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Autore: SamuelCostaRica    30/05/2016    0 recensioni
Ogni Biblioteca contiene libri di ogni genere, che possono essere letti da molti o da pochi.
E poi ci sono i libri segreti, di cui nessuno deve sapere, che parlano di cose indicibili per il popolo.
Ma può il futuro di una galassia essere scritto in un libro nascosto in una biblioteca o no?
E quanto sono necessari i libri per il futuro di una galassia?
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il cielo era grigio, carico di acqua.

Non che gli interessasse molto, lì, al coperto, sotto una delle cupole perimetrali, completamente in vetro temperato resistente ricoperto di più strati di tecno­polimero, della biblioteca.

La biblioteca: era l’unica cosa di cui gli importava.

Era stata costruita secoli prima, su quella penisola, lunga circa duecento chilometri, posta a nord di un lago, che veniva chiamato, nella lingua locale, Punainenmeri.

La biblioteca distava cinquanta chilometri dal punto di attacco della penisola con la terra ferma.

Più che un lago quello era da tutti considerato un mare, dato che l’acqua ne aveva la stesa composizione, che superava la superficie di seicentomila chilometri quadrati, che le sponde non erano tra loro visibili, con parecchi affluenti posti a est e ovest della penisola, ma con un unico accesso dal vicino oceano, uno stretto posto a sud, lungo alcuni chilometri, chiuso, per tutto il suo percorso, tra altissimi vulcani in attività, alcuni dei quali avevano le pareti a strapiombo e formavano lo stretto medesimo.

L’accesso al mare era interdetto da un una rete elettromagnetica, posizionata tra le due pareti vulcaniche poste   all’inizio dello stretto, che non consentiva a nes­sun veicolo marino, sia sopra che sotto la superficie dell’acqua,  di attraversare lo stretto e di entrare nel mare.

Inoltre, all’interno del mare, vi erano delle posta­zioni automatiche sottomarine che, a mezzo di sonar e boe acustiche sommerse, tenevano sotto controllo il mare.

Dal cielo, invece, l’accesso era controllato da varie stazioni militari con radar ad apertura sintetica a scansione tridimensionale, installate sulla terra ferma, posi­zionate vicino a campi di aviazione militare, che proteggevano la biblioteca da qualsiasi veicolo non autorizzato al sorvolo che potesse giungere dal cielo o dallo spazio.

L’attuale imperatore, un tipo malfidente, aveva anche fatto posare, recentemente, dei sensori sotto terra, per l’ascolto di qualsiasi vibrazione del terreno dovuto a veicolo che avessero viag­giato sotto la superficie del pianeta.

Quei sensori servivano anche per tenere sotto controllo i movimenti tellurici della terra, volgarmente chiamati terremoti, provocati dai vulcani posti sullo stretto e che formavano una catena montagnosa che, partendo dallo destra dello stretto, dopo aver formato il medesimo, seguiva una direttrice sud-est nord-ovest.

Ma per anni, anzi secoli, nessuno aveva mai cercato di avvicinarsi alla biblioteca senza permesso.

Permessi che non venivano distribuiti facilmente alla popola­zione.

Per la popolazione vi erano biblioteche più piccole, distribuite sui vari pianeti che costituivano l’impero, i cui libri non erano in formato carta, ma in formato informatico: la censura sui libri era molto più facile se erano in formato informatico, dato sulla carta, o qualsiasi altro tipo di materiale, non era possibile tirare righe per cancellare frasi senza che qualcuno non si ribellasse o protestasse, rompendo la pace imperiale.

Alla quella biblioteca, quindi, dove i libri erano in carta e altri materiali, accedevano soltanto studiosi e ri­cercatori, autorizzati da un numero limitato e ben conosciuto di persone.

L’elenco comprendeva l’imperatore, l’imperatrice, il capo gabinetto dell’imperatore, alcuni funzio­nari e burocrati di vari dipartimenti e alcuni ret­tori delle più importanti università del pianeta e di quella parte dell’universo governata dall’imperatore.

La persona stava guardando il mare, o meglio il faro posto su uno spuntone di roccia posto a circa un chilome­tro dalla terra che, con intermittenza, lanciava la sua luce a illuminare il buio, davanti ad un porto vuoto, sul mare sconfinato nel suo limite, di quello strano colore grigio, in burrasca, sotto quel cielo plumbeo, mentre sulle finestre si rispecchiava la stanza che era dietro di lui.

Una stanza arredata in maniera sfarzosa.

I mobili erano dei più rari e belli che fossero stati costruiti in tempi remoti, lavorati a mano da persone esperte.

Il tavolo, dietro a lui, era di forma rettangolare, di colore nero con riflessi blu: le sei gambe, che sostenevano il tavolo, due poste verso le finestre e quattro dall’altra parte, rappresentavano strani animali, mai visti da persona su quel pianeta, colorati di oro.

