale non era
molto affollata, vi
erano circa centomila persone.
Ma la piazza delle
manifestazione ne
conteneva più di un milione e la gente della
città, che vi arrivo in gran
fretta, sembrava più uno sciame di cavallette che un popolo
esultante e felice
per il suo Duca.
Qualcuno della
dinastia sarebbe
diventato Imperatore.
Quando il mezzo
giunse a destinazione,
nella stazione della capitale, sotto il palazzo, ad attendere Doc e la
comitiva
vi era il Duca, la moglie ed alcuni pochi alti dignitari del pianeta.
La cerimonia di
accoglienza degli ospiti
per quella particolare occasione era piuttosto complicata, e le suo
norme
risalivano indietro di millenni.
Doc scese dal mezzo
e chiese il permesso
per lui e la sua comitiva di avanzare sul suolo del pianeta.
“Io,
Docilous Tuiofen, supremo capo
della tana delle tigri, difensore della legalità galattica,
giusto tra i
giusti, equo con gli equi, ribelle verso l’ignoranza e la
sopraffazione dei
poveri, ospite per coloro che non hanno dove andare, vi chiedo di poter
venire
in pace nei vostri territori planetari, per portarvi la luce della
conoscenza e
la parola della verità contro coloro che spengono la ragione
e accendono
l’ignominia. Qui, tra voi, c’è colui che
dovrà vedere la verità, sentirla,
apprezzarla, odiarla, mai nasconderla ad occhi ed essere pensante della
galassia. Colui che dovrà aprire la giara della
verità è qui?” Chiese alla fine,
con fare maestoso.
“Ma chi
è costui?” Chiese, giustamente,
uno degli alti funzionari.
“Donna,
fai un passo avanti!” Doc indicò
Fionji e gli fece cenno di avanzare.
La ragazza si
guardò intorno, spesata.
“Chi sono
io per essere eletta a tale
rango?” Rispose come le era stato insegnato dalla madre.
“Non
importa chi sei. Tutto per il bene
della galassia!” Rispose Doc.
La piccola folla
che circondava Fionji
si allargo, allontanandosi sa lei, compresi i suoi genitori.
Tutti, poi, si
inchinarono davanti a lei.
Ad un gesto di Doc,
il piccolo gruppo di
persone della tana delle tigri aprì la processione verso il
palazzo, seguiti da
Elstam ed Elsam che portavano la giara.
Dietro la giara
s’incamminò Foinji,
seguita dai funzionari del pianeta. La processione era chiusa dal Duca
e la sua
moglie e si diresse si diresse verso la grande sale delle adunanze.
Ad aspettarli vi
era un folto gruppo di
dignitari e dame di corte. Glocial aspettava di fianco al trono.
Quando arrivarono
nella sala, di fronte
al trono, gli uomini e le donne della tana delle tigri si coprirono il
capo con
il cappuccio della vesta.
Doc
invitò Fionji a sedersi sul trono.
Quando Fionji si fu
seduta sul trono,
tutti i presenti si inchinarono, in segno di saluto e rispetto.
Elstam ed Elsam
portarono la giara
davanti a Fionji e l’appoggiarono ai suoi piedi.
“Apri,
senza paura e la verità sarà a te
permesso di conoscere.” Le disse Doc.
Fionji prese il
coperchio della giara e
lo alzò, guardandoci dentro.
La sua faccia era
nascosta dal coperchio
e, siccome tutti erano ancora inchinati in segno di rispetto, nessuno
vide la
sua faccia di stupore.
Strano,
pensò, una giara piena di acqua.
E anche un po’ puzzolente, concluse, richiudendo il coperchio.
Strano scherzo.
Acqua, solo acqua,
nient’altro che acqua. Doc la squadrò da sotto il
cappuccio.
Se avesse parlato,
per dire quello che
aveva visto, non sarebbe diventata Imperatrice. Fionji lo sapeva: era
stata ben
istruita dalla madre.
“Qualsiasi
cosa ci sia dentro” le aveva
detto la madre “non devi far trapelare dal tuo corpo che sei
sorpresa o
spaventata. Sii forte, qualsiasi cosa succede.”
Ma
l’acqua, cosa centrava? Fionji era
quasi arrabbiata e si accorse dello sguardo da sotto il cappuccio di
Doc, ed
evitò di far trapelare dal suo viso qualsiasi emozione.
Doc si accorse di
quell’attimo di
smarrimento di Fionji, ma gli altri no.
Perfetto,
pensò Doc.
Magnifico,
pensò Black.
Che barba,
pensarono Elstam ed Elsam.
Fionji si accorse
di aver percepito quei
pensieri, attimi sfuggenti che le erano passate nel cervello, in un
attimo, e
che se ne erano andati via, veloci.
Fionji si
guardò attorno, guardinga.
Tutti erano ancora inchinati e lei si accorse di sentire i pensieri, di
recepire le loro emozioni, le loro paure: sentiva le vibrazioni aure
delle
persone.
Non era acqua
quella nella giara, era
come una droga, talmente forte che le aveva amplificato i sensi, non
quelli
corporei, ma quelli spirituali. Forse.
A Fionji ci volle
parecchio per
abituarsi a quella nuova sensazione. Difficile da controllare.
Ad un tratto, Doc
fece un cenno e i
cappucci degli uomini della tana si abbassarono, mostrando volti di
uomini e
donne che aveva combattuto a lungo per il bene di tutti.
La gente si
alzò, guardando in faccia la
nuova Imperatrice.
“Vi
presento la vostra nuova
Imperatrice. Lunga vita all’Impero!”
Urlò Doc.
“Lunga
vita e prosperità a noi!”
Risposero i presenti.
La folla nella
piazza urlava. La notizia
della nuova Imperatrice corse per ogni angolo della galassia.
Ma il passaggio dei
poteri non era così
semplice ed immediato.
Il vecchio
Imperatore doveva abdicare,
ma non era detto che lo avrebbe fatto in poco tempo.
E poi Fionji doveva
trovare marito e
sposarsi. E anche questo non era così immediato.
Fionji doveva
finire gli studi, essere
istruita, trovare dame di corte, aiutanti… tante cose da
fare.
Doc e i componenti
della tana delle
tigri se ne andarono, scortando la gira della verità portata
da Elstam ed
Elsam.
Se ne andarono con
lo stesso mezzo con
cui erano venuti.
La sera stava
calando in quella parte
del pianeta.
Invincible
ripartì con la piccola
comitiva a bordo, dirigendosi verso la tana delle tigri.
Sul pianeta
incominciarono i
festeggiamenti e nella galassia tutti guardavano alla nuova Imperatrice.