Un pianeta ricoperto di ghiaccio, in una galassia
così grande, non è una cosa
rara.
Che poi avesse una eclittica molto allungata, per
cui si avvicinava al sole
solo per 6 mesi standard dei tre anni che ci impiegava a percorrerla,
non era
difficile trovarne.
Che avesse anche una atmosfera e una
gravità naturale quasi simili al
pianeta dell’imperatore era cosa quasi normale.
Non era normale la sua dimensione: pur essendo il
terzo pianeta di quel
sole, la sua dimensione era il triplo del pianeta
dell’imperatore.
Non che il pianeta dell’imperatore fosse
un pianeta particolare e diverso
dagli altri, ma era consuetudine fare riferimento, nei confronti tra
pianeti, a
quello.
Icestar era così grande, immenso, che
era considerato il posto peggiore
dove far vivere chi aveva mancato alle leggi che ogni singolo pianeta,
o la
galassia, aveva emesso per la difesa delle persone e delle cose.
Di certo, mettere tutte le mele marce in
un’unica cesta era gran cosa, ma
le mele, se ve ne erano di meno marce, marcivano subito, in quel posto,
dove
sopravvivere era il solo modo di vedere l’alba del giorno
dopo.
Il lavoro, non ben remunerato, era
l’estrazione di ogni tipo di metallo che
ci fosse sulla crosta bel spessa di quel pianeta.
Oro, diamanti, platino e ogni tipo di materiale che
risultava raro su
qualsiasi altro pianeta, lì ve n’era in abbondanza.
I macchinari per l’estrazione erano gli
stessi prigionieri, che, se non per
sfamarli e vestirli, non erano controllati dalle guardie, poche,
più
indaffarate a controllare che nessuno entrasse senza permesso
più che uno cercasse
di scappare.
Vi era, infatti, un luogo, su quel pianeta,
chiamato il cimitero degli
elefanti. Nessuno aveva mai capito perché, ma lì
vi era la più alta concentrazione
di morti di tutto il resto del pianeta, tranne, ovviamente, nel
cimitero della
prigione.
Molti tecnici di varie commissioni imperiali
avevano studiato il problema, più
per salvare la faccia all’imperatore che altro, ma non erano
giunti a nessuna
conclusione.
Ma il comandante delle guardie, un tipo alto,
grosso, con poco cervello,
losco, completamente pelato, con un facciotto rotondo, ben lo sapeva.
Le bussole che i prigionieri rubavano per poter
scappare, seguendo una
certa rotta, forse la più sicura, tramandata da generazioni
di ladri, puttane e
quant’altro su quel pianeta vi era arrivato, non sapeva che
sotto a quel punto
vi era un potente magnete, che formava, con altri, una rete di difesa
passiva
contro gli intrusi.
Il magnate era vicino ad una uscita laterale della
miniera di oro, quella
meno controllata, perché la più profonda.
I più coraggiosi rubavano le bussole,
salivano in superficie per una scalda
di emergenza, non allarmata e non controllata, e si trovavano a 125
°C sotto
zero.
Anche con una tuta termica, di cui i prigionieri ne
erano sprovvisti, su
quel pianeta si poteva resistere al massimo ventiquattrore in quel
freddo, per
poi morire di assideramento.
I prigionieri, che avevano solo pellicce, e neanche
tanto di prima scelta,
seguivano l’ago della bussola e finivano lì, a
morire di assideramento dopo
neanche due ore, tanto era il tempo che ci voleva a piedi da
quell’uscita al
magnete.
Il comandante e le sue guardie registravano,
tramite le videocamere di
sicurezza, l’uscita della persona da quella porta, con numero
e nome, e
mettevano automaticamente la scritta “Deceduto”.
Nessuno era uscito vivo da quella prigione.
O almeno uno c’era.
Ma vi era stato riportato dopo alcuni anni di
latitanza tra un pianeta e
l’altro.
Lo avevano messo a lavorare nella miniera
più profonda del pianeta, a
cercare diamanti.
