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Autore: SamuelCostaRica    30/05/2016    0 recensioni
Ogni Biblioteca contiene libri di ogni genere, che possono essere letti da molti o da pochi.
E poi ci sono i libri segreti, di cui nessuno deve sapere, che parlano di cose indicibili per il popolo.
Ma può il futuro di una galassia essere scritto in un libro nascosto in una biblioteca o no?
E quanto sono necessari i libri per il futuro di una galassia?
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un pianeta ricoperto di ghiaccio, in una galassia così grande, non è una cosa rara.

Che poi avesse una eclittica molto allungata, per cui si avvicinava al sole solo per 6 mesi standard dei tre anni che ci impiegava a percorrerla, non era difficile trovarne.

Che avesse anche una atmosfera e una gravità naturale quasi simili al pianeta dell’imperatore era cosa quasi normale.

Non era normale la sua dimensione: pur essendo il terzo pianeta di quel sole, la sua dimensione era il triplo del pianeta dell’imperatore.

Non che il pianeta dell’imperatore fosse un pianeta particolare e diverso dagli altri, ma era consuetudine fare riferimento, nei confronti tra pianeti, a quello.

Icestar era così grande, immenso, che era considerato il posto peggiore dove far vivere chi aveva mancato alle leggi che ogni singolo pianeta, o la galassia, aveva emesso per la difesa delle persone e delle cose.

Di certo, mettere tutte le mele marce in un’unica cesta era gran cosa, ma le mele, se ve ne erano di meno marce, marcivano subito, in quel posto, dove sopravvivere era il solo modo di vedere l’alba del giorno dopo.

Il lavoro, non ben remunerato, era l’estrazione di ogni tipo di metallo che ci fosse sulla crosta bel spessa di quel pianeta.

Oro, diamanti, platino e ogni tipo di materiale che risultava raro su qualsiasi altro pianeta, lì ve n’era in abbondanza.

I macchinari per l’estrazione erano gli stessi prigionieri, che, se non per sfamarli e vestirli, non erano controllati dalle guardie, poche, più indaffarate a controllare che nessuno entrasse senza permesso più che uno cercasse di scappare.

Vi era, infatti, un luogo, su quel pianeta, chiamato il cimitero degli elefanti. Nessuno aveva mai capito perché, ma lì vi era la più alta concentrazione di morti di tutto il resto del pianeta, tranne, ovviamente, nel cimitero della prigione.

Molti tecnici di varie commissioni imperiali avevano studiato il problema, più per salvare la faccia all’imperatore che altro, ma non erano giunti a nessuna conclusione.

Ma il comandante delle guardie, un tipo alto, grosso, con poco cervello, losco, completamente pelato, con un facciotto rotondo, ben lo sapeva.

Le bussole che i prigionieri rubavano per poter scappare, seguendo una certa rotta, forse la più sicura, tramandata da generazioni di ladri, puttane e quant’altro su quel pianeta vi era arrivato, non sapeva che sotto a quel punto vi era un potente magnete, che formava, con altri, una rete di difesa passiva contro gli intrusi.

Il magnate era vicino ad una uscita laterale della miniera di oro, quella meno controllata, perché la più profonda.

I più coraggiosi rubavano le bussole, salivano in superficie per una scalda di emergenza, non allarmata e non controllata, e si trovavano a 125 °C sotto zero.

Anche con una tuta termica, di cui i prigionieri ne erano sprovvisti, su quel pianeta si poteva resistere al massimo ventiquattrore in quel freddo, per poi morire di assideramento.

I prigionieri, che avevano solo pellicce, e neanche tanto di prima scelta, seguivano l’ago della bussola e finivano lì, a morire di assideramento dopo neanche due ore, tanto era il tempo che ci voleva a piedi da quell’uscita al magnete.

Il comandante e le sue guardie registravano, tramite le videocamere di sicurezza, l’uscita della persona da quella porta, con numero e nome, e mettevano automaticamente la scritta “Deceduto”.