La sedia era dello stesso colore del tavolo, con seduta e schienale imbottiti e rifiniti in pelle nera: le gambe erano anch’esse di color oro, dotate di rotelle per consentire, a chi si fosse seduto su di essa, di girarsi di trecentosessanta gradi intorno al suo centro di gravità.

Gli altri mobili, di diversi gradazioni dei colori marrone e nero, di diversa forma ed altezza, sembravano distribuiti, all’interno della stanza posta in cima alla cupola, in modo casuale, senza seguire una ben precisa dislocazione.

In realtà, una precisa dislocazione ce l’avevano: chi fosse salito dalle scale, poste dall’altra parte della stanza, entrandovi, con i mobili in quella posizione, non avrebbe visto chi era seduto alla scrivania.

Mentre ammirava il panorama, dietro a lui si sentirono alcuni passi sulle scale, indecisi.

Si sedette immediatamente sulla sedia e si avvicinò alla scrivania, ponendo la mano sinistra sotto di essa.

L’uomo, zoppicante, che saliva gli ultimi scalini, scrutò la cupola in cerca di chi era presente.

«Bibliotecario?». Chiese l’uomo, con fare sommesso.

«Perché mi disturbi?». Gli rispose il bibliotecario, sfiorando con le dita la micidiale arma posta sotto il tavolo.

«Chiedo scusa, ma serve la vostra presenza alla camera dei libri proibiti. C’è stato un accesso non autorizzato. Non sappiamo cosa fare». Disse l’uomo, con voce rispettosa e tremante, alquanto preoccupato abbassando la testa.

«Nessuno può accedervi senza il mio permesso!». Disse il bibliotecario con un tono di voce profondo, che dimostrava tutta la sua furia per quanto gli era stato detto.

L’uomo, appena arrivato, si volse e scese frettolosamente le scale, senza aspettare la risposta del bibliotecario, quasi rischiando di cadere.

Il bibliotecario, sfilando l’arma da sotto il tavolo,  si alzò e si diresse verso le scale.

Come l’uomo, che lo aveva avvisato dell’improvviso problema, indossava una tonaca lunga fino ai piedi, di color grigio perla, lavorato con dei disegni di color nero, che rappresentavano un labirinto.

Un enorme cappuccio copriva la sua testa e ne nascondeva i lineamenti del viso.

Infilandosi le mani delle larghe maniche della tonaca, nascondendo l’arma in una tasca nascosta dentro alle maniche, incominciò, con passo fermo, a scendere i gradini della scala, che lo portarono due piani più in basso, sempre all’interno della cupola.

Nella zona centrale dell’enorme stanzone, completamente vuoto, vi era una cabina circolare, completamente di vetro, con una luce bluastra che lo illuminava.

L’uomo vi entrò, di malavoglia, ma l’unico modo di uscire dalla cupola era quella maledetta cabina: non gli era mai piaciuto il teletrasporto, ma non poteva farne a meno.

Vi salì e, a chiara voce, dichiarò il luogo ove voleva andare.

«Stanza 1111 codice di accesso tequila!». Disse il bibliotecario.

Il suo corpo di smaterializzò, apparendo in una cabina simile parecchi metri sotto terra, vicino ad una porta blindata.

Vi erano presenti, al suo arrivo, sette persone, tutti vestiti di una tonaca uguale alla sua: solo tre di essi avevano il cappuccio alzato.

Gli altri si avvicinarono al bibliotecario: tra loro c’era la persona che lo aveva avvisato dell’intrusione.

Le persone con il cappuccio calato sulla testa rimasero fermi, guardando da lontano quel chiacchiericcio, intorno al nuovo venuto, delle persone che cercavano di giustificarsi, dichiarando che non sapevano assolutamente nulla su cosa fosse successo.

Il bibliotecario estrasse la mano destra dalla manica e fece un gesto per quietare le persone che lo circondavano.

Guardò gli altri incappucciati, fermi, immobili, dietro a quel muro di uomini i quali, capendo la situazione, si spostarono, lasciandoli passare.

Il bibliotecario e gli altri fecero capannello, incominciando a parlare con fare sommesso, senza farsi sentire dai presenti.

Dietro a loro vi era una porta blindata, chiusa, che era di forma ovale, senza cardini e senza serratura, alta più di cinque metri.

La stanza, che forse avrebbe dovuto contenere la porta, era più alta della porta e lunga almeno venti metri, imbiancata di color bianco, con un pavimento di color grigio chiaro, formato da enormi lastre quadrate di materiale composito.

Di fianco alla porta blindata, sulla sinistra, era posizionato una piastra metallica di forma rettangolare.

Il bibliotecario, dopo aver discusso con gli altri, si avvicinò alla piastra togliendo, con la mano sinistra, uno strano aggeggio di color bianco da una tasca nascosta esterna della tunica, dallo stesso lato della manica.

Gli uomini senza cappuccio si allontanarono, correndo, mentre gli altri si spostarono sul lato destro, lungo il muro perimetrale del locale.

Il bibliotecario appoggiò l’apparecchio alla piastra e un rumore metallico, forte, rimbombò nella stanza.