Era diventato cieco, o così si diceva, e
muto e sordo, dal rumore dei
picconi che rimbombava in quel tunnel e a furia di urlare per
sovrastarlo.
A lui non gli interessava molto di coloro che
tentavano la fortuna,
scappando da lì sotto.
Ma ogni volta che ne vedeva uno tentar la fuga, un
tremendo ghigno gli si
formava sulla bocca, con la faccia che, per un attimo, sorrideva.
Poi gli tornava la solita faccia dura, contrita,
imperturbabile e lui continuava
a scavare.
L’imperatrice, per quell’uomo,
nutriva una curiosità innaturale.
Non era un bell’uomo, non era alto, non
raccontava storielle buffe o declamava
poesie, non era filosofo di vita, eppure l’imperatrice, del
prima giorno che lo
aveva visto al tribunale per la sua condanna definitiva, a vita, su
quel
pianeta, gli era parso interessante e spudorato.
Era stato necessario buttare per aria tutta una
parte dell’impero, quando
era scappato, per trovarlo e cercarlo di punirlo.
Lui era un fantasma: un giorno su un pianeta, il
giorno dopo in viaggio su
di un cargo, poi ancora fermo su un pianeta, fino a che non arrivavano
legioni
di militari a cercarlo e lui si spostava.
L’imperatrice andava qualche volta a
controllare che fosse ancora lì,
incatenato nel pozzo a scavare con quel piccone di ferro, con un manico
di
legno che sembrava rompersi ad ogni colpo dato alla roccia.
L’imperatrice scese su Icestar nel porto
principale, unico attracco per
qualsiasi nave andasse su quel pianeta.
Ve n’erano di più, una volta,
ma dato l’impossibilità di controllarli tutti
in maniera adeguata, era stato deciso da una commissione che un porto,
ben
attrezzato e ben controllato, per quel pianeta, era più che
sufficiente.
Era un porto non molto trafficato.
Vi arrivava una o due navi spaziali alla settimana.
Più che altro portavano cibo, alle volte
dei prigionieri.
L’imperatrice giunse sul pianeta in coda
ad una nave, che quel giorno
portava un certo numero di prigionieri da un pianeta a confine con
l’impero di
un nemico giurato di suo marito.
L’imperatrice salì sul ponte
di comando mentre le due navi, una dietro
all’altra, si avvicinavano al porto e incominciò a
scrutarla, mentre alcune
delle sue navi di scorta seguivano a poca distanza.
La donna si avvicinò al comunicatore e
chiamò il capo scorta.
Il capo scorta non fece in tempo a parlare, quando
vide nel video
l’imperatrice.
«Il resto della scorta
dov’è?» Chiese in modo energico.
«E’ rimasta fuori
dall’atmosfera …» il capo scorta non
finì la frase.
«Fateli entrare nell’atmosfera
e che si precipitino subito al porto. Quella
nave che sta di fronte a noi non è un cargo, ma una nave da
battaglia
camuffata. Fate presto!» L’imperatrice chiuse il
comunicatore e si girò verso
il comandante.
«Manovra elusiva, presto, e avvisate il
porto che sta arrivando una nave
non invitata!»
Il comandate diede ordini ai suoi sottoposti e
chiamo il porto, dichiarando
le sue generalità e avvisandoli del problema.
Il comandate del porto rise.
«E chi volete che venga qui con una nave
da battaglia a portar via cosa?»
L’imperatrice tolse il comandante dal
comunicatore e guardò truce il
responsabile del porto.
«Se vedete la mia faccia sapete ben chi
sono! Ho dato un ordine diretto e
pretendo che lo eseguita immediatamente! L’uomo è
ancora al suo posto?»
Il comandate del porto divenne rosso.
«Obbedisco,
signora. Il suo … l’uomo è ancora nel
tunnel sotterraneo!»
L’imperatrice si alzo dal comunicatore
spegnendolo in malo modo.
Non era il suo.