Nessuno era uscito vivo da quella prigione.

O almeno uno c’era.

Ma vi era stato riportato dopo alcuni anni di latitanza tra un pianeta e l’altro.

Lo avevano messo a lavorare nella miniera più profonda del pianeta, a cercare diamanti.

Era diventato cieco, o così si diceva, e muto e sordo, dal rumore dei picconi che rimbombava in quel tunnel e a furia di urlare per sovrastarlo.

A lui non gli interessava molto di coloro che tentavano la fortuna, scappando da lì sotto.

Ma ogni volta che ne vedeva uno tentar la fuga, un tremendo ghigno gli si formava sulla bocca, con la faccia che, per un attimo, sorrideva.

Poi gli tornava la solita faccia dura, contrita, imperturbabile e lui continuava a scavare.

L’imperatrice, per quell’uomo, nutriva una curiosità innaturale.

Non era un bell’uomo, non era alto, non raccontava storielle buffe o declamava poesie, non era filosofo di vita, eppure l’imperatrice, del prima giorno che lo aveva visto al tribunale per la sua condanna definitiva, a vita, su quel pianeta, gli era parso interessante e spudorato.

Era stato necessario buttare per aria tutta una parte dell’impero, quando era scappato, per trovarlo e cercarlo di punirlo.

Lui era un fantasma: un giorno su un pianeta, il giorno dopo in viaggio su di un cargo, poi ancora fermo su un pianeta, fino a che non arrivavano legioni di militari a cercarlo e lui si spostava.

L’imperatrice andava qualche volta a controllare che fosse ancora lì, incatenato nel pozzo a scavare con quel piccone di ferro, con un manico di legno che sembrava rompersi ad ogni colpo dato alla roccia.

L’imperatrice scese su Icestar nel porto principale, unico attracco per qualsiasi nave andasse su quel pianeta.

Ve n’erano di più, una volta, ma dato l’impossibilità di controllarli tutti in maniera adeguata, era stato deciso da una commissione che un porto, ben attrezzato e ben controllato, per quel pianeta, era più che sufficiente.

Era un porto non molto trafficato.

Vi arrivava una o due navi spaziali alla settimana.

Più che altro portavano cibo, alle volte dei prigionieri.

L’imperatrice giunse sul pianeta in coda ad una nave, che quel giorno portava un certo numero di prigionieri da un pianeta a confine con l’impero di un nemico giurato di suo marito.

L’imperatrice salì sul ponte di comando mentre le due navi, una dietro all’altra, si avvicinavano al porto e incominciò a scrutarla, mentre alcune delle sue navi di scorta seguivano a poca distanza.

La donna si avvicinò al comunicatore e chiamò il capo scorta.

Il capo scorta non fece in tempo a parlare, quando vide nel video l’imperatrice.

«Il resto della scorta dov’è?» Chiese in modo energico.

«E’ rimasta fuori dall’atmosfera …» il capo scorta non finì la frase.

«Fateli entrare nell’atmosfera e che si precipitino subito al porto. Quella nave che sta di fronte a noi non è un cargo, ma una nave da battaglia camuffata. Fate presto!» L’imperatrice chiuse il comunicatore e si girò verso il comandante.

«Manovra elusiva, presto, e avvisate il porto che sta arrivando una nave non invitata!»

Il comandate diede ordini ai suoi sottoposti e chiamo il porto, dichiarando le sue generalità e avvisandoli del problema.

Il comandate del porto rise.

«E chi volete che venga qui con una nave da battaglia a portar via cosa?»

L’imperatrice tolse il comandante dal comunicatore e guardò truce il responsabile del porto.

«Se vedete la mia faccia sapete ben chi sono! Ho dato un ordine diretto e pretendo che lo eseguita immediatamente! L’uomo è ancora al suo posto?»

Il comandate del porto divenne rosso.

