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Autore: tikei_chan    13/04/2009    1 recensioni
Un forte senso di vertigine la confondeva, mentre l'elastico si tendeva al massimo, lasciando che la sua testa penzolasse a una distanza poco rassicurante dal fiume.
Ma arrivata in fondo si può solo risalire, no?
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rock Lee, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nick Autore: tikei_chan

Solo qualche nota prima di lasciarvi alla storia. Questa ff è stata scritta per un contest, che non si è potuto concludere in quanto non tutte le iscritte hanno consegnato, che richiedeva alle partecipanti di inserire obbligatoriamente nella storia delle parole inviate dalla giudice (Alis, su EFP Aliciuzza) nell’arco di un mese, diverse per ognuna. Ecco qua di seguito quelle che dovevo inserire io.

Parole/Frasi da inserire:  Corda

                                           Cassettiera

                                           C’è qualcosa di più grande che io/tu/egli possa fare[…]?                           (particolarmente difficile U.U)

                                           Raggio





 

Ray of light

 

Chiuse gli occhi.

Non pensava fosse tanto in alto

Sentendo la paura occluderle la gola, gettò un'occhiata alle sue spalle, in cerca di sostegno.

Un uomo molto abbronzato sulla cinquantina – che avrebbe fatto di tutto per sembrare più giovane -l'osservava con fare paterno, le sue iridi scure sembravano volerla incoraggiare.

Lei distolse subito lo sguardo, vergognandosi per la pessima figura che stava facendo.

Non poté fare a meno di notare che anche l’uomo, come lei, aveva i piedi stretti da un doppio giro d'elastico e da una corda robusta.

Beh, così nel caso qualcosa andasse storto...

Spaventata dai propri pensieri, strizzò impaurita gli occhi verdi fino a farli lacrimare.

Una risatina lieve la indusse a riaprirli.

“È normale fare così all'inizio.” L'uomo abbronzato le parlava, in un accademico inglese pulito, sfoggiando il tono di chi nella sua vita ne ha viste tante da poter scrivere un libro.

“Tutti hanno paura di lanciarsi, proprio come te, ma sai cosa fanno dopo?” le poggiò una manona calda sulla spalla, senza aspettarsi davvero un risposta “Vengono da me ad implorarmi di fare un altro giro!”

Rise di nuovo, ottenendo da Sakura un sorriso abbozzato in risposta.

Lei temporeggiò ancora, cercando di allontanare il momento in cui avrebbe dovuto saltare; squadrò con attenzione il panorama che le si profilava attorno.

Osservò i profili spigolosi delle città e le curve degli avvallamenti, le rade pozze d'acqua sporca e le nuvole soffici che popolavano il cielo. Per ultima si soffermò sulla fila di gente che al capo orientale del ponte era in coda, in attesa del proprio turno.

Quel giorno Akashi-Kaikyo, il ponte sospeso più lungo al mondo, era stato chiuso per permettere a chiunque di sperimentare l'ebbrezza di lanciarsi nel vuoto.

Sakura aveva saputo dell'evento quella stessa mattina, quando per strada aveva trovato un volantino che lo sponsorizzava. Si era dunque diretta lì e aveva passato ore in piedi sotto il sole cocente, con la sola intenzione di sfruttare l'occasione che gli si era presentata in quel giorno assurdo per ripartire da zero.

Gettarsi sull'acqua da una quota folle le era sembrato un buon modo per rinnovarsi e lasciarsi il passato alle spalle.

Armata di determinazione – caratteristica che la distingueva – si concentrò nuovamente sui suoi arti oramai intorpiditi dalla statica posizione di tensione, tentando di richiamare tutto il suo autocontrollo e il coraggio che sapeva di possedere.

Quindi riportò la testa dritta davanti a sé, chiudendo gli occhi prima che incorresse nell'errore di guardare giù.

Inspirò profondamente, per poi soffiare a lungo l'aria fuori dalla bocca asciutta.

3, 2, 1...

Ora!