Era uno dei prigionieri più pericolosi
che ci fossero su quel pianeta, e
non era da sottovalutare.
La nave che precedeva quella
dell’imperatrice, in prossimità del porto,
perse il camuffamento, mostrando la sua vera faccia.
Sul ponte superiore due torri contenevano, ognuna,
quattro cannoni laser,
mentre torrette di ogni dimensione, contenenti diverse armi, facevano
bella
mostra di se sui fianchi.
Sotto, la nave aveva altre quattro torri con una
serie di quattro cannoni
ognuna.
Sula parte superiore vi era anche una torre comando
e varie infrastrutture,
alcune di lancio missili, altre di comunicazione.
Il comandante della nave, intento con tutto il suo
personale nella manovra
di atterraggio sul porto, ad una velocità inusuale per una
nave in quella angolazione
di discesa, non fece caso ai segnali di allarme che provenivano dai
radar della
nave che annunciavano l’avvicinarsi delle navi di scorta
dell’imperatrice che
aprirono il fuoco contro i motori, posti sulla coda della nave.
I colpi andarono a segno senza troppa fatica e la
nave perse stabilità.
Prima si girò verso sinistra, poi si
buttò a destra, nel tentativo di
evitare i colpi che provenivano dalle altri navi di scorta
dell’imperatrice,
uscite dall’orbita ed entrate nell’atmosfera, che
gli venivano incontro.
La nave non riuscì immediatamente a
rispondere al fuoco e quando giunse ad
alcuni chilometri dalla superficie, i cannoni, a protezione del porto,
aprirono
il fuoco, investendo la nave come un gancio che un pugile scaglia
contro il suo
avversario.
Il colpo fu tremendo: la nave rallentò,
fin quasi a fermarsi, tanto era la
velocità che perse in poco tempo, e la coda
precipitò sul pianeta, tirandosi,
poi, dietro il resto della nave.
L’esplosione fu tremenda e fece vibrare
la nave dell’imperatrice, che nel
frattempo si era allontanata dal combattimento e ne aspettava
l’esito.
Il ghiaccio, in quel punto del pianeta, si sciolse,
per parecchi metri di
profondità, sopra la superficie rocciosa, formando un fiume
in piena di acqua
calda per alcuni chilometri, diretto verso un abbassamento del ghiaccio.
Il fiume riempi quell’abbassamento e
rimase liquido per alcuni momenti.
Poi l’acqua si ghiacciò,
formando una strana configurazione nel terreno.
Chiunque aspettasse quella nave non ebbe molto
tempo per compiangere chi
era morto in quell’impresa.
Sotto la superficie dei ghiaccia parecchie
gallerie, sotto l’effetto
dell’urto e dell’esplosione della nave, crollarono,
coinvolgendo centinai di
prigionieri, che perirono sul colpo.
Le guardie, infuriate per quello che era accaduto,
sguinzagliarono i
mastini, affamati, che si misero sulle tracce dei probabili rivoltosi.
Di certo gli animali avrebbero colpito a casaccio,
ma questo era
sufficiente a tenere buone le persone che avevano ideato quel disastro.
I resti della nave bruciarono per alcune ore.
La nave dell’imperatrice, con tutta la
sua scorta, scese nel porto.
Il comandante del porto fece mettere in fila la
guardia d’onore per
l’arrivo dell’imperatrice, che non volse nemmeno
uno sguardo a quegli uomini e
non li passò nemmeno in rassegna.
Agli uomini della guardia la cosa non fece molto
piacere, ma si sapeva che
l’imperatrice era una a cui non piaceva molto
l’etichetta militare.
All’interno degli uffici del porto
giunse, correndo, il comandante delle
guardie, che salutò, tutto trafelato,
l’imperatrice.
«L’uomo ...
dov’è?» Chiese senza indugi
l’imperatrice.
«Sempre al suo posto!» Rispose
secco il comandate.
«Quella nave era per lui, lo sapete,
vero?»