«Obbedisco, signora. Il suo … l’uomo è ancora nel tunnel sotterraneo!»

L’imperatrice si alzo dal comunicatore spegnendolo in malo modo.

Non era il suo.

Era uno dei prigionieri più pericolosi che ci fossero su quel pianeta, e non era da sottovalutare.

La nave che precedeva quella dell’imperatrice, in prossimità del porto, perse il camuffamento, mostrando la sua vera faccia.

Sul ponte superiore due torri contenevano, ognuna, quattro cannoni laser, mentre torrette di ogni dimensione, contenenti diverse armi, facevano bella mostra di se sui fianchi.

Sotto, la nave aveva altre quattro torri con una serie di quattro cannoni ognuna.

Sula parte superiore vi era anche una torre comando e varie infrastrutture, alcune di lancio missili, altre di comunicazione.

Il comandante della nave, intento con tutto il suo personale nella manovra di atterraggio sul porto, ad una velocità inusuale per una nave in quella angolazione di discesa, non fece caso ai segnali di allarme che provenivano dai radar della nave che annunciavano l’avvicinarsi delle navi di scorta dell’imperatrice che aprirono il fuoco contro i motori, posti sulla coda della nave.

I colpi andarono a segno senza troppa fatica e la nave perse stabilità.

Prima si girò verso sinistra, poi si buttò a destra, nel tentativo di evitare i colpi che provenivano dalle altri navi di scorta dell’imperatrice, uscite dall’orbita ed entrate nell’atmosfera, che gli venivano incontro.

La nave non riuscì immediatamente a rispondere al fuoco e quando giunse ad alcuni chilometri dalla superficie, i cannoni, a protezione del porto, aprirono il fuoco, investendo la nave come un gancio che un pugile scaglia contro il suo avversario.

Il colpo fu tremendo: la nave rallentò, fin quasi a fermarsi, tanto era la velocità che perse in poco tempo, e la coda precipitò sul pianeta, tirandosi, poi, dietro il resto della nave.

L’esplosione fu tremenda e fece vibrare la nave dell’imperatrice, che nel frattempo si era allontanata dal combattimento e ne aspettava l’esito.

Il ghiaccio, in quel punto del pianeta, si sciolse, per parecchi metri di profondità, sopra la superficie rocciosa, formando un fiume in piena di acqua calda per alcuni chilometri, diretto verso un abbassamento del ghiaccio.

Il fiume riempi quell’abbassamento e rimase liquido per alcuni momenti.

Poi l’acqua si ghiacciò, formando una strana configurazione nel terreno.

Chiunque aspettasse quella nave non ebbe molto tempo per compiangere chi era morto in quell’impresa.

Sotto la superficie dei ghiaccia parecchie gallerie, sotto l’effetto dell’urto e dell’esplosione della nave, crollarono, coinvolgendo centinai di prigionieri, che perirono sul colpo.

Le guardie, infuriate per quello che era accaduto, sguinzagliarono i mastini, affamati, che si misero sulle tracce dei probabili rivoltosi.

Di certo gli animali avrebbero colpito a casaccio, ma questo era sufficiente a tenere buone le persone che avevano ideato quel disastro.

I resti della nave bruciarono per alcune ore.

La nave dell’imperatrice, con tutta la sua scorta, scese nel porto.

Il comandante del porto fece mettere in fila la guardia d’onore per l’arrivo dell’imperatrice, che non volse nemmeno uno sguardo a quegli uomini e non li passò nemmeno in rassegna.

Agli uomini della guardia la cosa non fece molto piacere, ma si sapeva che l’imperatrice era una a cui non piaceva molto l’etichetta militare.

All’interno degli uffici del porto giunse, correndo, il comandante delle guardie, che salutò, tutto trafelato, l’imperatrice.

«L’uomo ... dov’è?» Chiese senza indugi l’imperatrice.

«Sempre al suo posto!» Rispose secco il comandate.