I chiavistelli, nascosti, che tenevano la porta chiusa, incominciarono a cedere, facendo sì che l’enorme porta si muovesse verso il locale, smuovendo polvere e calcinacci, come se la porta non fosse stata aperta da tempo.

Ma la porta, stranamente, non cadde nel locale.

Man mano che i cardini liberavano la porta, questa si mosse, prima verso il locale, poi verso il basso.

Alla fine incominciò a scivolare in un buco sul pavimento, sparendovi.

Gli uomini senza cappuccio, che si erano allontanati e posizionati davanti alla porta blindata, furono investiti da un vento freddo e maleodorante, proveniente dal nero che si vedeva dietro all’enorme passaggio lasciato libero dalla porta.

I quattro incappucciati sorrisero, vedendo le facce schifate degli uomini fermi davanti alla porta.

Il bibliotecario, dopo che il vento cessò, si spostò davanti alla porta, guardandovi dentro.

L’uomo avanzò nel passaggio lasciato libero dalla porta: appena vi si infilò, una piccola luce, sulla destra, si accese.

Poi, una dopo l’altra, altri luci incominciarono ad accendersi, in basso, illuminando, discretamente, quello che sembrava un lungo salone.

Poi incominciarono ad accendersi altri luci, a varie altezze, illuminando un corridoio enorme, alto decine di metri.

Poi altri luci si accesero, illuminando corridoi che partivano perpendicolarmente dal corridoio principale.

Una seconda fila di luci, sopra a quelle che si erano già accese, incominciarono ad illuminare la scena, rompendo il buio in cui i locali, da tempo,  erano stati lasciati.

Più le luci si accendevano, più la biblioteca dei libri proibiti mostrava il suo vero volto.

Era alta più di cinquanta metri, lunga a perdita d’occhio, con enormi scaffali, in pietra e il legno,  che contenevano libri, fatti solo di carta o materiali simili, di diverse grandezze e spessori.

Non si vedeva videolibro o schede di memoria su nessun scaffale.

Il bibliotecario e gli altri incappucciati si misero l’uno di fianco all’altro, rimirando quello spettacolo.

Gli uomini, rimasti indietro, emisero dei rumori sommessi, di meraviglia, nei confronti di quanto vedevano.

Il bibliotecario, girandosi verso i suoi interlocutori posti alla sua destra, disse sommessamente: “Peccato che il resto sia stato separato dalla frana”.

«Per fortuna!». Disse l’ultimo interlocutore.

«Già. Per fortuna!». Replicò quello di fianco al bibliotecario.

Il terzo si incamminò all’interno della vecchia biblioteca.

Gli uomini non incappucciati si mossero per seguirli, ma un muro invisibile si frappose tra loro e la porta.

Il bibliotecario si girò e fece loro cenno di non muoversi.

Gli uomini rimasero lì a rimirare quello spettacolo, mentre il bibliotecario e gli altri si incamminarono all’interno delle biblioteca.

Mentre avanzavano le luci, lasciate dietro a loro, si spegnevano, lasciando accese solo quelle davanti a loro, per illuminare il loro cammino.

Gli uomini rimasti fuori videro, improvvisamente, la porta risalire e rimettersi al suo posto.

Spaventati scapparono, infilandosi uno alla volta nel teletrasporto e ritornando alle loro faccende.

Se qualcuno era entrato nella zona dei libri proibiti non era un problema loro.

Avevano così tante cose da fare, in quell’enorme biblioteca che, anche se qualcuno si fosse introdotto in quel posto, non gli interessava.

Il bibliotecario e gli altri non si videro per tutto il giorno e nessuno se ne preoccupò.

Alla sera, nella mensa della biblioteca, dove si raccoglievano tutti i dipendenti, il bibliotecario e i suoi avventurosi amici apparvero, con il cappuccio abbassato e senza proferir parola.

Il rumore di fondo, che si era improvvisamente fermato al loro arrivo, riprese, senza dar molto peso al fatto che né il bibliotecario né gli altri prendessero parola per chiarire cosa fosse successo.

Non era abitudine del bibliotecario giustificare certe cose ai suoi sottoposti: ignorare ciò che succedeva nei luoghi più nascosti delle biblioteca era necessario, se si voleva continuare a lavorare e vivere in quel posto.

All’esterno della biblioteca pioveva ormai da parecchie ore, accompagnata da tremendi lampi di luce e rombi di tuono, mentre il buio la faceva da padrone e, dopo cena, tutto il personale si diresse verso le proprie stanze per dormire quella notte, come la precedente e quella successiva, sperando che si fosse visto, il giorno seguente, la luce del sole.

La biblioteca era come una monastero, sempre liberi, chi vi fosse dentro, di uscire e di rientrare quando voleva, ma decisamente scoreggiato dal bibliotecario e dagli altri: la biblioteca pretendeva devozione dai suoi addetti e non dava tanto facilmente confidenza, come il bibliotecario.
   
 
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