Il comandante guardò
l’imperatrice stupefatto della frase che aveva appena
sentito.
«Ma voi non potete credere
…»
La frase fu subito interrotta da un gesto della
donna.
«Dov’è …
l’uomo?»
L’imperatrice si stava già
agitando.
Non adorava venire contraddetta da certe persone,
men che meno da un
comandate delle guardie di una prigione.
«Da questa parte, mia
imperatrice.» Disse infine l’uomo, ossequioso.
L’uomo uscì dalla stanza
seguito dall’imperatrice e dalla sua scorta.
Il comandante delle guardie era già
stanco di vederla l’imperatrice, venuta
lì, come al solito, a vedere quel tizio che non aveva niente
di particolare,
tranne l’essere scappato da quella prigione e che quel fatto
era costato caro
al suo predecessore.
Una telecamera, nella zona 1 di controllo della
prigione (su tutto il
pianeta ve ne erano più di cinquemila di quelle zone,
presidiate continuamente
da guardie) controllava i movimenti dell’uomo, spostandosi
ogni volta che egli
si muoveva nel tunnel.
L’imperatrice scosto brutalmente
l’uomo che guardava il video che
controllava il detenuto e vi si avvicinò, fissando il
prigioniero.
L’uomo fece uno strano movimento, poi si
fermò e guardò la telecamera, come
se sapesse che qualcuno, non la solita guardia, lo stava guardando.
«Andate a prenderlo, gli voglio
parlare!» Disse secca l’imperatrice.
Il comandante, a cui l’imperatrice non
aveva mai dato quel’ordine, era sul
punto di rimostrare, ma il volto dell’imperatrice, quando lo
guardò, quasi
domandandosi cosa il comandante stesse ancora aspettando, non gli diede
molta
scelta.
Si girò sbuffando, prese alcuni uomini,
ben armati, alcuni mastini,
affamati, e si diresse verso il tunnel.
Nell’attesa l’imperatrice si
diresse verso alcune sale interrogatorio e
attesa il detenuto.
Ci volle un po’ prima che il capo guardia
e gli uomini portassero di peso
l’uomo.
Lo sbatterono a terra e lo lasciarono ai piedi
dell’imperatrice, nella sala
interrogatorio.
L’uomo, coprendosi gli occhi per la
troppa luce, vide degli stivali in
pelle, con la parte appuntita rivola verso di lui, con dei tacchi alti
e
stretti, che sbucavano da una gonna in pelle, tutto di colo nero.
Girò il volto verso l’alto e
vide il volto dell’imperatrice che lo scrutava
e sentiva una strana vocina nella mente.
Una maledetta strega!
Lo sapeva bene e gli rispose con tutte le forze che
la sua mente potesse
sprigionare in quel momento.
La donna rise e di alzò in piedi,
facendo cadere la sedia su cui si era
seduta nell’attesa del prigioniero.
Lui iniziò a digrignare i denti e lei
gli girava in tonto, alla volte
ridendo, alle volte muovendo il frustino che aveva in mano, facendo
muovere
l’aria con sonori fischi.
La strana danza durò alcuni minuti, ma
nessuno capì costa stava succedendo.
Alla fine la donna colpì il sedere
dell’uomo, lasciandogli un livido di un
bel colore blu e, ridendo, uscì dalla stanza.
Passò davanti al capo guardia senza dire
nulla e si diresse verso la sua
nave, inseguita, di corsa, da alcune dame di compagnia, scese
dall’astronave
per sgranchirsi le gambe, e che si coprivano il naso con fazzolettini
di stoffa
ricamati, per il forte olezzo che saliva da sotto la stazione di
controllo.
Anche il comandante della nave imperiale e della
scorta la seguì a rotta di
collo.
Le navi lasciarono il pianeta prigione in meno di
un’ora, ma non se ne
allontanarono molto.
L’imperatrice comandò di
rimanere in orbita del pianeta successivo ad
Icestar ed attendere i suoi ordini, mentre si faceva una doccia
ristoratrice.