«Quella nave era per lui, lo sapete, vero?»

Il comandante guardò l’imperatrice stupefatto della frase che aveva appena sentito.

«Ma voi non potete credere …»

La frase fu subito interrotta da un gesto della donna.

«Dov’è … l’uomo?»

L’imperatrice si stava già agitando.

Non adorava venire contraddetta da certe persone, men che meno da un comandate delle guardie di una prigione.

«Da questa parte, mia imperatrice.» Disse infine l’uomo, ossequioso.

L’uomo uscì dalla stanza seguito dall’imperatrice e dalla sua scorta.

Il comandante delle guardie era già stanco di vederla l’imperatrice, venuta lì, come al solito, a vedere quel tizio che non aveva niente di particolare, tranne l’essere scappato da quella prigione e che quel fatto era costato caro al suo predecessore.

Una telecamera, nella zona 1 di controllo della prigione (su tutto il pianeta ve ne erano più di cinquemila di quelle zone, presidiate continuamente da guardie) controllava i movimenti dell’uomo, spostandosi ogni volta che egli si muoveva nel tunnel.

L’imperatrice scosto brutalmente l’uomo che guardava il video che controllava il detenuto e vi si avvicinò, fissando il prigioniero.

L’uomo fece uno strano movimento, poi si fermò e guardò la telecamera, come se sapesse che qualcuno, non la solita guardia, lo stava guardando.

«Andate a prenderlo, gli voglio parlare!» Disse secca l’imperatrice.

Il comandante, a cui l’imperatrice non aveva mai dato quel’ordine, era sul punto di rimostrare, ma il volto dell’imperatrice, quando lo guardò, quasi domandandosi cosa il comandante stesse ancora aspettando, non gli diede molta scelta.

Si girò sbuffando, prese alcuni uomini, ben armati, alcuni mastini, affamati, e si diresse verso il tunnel.

Nell’attesa l’imperatrice si diresse verso alcune sale interrogatorio e attesa il detenuto.

Ci volle un po’ prima che il capo guardia e gli uomini portassero di peso l’uomo.

Lo sbatterono a terra e lo lasciarono ai piedi dell’imperatrice, nella sala interrogatorio.

L’uomo, coprendosi gli occhi per la troppa luce, vide degli stivali in pelle, con la parte appuntita rivola verso di lui, con dei tacchi alti e stretti, che sbucavano da una gonna in pelle, tutto di colo nero.

Girò il volto verso l’alto e vide il volto dell’imperatrice che lo scrutava e sentiva una strana vocina nella mente.

Una maledetta strega!

Lo sapeva bene e gli rispose con tutte le forze che la sua mente potesse sprigionare in quel momento.

La donna rise e di alzò in piedi, facendo cadere la sedia su cui si era seduta nell’attesa del prigioniero.

Lui iniziò a digrignare i denti e lei gli girava in tonto, alla volte ridendo, alle volte muovendo il frustino che aveva in mano, facendo muovere l’aria con sonori fischi.

La strana danza durò alcuni minuti, ma nessuno capì costa stava succedendo.

Alla fine la donna colpì il sedere dell’uomo, lasciandogli un livido di un bel colore blu e, ridendo, uscì dalla stanza.

Passò davanti al capo guardia senza dire nulla e si diresse verso la sua nave, inseguita, di corsa, da alcune dame di compagnia, scese dall’astronave per sgranchirsi le gambe, e che si coprivano il naso con fazzolettini di stoffa ricamati, per il forte olezzo che saliva da sotto la stazione di controllo.

Anche il comandante della nave imperiale e della scorta la seguì a rotta di collo.

Le navi lasciarono il pianeta prigione in meno di un’ora, ma non se ne allontanarono molto.

L’imperatrice comandò di rimanere in orbita del pianeta successivo ad Icestar ed attendere i suoi ordini, mentre si faceva una doccia ristoratrice.

   
 
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