Si trovò improvvisamente in picchiata verso le acque immobili e compatte, che fino a poco prima poteva guardare dall'alto coi piedi ben saldi a terra.

Gli occhi, così come la bocca, erano serrati per la calda aria frizzante che le sferzava il viso.

Un forte senso di vertigine la confondeva, mentre l'elastico si tendeva al massimo, lasciando che la sua testa penzolasse a una distanza poco rassicurante dal fiume.

Ma arrivata in fondo si può solo risalire, no?

Schizzò in alto, avendo la netta sensazione di aver perso ognuno dei cinque sensi, oltre al controllo del suo corpo e sulla sua mente.

Quest'ultima in particolare perse lucidità veloce quanto la sua ascesa fulminea verso le travi del ponte.

Rapidamente perse contatto con la realtà e tutto intorno a lei si fece scuro.

 

 

*

 

Aprì la porta con grande cautela, riponendo silenziosamente il mazzo di chiavi nella borsa.

Conoscendolo, il suo ragazzo stava quasi certamente cercando di rilassarsi prima del lavoro, e vista la sua suscettibilità appena sveglio, non voleva certo disturbarlo. In più aveva una gran voglia di fargli una sorpresa.

Prima di tutto tentò di rintracciare il cellulare che aveva lasciato lì il pomeriggio precedente, vero motivo della sua visita mattiniera.

Non lo trovò nel salotto ordinatissimo – nessuno avrebbe mai detto che lì vivesse un ragazzo solo – e neanche in bagno.

Si diresse allora verso la camera da letto, pensando di lasciare la cucina come ultima spiaggia.

Con delicatezza spinse un poco la porta, facendo spuntare solo il suo viso fine oltre la soglia.

Il sorriso dolce che le incurvava le labbra, si congelò quando vide che lì il suo ragazzo non c'era.

C'era invece, sul letto sfatto, una ragazza che sdraiata su un fianco le dava le spalle, accoccolata in un groviglio di lenzuola bianche.

Rimasta in un silenzio attonito, Sakura continuò a fissare il letto con gli occhi sgranati – ancora asciutti -, senza vederlo realmente.

La schiena della ragazza ebbe un lieve sussulto.

Non può essere vero. Pensava.

Se lo ripeteva in continuazione, Sakura, cominciò anche a scandirlo debolmente con le labbra secche.

Quando si riebbe dallo stato di trance in cui era caduta per l’amara sorpresa, con gli occhi vitrei passò in rassegna la camera, riconoscendo in ogni dettaglio lo stile e l'essenza di Sasuke.

Lo vedeva nell'ordine assoluto che regnava nella stanza e nelle mura tipicamente bianche e spoglie. Inoltre scorse la divisa da poliziotto ripiegata e riposta sulla cassettiera e sul comodino il regalo che lei stessa gli aveva fatto il Natale passato.

No, non hai sbagliato casa, Sakura. Ammise infine.

Quindi poteva solamente essere uno scherzo.

Un giochetto di cattivo gusto, assolutamente estraneo alla personalità del suo ragazzo.

Appoggiò senza molta delicatezza la fronte al bianco stipite della porta e girò la testa prima a destra, poi a sinistra, come se volesse perforarlo o passargli attraverso.

In realtà non sapeva quello che stava facendo.

Sapeva solo di aver bisogno di fuggire da quell'appartamento ordinato, coi mobili impeccabili, le stanze profumate e le porte bianche, che le dava la nausea e che sembrava recare la scritta “tradimento” su ogni suo centimetro quadrato.

Riaprì gli occhi umidi, mentre cercava la forza di sollevare il capo.

La prima cosa che vide fu una pila di asciugamani grigi sorretta da pallide mani forti.

D’un tratto a lato delle salviette fece capolino un viso, ben più che famigliare, caratterizzato dalla classica espressione indecifrabile “alla Uchiha”.

Sakura lo fissò senza parole, malauguratamente priva di commenti taglienti da lanciargli o frasi memorabili da pronunciare per fargli capire che lui si era sbagliato.

Che facendole questo, aveva perso il meglio che avrebbe mai potuto avere.

Purtroppo la sua stima di se non si era ancora riavuta dal colpo subito, e poi si sa, le battute perfette non vengono mai al momento giusto.

Aveva solo una gran voglia di picchiarlo, i pugni serrati che tremavano almeno quanto il suo

labbro inferiore.

Con uno sforzo raddrizzò la testa, che improvvisamente pesava e le faceva male, e, afferrata la maniglia lucida della porta, sbatté quest'ultima con forza inaudita.

Dopodiché, sempre guardando Sasuke fisso negli occhi scuri, gli rivolse una domanda semplice e totalmente fuori luogo con voce tremante.

“Sai dov'è il mio cellulare?”

L'Uchiha la guardò, tentato di darle qualche breve parola di conforto, qualcosa di classico come “Mi dispiace” o “Non è colpa tua”, ma capì dall'espressione di Sakura che lei stava cercando di mantenere la sua dignità, che lui aveva compromesso profondamente.

Se ne accorse per il fatto che la ragazza di fronte a lui stava cercando di trattenere le lacrime, e si trattava di Sakura. La stessa Sakura che lui pensava di conoscere bene, almeno quanto le sue tasche, e che aveva visto tante volte piangere per delle piccolezze assurde.

Si rese conto che non era il caso di vanificare i suoi tentativi con qualche stupida frase di routine.

Così Sasuke le rispose pacato e meno spavaldo di quanto fosse mai stato, guardandola negli occhi con un sottile velo di timore.

E rispetto.

In quel momento un pensiero gli passò per la mente - forse Sakura è meno debole di quanto io abbia sempre pensato - ma il moro non vi fece particolarmente attenzione.

“Mi pare di averlo visto in soggiorno, era per terra così l'ho portato...” cercò di ricordare dove aveva messo il telefono, quando l'aveva trovato la sera prima. Poi gli venne in mente; ce l'aveva addosso.

Reggendo gli asciugamani con una sola mano, portò la destra alla tasca posteriore dei jeans, e trovò immediatamente ciò che stava cercando.

“Eccolo” disse, porgendoglielo.

Sakura si fece avanti di qualche passo, strappando il cellulare dal palmo aperto dell'Uchiha.

Arrivata così vicina a lui, il desiderio di picchiarlo si triplicò, ma invece che lasciargli una cinquina sulla guancia pallida ebbe l'idea bizzarra di fargli un dispetto infantile.

Preda della confusione che aveva in testa, diede un deciso spintone alla pila di asciugamani puliti. Non stette a guardarli crollare uno ad uno sul pavimento; non appena ebbe affondato il colpo scappò come una ladra lungo il corridoio fino alla porta dell'appartamento.

Arrivata in strada si abbandonò finalmente al pianto liberatorio che da minuti le premeva agli angoli degli occhi chiedendole di essere versato.

Fu allora che vide il volantino che recava in grande la scritta “Bungee-jumping”.

Fu allora che ebbe l’idea di ricominciare partendo da un’esperienza folle.

 

 

*

 

 

Quando Sakura riaprì gli occhi, non vide altro che la faccia preoccupata di un ragazzo davanti a lei.

Non era in grado di metterlo bene a fuoco, ancora intontita dal mancamento.

Per tornare lucida sbatté quindi con forza le lunghe ciglia, fino a quando la fastidiosa patina ovattata non le ebbe lasciato campo libero.

Vide allora anche i propri piedi – notò le sue caviglia sottili segnate da righe rosse - dove non avrebbero dovuto stare, stranamente in alto.

I sandali blu erano appoggiati al petto del ragazzo, che aveva cominciato a sorriderle felice.

“Ti senti meglio?” Le chiese in tono affabile e gentile.

Spiazzata dalle sensazioni improvvise che la investirono non appena ebbe preso piena coscienza della situazione, Sakura strattonò le gambe per sciogliere la presa del giovane sconosciuto.

Una fitta lancinante le attraversò la testa da parte a parte.

Si tirò su, mettendosi seduta, e premette un palmo sulla fronte sudata.

“Ho un mal di testa terribile.”

“Ci credo. Sai, sei rimasta svenuta per un sacco di tempo. Hai perso i sensi mentre penzolavi su e giù dal ponte e ci è voluto un po’ per riportarti a terra, ma per fortuna c’ero io. Ti ho assistita fino adesso.” Orgoglioso, il ragazzo drizzò la schiena e le rivolse un sorriso abbagliante, tendendole la mano. “Piacere, Rock Lee.”

Sakura lo guardò interdetta, senza sapere esattamente come reagire davanti ad un tale individuo.

Dopo un attimo di esitazione si lasciò strappare un sorriso dai suoi modi di fare buffi ed esagerati e gli strinse il palmo sospeso a mezz’aria. “Piacere, Sakura”

“Bene Sakura, c’è qualcosa di più grande che io possa fare per te?”

La ragazza ammutolì, il suo sguardo si fece triste. Automaticamente i suoi pensieri erano corsi a quello stronzo di Sasuke e a ciò le aveva fatto, e non poté esimersi dal fare una battutina sull’argomento.

Gli angoli della bocca le si incurvarono debolmente, “Beh, se esegui omicidi su commissione…” disse a Rock Lee.

“Oh no, io non sono un tipo violento.” Fu la risposta decisa di lui.

A questo punto Sakura scoppiò in una risata divertita, il cui motivo era sconosciuto al giovane che le stava davanti e che la osservava ridere con sguardo interrogativo.

“Scusami.” Gli disse lei, riavutasi dal riso. “Era solo una battuta; non voglio uccidere nessuno, anche se forse il mio ex-fidanzato se lo meriterebbe.”

“Ah capisco. Ti ha tradita?”

Spiazzata da quanto fosse diretto quel ragazzo, rimase inizialmente a bocca aperta, decidendo poi che ciò non le dispiaceva affatto.

“Sì. Stavamo insieme da quasi due anni. È stato terribile.” Disse lentamente, lo sguardo fisso a terra.

Poi s’interruppe, chiedendosi d’un tratto per quale motivo stesse raccontando la propria vita privata ad una persona praticamente sconosciuta.

“Mi spiace. Il tuo ex-ragazzo è stato davvero cattivo a comportarsi in questo modo.

Ancora una volta sorpresa dal comportamento imprevedibile del ragazzo, Sakura trovò una risposta alla domanda che si era appena posta: la sensibilità.

Quel ragazzo era sensibile e genuino, e lei trovava estremamente facile parlargli e confidarsi. Qualcosa di indefinibile la spingeva a fidarsi di lui.

Spontaneamente gli sorrise ancora una volta, felice di aver trovato qualcuno che la facesse sentire così leggera e spensierata.

“Ehi, sei tu il numero 304?” Gridò improvvisamente una voce alle loro spalle.

Rock Lee spostò lo sguardo oltre alla testa di Sakura urlando poi una risposta affermativa di rimando.

“Bene, allora muoviti perché tra due turni tocca a te lanciarti.”

Il ragazzo moro si alzò dalla panchina.

“Mi chiamano. È stato un vero piacere conoscerti, e mi raccomando non essere triste per quel tipo, ne troverai sicuramente di migliori.

“Allora, ciao.” lo salutò Sakura, dispiaciuta che se ne dovesse già andare.

Lui si avviò verso il ponte, seguito dallo sguardo ipnotizzato della ragazza.

Sakura si sentì fortemente in debito con Rock Lee, per averla fatta sentire così bene in una tale orribile giornata.

Voleva dirglielo, così urlò all’alta figura che le dava le spalle “Grazie mille. Sei stato molto d’aiuto.”

Lui si girò sorridendole e alzò in sua direzione l’indice e il medio, come in segno di vittoria.

Non lo sapeva, ma quel giorno aveva rappresentato per una ragazza delusa un raggio di speranza per un futuro più felice.

 

   
 
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